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Autore: Mary P_Stark    17/07/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La musica gli piaceva e, pur se con le dovute cautele, non disdegnava neppure i brani più romantici o tragici.

Ma Apollo stava davvero esagerando, con il melodramma.

Dopotutto, aveva perso solo una stupida partita ai videogiochi.

Sei volte.

Una disfatta totale.

Okay, a ben vedere, forse qualche motivo per essere così triste e sconsolato lo aveva anche lui… ma non aveva molta voglia di arrivare a sanguinare dalle orecchie, a causa del suo lamento tragico.

Dei passi lenti portarono Achille a volgere lo sguardo dietro di sé e, nel veder giungere Athena avvoltolata in una vestaglia, ormai pronta per il riposo notturno, sorrise leggermente.

Nel corso della serata – e dopo aver gustato dei meravigliosi piatti messicani preparati dalle sapienti mani della dea – Achille si era progressivamente rilassato, cominciando a vedere con occhi nuovi la sua protettrice.

Non che la presenza di Apollo, e i suoi sguardi raggelanti, non lo avessero preoccupato, ma la pacata risolutezza di Athena lo aveva fatto sentire al sicuro, niente affatto in pericolo.

Era quasi paradossale per uno come lui che, in tante sue vite, aveva combattuto per la gloria sotto diversi nomi – pur se il suo primo nome era rimasto il più famoso – ma gli aveva fatto piacere sentirsi così.

Avendo deciso, in quella vita, di non puntare all’eroismo ma su qualcosa che mai, fino ad allora, aveva tentato prima, percepire il senso di protezione profuso dalla dea lo aveva fatto sentire al posto giusto, per una volta.

Fino a quel momento, infatti, la sua decisione di intraprendere l’altra via non aveva dato i risultati sperati e, a parte qualche breve infatuazione, nulla di buono era venuto dalla sua scelta.

Stranamente, però, ritrovarsi circondato da divinità e respirare di nuovo quell’aura di magia e incanto che, nella sua prima vita, aveva vissuto pienamente, lo aveva fatto sentire nuovamente vivo.

Che fosse quindi destinato a un solo genere di Fato? Che la madre lo avesse infine ingannato, prospettandogli due futuri possibili?

La sua vita doveva essere una continua lotta, per poi culminare con la morte in giovane età e la gloria?

«Sembri avere dei pensieri profondi, per uno che ha visto il suo dio rivale perdere smaccatamente ad Assassin’s Creed» chiosò la dea, poggiando gli avambracci sul parapetto in legno della veranda.

Tutto era silenzioso, intorno a loro, - tolto ovviamente il canto disperato di Apollo - e le fioche luci della città di San Josè si intravedevano appena, attraverso il fitto fogliame dei salici piangenti che crescevano nel giardino.

Quel luogo non rassomigliava ad Atene e al suo tempio, né a nessuno dei luoghi cari alla dea, eppure ella aveva deciso di stabilirsi proprio lì, e in nessun’altra dimora.

Lui assentì prima di storcere il naso quando il dio solare intonò una nuova strofa, ancor più decadente della precedente.

Athena gli sorrise a mezzo, commentando con una certa ironia: «So che Apollo fa venire voglia di gettarsi da una rupe, quando strimpella così…»

Ciò detto, lanciò un’occhiata al dio, appollaiato sul ramo di una pianta di sicomoro nel giardino della villa di Artemide, neanche fosse stato un uccello notturno preda di una pena d’amore.

Achille emise un risolino e la dea, proseguendo, aggiunse: «… ma non è davvero il caso di rimanere qui fuori da soli, ad arrovellarsi il cervello su mille pensieri. In casa ci sono un sacco di persone che sanno ascoltare, sai?»

«Posso chiedervi perché vi siete stabilita proprio qui, mia signora?» domandò ossequioso Achille, scrutando meditabondo la voliera dove riposava Pallade, la civetta della dea.

