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Autore: NPC_Stories    17/07/2019    3 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: La guerra di qualcun altro


Jaylah corse in tondo nella radura, inseguita dal grande lupo nero, poi deviò verso i sentieri del bosco. La terribile bestia era sempre dietro di lei (Jaylah sapeva che non era un lupo cattivo, lo aveva già visto ai piedi della zia Mary, ma faceva finta che lo fosse). Ad un certo punto la bambina esaurì il fiato e si fermò, stanca morta, prendendo lunghi respiri. Il lupo si fermò accanto a lei e le diede un colpetto con il muso, invitandola a continuare il gioco.
“Adesso no, Errah, sono troppo ttanca” ansimò, ricadendo nei suoi vecchi difetti di pronuncia. Accarezzò il muso del lupo con la manina, in modo un po’ troppo rude. Lui si sdraiò accanto alla bambina, sopportando quel trattamento.
“Fai piano con Ebrath, piccola” le raccomandò una voce amichevole. Jaylah alzò la testa, e vide che due bellissime elfe si stavano avvicinando a lei. Il lupo cominciò a uggiolare e scodinzolare, sollevando polvere ogni volta che la grossa coda sbatteva a terra. “I nostri amici animali non vanno strapazzati.”
Jaylah aveva già visto quelle due elfe, le erano state presentate dopo la festa di Mezzestate. Non ricordava i loro nomi, ma una era molto pallida e l’altra era la più bella principessa del mondo, e soprattutto era sua cugina.
Ebrath non riuscì a resistere quando la figlia della sua amica Merildil si avvicinò, e si alzò salutando Freya con entusiasmo. Uggiolò come un cucciolo e si sollevò sulle zampe posteriori, appoggiando quelle anteriori sulle spalle gracili dell’elfa.
Nel frattempo l’elfa della luna, di cui Jaylah non aveva speranze di ricordare il nome, si chinò accanto a lei. Sulla spalla aveva un uccellino azzurro che la bimba ormai conosceva bene.
“Uccellino cicciotto!” Indicò la piccola, con un gran sorriso.
“Sì. Infatti.” Aphedriel si sforzò di sorridere, anche se non era molto a suo agio con i bambini, non li capiva. “Gwlith mi ha detto che ti ha conosciuta. Le hai dato dei semi.”
“Ho viss-to che non volava, e mi sono precchiupata. Magari uccellino era malato. Invece no! L’elfo magico ha detto che è solo grasso!” Rise di gusto.
“Ti ringrazio per la tua preoccupazione. Gwlith comunque è una femmina.”
Jaylah alzò un braccio per accarezzare lo scricciolo, ma Aphedriel fu molto attenta a tenere il suo prezioso famiglio a distanza di sicurezza.
“Chi era questo elfo magico?” inquisì Freya, una volta domato il lupo giocherellone.
“Era…” la bimba si rese conto che non lo sapeva. “Uno che cercava la piazza grande. Era vess-tito come un elfo magico. Come… come… quello tutto bianco” spiegò, felice di avere due adulte che le dessero retta per una vera conversazione.
“Come quel… oh, intendi Solaias?” Aphedriel viveva a Myth Dyraalis relativamente da poco, ma sapeva che l’unico elfo pallido quanto lei era il sacerdote di Corellon Larethian. A differenza sua, che era un’elfa della luna, il saggio Solaias era pallido perché era albino. “Un sacerdote?”
Jaylah la ricompensò con uno sguardo vuoto. “Eh?”
“Era uno di quegli elfi venuti da fuori?” Intervenne Freya, chinandosi per essere alla stessa altezza della sua piccola cugina.
“Non lo so” ammise lei, candidamente. “Io li ho solo detto quale era il sentiero giuss-to” tornò a ripetere.
Freya e Aphedriel si scambiarono un’occhiata veloce, ma molto profonda, molto consapevole.
“Elfi da fuori” confermò la figlia del capoclan, perché sapeva bene che qualsiasi elfo di Sarenestar era passato dalla città protetta almeno una volta, e chiunque sapeva trovare la radura principale. “Venuti a parlare di qualcosa… di importante.”
