Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LazyBonesz_    12/07/2019    1 recensioni
“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio fin quando, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando.
“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you, lately.”
Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse.
“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva.
“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Los Angeles- 11 dicembre 2019

Eren


Ero entrato a scuola con l’obbiettivo di parlare con Levi di persona. La sera prima, mentre andavo a dormire, gli avevo inviato un messaggio, chiedendogli di vederci questo pomeriggio per poter portare avanti la ricerca. Il messaggio non era neanche stato inviato. Avevo lasciato perdere, pensando che avesse spento il telefono ma neanche questa mattina era arrivato a destinazione. Iniziavo a preoccuparmi. 

Incontrai Armin sulle scale del liceo e mi affiancai a lui, salutandolo brevemente prima di sorpassarlo ed entrare nell’edificio. Il mio amico mi seguì, quasi correndo dato il mio passo veloce.

“Dove  stai andando?”, mi chiese curioso, riuscendo a raggiungermi e a camminare secondo la mia andatura. 

Percorrevo il corridoio principale, guardando da ogni parte senza notare nessun ragazzo basso dai capelli neri. Avevo sentito l’auto di suo zio partire mentre facevo colazione e l’avevo anche vista, dalla finestra, quindi Levi doveva per forza essere qui. 

“Sto cercando lo stronzo”, dissi ad Armin che mi guardò confuso per qualche istante prima di capire. 

“Dai, non chiamarlo così.”

“Non sono gentile come te.”

Mi bloccai davanti ai bagni ed entrai, trovandoli completamente vuoti. Quando uscii vidi che il mio amico si era poggiato al muro, riposandosi. 

“Sei troppo veloce. Che cavolo è successo?”

Mi misi al suo fianco, poggiando una mano contro la parete macchiata e piena di incisioni e crepe. Il nostro liceo non era certo il migliore di Los Angeles. 

“Stiamo facendo una ricerca di storia e ieri ci siamo visti al bar. Abbiamo parlato un po’ e quello che mi ha detto mi ha fatto preoccupare.”

“Da quando tu e Levi parlate?”, domandò il biondino. In effetti lui non sapeva come fossimo arrivati a farlo. Non sapeva di Marco ne della mia intenzione di prendermi cura di lui, sotto forzata richiesta. Gli raccontai brevemente questi fatti e lui annuì, comprendendo la situazione. 

“Lo sapevo che prima o poi ti saresti preoccupato per lui”, mi disse con un sorriso e io aggrottai la fronte, non capendo cosa intendesse. 

“E perché mai? Lo faccio solo perché me lo ha chiesto Marco”, mentii spudoratamente. 

“Carine le bugie che ti rifili. Sei veramente testardo”, ridacchiò lui brevemente per poi ritornare serio, “comunque, cosa ti ha detto di tanto brutto da farti arrivare a correre a scuola per parlarci?”

Gli raccontai della conversazione in caffetteria, del suo sguardo strano e della macchina dello zio che, a quanto pare, non era diretta a scuola. 

“Forse sono andati da qualche parte per farlo distrarre”, fece Armin, ragionando su cosa ci fosse sotto. Alzai le spalle, non molto convinto. 

“Per ora pensiamo alle lezioni, magari vai a casa sua dopo la scuola”, propose poco dopo e annuii, pensando che fosse la cosa più sensata da fare. Non dovevo allarmarmi, c’era Kenny con lui. E poi, dopo la nostra conversazione, era sembrato un po’ meno arrabbiato anche se, in realtà, era proprio questo che mi preoccupava. 

Suonò la campanella e andammo verso la zona delle aule. 
 

**********


Uscii dalla classe, controllando il telefono per vedere se il mio messaggio fosse arrivato a destinazione ma non notai nessun cambiamento. Sospirai frustato e sollevai lo sguardo, incrociando gli occhi azzurri di Historia. 

Mi raggiunse e le rivolsi un sorriso forzato. 

“Hey, tutto bene?”, mi chiese dubbiosa, squadrandomi attentamente. Io scrollai le spalle, non avendo voglia di mentirle. 