La piccola creatura era appollaiata sul suo trespolo e teneva la testolina sotto un’ala, ma Achille non era del tutto certo che stesse dormendo. Sembrava che l’uccello percepisse la vicinanza della divinità a lei cara, o così almeno era parso ad Achille, in quelle ore passate in compagnia della dea della guerra.

Era più che convinto che, se Athena fosse stata in qualche modo in pericolo, la piccola Pallade si sarebbe involata verso la padrona pur di proteggerla. A costo della vita.

«In questa città abita la famiglia del mio defunto marito, e mi spiacerebbe davvero allontanarmi da loro, visto il legame che si è sviluppato con Alekos. Inoltre, questo posto mi piace e ci si vive bene» si limitò a dire lei, scrollando le spalle.

«Quindi, siete qui perché siete legata a questo luogo dall’amore» sottolineò il semidio, vedendola annuire.

«La famiglia Rodriguez vuole molto bene sia a me che ad Alekos ed Érebos, e noi ne vogliamo a loro. Ci hanno adottati, per così dire, e hanno adottato Artemide, in un certo qual modo» gli spiegò Athena, addolcendo il suo sguardo nell’osservare la villetta dove abitava la dea silvana. «Loro ci hanno offerto il cuore, e noi li abbiamo ricambiati. E’ una bella sensazione.»

«Una bella sensazione…» mormorò meditabondo Achille, annuendo.

«Ti chiedi se anche tu potrai vivere qualcosa di simile? Se non ho capito male, hai scelto di tentare, stavolta» sottolineò la dea, incuriosita dalle sue domande.

«Mi sembra di brancolare nel buio, e di fare tutto nel modo sbagliato. Non ho ottenuto granché, da questa mia seconda scelta, finora, e mi domando se in fondo il mio destino sia solo uno. Quello di combattere per la gloria e l’onore, e perire nel farlo» ammise il semidio, sospirando melanconico.

Athena si accigliò leggermente, a quelle parole, fissò astiosa Apollo e borbottò: «Questa nenia strappalacrime deve finire… fa venire pensieri tragici.»

Ciò detto, scese dalla veranda in un fruscio di seta, raggiunse la staccionata e, sotto gli occhi sgomenti di Achille, scavalcò senza troppi complimenti, mettendo in mostra un abbondante stacco di coscia. Questo sottintendeva la presenza di un babydoll o di qualcosa di altrettanto discinto, sotto quella vestaglia color notte, e Achille cercò di non pensare ai sottintesi di un simile abbigliamento.

Non voleva pensare alla sua dea tra le braccia di un’altra divinità, impegnati a fare cose di livello carnale piuttosto basico e… umano, per così dire.

Era qualcosa che mal si sposava con il suo concetto di divinità, anche se aveva ben visto quanto, il loro comportamento, fosse ben lungi da quello che lui aveva sempre pensato.

La musica di Apollo, nel frattempo, si arrestò, il dio discese dalla pianta con un balzo e, rivolgendosi ad Athena in tono stanco, borbottò: «Non posso neppure suonare, ora?»

La dea, però, non lo rimbrottò e, stretto il dio in un abbraccio, disse per contro: «Non è bello sentirti così triste, Febo. Rendi onore al tuo nome e risplendi… non lasciarti catturare dall’angoscia. Dopotutto, era solo una partita ai videogiochi.»

Apollo si lasciò andare al suo abbraccio per qualche secondo, fece scomparire la cetra con uno schiocco di dita e replicò: «Sai che non amo perdere… e il suo volto mi ricorda ogni giorno ciò che non ho saputo fare per le persone che avevo giurato di proteggere.»

«Vi sono state altre battaglie, e altre persone che hanno cercato in te una guida… perché, quindi, avercela a morte solo con Achille?» domandò a quel punto Athena, scostandosi dal dio per fissarlo negli occhi cerulei e bellissimi.

