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Autore: Piebavarde    17/07/2019    1 recensioni
Francesca Molinari è una ragazza con la testa sulle spalle, una dose incredibile d'orgoglio e iattanza e la nomina di rappresentante di classe della IV C. Snob, selettiva, nevrastenica e acida come un limone, Francesca ha sempre mostrato alla gente una maschera di superbia e indifferenza.
La sua saccenteria verrà però contrastata dal nuovo professore di letteratura italiana: Marco Fanti.
Marco è quel che il mondo definisce lo "scapolo d'oro": amato dalle sue alunne e invidiato dai suo colleghi, il professore sembra esser la saggezza fatta uomo. La mente tra i libri e le riviste d'auto sportive, e le parti bassi sempre tra le gambe di qualche donna; questo è il tipo d'uomo rappresentato dal professore tanto ambito tra le lenzuola, che tenterà di frenare la spocchia della sua alunna sognatrice.
Se i principi della fisica iniziassero ad intervenire sulla vita di questi due individui?
Se Newton avesse avuto ragione?
Cosa accadrebbe se una forza F agisse inconsapevolmente su una massa M, provocando un'accelerazione A?
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V
La Sindrome di Stoccolma
“La donna è mobile”

 



Lei aveva non solo sfiorato il petto del suo docente di italiano.

Lei lo aveva fatto indugiando sullo stesso, quasi fosse un magnete che l’attirava a sé e dal quale non riusciva a staccarsi.

Cercava una reazione. Certo, ve ne erano infinite tra le quali optare. Ma lei no, scelse la più idiota di tutte.

Perché lei era, si disse a quel punto, un’idiota, altrimenti avrebbe fatto qualcosa di più sensato.

Di più consono.

Di più adeguato.

Di più intelligente.

Insomma, altro, altro, altro. Avrebbe dovuto fare altro.

Dopo il loro incontro nell’aula docenti, Francesca aveva deciso saggiamente di non pensarci.

Ma l’ora di letteratura italiana si avvicinava e il ricordo del misfatto le si palesò tra i pensieri come un fulmine a ciel sereno.

E allo stesso modo e allo stesso tempo si avvicinava Marco Fanti, che entrò proprio nel momento in cui le sue paturnie mentali avevano raggiunto un picco così alto, che alzò lo sguardo su di lui con un’espressione talmente sconsolata che neanche Barbara “lei mi sta dicendo che” D’Urso avrebbe potuto fare di meglio.

Dal canto suo, il docente evitò lo sguardo dell’alunna e posò la sua ventiquattrore sulla cattedra borbottando un buongiorno poco convinto.

Tanto meglio.

Fu però molto convinto e anche piuttosto sadico e glaciale nel dire:-Oggi interrogo.

In aula si levò un brusio di voci incerte e preoccupate: erano stati tutti tratti in inganno dai modi affabili del docente, dalle sue battutine ilari e molto probabilmente anche dalla sua giovane età; tutti convinti che mai quel buontempone di Marco Fanti avrebbe potuto tradirli con un’interrogazione a sorpresa.

E invece.

Sfogliando con disinteresse le pagine del libro di testo il professore domandò se vi fosse qualche volontario.

Come se fossero stati appena tratti in salvo dal peggiore dei gironi infernali, diciotto dei venti alunni della classe IVC puntarono i loro occhi pregni di speranza su quelli già accigliati, allarmati e consapevoli di Francesca Molinari e Gaetano Borbone.

Quest’ultimo incrociò le braccia al petto e sentenziò cinico: -Non mi faccio rovinare la media per voi stupidi ignoranti.

Francesca, invece, si sentì improvvisamente poco interessata alla sua media, ma ugualmente restia ad affrontare quell’interrogazione. Per un ben più grande problema.
Osservò bieca per un breve frangente di tempo il suo insegnante, lo sguardo le cadde sul suo petto, lì ove il giorno precedente aveva posato le sue dita e si voltò di scatto, implorante, verso Gaetano.

-Tano, ti prego. Offriti volontario.

Lui alzò in volo le sopracciglia esterrefatto. Come poteva lasciarlo solo lungo la strada verso il patibolo?

La Molinari colse i suoi pensieri e specificò in un sussurro: -Sto cercando di evitarlo.

Gaetano non riuscì a domandarle chi o cosa specificamente stesse evitando, perché la voce dell’insegnante si impose perentoria su quella flebile di lui: - Borbone e Molinari che ne dite di venire a chiacchiere qui, alla lavagna?