“Non proprio, ieri ho studiato con Levi e abbiamo avuto una strana conversazione. Era molto triste,” le raccontai mentre andavamo verso l’uscita della scuola, seguendo il resto degli studenti. 

Fuori il cielo era nuvoloso come il giorno prima e iniziarono a cadere alcune gocce. 

“Credo sia normale...”, mormorò lei. 

“Si, lo so però, non riesco a contattarlo e oggi non l’ho visto a scuola. Andrò a fare un salto a casa sua.” 

“Spero sia tutto okay.”

Sospirai, passandomi una mano fra i capelli nervosamente e poi le proposi di venire con me, chiedendole aiuto per la ricerca di storia. 

“Non sembra molto interessato al diploma ma voglio fargli prendere un buon voto in questo progetto. Potresti aiutarmi?”, domandai sperando nel suo carattere gentile. Lei mi sorrise, rassicurandomi e accettò. 

Camminammo velocemente verso la mia auto, sentendo la pioggia farsi più insistente, e salimmo sulla vettura. 

Arrivammo nella mia via e notai subito l’auto di Kenny, ferma davanti alla casa degli Ackerman. Mi sentii più sollevato ma c’era ancora qualcosa che mi turbava. Scendemmo dall’auto e lanciai uno sguardo all’abitazione. 

“Abita lì?”, chiese Historia ed io annuii, stringendo fra le dita la spallina del mio zaino. 

“Ti aspetto qua, vai pure”, mi sorrise con dolcezza e cercai di ricambiare, fallendo miseramente. Non sapevo perché mi sentissi così preoccupato, era come avere un peso sul cuore che mi impediva di pensare lucidamente e di rispondere con frasi sensate. 

Mi avvicinai alla casa e suonai al campanello, facendolo per la prima volta dopo anni. 

Nessuna risposta. 

Rimasi ad aspettare, desiderando come non mai di trovarmi davanti Levi e di sentire i suoi insulti solo per capire che stesse bene. Non fu lui ad aprirmi ma lo zio, Kenny. 

Mi rivolse un piccolo cenno per salutarmi e, con un tono innaturalmente piatto per lui, mi disse che Levi non voleva parlare con nessuno. 

“Glielo può dire che sono passato? E anche che sono preoccupato”, dissi velocemente, sentendo il peso sul cuore alleggerirsi sapendo che fosse sano e salvo a casa sua. 

“Certo, ragazzo. Era da molto che non passavi a casa sua”, mi ricordò, guardandomi con un’intensa e stanca occhiata. 

“Sono cambiate molte cose.”

“Però qualcosa è rimasta uguale.”

Annuii e rimanemmo in silenzio. Era strano, quell’uomo parlava anche troppo mentre ora sembrava un fantasma. Ben poche cose erano rimaste uguali. 

Ci salutammo brevemente e tornai da Historia che sembrava piuttosto curiosa della mia piccola conversazione con Kenny. Le raccontai velocemente cosa ci eravamo detti, mentre entravamo a casa mia. 

Fortunatamente c’era solo Mikasa così riuscii ad evitare qualche domanda imbarazzante di mia madre su Historia. Mia sorella doveva essere chiusa nella sua camera per sistemare dei documenti e cartelle cliniche del tirocinio all’ospedale. 

“Quindi vive con suo zio”, commentò la mia amica, poggiando la sua borsa sul mio divano ingombrante. Annuii e mi sfilai le scarpe, lasciandomi poi cadere sul letto. Mi sentivo esausto grazie a tutta la preoccupazione che avevo immagazzinato nelle ultime ore. 

Historia si avvicinò a me e si sedette timidamente sul bordo del mio letto per poi allungare una mano verso un mio braccio. Non ci feci subito caso, anzi fu piacevole sentire le sue dita che si muovevano sulla mia pelle. Mi fece ricordare una persona ma il pensiero scomparve quando parlò. 

“Ti senti meglio?”, chiese a bassa voce, usando un tono più dolce del solito. 