Apollo allora accennò un sorriso tristissimo, sfiorò il viso della dea con una carezza e ammise: «E’ difficile accettare che tu, mia sorella, difenda colui che ha ucciso mio figlio.»

Athena sospirò sommessamente, gli baciò la fronte con tenerezza e replicò: «E’ stata la guerra, non Achille, a uccidere Troilo. Tu facesti uccidere Patroclo, ricordi? Credo che per Achille il dolore fu altrettanto cocente. Mantenere le faide aperte per motivi del genere, non ha senso. Ognuno di voi perse tantissimo, in quella guerra. Io stessa ne rimasi ferita. Per questo, il modo migliore di vincere una guerra, è non iniziarla

«Parole di pace da una dea guerriera?» ironizzò suo malgrado Apollo, scostandosi da Athena per poggiarsi al sicomoro, sospirare e reclinare mesto il capo.

«Ricorda che, innanzitutto, io mi premuro di attuare una tattica di battaglia che comporti le minori perdite possibili e, se posso evitare lo scontro diretto, lo faccio. E’ Ares l’aizzatore, non certo io» asserì la dea, sfiorandogli la spalla con una mano.

«Quindi… dovrei perdonare e andare avanti?»

«Achille sta tentando di cambiare il suo destino. Tu che sei un dio, vorresti essere dunque da meno?» ironizzò a quel punto Athena, vedendolo raddrizzarsi fieramente e fissarla con occhi rilucenti.

«Non sfidarmi ancora, Athena… potresti non vincere, stavolta.»

Levando un sopracciglio con ironia, la dea replicò con candore: «Sei stato tu a sfidarmi, prima…»

«Quisquiglie» la liquidò lui con un gesto. «Lo perdonerò per onorare te e tuo figlio, che siete un inno al cambiamento, ma non diventerò mai suo amico. Questo, scordatelo.»

«Neppure lo pretendevo» sottolineò la dea. «Quindi, posso andare a dormire tranquilla, senza dover pensare a te che escogiti dei piani per ucciderlo?»

A quel punto, Apollo sorrise malizioso, le aprì la vestaglia con dita delicate e, ammirandone il completino intimo, asserì: «Dormire? Chi vuoi prendere in giro, adelfi

Athena storse il naso, richiuse la vestaglia con un gesto secco delle mani e bofonchiò: «Alla fine dormirò… mai detto di volerlo fare subito

Ciò detto, si volse per tornarsene a casa propria, seguita dalla risatina di scherno di Apollo.

Incurante, la dea scavalcò come aveva fatto all’andata ma, nel vedere Achille squadrarla come se avesse avuto due teste e una coda, sospirò esasperata e brontolò: «Abituati, ragazzo. Ho due gambe anch’io.»

«N-non lo metto in dubbio, mia signora» balbettò l’uomo, reclinando pudico il capo.

Accigliandosi un poco, Athena si fermò accanto a lui, gli risollevò il volto poggiando un dito sotto il suo mento e borbottò: «Non ho ben capito… abbandonando le lotte, sei diventato un bacchettone?»

Avvampando come un cerino, Achille scosse decisamente il capo e ammise: «Decisamente no, mia dea… ma voi siete… beh, ecco…»

Cominciando a comprendere, la divinità si aprì in un sorrisino divertito e celiò: «Oh, capisco qual è il problema. Mi hai sempre idolatrata, pensandomi intoccabile, giusto? Ero anch’io considerata una dea vergine, al pari della mia sorellina Arty. Ma ora scopri che non lo siamo. Ti abbiamo deluso, Achille?»

«Non potreste mai!» si affrettò a dire il semidio.

Grattandosi il mento con fare pensieroso, Athena allora domandò: «Se non è quello, qual è il problema, allora?»

«Non c’è nessun problema, mia signora» sottolineò Achille, cercando con tutte le sue forze di non lasciar cadere lo sguardo sull’ampia scollatura del négligé che la dea indossava, messo in evidenza dalla vestaglia aperta.

