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Autore: Menade Danzante    25/07/2019    3 recensioni
Aziraphale e Crawly si incontrano ad Atene negli anni dell'attività di Socrate, fino ad arrivare al fatidico 399 a.C., alla condanna ingiusta che porterà entrambi a riflettere e a confrontarsi con alcuni dei loro fantasmi.
Dal testo: "Crawly si strinse nelle spalle. «È simpatico. Ha in mente una... rivoluzione di pensiero. Te l'ho detto, lo avremo noi: ai Piani Alti queste cose non piacciono»
Aziraphale storse il naso: «Smettila, Crawly. Non è una gara. E a me sembra a posto»
Il demone lo scrutò seriamente, poi gli sorrise. «Come vuoi tu»"
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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questions

Of questions and convictions







402 a.C. - Atene


Aziraphale lo notò quasi subito: con quei capelli lunghi e rossi era difficile che Crawly non saltasse subito agli occhi. Si scoprì piacevolmente sorpreso nel vedere anche lui lì ad Atene, ma allo stesso tempo avvertì la solita punta di preoccupazione che gli si affacciava nell'animo ogni volta che incontrava il demone in giro per il mondo. La sua presenza era portatrice di guai, ma era anche l'unica creatura ultraterrena che lo degnasse di una qualche considerazione. Era gentile con lui, tanto per cominciare. Gli sorrideva sempre e scambiava volentieri quattro chiacchiere tra una tentazione e l'altra. Lo invitava a ragionare, a dubitare – e questo non andava bene, in un certo senso, perché dubitare del Piano Divino era una cosa che non doveva essere fatta, ma d'altra parte Aziraphale non poteva non ammettere che alcune questioni lasciavano anche a lui la testa piena di domande inespresse e senza risposta. La storia di Abramo, ad esempio: Aziraphale aveva fatto di tutto per non commentare, ma quando Crawly gli aveva detto inorridito che Isacco era solo un bambino, «che vuoi che capisca del Grande Piano? Non vedrà altro che un padre pronto ad ammazzarlo in nome di una voce che sente solo lui», lo aveva costretto a tacere e ad andarsene per evitare di pronunciarsi troppo e di dichiararsi totalmente d'accordo con lui. O il diluvio: i bambini, caspita. I bambini innocenti. Anche lì era stato solo Crawly a dirsi del tutto contrario, ma esclusivamente perché all'angelo era mancato il coraggio di esprimersi. I suoi dirigenti non mettevano mai in dubbio niente perché era tutto parte del Grande Piano, che era anche quello Ineffabile, quindi nessuno poteva saperne veramente alcunché al di fuori dell'Onnipotente. Ma i suoi capi non erano mai nei paraggi quando incontrava il demone e questo rendeva tutta la questione dell'obbedienza un po' più difficile.

Sventolò appena una mano quando finalmente il demone si accorse di lui. Crawly si staccò subito dal gruppo con cui si stava intrattenendo per dirigersi dall'angelo con la sua andatura molleggiante.

«Salve, Aziraphale!» salutò, un sorriso stampato in volto. «Non mi aspettavo di vederti qui»

«La sorpresa è reciproca» assicurò l'angelo, cercando di far prevalere la parte più prudente di sé. «Posso sapere cosa ti porta ad Atene?»

«Lavoro. Un paio di tentazioni. Immagino che tu debba benedire qualcuno»

Aziraphale sorrise, suo malgrado. Poi lanciò uno sguardo oltre le spalle del demone. «Chi erano? Se posso chiedere»

Crawly sollevò un sopracciglio e ghignò appena. «Quel tipo, Socrate, poi c'è un pallone gonfiato che è un ambasciatore con il suo schiavo e un altro idiota1 che li ospita»

L'angelo aggrottò la fronte agli insulti, ma decise di soffermarsi su altro: «Quindi quello è Socrate? Ne ho sentito parlare»

«Ci scommetto!» rise Crawly. «Sta facendo chiacchierare parecchio. Se ne va in giro come uno straccione ma è molto acuto2. Dall'aspetto non lo diresti, eh?»

Aziraphale dovette convenire: quello lì proprio non sembrava un uomo di scienza. «Ho sentito dire che sia esperto di morale» fornì, curioso, sperando che Crawly ne sapesse di più.