Francesca non riuscì a voltarsi e continuando a guardare il volto amico di Tano gli chiese: -Che facciamo?

Perché lei quella testa di canfora.

Quel maniaco sessuale.

Quel maniaco che era divenuto per chissà quale scherzo del destino anche sensuale.

Quel tocco di manzo dagli occhi verdi e dalla voce calda, voleva evitarlo.

Perché lei era un blocco di marmo. Un blocco di marmo che quel vulcano eruttante lapilli e sorrisetti canzonatori del suo insegnante fece irrimediabilmente scogliere nell’abitacolo della sua auto qualche sera addietro.
E lei, in seguito al suo passaggio di stato da solido a liquido, si era addirittura permessa un gesto istintivo che le stava costando caro. Ed un gesto istintivo equivaleva ad un gesto non da lei.
Si stava trasformando in un animale, tutto istinto e bisogni primari.
Con quella cavolo di reazione uguale e contraria, si rese conto, aveva spedito con un transatlantico il suo raziocinio verso il Nuovo Mondo.

Dunque, stare a contatto con lui significava rinunciare non solo al suo cinismo e alla sua razionalità, ma anche e soprattutto alla sua integrità psico-fisica. E lei, che era già abbastanza psicolabile di suo, sperava di evitare un ulteriore peggioramento.

Un voce però le venne incontro. Un Simone di Cirene pronto ad aiutarla a portare la croce e a spartirne i dolori nella sua personalissima Via Crucis: Gaia Fallani.

Un momento.

Gaia Fallani?

Quella Gaia Fallani?

La tipa che pensava Andreotti fosse ancora vivo, magari ancora imbambolato davanti a una Paola Perego confusa e sconcertata?

-Prof, non è giusto: doveva avvisarci-, disse lei con una voce che parve alla Molinari stranamente imbronciata.

Cos’era quella spasmodica voglia di farsi interrogare?

Francesca smise di osservare Tano e si voltò verso Gaia con una curiosità che la sorprese.

-Oggi c’è anche stato il compito di biologia- fece sapere al loro insegnante Stefano Olmi, lo sportivo della classe che di certo non aveva studiato né per il compito di biologia, né, men che meno, la letteratura italiana.

-Ragazzi- il tono dell’insegnante non ammetteva di certo repliche, -Per oggi vi avevo assegnato dei compiti. Sono o non sono stati eseguiti?

-Sì, ma…- provò Gaetano.

-Niente ma-, sentenziò glaciale l’insegnante con un gesto della mano per interrompere sul nascere qualsiasi protesta, -Vi avevo o non vi avevo detto di essere dinamici, con me?

Francesca lo osservò rapita.

Improvvisamente.

Piacevolmente.

Inevitabilmente.

Incommensurabilmente.

Rapita.

Deglutì.

E ora cosa diamine stava facendo?

Certo, l’odio che precedentemente provava per quell’uomo poteva essere incanalato verso qualcosa di positivo, fungendo da una specie di incentivo per motivarla e portarla a fare sempre meglio. Tutto questo per potergli dimostrare di non essere quell’insetto insignificante che lui riusciva a schiacciare adoperando alle volte anche un solo vocabolo.

E anche per imparare sempre più e con maggior consapevolezza. Ma quest'ultima prospettiva chissà perché venne da lei relegata in secondo piano.

Quell’ammirazione, tuttavia, era fine a se stessa. Anzi, con ogni probabilità avrebbe dovuto ritenerla controproducente.

Perché quando la Molinari iniziava a provare anche solo un accennato e minimo interesse per qualcuno, avrebbero dovuto chiamare “Chi l’ha visto?” e lanciare un appello al fine di ritrovare le sue capacità razionali.
Quando la Molinari si prendeva una cotta mandava in ferie quell’essere cinico, calcolatore, spietato e razionale per lasciare spazio ad una goliardica oca giuliva talmente idiota, incerta, sbadata e goffa da sembrare irriconoscibile.
E quel gioco, ossia il professor Fanti, non valeva di certo la candela, ossia il rinunciare all’essere cinico e razionale che la Molinari sentiva con orgoglio di essere.
Perché la trattava spesso nel peggiore dei modi. E quindi lei avrebbe dovuto rimetterci l’orgoglio.
E perché, diamine, era  pur sempre un suo insegnante. E quindi lei avrebbe dovuto rimetterci anche un’ottima carriera scolastica.