“E che, secondo tuo padre, non ci riguarda.” Il sussurro della maga era così leggero che sua moglie dovette praticamente leggere il labiale. Aphedriel non voleva farsi sentire da eventuali altri elfi, per non mettere Freya in imbarazzo. Entrambe sapevano che la decisione di lord Fisdril era un insulto. Non considerava sua figlia abbastanza seria e affidabile da partecipare a una simile riunione.

“La vostra situazione è molto incresciosa, e lo confesso, anche molto preoccupante. La morte di re Galladel è una notizia drammatica e vi siamo vicini nel vostro lutto” affermò lord Fisdril, dopo aver udito il racconto degli inviati di Shilmista. “In questo momento parlo solo a nome del clan Arnavel, ma naturalmente vi aiuteremo come possiamo. L’avremmo fatto anche prima, se solo avessimo saputo.”
Gli elfi selvaggi avevano una carnagione troppo scura per arrossire, ma era chiaro che uno o due di loro si erano offesi.
“Cerchiamo di risolvere da soli i nostri problemi” ribatté uno di loro, in tono amaro e orgoglioso.
“Tuttavia stiamo parlando di un esercito di orchi e goblinoidi, un nemico antico e che si ripresenta con fastidiosa regolarità. I nostri alleati nella Wealdath hanno affrontato una battaglia simile sessant’anni fa e sappiamo quanto possano essere pericolosi quegli esseri bestiali, grazie al loro numero.”
“Non era solo il numero” ribatté il guerriero degli elfi selvaggi, parlando fra i denti “sono guidati dalla mano di alcuni malvagi incantatori umani. Una maga ha partecipato alla guerra, dando manforte alle schiere di quelle bestie, anzi, guidandole con intelligenza! Ci siamo salvati grazie all’astuzia dei nostri generali, alla prodezza del nostro mago Tintagel, e anche… grazie ad alcuni alleati umani della vicina Carradoon.”
Questa volta, non solo Fisdril ma anche Johel e Tazandil sobbalzarono per lo stupore, e con loro anche qualunque elfo di Sarenestar che fosse un minimo informato sulle tradizioni di Shilmista.
“Alleati umani? Il vostro nuovo sovrano è una continua fonte di sorprese” commentò il capoclan degli Arnavel, cercando con cura di esprimersi in modo neutro. “Ma chiedere l’aiuto di umani prima di rivolgervi ai vostri cugini… posso domandare il perché di questa scelta?”
“Gli umani vivono nella nostra regione” intervenne uno degli elfi dei boschi, quello vestito come un sacerdote. “Se gli orchi avessero devastato Shilmista, i prossimi a cadere sarebbero stati loro, e la città di Carradoon non è preparata a resistere a un simile assalto. Loro lo sapevano e hanno fatto i loro calcoli.”
“Certo” ragionò Tazandil, pensando da guerriero “se fossi stato al loro posto, anche io avrei preferito che la battaglia si svolgesse su un altro territorio, e non direttamente in casa mia. D’altro canto, forse anche voi avete fatto le vostre considerazioni.”
“Gli umani non ci erano del tutto estranei” una delle anziane femmine si fece avanti per parlare. “Quand’ero ancora una giovane guerriera, ricordo che intrattenevamo qualche contatto diplomatico con quei… credo che siano chierici, di un tempio sulle montagne, vicino a Carradoon. Sono tutti addestrati all’uso delle armi, più utili dei semplici pescatori e artigiani che vivono nella città, e di certo possono fornire una conversazione più decente, per gli standard della loro razza.”
“Sono solo umani” tornò a commentare il primo elfo selvaggio, guardando storto il chierico e la donna per aver esposto quelle che lui riteneva essere solo supposizioni fantasiose. “Quello che hanno detto Azadeth e Shabrele è vero; avevano interesse a difendere la regione, e sono in grado di combattere. Da parte nostra… prima di rischiare le vite dei nostri cugini elfi, perché non rivolgersi agli umani?”
Quel commento assolutamente spietato rimase lì ad aleggiare come nebbia. I capi di Sarenestar lo lasciarono sedimentare nella loro mente per qualche momento.