Levando un sopracciglio con evidente ilarità, Athena scoppiò in una risatina trillante, si sistemò meglio la vestaglia e mormorò suadente: «Ora ho capito… devo essere più stanca di quanto non credessi, se ci ho messo tanto a comprendere. Credimi, è un complimento, per me. Spero, però, che non sarai dispiaciuto, se le mie attenzioni andranno solo a Érebos.»

Achille avrebbe voluto scavarsi la fossa proprio in quel punto ma, ovviamente, non poté né allontanarsi per iniziare a prepararsi la tomba, né spararsi per accelerare le cose, quindi si limitò a bofonchiare: «Non mi permetterei mai di pensarvi in quel modo…»

Athena rise di nuovo, gli batté una mano sulla spalla e chiosò: «Tranquillizzati, mio protetto. So che sei un uomo rispettoso, quando vuoi. Ma ora è il caso se entrambi andiamo a riposare. Domani, dobbiamo assistere alle opere magistrali di mio zio.»

«Sì, certo, mia signora» assentì lui, cercando di non pensare a cosa avrebbe voluto dire, per Athena, andare a riposare.

Lei, però, si volse per scrutarlo da sopra una spalla, gli sorrise carica di dolcezza e mormorò: «Sono più che certa che queste dinamiche diverranno pura routine anche per te, Achille. Lasciatelo dire dalla tua dea.»

Abbozzando un sorriso, lui assentì e, senza più dire nulla, si andò a chiudere all’interno della stanza a lui concessa, dove si sdraiò sul comodo letto e pensò a colei che, più di tutte, avrebbe voluto nella sua fantasiosa routine quotidiana.

Ma, prima di qualsiasi cosa, doveva ottenere quel benedetto silenziatore, o non avrebbe neanche potuto avvicinarsi alla routine da lui tanto bramata.
 
***

Il battere ritmico del martello sull’incudine aveva qualcosa di ipnotico e seducente, ma Achille era davvero troppo distratto dalla fucina di Efesto per poter cogliere appieno la magia della sua opera.

Contrariamente a quanto aveva immaginato in un primo momento, Efesto non aveva una fucina a casa delle nipoti acquisite… non propriamente, per lo meno.

Il luogo in cui si trovavano in quel momento, e in cui Efesto stava lavorando finemente il metallo per creare un silenziatore eccezionale per la sua Subaru Impreza, si trovava sotto le loro case.

Molto al di sotto delle loro case.

Da quel poco che Alekos gli aveva spiegato, prendendolo per mano per discendere la scala a chiocciola che conduceva in quei meandri oscuri, la fucina si trovava a circa due miglia sotto i livello del mare, nei pressi di una sacca magmatica.

Con il suo fiuto per tutto ciò che era fuoco e furia, il dio della metallurgia non aveva faticato molto a scovarla e, complici la magia di Érebos e la mera forza bruta di Ares, la fucina era infine stata approntata.

«Lo zio dice che non c’è niente di meglio che il fuoco della terra, per creare le sue opere» mormorò Alekos, gli occhi fissi sul dio della metallurgia e la mano ancora stretta a quella di Achille.

Fin da quando si erano conosciuti, Achille aveva notato nel giovane una forte propensione al riso, oltre a un’indubbia intelligenza e a una gentilezza davvero trascinante. Non si poteva non rimanere affascinati da Alekos, e la sensazione di essere disposti a tutto, pur di renderlo felice, accresceva a ogni attimo passato assieme a lui.

Che fosse il fascino di un ragazzino educato, o una qualche strana peculiarità nata dall’essere un semidio, Achille non lo sapeva, ma era intrigato dalla sua compagnia.

«Vedendo quello che è in grado di fare, non stento a crederlo» assentì il semidio, chiedendosi perché Athena e il dio Ctonio non li avessero seguiti dabbasso.