«Mm. Può darsi, ma se lo chiedi a lui non è d'accordo» fu la risposta del demone. «Dice di non sapere o una cosa del genere. Forse è sapere di non sapere, mi pare»

«Modestia?» il volto di Aziraphale si illuminò: quella era sicuramente una virtù.

«Se lo chiedi a me, tutto il contrario»

«E come? È un'affermazione umile, questa»

«Bah. Dire con certezza che sai di non sapere è piuttosto irriverente, no? Si ritiene il più saggio per questo»

Aziraphale continuava ad essere sicuro che questa fosse una cosa buona: «Arrivare alle certezze assolute è impossibile, dunque l'ignoranza è l'unica certezza assoluta di cui un uomo possa farsi messaggero. Secondo me ha ragione»

Crawly lo guardò in un modo particolare che Aziraphale non seppe decifrare. Aveva detto qualcosa di strano? Aveva solo espresso un'opinione, non-

Appunto. Era di nuovo caduto nella trappola del demone: quando era con lui cominciava a pensare secondo la sua testa. Si chiese se Crawly non lo stesse tentando in qualche modo silenzioso, ma lui era un'entità angelica, se ne sarebbe senz'altro accorto.

Arrossì, ma il demone non disse nulla: si limitò a sorridere.

«C-Che cosa fa, dunque?» si sforzò Aziraphale per riportare la conversazione su un piano oggettivo.

«Domande, principalmente. Davvero troppe domande3. Non credo che sarà dei vostri, angelo» rise il demone, ma Aziraphale poté notare una fugace ombra malinconica attraversargli le iridi serpentine.

«Ogni tanto bara» continuò Crawly, scuotendo il capo. «Ma tanto gli altri sono tutti dei completi mentecatti e nessuno se ne accorge»

Ad Aziraphale venne spontaneo sollevare gli angoli della bocca in un delicato sorriso. Poi fu còlto da un'osservazione: «Lo conosci bene»

Crawly si strinse nelle spalle. «È simpatico. Ha in mente una... rivoluzione di pensiero. Te l'ho detto, lo avremo noi: ai Piani Alti queste cose non piacciono»

Aziraphale storse il naso: «Smettila, Crawly. Non è una gara. E a me sembra a posto»

Il demone lo scrutò seriamente, poi gli sorrise. «Come vuoi tu»


-


399 a.C. - Atene


Aziraphale trovò Crawly solo dopo un'ora dalla conclusione del processo. Lo aveva visto lanciare occhiate velenose ad Anito per poi abbandonare il pubblico subito dopo il verdetto. Aveva pensato di lasciarlo in pace, di fargli elaborare la notizia in solitudine, ma poi si era detto che a lui avrebbe fatto piacere contare su qualcuno con cui sfogare rabbia e dolore, perciò aveva deciso di mettersi sulle sue tracce.

Il demone si era nascosto bene fuori dalla città, Aziraphale glielo concesse. Questo lo fece desistere per un attimo dal proseguire quando lo vide: forse non voleva essere disturbato, non voleva nessuno intorno a sé. Forse, dopotutto, erano tanto diversi, loro due.

Ma Crawly lo notò avvicinarsi e non disse niente. Rimase appoggiato contro l'albero al quale aveva affidato il proprio peso e guardò Aziraphale con rancore. L'angelo in qualche modo seppe che non era rivolto a lui.

«Oggi come ieri fare domande è ciò che serve per essere condannati» sentenziò il demone, guardandolo con disperazione. Aziraphale non capì, ma non aveva il coraggio di chiedere ulteriori spiegazioni. Rimase ad osservare la figura contrita di Crawly torcendosi le mani in grembo.

«E ha dovuto fare l'idiota» continuò il demone, più a sé stesso che all'angelo. «Ha dovuto fare l'idiota. Scherzare sulla pena, sul serio?4» sbuffò risentito, cominciando a camminare avanti e indietro. Anche Aziraphale aveva notato la follia di quella scelta, ma confermarlo in quel momento non aveva senso. Si limitò ad abbassare gli occhi e ad attendere che continuasse.