“Quanto calcolo” commentò alla fine Johlariel, sentendosi la gola secca. Nemmeno lui amava eccessivamente gli umani, ma li tollerava volentieri, e non li avrebbe usati come pupazzi da schierare in guerra. Avrebbe preferito coinvolgere altri elfi, perché erano più bravi a combattere nelle foreste e perché… fra elfi ci si aiuta, era una questione di orgoglio razziale, di cameratismo.
Tazandil gli batté una mano sulla spalla in modo paterno, ma Johel percepì che c’era un rimprovero in quel gesto.
“Figlio mio, so che viaggiare per il mondo ti ha aperto la mente, ma proprio perché hai visitato le grandi città umane, te ne sarai ben reso conto… ci sono più umani su questa terra di quanti potrebbero mai perirne in battaglia.” Johel per un attimo non riuscì a contenere la sua espressione di orrore per quel commento, e s'irrigidí come se avesse paura di guardare in faccia suo padre e scoprire che era serio. “E forse, quando tu avrai la responsabilità di guidare i nostri ranger, apprezzerai maggiormente qualsiasi manovra che porti a risparmiare vite elfiche.” Aggiunse l'anziano guerriero.
Johel si girò di scatto verso Tazandil, incredulo. “Stai forse dicendo che non vuoi aiutare Shilmista?”
“Proprio il contrario” rispose suo padre, aggrottando la fronte. “Le vite degli elfi di Shilmista sono preziose, loro sono come noi. Potremmo esserci noi al loro posto. Il richiamo del dovere e del sangue ci impone di prestare aiuto, e sono certo che i nostri cugini capiranno anche le nostre motivazioni più utilitaristiche: Shilmista è solo a pochi giorni di cammino. Se quei maghi corrotti e i loro mastini orchi e goblinoidi conquistassero la regione delle Montagne Fiocco di Neve, quale vicino estremamente sgradevole sarebbero per noi!” Enfatizzò quell’ultimo punto con una smorfia disgustata. “Intendevo solo dire che approvo la loro scelta tattica di cercare un’alleanza con gli umani.”
“Sarenestar darà riparo a coloro che non possono difendersi da soli” decise il capoclan, riprendendo le redini del discorso. “Se Shilmista ha dei profughi che necessitano di aiuto e di un luogo dove stare, il clan Arnavel gli darà rifugio, in modo che coloro che stanno combattendo questa guerra non debbano preoccuparsi dei loro cari.”
“È un sollievo sentirlo, buon lord Fisdril” sospirò Azadeth, ma Johel capì che era una risposta di cortesia. Gli elfi di Shilmista si aspettavano almeno questo, visto che erano arrivati a Myth Dyraalis già forniti di suddetti profughi. Probabilmente in realtà speravano in qualcosa di più.
L’elfo dei boschi non li deluse.
“Inoltre è mia intenzione inviare delle truppe nella vostra foresta, compatibilmente con le nostre possibilità. Il nostro ranger capo, Tazandil, mi saprà consigliare sulle forze che ci sarà possibile schierare e sulle persone adeguate per questo compito.”
Questo accese una vera scintilla di speranza negli sguardi spenti di quei poveri esuli.
“Penso che possiamo privarci di qualche decina di ranger; di più, se convinciamo i villaggi più piccoli del vecchio territorio dei Gysseghymn a trasferire i civili in città.”
Johel sapeva che suo padre stava parlando di un vecchio e rognoso problema; i villaggi dell’area nord-occidentale erano abituati alla loro autonomia, ma il rifiuto di accentrare la popolazione elfica a Myth Dyraalis comportava una maggiore esposizione ai rischi della foresta, e un maggior impiego di ranger per proteggere quei minuscoli centri abitati. Quel territorio era infestato da troll, megere, mostri di ogni genere, e come se non bastasse era la zona più esposta a possibili attacchi da parte dei drow.
“Padre, con il dovuto rispetto, questo è improba…”
“Accetteranno, come misura temporanea” tagliò corto il ranger. “Ne sono certo. Accetteranno quando sapranno che i ranger di Sarenestar dovranno fare a meno della mia guida.”