Come comprendendo i suoi dubbi, Alekos disse: «Oggi arrivano i nonni da Santa Fe. Inoltre, nel pomeriggio, tornerà Felipe da un seminario in Ontario, perciò ci sarà festa grande, stasera, e la mamma e la zia volevano che tutto fosse pronto per il loro ritorno.»

Suo malgrado, Achille sorrise e chiosò: «E’ davvero strano pensare a tua madre come a una donna di casa. Io l’ho sempre vista come una dea inarrivabile e da temere, da amare con rispetto e cuore puro, ma vedo che è assai diversa da come me l’ero prefigurata. Molto meno… fredda e distante.»
Alekos sorrise divertito, e ammise: «Ai colloqui con i genitori, mamma fa cadere la mascella a tanti papà.»

Achille allora rise, ammettendo tra sé che anche lui aveva rischiato di perdere la propria, la sera precedente, alla vista di tanta bellezza esibita senza remore.

«Mamma è bellissima, ma anche quando Érebos viene a scuola a prendermi, succede la stessa cosa. Con le mamme, però» sghignazzò Alekos.

«E il tuo papà?»

I tratti di Alekos si addolcirono, nel sentire nominare Miguel e, scrollando le spalle, disse: «Mi posso basare solo sulle foto e sui racconti di mamma, dei nonni e dello zio, ma penso che fosse un bell’uomo. Più di tutto, però, amava la mamma, e la mamma amava lui. Ha faticato molto a venirne fuori e io, nel frattempo, sono stato cresciuto da Ade e Persefone, nell’Oltretomba.»

Achille strabuzzò gli occhi, di fronte a quell’affermazione e, fissando senza parole il ragazzino, domandò confuso: «Se eri nell’Oltretomba, come puoi essere qui, ora? Sei rinato?»

Efesto si tolse la maschera da saldatore proprio in quel momento, afferrò il silenziatore per gettarlo nell’acqua fredda – producendo così roventi spire di fumo – e, rivolto al fratello putativo, dichiarò: «Alekos è unico nel suo genere. Pur essendo un semidio, vivrà quanto sua madre, grazie al legame tra anime che Thanatos ha tenuto legato per loro.»

Strabiliato, Achille esalò: «Neppure sapevo si potesse… o che il dio della morte fosse così generoso d’animo da…»

Alekos sorrise divertito, ammiccò furbescamente e Achille, accigliandosi leggermente, borbottò: «Aspetta un po’… Thanatos è figlio di Érebos, quindi…»

Il ragazzo assentì, mormorando: «Salvò il nostro legame quando io morii nel ventre della mamma, così da permettermi di crescere nonostante fossi nell’Oltretomba. E’ più complicato di come te lo sto spiegando ma, in pratica, ha mantenuto un cordone ombelicale di livello psichico, così che noi fossimo sempre legati. Questo ha permesso alla mamma di non perdermi. Nel frattempo, Érebos studiò il modo per portarmi fuori dal regno di zio Ade grazie al sentiero di Orfeo.»

Achille rabbrividì al solo sentir nominare quel nome – conoscendo di fama quel passaggio tutt’altro che agevole – e lanciò uno sguardo verso l’alto, quasi potesse scorgere la figura del dio Ctonio impegnato ad aiutare la sua compagna.

Sospirando, quindi, disse: «Se non è amore questo…»

Efesto riprese a martellare e, scoppiando a ridere, esclamò, indicando il silenziatore: «Già! Se non è amore questo?»

«Vuoi bene alla tua macchina, Achille?» domandò un po’ ingenuamente Alekos, mentre il semidio tentava di non arrossire di fronte alla subdola affermazione del dio del fuoco.

«Qualcosa del genere…» bofonchiò lui, grattandosi la nuca per il gran fastidio. Detestava essere messo alle strette, ma dubitava fortemente che Efesto si sarebbe tirato indietro dal porgli mille domande, indipendentemente dalla presenza o meno di Alekos.