Incrociai il suo sguardo ed osservai la forma delicata dei suoi occhi, il suo viso da bambola, il suo sorriso gentile. Lei arrossì ma non allontanò la mano dal mio braccio. 

“Si, credo... dovremmo iniziare a studiare”, borbottai imbarazzato per la situazione. Mi misi seduto e afferrai il computer, poggiandolo sulle mie gambe prima di accenderlo. 

Iniziammo a fare la nostra ricerca, evitando di toccarci come era successo poco prima. Historia era brava anche a scrivere e mi aiutò notevolmente quando dovetti riassumere tutte le informazioni trovate. 

Due ore più tardi, dopo che il sole era già calato, avevamo finito la parte scritta della ricerca. Mi scoppiava la testa e fui ben felice di spegnere il pc. 

“Non so davvero come ringraziarti”, ammisi, girandomi verso Historia che aveva uno sguardo stanco come il mio. 

“Siamo amici, è stato un piccolo favore. E poi ti sei impegnato parecchio, facendo anche ciò che toccava a Levi. È una cosa carina.”

Le sorrisi sinceramente e sollevai le braccia per stiracchiarmi. Mi alzai dal letto sentendo le gambe pesanti dopo aver passato due ore seduto. Historia mi imitò, avvicinandosi al mio corpo. 

Era molto più bassa di me, sembrava quasi una bambina con quei lineamenti delicati e il suo sorriso innocente. 

“Ti piace Levi?”, domandò all’improvviso, facendomi strozzare con la mia stessa saliva. Sentii le mie guance diventare più calde e scossi subito la testa. 

“Eh? Che cazzo... no!”, esclamai e lei sollevò un sopracciglio, poco convinta. 

“Dopo tutto quello che mi ha fatto.”

“Pensavo lo avessi perdonato dato che cerchi di aiutarlo.” 

“Non so se ci sono davvero passato sopra però non riesco a non preoccuparmi, a quanto pare. E, comunque, non sono per niente interessato a una relazione, meno che mai con Levi.”

Historia ridacchiò e poi incrociò il mio sguardo, facendo un altro passo verso di me. Sentii il mio cuore martellare per l’ansia, contro il mio petto, e iniziai a chiedermi cosa stesse per succedere. 

“Non ti è mai interessato qualcuno?”, chiese a bassa voce, osservandomi da sotto le sue ciglia chiare e lunghe. Deglutii e scossi la testa, sentendomi incredibilmente a disagio. 

Scossi la testa e lei mi sorrise, “neanche a me”, disse e si mise in punta di piedi, avvolgendo le braccia attorno al mio collo per farmi abbassare. Poi premette le sue labbra calde sulle mie. Al contatto chiusi gli occhi, pensando fosse la cosa giusta da fare, ma non mi mossi. Neanche lei lo fece e dopo qualche secondo ci staccammo. 

“Perché?”, domandai confuso, guardandola come se fosse impazzita all’improvviso. Lei rise e si passò le mani sulle guance arrossate. 

“Quando eravamo alle elementari mi piacevi. Ovviamente era una stupida cotta da bambini però volevo realizzare il mio sogno d’infanzia”, disse divertita, iniziando a prendere la sua borsa per mettere i libri all’interno. 

“È stato terribile”, continuò, facendomi sentire leggermente offeso. In realtà era stato abbastanza brutto e strano anche per me, mi ero sentito sia a disagio che confuso. 

“Ho ricevuto il peggior primo bacio della storia”, commentai, lasciandomi andare a un sorriso divertito subito dopo. 

“Però è stato divertente.”

L’accompagnai al piano di sotto e risi assieme a lei, sentendo il senso di disagio scivolare via al pensiero della stupida storia che mi aveva raccontato. 

Raggiunsi la porta di casa e l’aprii, permettendo a Historia di uscire fuori. 

“Consideralo un piccolo allenamento per essere pronto per Levi. Ho visto certi baci che dava alla sua ragazza”, scherzò la mia amica, facendomi arrossire. Si, li avevo visti anche io di nascosto e non era stata un’esperienza piacevole. 