Johel lo guardò senza capire, e anche Fisdril mostrò un momento di perplessità.
“Intendo guidare personalmente le truppe che sposteremo a Shilmista” chiarì.
Suo figlio continuò a guardarlo in silenzio, non più per curiosità ma perché era senza parole. Tazandil aveva dedicato la sua intera vita a proteggere Sarenestar! Certo, qualcuno doveva pur guidare i ranger dislocati a Shilmista, ma Johel si aspettava che suo padre desse quel compito a un ranger di fiducia, magari perfino a lui, che era già conosciuto nella foresta dei loro vicini settentrionali.
Ma se io parto, Daren si chiederà sicuramente che fine abbia fatto, realizzò all’improvviso. E questo sarebbe un immenso guaio.
“La vostra partecipazione in prima persona ci onora e ci dà speranza, lord Tazandil” affermò il veterano degli elfi selvaggi, e il suo tono sembrava sinceramente commosso. Dietro il suo atteggiamento scontroso si celava una persona capace di capire l’importanza di quel gesto.
“Chiamatemi Tazandil. Non ho alcun titolo onorifico, sono solo il capo dei ranger del mio clan.” Precisò lui, rifiutando quel titolo di cortesia. “A Sarenestar comando le pattuglie di due terzi dei ranger della foresta, ma nel vostro territorio mi rimetterò alle decisioni di re Elbereth e dei suoi generali. Questo dev’essere chiaro alle mie truppe, quindi vi esorto a non appellarmi lord.”
Anche questo discorso sembrò sortire un effetto notevole sugli elfi della piccola delegazione, perché chinarono tutti il busto in segno di rispetto.
“Mi sembra una saggia decisione” approvò lord Fisdril. “Shilmista è in guerra, o lo sarà presto, e i nostri ranger hanno bisogno di una figura di riferimento di cui si fidano, che possa mediare e mettere in atto gli ordini di re Elbereth. Ma chi lascerai qui come tuo sostituto? Anche noi abbiamo bisogno del nostro ranger capo.”
Tazandil storse le labbra in una piega che non si vedeva spesso sul suo volto serio: un sorriso. Be’, una specie di sorriso.
“Ritengo che mio figlio Johlariel sia ormai pronto per questa prova.”
Johel strabuzzò gli occhi, del tutto impreparato a quella nomina. Era certo che suo padre avrebbe nominato il vecchio Suiauthon Arnavel, che era un suo cugino di secondo grado e un fidato capopattuglia. O se non lui, qualche altro ranger della sua generazione. In realtà non è che ci avesse pensato a fondo, era già stata una sorpresa l’annuncio della partenza per Shilmista, ma una parte della sua mente aveva dato per scontato che quel compito non sarebbe toccato a lui.
Nonostante tutto, Johel cercò di non manifestare la sua sorpresa più del dovuto. Si trovavano in presenza di estranei; lasciò che la sua educazione da diplomatico prendesse il comando e reagì in modo meccanico, chinando il busto e accettando quell’onore come se fosse una cosa che aveva previsto. Qualsiasi incertezza, o senso di inadeguatezza, non aveva spazio in un incontro ufficiale.
Nemmeno se sospettava che suo padre avesse basato quella scelta sulla necessità di far preoccupare i villaggi del nord-ovest, nominando un ranger capo giovane e inesperto, per convincerli a trasferire i civili a Myth Dyraalis.

Un’altra persona giovane e inesperta in quel momento stava tenendo il broncio per non essere stata invitata alla riunione.
“Freya, tesoro” sospirò Aphedriel, occhieggiandola dall’altra parte della stanza “non vorrai farmi credere che ci saresti andata di buon grado.”
“No, certo che no” mugugnò la ragazza, controvoglia “una riunione politica, che frittella di ghiande!” Esclamò, uno slang giovanile per indicare una cosa insipida e noiosa. “Però è come hai detto tu, è un insulto che non me l’abbiano chiesto. Non dovrei essere qui! Dovrei essere lì ad annoiarmi e a desiderare di essere qui.”