Non a caso, l’attimo seguente, Efesto domandò: «Perché non ci parli un po’ del tuo navigatore, Achille? Dopotutto, usufruirà anche lui del mio lavoro, visto che l’auto sarà sicuramente più performante.»

Alekos lo fissò pieno di speranza e Achille, nel fissare la schiena ricurva di Efesto, desiderò riavere la sua spada per poterlo fronteggiare. Da cosa l’aveva capito?!
 
***

«Una… donna?» esalò Athena, distendendo una tovaglia sul tavolo da giardino, mentre Artemide sistemava le ultime birre nei cestelli del ghiaccio che aveva posizionato vicino alle sedie a sdraio.

Quando la famiglia Rodriguez si riuniva, lo faceva sempre in gran numero e le birre scorrevano a fiumi, perciò non era il caso di rimanere senza, o di essere disorganizzati in merito.

Annuendo con fare saputo, Érebos ripiegò tra le mani uno strofinaccio e dichiarò: «Se fossi appassionata di rally, lo sapresti, tesoro.»

Athena levò un sopracciglio con aria ironica, replicando: «Non potrei mai raggiungere il tuo livello di competenza, visto quanto tempo passi a guardare le gare. A quanti canali streaming sei arrivato, per curiosità? Otto? Dieci?»

«Sei il mio unico amore, agape, ma le auto mi piacciono molto» sottolineò Érebos, soprassedendo sulla domanda e facendo scoppiare a ridere Artemide, mentre Athena scuoteva il capo esasperata.

«Non c’è niente da fare, sorella. Che siano mortali o immortali, mettili davanti a un pistone e quattro ruote, e non capiranno più niente.»

«Da cosa derivi questo fatto, devo ancora capirlo… e dire che ho vissuto un bel po’, ma ancora rimane un mistero, per me» celiò Athena, carezzando in viso la divinità Ctonia mentre quest’ultima, scrollando le spalle con un sorrisino, rientrava in casa per recuperare gli stuzzichini.

Rimaste sole, Athena lanciò un’occhiata alla sorella e, poggiandosi contro il tavolo da giardino, le domandò senza mezzi termini: «Lui lo sa?»

Artemide si bloccò per un istante, si sfiorò il ventre e, dopo un attimo, scosse il capo e disse: «Non ancora. E’ una cosa fresca. L’ho scoperto solo qualche giorno fa. Ma tu come…»

«Eri diversa dal solito. Stranamente attenta a quel che facevi» ammise Athena, notando l’aria accigliata di Artemide. «Se fosse stato tutto come al solito, avresti malmenato Apollo per avermi lanciato una freccia, la sera precedente, ma non hai fatto nulla di tutto ciò. Ti sei limitata a trattenerlo, stando ben attenta a come lui si muoveva. Niente affatto tu, per l’appunto.»

«Dio! Sei peggio di quell’investigatore inglese!» gracchiò Artemide, passandosi una mano tra la zazzera di capelli ramati.

«Holmes? Qualcosa del genere» ammise con ironia Athena, prima di sorriderle e aggiungere: «E’ per questo che Apollo è qui? Glielo hai detto?»

Sbuffando, Arty annuì suo malgrado e bofonchiò: «Gli ho chiesto se avrebbe voluto essere il padrino e, non solo lui ha accettato, ma ha promesso di parlare con le Muse per mettere una buona parola.»

Sorridendo divertita, Athena asserì: «Desidera che il nipote – o la nipote – diventi un’artista?»

«A me basta che sia sana» scrollò le spalle lei.

Levando un sopracciglio, la dea ateniese domandò: «Hai già controllato?»

«E’ più semplice di così. Posso mettere al mondo solo femmine» ammiccò Artemide, sorprendendo un poco la sorella.