“Scherzo, Eren!”, esclamò poco dopo, sicuramente perché avevo una strana espressione sul viso. Sbuffai e la spinsi via con una mano, evitando di metterci troppa forza. 

“Si, ciao, ciao”, borbottai e chiusi velocemente la porta, smettendo di sentire la sua risata. 

Los Angeles-12 dicembre 2019 

Levi non era venuto a scuola neanche oggi nonostante lo avessi visto uscire di casa con Kenny, indossando anche lo zaino. Non sembrava particolarmente scosso però mi aveva preoccupato comunque. Camminava come se non gli importasse dove stesse andando e lo stesse facendo per inerzia. 

Ero appena tornato a casa e avevo deciso di completare la ricerca, creando anche una presentazione al computer. Poi avrei inviato tutto a Levi nonostante non avesse risposto a nessun mio messaggio. Magari sarei potuto passare a casa sua prima della cena. 

Sbirciai dalla mia finestra ma non vidi l’auto di Kenny, segno che non fossero ancora tornati. A quel punto decisi di concentrarmi sulla ricerca. Non mi ero mai impegnato così tanto come negli ultimi tre giorni, era una grande sorpresa pure per Armin. Solitamente studiavo a malapena il giorno prima di un test e le mie ricerche erano sempre corte ed imprecise. 

Mi sistemai sul divano e cercai delle immagini carine e interessanti per la mia presentazione. Feci anche qualche schema per rendere tutto più chiaro e poi rincontrollai il mio lavoro. Ero abbastanza soddisfatto, non avevo mai svolto così bene un compito dai tempi delle elementari, quando Mikasa mi aiutava o faceva le cose al mio posto. Lei era il genio di casa.

Salvai il lavoro e poi ne misi una copia in una chiavetta USB, da dare a Levi. Mi alzai dal divano e, ignorando la finestra per non essere costretto ad aumentare la mia ansia, scesi al piano di sotto dove trovai mia sorella. 

Le rivolsi un leggero sorriso e iniziai a cercare qualcosa da mangiare nonostante l’ora di cena fosse imminente. 

“Tutto bene a lavoro?”, le domandai incuriosito. Il mondo delle malattie psichiatriche mi aveva sempre affascinato e spesso avevo rubato dei libri a mia sorella per saperne di più. Però ero troppo scarso nello studio per poter aspirare a diventare un medico, e neanche mi interessava più di tanto. Il mio era l’interesse che tutti avevano per cose del genere. 

“Si ma sono stanca. La clinica ha ricevuto un nuovo paziente con una situazione impossibile”, mi raccontò, lasciando perdere il cellulare che poggiò sul tavolo. “E tu, a scuola tutto okay? Stai studiando?”, domandò, studiando la mia espressione per capire se avrei detto la verità o meno. 

“Tutto come sempre. E ho appena finito di studiare.”

“Uhm, evita di fare cavolate come farti dare un pugno.”

Sgranai gli occhi. Mi ero sempre chiesto quanto avrebbe tirato fuori l’argomento. Per lei ero un libro aperto e non avrebbe mai creduto alla scusa che avevo rifilato ai nostri genitori. 

“No, certo che no. Faceva troppo male.”

“E Levi? Come sta?”, chiese nuovamente, guardandomi come faceva Ymir. Quello sguardo di chi sapeva più di quanto volesse far credere. 

“Lo sai che non siamo più amici.”

“Forse fino a tre settimane fa. Ma sento che le cose stiano migliorando fra voi due”, mi disse sollevando un sopracciglio. Alzai gli occhi al cielo e ripresi a mangiare la brioche che avevo trovato poco prima in un armadietto. 

“Stai attento, non voglio che tu soffra”, continuò con serietà, stavolta, e io sospirai, sapendo di essere già invischiato completamente in una situazione che non prometteva nulla di buono. Me ne resi conto quando sentii il rumore di un auto e mi affacciai dalla finestra, notando che da essa uscì Kenny. Solo Kenny. Senza Levi. 