“Uhm… in un certo senso, è fantastico che tu la pensi così. A tuo padre farebbe piacere.” Approvò la maga, continuando a passare la spazzola fra i capelli morbidi e ondulati di Jaylah. “Ma tu desideri diventare capoclan, un giorno?”
No!” Rispose subito l’elfa dei boschi, con convinzione granitica. “Per me sarebbe una responsabilità terribile. Conosci il mio carattere! Come potrei fare una vita del genere? Mia madre, mio padre, loro sono ottimi capi. Io sono uno spirito libero, non ho la pazienza di ascoltare le lamentele della gente…”
“Le necessità della gente, amore” la corresse al volo Aphedriel.
“I piagnistei della gente” rincarò Freya. “Né tantomeno avrei la testa di dedicare ore a organizzare la città, il territorio settentrionale della foresta, coordinarmi con il ranger capo e con i druidi…”
“Mi fa piacere che almeno tu sappia cosa fa un capo.” Ridacchiò la maga.
“Tu saresti una buona capoclan” ipotizzò l’elfa dei boschi. “Sei intelligente e paziente.”
“Sono molto onorata di avere la tua stima, cucciola mia, però l’intelligenza e la pazienza non bastano a fare di una persona un buon capo. Io sono una maga, e non desidero niente più che potermi dedicare ai miei studi… e passare la mia vita con te.” Aggiunse, scoccando alla moglie uno sguardo carico d’amore. “Sono troppo egoista per essere un capoclan. Tu forse non lo vedi, perché il mio egoismo ha una veste diversa dal tuo.”
“E allora perché stiamo giocando con la figlia di mio cugino?” Freya, che era stravaccata sul letto, si girò a pancia in giù e appoggiò i gomiti al materasso, sollevando il busto per guardare cosa stessero facendo Aphedriel e la bambina.
“Giochiamo alle principesse!” Esclamò Jaylah tutta contenta, sollevando uno specchietto incastonato in una cornice d’argento. “Freia, tu sei la più bella di tutte. Poi Ariel.” Enumerò, indicando Aphedriel col ditino. “E poi dopo io, però sarò più bella quando diventerò grande.”
“Preferirei ricopiare un tomo sulla genealogia di tutta Evereska senza l’ausilio dell’incantesimo Amanuensis, piuttosto che passare un pomeriggio a giocare con un bambino.” Chiarì, tanto per puntualizzare. “Non stiamo giocando. Stiamo trasformando la figlia di Johlariel e una… quello che sai tu… nella figlia di Johlariel e un’anonima elfa selvaggia.”
“Oh?” Freya si girò in modo da trovarsi seduta sul letto, sporgendosi avanti con curiosità. “Conti di camuffarla un po’ con la magia?”
Aphedriel e Jaylah erano sedute davanti a una toeletta che disponeva di uno specchio a mezzobusto e un ripiano colmo di barattoli, polveri, creme e pettinini. La piccola aveva la pessima abitudine di toccare tutto, e l’elfa della luna si stava cimentando in un esercizio di pazienza.
“Magia e cosmesi” precisò la maga. “A cominciare da questi capelli. I suoi boccoli sono adorabili, ma poco comuni negli elfi di Superficie. Non possiamo lisciare questa chioma selvaggia, ma possiamo inventarci una bella acconciatura con una treccia circolare. Se i capelli sono legati e in ordine, non si vede che sono ondulati.”
“Una treccia come lo zio Daren” cinguettò Jaylah.
“Per carità di Corellon” sospirò Freya. “Facciamo che sia una treccia molto migliore di quella di tuo zio Daren. Quel tipo manca di stile.”
“E intanto credo di poter produrre al volo un po’ di tinta magica per dare a queste ciocche slavate un colore più vicino al miele” considerò Aphedriel, rigirandosi intorno a un dito un ricciolo color platino.
“La sua pelle è color castagna, ma ha un sottotono che tende al blu. Riusciamo a darle un sottotono olivastro? Più caldo?” Domandò Freya, ormai intrigata da quel progetto ambizioso.