Grazie al cielo però quella che stava affrontando era in realtà una fase intermedia, tra la razionalità e l’a-razionalità, in cui poteva ancora permettersi di salvare il salvabile.

Si sa, per fortuna o purtroppo, la donna è mobile.

Così fece un lungo respiro e pensò che anche se quel che stava per fare, ovvero affrontare gli occhi chiari del suo insegnante, le sarebbe costato un’immensa fatica ed in indicibile sforzo, cercò di portare a termine la sua missione.

-Professore?-, lo chiamò con un tono velatamente incerto facendo svolazzare in aria la mano.

Il professor Fanti la osservò per la prima volta nell’arco della mattinata e inarcò le sopracciglia dandole il tacito permesso di continuare.

-Abbiamo tutti svolto l’analisi de “La locandiera”- e quella era una mezza bugia, perché lei sì, aveva portato a termine il lavoro, ma non avrebbe messo una mano sul fuoco anche per i suoi compagni di classe, -Magari oggi potrebbe essere clemente ed evitare di interrogare …

A quelle parole diciannove teste presero ad annuire incoraggianti osservando l’insegnante.

-…e potrebbe piuttosto optare per una dibatto sulla commedia.

A quelle parole, invece, diciannove teste si voltarono ad osservarla esterrefatte.

-Ma che cazzo dici?!- esclamò qualcuno.

Lei fece spallucce e osservò i suoi comites con gli occhi più innocenti e spaesati del mondo.

Marco Fanti sghignazzò adagiandosi contro la cattedra –I tuoi compagni sono come sempre in disaccordo con te, Molinari, complimenti.

Lei si indispettì e aggrottò le sopracciglia pronta a rispondere, ma lui continuò domandando, sincero e divertito al contempo, ai suoi alunni: -Ma chi l’ha votata?

-Nessuno- rispose quella serpe di Rita Neri:-Era l’unica candidata.

Il risolino snervante del prof le punse l’orgoglio come un spillo.

Eppure fu per lei un pharmakon.

In greco antico il termine pharmakon ha un significato ambiguo. Significa, infatti, al tempo stesso veleno e antidoto.

Un male: perché Marco Fanti l’aveva derisa per quella che le risultò essere l’ennesima ed insopportabile volta. E si sentì un po’ triste per quelle denigrazioni gratuite.

Un rimedio: perché la sua flebile infatuazione venne spazzata via da quell’essere irritante quasi nello stesso momento in cui aveva iniziato a germogliare.

L’aver scampato il pericolo di una folle cotta adolescenziale non lo avrebbe però salvato da un commento indispettito e sarcastico che sarebbe certamente arrivato, se non fosse entrata in aula proprio in quel momento la professoressa di storia e filosofia Elisa Gigli, con il suo stentato metro e trenta e la sua insostenibile leggerezza del non essere.

Come un ectoplasma inanimato trascinò il suo corpo tozzo e vetusto verso la cattedra, ove incontrò lo sguardo curioso del prof. Fanti.

Ed ella, innanzi a cotanto splendore, s’animò d’un tratto.

Come se un anelito di vita fosse passato dal corpo scultoreo del professore al suo, le si ravvivarono gli occhi e un sorriso sghembo le illuminò il volto rugoso.

Ma che era?

Ma che stava a fa?

Ce stava a prova’?

Anche lei!?

Quella donna tanto stramba quanto inflessibile e professionale, era anch’ella intrappolata nella morsa di una trappola mortale che rispondeva al nome e al cognome di Marco Fanti?

Oh, andiamo!

Era bello, d’accordo.

Ma non era l’unico sulla Terra ad essere bello.

Sentivano tutte il bisogno incontrollabile di manifestargli quanto fosse impetuoso e disarmante il suo fascino?

Il professore tossicchiò imbarazzato e la professoressa Gigli, non ancora intenzionata a ricomporsi, gli parlò con una strana voce melliflua.

Che poi professoressa Gigli più voce melliflua era una combo che rasentava il grottesco.

Era un po’ come vedere il Grinch provarci con un adone.

Anzi, anche solo vedere il Grinch provarci e basta.

Rivoltante e ridicolo al contempo.