«Oh… ma dai…»

«Lo chiesi a Demetra, durante il mio primo parto. Scioccamente, non desideravo partorire un maschio perché pensavo – da brava idiota – di fare un torto ai miei stessi precetti femministi…» fece la lingua Artemide, ammettendo con candore i suoi pregiudizi. «… ma lei mi disse che, anche volendo, non avrei mai potuto partorire un maschio. Il mio patrimonio genetico è così forte che, anche se avessi avuto un figlio da un dio, sarebbe comunque risultato predominante il mio background

Athena la fissò senza parole, esalando: «Non so se è più scioccante sentirti dire che Demetra parlava di patrimonio genetico, o del fatto che puoi avere solo figlie femmine.»

Scrollando le spalle, Artemide replicò: «Da quando si è messa a collaborare con l’OMS, usa un sacco di paroloni. Comunque, mi fu d’aiuto allora con le figlie di Endimione, e penso di chiamarla ora per la cucciola di Felipe.»

Athena le sorrise spontaneamente. Al solo nominare il suo compagno umano, Artemide si era aperta in un sorriso pieno di aspettativa e gioia.

Certo, sapeva che niente avrebbe potuto fermare la mano di Atropo, un domani, ma era giusto che Artemide condividesse tutto con Felipe, anche la gioia della maternità, visto quanto si amavano.

Era passato ormai più di un anno da quando si erano conosciuti e, in quel tempo, la loro conoscenza era maturata fino a sfociare nell’amore.

Athena li aveva osservati con attenzione, avendo cura di non dire nulla ma cercando in entrambi i semi potenziali del disastro. Non avrebbe voluto per nessuno dei due una separazione cruenta e dolorosa.

Non avendo però trovato nulla che potesse portare a un finale drammatico, si era perciò beata la vista del manifestarsi e del crescere del loro amore, tenendo per sé paure e dubbi.

Ora, con una nuova vita in arrivo, Athena non poté che abbracciare la sorella e dire: «Sarò la sua paladina, se mai servirà.»

«Grazie, sorella» mormorò Artemide, tenendola stretta per un istante prima di sollevare il viso dalle spalla di Athena non appena vide una nube dorata formarsi sopra le loro teste.

Scostandosi da Artemide, Athena scrutò a sua volta la nube e, quando vide comparire Apollo in grande spolvero, con tanto di tuba e bastone, sbatté le palpebre e balbettò: «M-ma come t-ti sei vestito, scusa?»

Guardandosi accigliato, Apollo brontolò: «Non hai detto che era una festa?»

«In giardino. Una festa in giardino, fratello. Con birra, carne alla griglia e purea di patate. Non un vernissage con tanto di serata all’Opera» mugugnò esasperata Artemide, passandosi una mano sul volto.

«Oh. Temo di aver male interpretato» gracchiò il dio solare, schioccando le dita per far svanire gli abiti, rimanendo così in tenuta adamitica.

«Ohsignoresantocielo, Apollo!» sbraitò la divinità ateniese, facendo tanto d’occhi mentre il dio se ne andava in casa di Athena per discorrere con Érebos. «Almeno indossa qualcosa!»

«E sbagliare di nuovo? Lo odierei a morte, e sapete bene quanto io sia permaloso. Chiederò a Érebos, prima di fare una scelta, e solo dopo mi coprirò» replicò Apollo, salutandole candidamente mentre entrava in casa attraverso la veranda.

Athena e Artemide fissarono sbigottite il suo perfetto lato B prima di borbottare contrariate: «Perché non abbiamo dei fratelli normali? Perché





N.d.A.: cominciamo a subodorare qualcosa, riguardo alla richiesta pressante di Achille di avere un silenziatore nuovo per la sua auto da rally. Che sia un caso alla "cherchez la femme?" Nel frattempo, scopriamo che Artemide e Felipe aspettano una bambina, ma che il papà ancora non sa nulla? Come la prenderà, Felipe?
Piccola nota a margine: la battuta di Artemide su uomini e motori può anche essere girata alle donne, ovviamente. La sottoscritta, per esempio, è super appassionata di gare di moto, ma ho usato questo "modo di vedere" solo per fare dell'ironia spicciola.
  
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