Il mio cuore iniziò a battere in preda alla preoccupazione e mi trattenni dal pensare a cose spiacevoli. Dove poteva essere se non voleva parlare con nessuno?

“Vai”, mi disse Mikasa e io annuii, uscendo dalla porta di casa, mollando la mia brioche su qualche mobile. Kenny era ancora sul vialetto e quasi sussultò quando mi vide. 

Il suo sguardo era affranto e sofferente. I suoi occhi lucidi, come se fosse sull’orlo delle lacrime. 

“Dov’è Levi?”

Aspettai secondi che mi sembrarono ore, poi lo zio rispose. 

“Non può stare qui, non gli fa bene”, spiegò ma mi sentii ancora più confuso. 

“Dove l’hai portato?”, domandai ancora una volta, poggiando una mano sul mio petto come se potessi calmare il mio battito. 

“Io non sono in grado di prendermi cura di lui, la situazione era sempre peggio e... e siamo stati da Isabelle, cioè i servizi sociali. È in un centro psicologico per il momento, devo preparare le sue cose.”

Le sue frasi piene di insicurezza e balbettii mi fecero capire quanto male andassero le cose. Strinsi la mia maglietta fra le dita, chiedendomi se avessi potuto fare di più. Magari insistere, presentarmi nella sua stanza e costringerlo a parlarmi. Ma neanche Kenny, suo zio, aveva potuto fare qualcosa. Come ci sarei riuscito io? 

“Eren, lo aiuteranno li. Ci sono degli psicologi e riuscirà a stare meglio. È una cosa temporanea”, spiegò, parlando con un tono più sicuro per tranquillizzarmi. Probabilmente aveva ragione ma io non volevo che finisse così. Doveva star meglio senza dover lasciare casa sua, non era giusto. 

“Ci sono ragazzi come lui, che hanno avuto esperienze simili. Loro possono capirlo.” 

Il mio cuore si strinse in una morsa e mi sentii completamente inutile. Io non potevo capirlo, non sarei servito a niente. Forse gli ricordavo Kuchel, addirittura. 

“Va bene”, dissi atono, guardando la punta delle mie converse. Mi passai una mano fra i capelli e li strinsi fra le dita, facendo sospirare Kenny. Sentivo come se il legame che stavo istaurando con Levi, quel piccolo rapporto, era destinato a spezzarsi per sempre. Mi sentivo male per lui ma anche per me. 

Avevo bisogno di chiudermi in camera e riflettere per realizzare tutta questa situazione. Non capivo completamente ogni emozione che provavo. Ero triste, questo lo sapevo, e anche geloso nonostante non volessi ammetterlo. Lo ero stato tutte le volte in cui lo avevo visto parlare amichevolmente con il suo nuovo gruppo mentre me ne stavo da solo. Per non ammetterlo avevo iniziato a disprezzare quei ragazzi ma anche Levi, odiando come mi faceva sentire. E tutto ciò stava tornando a galla, bloccandomi, facendomi sentire come se stessi annegando. 

‘’Ragazzo, stai bene?’’, mi chiese Kenny, sovrastandomi con la sua altezza. Mi chiesi come si sentisse Levi al suo fianco e il pensiero ne portò altri. Non riuscii a rispondere, per quanto mi sforzassi, e l’uomo mi guardò con preoccupazione. 

‘’Posso chiedergli se vuole vederti’’, propose infine e lo guardai negli occhi, sicuro che potesse leggere il lampo di speranza presente nei miei. 

‘’Si, g-grazie’’, mormorai timidamente. Odiavo farmi vedere vulnerabile dagli altri, soprattuto quando non ne avevo nessun diritto. L’uomo annuì e mi rivolse un sorriso sofferente e di pochi secondi ma non riuscii a ricambiare. Mi voltai e camminai verso la mia casa, notando Mikasa che mi osservava dalla finestra in cucina.

 
   
 
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