Quella scena non si stava davvero palesando di fronte ad un’indignata e priva ormai di ogni benché minima certezza Francesca Molinari.

Vero?

-Venerdì ci sarebbe l’uscita didattica ad Amiternum. Ho portato le autorizzazioni. E vi invito, ragazzi-, fece presente ai suoi alunni degnandoli finalmente di uno sguardo-a partecipare dato che sarà molto interessante.

Poteva esserlo. Ma con lei al seguito, Francesca lo dubitava fortemente.

Con la sua prepotenza e il suo carattere suscettibile sarebbe stato, come no, davvero interessante.

Sì, sì, certo. Ai, ai caramba!

-Professor Fanti- disse poi con una strana inclinazione nel tono della voce,-la professoressa Giusti avrebbe dovuto accompagnare i ragazzi della IV C. Lei sarebbe disponibile?

Oh no.

Lui fece spallucce ed annuì poco convinto.

La Gigli, invece, entusiasta come un’ossessa al concerto del suo cantante preferito, gli accarezzò l’avambraccio contenta.

Ma cosa stava facendo?

“Qualcuno la fermi”, pensò Francesca.

Il professor Fanti la osservava con un’espressione abbastanza eloquente. Il divertimento e il fastidio si alternarono negli occhi di lui per una manciata di secondi, finché l’uomo non decise di proseguire ciò che aveva iniziato nonostante l’ingombrante presenza della professoressa.

-Allora, dove sono questi volontari?

La Gigli non dava cenni di cedimento: aveva dato inizio ad una penosa contemplazione dell’uomo che oramai spazientito, sia per l’inesistenza di volontari sia per la tac che stava subendo da un’indecente cougar alla sua sinistra, si era portato una mano sul volto, per massaggiarselo.

Quella posa da dannato dantesco portò il suo livello di fascino ad un livello superiore, un livello che andava ben oltre la fascia di sopportazione della Molinari.
Così attirò l’attenzione dell’insegnante per chiedergli di andare in bagno, in un disperato tentativo di fuga.

Lui dapprima acconsentì, poi, quando lei gli fu accanto mentre marciava verso la porta, la osservò titubante e le domandò:-Molinari, stai per caso fuggendo via da un’eventuale interrogazione?

Come poteva ritenerla capace di una cosa simile?

Lei non sarebbe mai fuggita di fronte ad un’eventuale interrogazione.

Contrariamente, di fronte ad un anomalo surriscaldamento, sì, lo avrebbe fatto.

E stava effettivamente cercando di farlo.

Sentì qualche mormorio alle sue spalle, segno che i suoi compagni di classe si stessero malvagiamente domandando, senza in realtà alcuna un’ombra di dubbio, la stessa cosa. Conscia del fatto che probabilmente la stessero odiando ritenendola una vigliacca codarda, fece nascere una fugace espressione triste sul viso.

Un’espressione che a lui non sfuggì.

-Scusa Molinari-, disse l’insegnante mettendo le mani avanti ed accompagnando le sue parole con un sorriso imbarazzato –Stavo scherzando. Puoi andare.

Una volta sola, mentre a passo spedito avanzava verso il bagno, ammise a se stessa di essere dannatamente confusa: non riusciva a comprendere perché lui l’avesse presa di punta né perché non avesse remore quando si trattava di condannarla alla gogna pubblica.

Prese allora una decisione.

Decise di spazzare via tutte quelle domande.

Decise di smetterla di dargli tutta quella importanza.

Decise che lui non meritava le sue infinite elucubrazioni mentali.

E infine decise di nominarlo suo personalissimo capitalis hostis: nemico mortale.
 

 






 
-L’anfiteatro che vedete alla vostra destra è di epoca augustea-, stava spiegando la professoressa Gigli ai suoi alunni che la seguivano senza la benché minima traccia né d’entusiasmo né d’attenzione.
Gli unici attenti erano quei due noiosi di Francesca e Gaetano.

Gaetano perché secchia.

Francesca perché captò la parola “augustea” e d’un tratto si fece attenta, dal momento che Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto era il suo uomo ideale. E più ne sentiva parlare, più si sentiva felice.
Ma mentre seguiva rapita la sua docente, una mano posata sul suo braccio le arrestò il passo.

Si voltò e si sorprese nel vedere gli occhi azzurri e idioti di Cristiano Mori.

L’uscita didattica ad Amiternum venne organizzata per le tre quarte e, ovviamente, era presente anche la IV A e il suo degno esponente Cristiano Mori.