“Con la magia, forse sì, ma è ancora più importante schiarirla un pochino. Non molto, ma quel tanto che basta per dare una prima impressione che dica chiaramente elfa selvaggia. Poi, anche se l’incantesimo dovesse venire meno, nessuno lo noterà.”
“Sono un’elfa selvaggia” affermò la bambina, guardandosi nello specchietto e facendo il confronto con lo specchio più grande davanti a sé. “A volte mangio con le mani e la nonna mi s-grida!”
Freya sbottò in una mezza risata per quell’associazione mentale, Aphedriel piegò appena la bocca.
“Il problema sono le cose che dice” sospirò. “Ogni volta che questa bimba apre bocca, risulta chiaro a tutti che la sua educazione non è tipicamente elfica. Non parla nemmeno bene la lingua!”
“Ha quattro anni, e mio cugino è un girovago.” La giustificò Freya. “Possiamo facilmente dare la colpa a questo. Però non mi hai ancora detto perché stiamo… non-giocando con Jaylah.”
“Perché tu non vuoi essere capoclan, ma vuoi comunque il rispetto e la stima di tuo padre. Ti brucia che lui non ti consideri. Non vuoi il suo ruolo, ma il fatto che sia lui a non offrirtelo ti ferisce.” Spiattellò Aphedriel, con parole semplici e dirette.
Freya rimase così di sasso che per un lungo momento non seppe cosa rispondere. Non lo aveva capito. Certo, provava fastidio, ma pensava che fosse solo questo. Sentirlo dire da sua moglie, però… le fece capire la gravità dei suoi stessi sentimenti.
Era vero. Era tutto vero. Il fatto di non aver ricevuto un invito la faceva sentire una figlia indegna. Quasi un fallimento. Il suo caratteristico buonumore si spense all’improvviso.
“Oh…” mormorò, abbassando gli occhi. Si sarebbe arrabbiata con Aphedriel per la sua mancanza di tatto, perfino per la sua insolenza nel volerle leggere dentro, ma la verità era che amava troppo l’elfa della luna per potersi arrabbiare con lei. E soprattutto, se non ci fosse stata Aphedriel a rivelarle i suoi veri sentimenti, Freya avrebbe potuto andare avanti a provare risentimento in eterno senza nemmeno capirne l’origine. “Suppongo… che possa essere vero.”
“Te lo dico io che è vero” continuò la maga, stavolta in tono più dolce. “Mio padre non mi ha mai riconosciuta, e io per tutta la vita non ho desiderato altro che una parola gentile da parte sua. Mi sono sempre sentita inadeguata, come se non fossi abbastanza, qualsiasi cosa facessi, qualunque risultato ottenessi… capisco come ci si sente a desiderare la stima di qualcuno, di un genitore. Sai che siamo simili, nonostante le apparenze, altrimenti non saremmo thiramin. Ma a differenza mia, tu puoi conquistare il rispetto di tuo padre con le tue azioni, e il suo amore lo hai già. Io farò di tutto per aiutarti ad ottenere quello di cui hai bisogno. Potrei anche passare mezza giornata a truccare una bambina.”
“La figlia del mio perfetto cugino.” Commentò Freya con una smorfia esagerata, ma in realtà aveva gli occhi velati di lacrime per la commozione e l’affetto. Nessuno le aveva mai parlato così, mostrando di avere così tanta cura dei suoi sentimenti.
“Stiamo parlando del cugino che ti solleverà dai tuoi doveri di erede, assumendosi l’impegno di guidare il clan mentre io e te pratichiamo magia e facciamo l’amore?” Precisò Aphedriel.
La giovane elfa dei boschi si sentì improvvisamente la bocca secca e il battito cardiaco accelerato.
“Esatto, sì. Il mio cugino preferito.”


********************
Nota: per chi avesse familiarità con la serie di R. A. Salvatore "The cleric quintet", sì: le vicende narrate dagli elfi di Shilmista sono esattamente quelle di "In sylvan shadows", edito in italiano come "Le ombre della foresta". Se non avete mai letto quei libri, li consiglio vivamente.

           

   
 
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