«Stupido. Doveva difendersi da solo, ovviamente. Ovviamente. Perché lui sa come parlare, eh? Lui sa come mettere in fila due parole e dar loro senso, ma non sa metterle per iscritto5». Il viso del demone si deformò in una maschera di rabbia. «Cazzo» sibilò prima di sferrare un pugno contro l'albero.

«Crawly!» esclamò involontariamente Aziraphale, facendo un passo avanti, la mano protesa per offrire aiuto.

Il demone scosse la testa. Tanto bastò per fermare l'angelo, persino di fronte alla vista delle nocche insanguinate dell'altro. La sua mente corse al pericolo di un'infezione, ma effettivamente nessuno dei due aveva bisogno di preoccuparsi di quello.

«Lasciami solo, angelo»

Aziraphale si sentì ferito. Voleva aiutare, anche solo con la sua presenza. Sapere di non essere gradito faceva male. Avrebbe voluto farlo quantomeno calmare, ma non riusciva nemmeno ad avvicinarsi per curargli il taglio. Non aveva parole giuste da dire per confortare Crawly e si sentiva in colpa per questo: che diamine, lui era un angelo! Portare conforto era parte del suo lavoro, eppure con il demone dai capelli ramati questo non funzionava, le sue abilità venivano meno e Aziraphale perdeva ogni potere.

«Se è questo che vuoi» trovò la forza di sussurrare, ben conscio di non voler sapere la risposta.

Crawly non ribatté subito: appoggiò la fronte al tronco senza guardare l'angelo, le spalle rigide e tese. Solo dopo qualche attimo mosse la testa in quello che Aziraphale considerò un assenso.

Annuì a sé stesso, sconfitto. Si costrinse ad accontentare l'altro, ma prima di andarsene si curò di far apparire una benda bianca sul terriccio accanto a Crawly.

«Arrivederci» salutò atono per poi tornare indietro verso la città.


Aveva avuto un'idea. Idea che gli era costata un paio d'ore di discussione con uno dei discepoli di Socrate. Ma alla fine ci era riuscito, più o meno: Platone aveva cominciato a prendere in considerazione la possibilità di tramandare la memoria del processo, della strenua difesa del maestro. Sarebbe stato un peccato lasciare che quella straordinaria arringa venisse dimenticata per colpa di una sentenza ingiusta. Socrate era un uomo onesto, buono: non meritava quella condanna e non meritava l'oblio. Qualcuno doveva prendersi la briga di assumersi la responsabilità di fare giustizia.

Aziraphale credeva fermamente in tutte le cose che gli aveva detto, ma doveva ammettere di aver abbellito qui e là il discorso per riuscire a entrare nelle grazie del raffinato Platone. Le lusinghe dirette non funzionavano, aveva notato, perciò l'unica via era stata quella di provare l'inoppugnabile logica della sua argomentazione. Un'esperienza estenuante, ma dall'esito lodevole. O almeno questo era quello che sperava mentre se ne stava addossato allo stipite della sua casa ateniese, gli occhi persi nel vuoto.

Si accorse della presenza di Crawly solo quando fu sufficientemente vicino da udirne il sibilo. Trasalì appena, riemergendo dai suoi pensieri, ma non osò tentare alcun approccio: era stato scacciato via, d'altronde. Per quanto ne sapeva, il demone poteva averlo rintracciato solo per dirgli che non lo voleva più tra i piedi in generale, non solo lì in Grecia. Ma nulla nell'atteggiamento piuttosto neutro dell'altro faceva supporre ciò.

«È morto»

L'affermazione era stata rilasciata insieme a un sospiro e Aziraphale sentì che era crollato – almeno in parte – il muro che il demone aveva eretto intorno al suo dolore. Se non altro, la ribollente rabbia non era più visibile.

L'angelo annuì. «Mi dispiace. È stato veloce?»

«Credo». Crawly puntò per un attimo lo sguardo sull'angelo, ma lo distolse in fretta. «Non ero con lui in cella quando ha bevuto la cicuta. C'erano i suoi seguaci. Solo Platone non c'era6»

Aziraphale si sentì in colpa. Non aveva forzato l'allievo a rimanere in casa per stare a sentire la sua storia sul valore della memoria, ma si disse che avrebbe potuto convincere l'uomo a recarsi dall'amico in pena, cosa che non aveva fatto.