Degno esponente perché si trattava di una classe di dementi come lui, probabilmente selezionati con cura e relegati tutti fra le stesse quattro mura al fine di non turbare chi aveva optato per quel percorso scolastico per degni e meritevoli motivi, e non perché costretti dai propri genitori a fare una scelta di facciata.

Inutile dire che quella classe le stesse antipatica in blocco.

-Che vuoi?- gli domandò indisponente come sempre.

-Come che voglio?-, rispose alla sua domanda con un’altra domanda che aveva l’inclinazione vocale propria di una domanda retorica –Dobbiamo parlare. A scuola tutti credono che stiamo insieme-, finì indignato.

Indignato?

Lui?

Calma, Molinari.
Calma.

-Cos’è quell’espressione indignata?- chiese infatti lei, decidendo deliberatamente di accantonare l’argomento principale della loro conversazione per concentrarsi su quell’insulso particolare.

Donne.

-Cos’è? Ti faccio schifo?-, rincarò la dose.

Lui ridacchiò un po’ spaesato: -Calma tigre. Non mi fai affatto schifo. Ma ti conosco appena, in realtà solo di vista. Quello che voglio dirti è che mi dispiace far pensare che sono occupato quando invece sono liberissimo. Mi rovini la piazza, capisci?

-Beh, e tu la rovini a me.

In realtà non c’era nessuna piazza da rovinare, nella vita della Molinari.
Magari qualche duna nel deserto del Sahara. Inabitato ed evitato dai più saggi.

-Infatti io sto dicendo in giro che non stiamo insieme. Ma nessuno mi crede. Perché?- aggiunse infine sconsolato.

Lei lo osservò per un po’. Lo sguardo sinceramente confuso e preoccupato del ragazzo la osservava implorante alla ricerca di un responso sibillino.
Ma la risposta non le sembrò né criptica, né così difficile da raggiungere.
Le bastò rendersi conto che si trovavano isolati, in quel momento, lontani dal resto del gruppo. L’una di fronte all’altro e più vicini del dovuto.

-Se magari tu mi stessi alla larga, eviteremmo i pettegolezzi-, le fece notare lei con un tono saccente – Ignorami e basta.

-Ma guarda che è la prima volta che ti vengo a parlare da quando quella cretina ha pubblicato su Facebook le foto. Ti ho ignorata e comunque ne parlano.

Aveva preso ad agitarsi sconsolato e deluso dalla risposta di Francesca, forse perché sperava lei potesse regalargli la chiave per uscire da quel pasticcio creato dalla pseudo amica di lei, Caterina.

Quella stronza.

-Tu continua ad ignorarmi- lo liquidò lei disinteressata alle sue paturnie e muovendosi verso i suoi compagni di classe, -prima o poi si annoieranno. Smetteranno e tu potrai riprendere a scopare serenamente con chiunque ti capiti a tiro, come se non ci fosse un domani.

Francesca era abbastanza lontana da Cristiano Mori quando il ragazzo sibilò uno incerto:-Stronza-, contornato da una insolita e inusuale punta di desiderio.

Tutti ai ripari!
 

 


 
La professoressa Gigli aveva da poco terminato il suo interminabile soliloquio e i ragazzi della IVC iniziarono a girovagare senza meta alcuna tra quel prezioso cumulo di storia antica.

Francesca ne era affascinata.
Sfiorò lievemente un capitello, con dolcezza e timore come quando le mani si posano su tesori preziosi.
Preziosi e fragili. Così fragili che avrebbero potuto sgretolarsi tra le dita.

Marco Fanti, richiamato da quello sguardo colmo d’amore per dei capitelli, le si fermò accanto domandandole:-Imperatore preferito?

Lei si sentì come improvvisamente svegliata da un piacevole sonno e lo osservò di sbieco con lo sguardo leggermente annebbiato, ancora sospesa con la mente tra la Roma antica e il vivido presente.
Fece una smorfia corrucciata senza rispondergli né voltarsi. Riuscì a dire soltanto, e dopo un po’ di tempo:-Non glielo dico.
Capitalis hostis.

-Perché?- chiese lui incrociando le braccia al petto con uno sguardo che passò dal risentito al divertito in un millisecondo.

Dirgli la verità?

Dirgli che lei lo odiava così tanto perché la faceva sentire così sciocca e ingenua e ignorante come mai?

Nessuna verità con la Molinari.

Poteva al massimo concederne qualche mezza.

E gli rispose infatti con una mezza verità che trasportava nel suo tono di voce anche l’altra metà non esternata.
-Perché troverebbe comunque il modo per canzonarmi.

-Perché pensi questo? Non è affatto vero, Molinari.

La sua risposta fu candida. Come se stesse dicendo la verità.

Ma quella non era la verità.

Era lapalissiano che non lo fosse.

Lei si voltò d’impeto verso di lui quasi indignata per le sue parole.

Quel broccolo indicibile.

L’istinto le suggeriva di rispondergli adoperando un tono e una verve simile a quella di Zequila, con un indice puntato verso il petto di lui, e digrignando i denti urlare “Non ti permettere mai più. Mai più. Okay? MAI PIÙ!”. Ma il suo cervello le venne in aiuto come sempre  e la convinse a limitarsi a scuotere semplicemente la testa, un po’ affranta. Bofonchiò un:-Lasci perdere-, e tornò a prestare attenzione al parco archeologico.

Lo sentì sospirare e poi dire:-Scusa Molinari, per qualunque crimine tu mi stia accusando in questo momento.

Lei sbuffò sia divertita sia amareggiata.

Come poteva lui non notare il suo stesso comportamento nei confronti della sua alunna? Come riusciva ad ignorare le battute di scherno che spesso le rifilava e il più delle volte gratuitamente?

Era raro, questo andrebbe constatato, che la Molinari riuscisse ad ispirare a qualcuno simpatia. Eppure lui non poteva permettersi né di palesare l’antipatia che, a quel punto lei si disse il prof Fanti certamente provava, né tantomeno e a maggior ragione poteva ritenerla antipatica, trattandosi di una valutazione che non rientrava prettamente tra quelle che era chiamato a compiere.

O meglio, lui poteva anche ritenere antipatici o meno i suoi alunni, ma certamente non poteva adottare con loro un comportamento piuttosto che un altro basandosi sulle sensazioni che loro gli suscitavano a pelle.

Sarebbe stato infantile.   

Prima che Francesca potesse replicare, lui la precedette:-Il mio è Traiano. E per ovvi motivi.

Scontato.

Tipico.

Si era solo accodato al gregge che belava “Optimus princeps” pensando a Traiano.

Lei lo fissò e si perse per un attimo, forse di troppo, nei suoi occhi.

La donna è mobile.

E muta fin troppo velocemente e facilmente i suoi pensieri su un uomo.

Era o non era stato da poco elevato al rango di capitalis hostis?

La risolutezza di lei si dimostrava di giorno in giorno sempre più fragile innanzi a quegli occhi verdi e grandi; di giorno in giorno, sentiva di rinunciare gradatamente ad una parte importante di se stessa cui non riusciva ancora a dare un nome.

Capitalis hostis.
Capitalis hostis.
Capitalis hostis.
Cercava di ripeterlo come un mantra, senza tuttavia sortire l’effetto agognato.

Perché d’improvviso un desiderio fugace e prepotente e incontrollabile le si affacciò nel cuore.

Avrebbe voluto incontrarlo altrove. In un museo, a teatro, in una biblioteca.

Avrebbe voluto avere quella conversazione con lui in un altro tempo, in un altro spazio.

Avrebbe voluto essergli alla pari: senza alcun freno poterlo mandare al diavolo quando si comportava da stronzo, inveirgli contro fino allo stremo e rovesciargli addosso l’ingente valanga d’insulti che aveva in serbo per lui.

Nella sua immaginazione si vedeva scalciare per liberarsi da quella gabbia in cui il  crudele fato l'aveva rinchiusa.

Marco Fanti non doveva essere il suo insegnante. Non poteva.

“Perché non si dimette?” pensò.
-Perché non si dimette?-, domandò contemporaneamente.

Quando si rese conto dell’indicibile castroneria che aveva appena fatto sgorgare da quella fogna di boccaccia che si ritrovava, Francesca se la tappò cercando di decifrare lo sguardo sorpreso di lui.
Ma mentre studiava i lineamenti del volto perfetto del docente, qualcosa alle spalle di lui attirò la sua attenzione.