«Hanno cercato di convincerlo a scappare, a lasciare Atene, ma lui ha rifiutato» fornì Crawly con malcelato disprezzo nella voce. «Ha detto loro che devono restituire un pollo o qualcosa del genere a uno7». Stavolta il demone rise, ma la tristezza era visibile negli occhi da serpente.

Aziraphale si azzardò a sorridere a sua volta, abbassando lo sguardo per non incontrare l'eventuale rimprovero nelle iridi di Crawly. Fu allora che notò la fasciatura bianca alla mano destra. Riconobbe il suo pezzo di stoffa ed avvertì un improvviso calore dalle parti del collo. Lo ignorò.

«Ti fa male?» chiese. Incrociarono gli sguardi e Aziraphale capì di dover precisare: «La mano»

«Mm? Ah. No, non proprio» assicurò il demone. «Solo un graffio, angelo»

Aziraphale annuì, sorridendo più apertamente. Tornarono a fissare punti imprecisati nello spazio intorno, i pensieri e le emozioni troppo complessi da mettere in parole. Rimasero in silenzio per un tempo indefinito, estremamente carico di disagio.

Fu Aziraphale a interromperlo.

«Sai,» cominciò, catturando l'attenzione dell'altro in un secondo, «credo che sia stato molto coraggioso da parte sua non evadere»

«Molto stupido, vorrai dire»

«Molto coerente, se non altro». Guardò il demone negli occhi. «Ha accettato le responsabilità delle sue azioni. Non ha mai fatto niente di male, ma la giuria lo ha ritenuto colpevole. Ha combattuto con le sue armi e ha accolto la condanna, anche se sbagliata»

«Faceva domande» ribatté Crawly laconico.

«Ed è male?»

Il demone lo fissò di nuovo in un modo diverso dal solito, che l'angelo aveva già visto una volta, ma che non era riuscito a decifrare. Anche lì Aziraphale non colse il significato di quello sguardo, ma poteva vedervi qualcosa di profondamente intenso, un misto tra una supplica e una provocazione.

«Dimmelo tu» fu quello che uscì dalle labbra del rosso.

Aziraphale cercò di ricacciare indietro la sorpresa prima di rispondere con onestà. «No. Voglio dire, perché dovrebbe? È il punto dell'umanità, giusto? Il libero arbitrio e tutto il resto. Non ci vedo niente di male»

Crawly, inaspettatamente, lo derise. Aziraphale era confuso: insomma, stava sinceramente difendendo Socrate e il suo modo di fare ricerca. Perché non era abbastanza? Erano dalla stessa parte, almeno in quello.

«Per gli umani va bene, certo» interpretò il demone. «E che mi dici degli angeli?»

Aziraphale avvertì un nodo alla gola all'improvviso. Perché Crawly gli rivolgeva quella domanda? Si era forse accorto della sua tendenza a pensare con la propria testa quando il demone era nei paraggi? Era questa la provocazione che aveva avvistato poco prima, fargli ammettere che nella sua mente regnava il dubbio ogni volta che Crawly evidenziava un lato diverso della situazione in cui erano capitati insieme?

Provocazione o meno, Aziraphale non poteva negare quell'aspetto del loro rapporto che gli istillava la curiosità di andare oltre la superficie e, magari, di pronunciare un sonoro no alla Necessità.

«Penso... – fece una pausa, di nuovo colto alla sprovvista dalla sua stessa audacia – penso che fare domande possa... ampliare gli orizzonti anche per... per noi»

Per me, pensò, lasciando solo che si esibisse un'espressione un po' accigliata sul suo volto senza che le parole la accompagnassero. Non era sicuro di voler ricordare a sé stesso e a Crawly la loro diversa natura, non dopo aver ammesso nell'intimità dei suoi pensieri di essere un po' come il demone riguardo alla curiosità.

Cercò la reazione del rosso sul suo viso e vi lesse stupore. Crawly era sorpreso, in qualche modo, dalla risposta ricevuta e per un lungo minuto non parlò affatto. Aziraphale pregò di non ricevere la stessa domanda sui demoni perché, si rese conto, la soluzione al quesito sarebbe stata così pericolosamente simile a quella sugli angeli se non addirittura più gratificante da metterlo seriamente in imbarazzo.