La professoressa Gigli marciava incerta, facendosi largo tra i massi e le erbacce, verso una meta ignota. Dietro di lei Ettore Ciaglia faceva penzolare sulla testa dell’insegnante una frasca raccolta chissà dove. Alla sinistra del corteo che si era creato intorno alla Gigli, Stefano Olmi stringeva tra le dita il suo cellulare da cui risuonava la “Marcia Trionfale” de “L’Aida”.

La scena le parve talmente comica che Francesca dimenticò la figura di merda che aveva appena fatto con il suo insegnante.
Lui  seguì curioso lo sguardo di lei divertito e notò quel che stava accadendo a pochi passi da loro, non riuscendo a trattenere una fragorosa risata.

Francesca peccò miseramente e lo studiò con minuzia.

I capelli del docente, biondi sotto la calda luce del sole, gli ricadevano sul viso in morbidi ciuffi leggermente arricciati.

Gli occhi verdi erano così belli e vivi quando si coloravano dell’ilarità del suo riso, che la Molinari si sentì inerme e inerte innanzi al suo aguzzino.

Aveva la merda fino al collo.

E la sindrome di Stoccolma diagnosticata sulla sua cartella clinica.







-Sa, sa…- ripeté Stefano per collaudare il microfono, -sa di cazzo.-, concluse infine lanciando occhiate complici al resto della comitiva.

La professoressa Gigli si fiondò su di lui arpionando il microfono e strappandoglielo con foga dalle dita. Ma il boato ilare che si propagò lungo il pullman animò Stefano che caparbio cercava di tenere per sé l’oggetto della disputa.
Marco Fanti se ne stava sghignazzante ad osservarli alla loro sinistra, ignaro delle occhiate furtive che la rappresentante della IV C Francesca Molinari molto poco ogni tanto gli lanciava.

Lui l’aveva resa un mostro.

Un mostro lussurioso che aveva mandato alle ortiche anni di integrità professionale.

Per un broccolo.

Un broccolo che per giunta la denigrava.

E a lei, masochista, lui piaceva.

Ma che problemi mentali esattamente aveva?

-Ma la smetti di spogliarlo con lo sguardo?-, le sussurrò Matilde seduta al suo fianco come sempre.

La Molinari scattò come una molla super tesa:-Ma che dici? Ma chi io?- domandò puntandosi l’indice al petto con fare teatralmente indignato -Ma chi se lo fila.

La sua amica la osservò parecchio per poi propinarle un derisorio e irritante “pft”.

-Preghiera della sera-, annunciò Stefano al microfono attirando l’attenzione di tutti su di sé.
-Stefano, non essere blasfemo.
-Ma che blasfemo, prof! Ho davvero intenzione di recitare una preghiera.
-Stefano dammi il microfono.
-Prof, solo una preghiera.
-Olmi! Non farmi arrabbiare!- tuonò la Gigli inviperita.
Gli occhi di Stefano ruotarono a 360° prima di lasciarle il microfono. Tuttavia non abbandonò la postazione ed incrociò le braccia al petto sfidando con quel gesto la sua insegnante a fare di meglio per intrattenere i passeggeri.

La Gigli ovviamente non disse nulla di altrettanto divertente e accattivante ed iniziò la sua filippica contro chi quel giorno era risultato distratto e poco attento, facendo presente che aveva notato quanti di loro si fossero imboscati e che aveva per loro in serbo una punizione esemplare.

Tutti però si stupirono e tutti si fecero improvvisamente attenti quando estrasse dalla borsa un taccuino ed iniziò a leggere un elenco di coppie.
La situazione poteva sembrare anche leggermente comica alla Molinari, ma prese a non esserlo sul serio quando la Gigli lesse due dei nomi presenti sulla sua lista nera.
-Cristiano Mori e…questo da te proprio non me lo aspettavo, Francesca Molinari.

Vi furono alcuni applausi, alcuni gridolini di ammirazione.

Ma l’unica cosa che Francesca riuscì a percepire in quel momento fu l’espressione accusatoria e delusa di Marco Fanti.

Non riuscì a concentrarsi su altro.

Vedeva solo i suoi occhi verdi su di lei, tutto il resto scomparve.
 
Fu per lei il punto di non ritorno.

Ave popolo!
Chiedo enormemente venia per avervi fatto attendere cinque lunghi anni. Perdonatemi, cercherò di farmi perdonare aggiornando piu spesso.
Alla prossima!! (che sarà a breve, eh! non tra una decade)











 
   
 
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