«D'accordo» disse il demone e Aziraphale tirò un impercettibile sospiro di sollievo.

«È meglio che vada» soggiunse Crawly poco dopo, vagamente impacciato. «Voglio vedere come finisce la questione del pollo»

L'angelo aveva pensato di invitarlo in casa per un paio di coppe di vino, ma fu costretto a reagire con un comprensivo «Oh, certo»

«Ci si vede, angelo» salutò il demone, sventolando debolmente la mano fasciata mentre si allontanava.

«A presto. Ah, Crawly!» lo richiamò indietro. «Rimani ancora qui per molto?»

Il rosso si strinse nelle spalle, noncurante. «Non ne ho idea»

«Mm. Senti, rimani un altro po', d'accordo? Resto anch'io»

Il demone lo guardò estremamente perplesso. «Tutto a posto, Aziraphale?»

«Sì. Ho solo fatto... una cosa e vorrei vederne l'esito»

«E io come sono coinvolto?»

Aziraphale si sentì arrossire a disagio. Non voleva dirgli del suo esperimento con Platone8, voleva che fosse una sorta di sorpresa, un ricordo da conservare per il demone.

«Resta e lo saprai»

Il demone allargò le braccia, basito, ma una scintilla nelle iridi gialle fece capire all'angelo di aver vinto.

«D'accordo» assentì. «Ma appena verifichi questa cosa mi tiro fuori da questa pallosa democrazia»

Aziraphale rise mentre Crawly riprendeva il cammino. Lo osservò per qualche secondo, improvvisamente intrigato dall'enigma che il demone rappresentava. Aveva tante domande per lui, ma mai abbastanza coraggio da esprimerle ad alta voce. E così Crawly ai suoi occhi rimaneva un mistero e una contraddizione vivente: un demone che teneva ai bambini.

Si chiese se non fosse meglio così, in fondo: voleva davvero sapere di più sul suo bizzarro nemico? Cosa avrebbe fatto con questa conoscenza? Niente, assolutamente niente.

Ma nella sua mente non era quella la risposta che gli si era palesata.

Sì.

Scosse la testa come per scacciare un pensiero molesto. Poi spinse la porta e rientrò in casa, illudendosi di poter sfuggire così alla sua curiosità.

Questo, ovviamente, non accadde.









Note:

[1]: I personaggi qui citati compaiono nel dialogo di Platone “Menone”. Il “pallone gonfiato” è Menone, saccente e presuntuoso, istruito dai sofisti e giunto ad Atene in veste di ambasciatore della Tessaglia (i Tessali cercano aiuti militari e sperano di ottenerli dal nuovo governo democratico che ha rovesciato i Trenta Tiranni); l'“altro idiota” è Anito, politico ateniese, molto più arrogante di Menone e sprezzante dei sofisti, tra cui annovera anche Socrate. Sarà uno dei principali accusatori del filosofo.

[2]: Le fonti principali (Platone, Aristotele, Senofonte) sottolineano la bruttezza e l'aspetto offensivo di Socrate, mettendo poi in luce il contrasto con la sua personalità buona e giusta.

[3]: Riferimento alla maieutica: far sorgere la verità dall'interlocutore stesso attraverso una serie di quesiti logici deduttivi, senza l'intervento della persuasione tipica della sofistica.

[4]: Nell'“Apologia” scritta da Platone si dice che Socrate provocò una reazione indignata nella giuria suggerendo innanzitutto che avrebbero dovuto mantenerlo a spese della città nel pritaneo, il luogo più illustre di Atene, e poi proponendo una multa di una sola mina d'argento, che riuscì ad alzare a trenta solo per i prestiti degli amici. La giuria si sentì presa in giro.

[5]: Socrate non ha scritto niente.

[6]: Nel dialogo “Fedone” Platone è l'unico che non va a trovare Socrate in cella.

[7]: “Dobbiamo un gallo ad Asclepio: dateglielo, non dimenticatevene.” -cit. Sempre dal “Fedone”.

[8]: Datare le opere di Platone è un dramma filologico tuttora irrisolto, ma dalle analisi si può pensare con una certa sicurezza che l'“Apologia” sia stata scritta tra il 399 a.C., l'anno della condanna, e il 388 a.C.

   
 
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