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Autore: Melabanana_    30/07/2019    2 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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.~    Midorikawa’s Arc    ~.
The Forgotten Song
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[Midorikawa's P.O.V.]

 

Sentii le sue labbra contro la mia fronte ancora prima del calore del sole.
Non aprii gli occhi subito, no. Una parte di me mi diceva di farlo, per poter vedere il suo volto il prima possibile, ma non c’era alcuna fretta ed ero curioso di cosa sarebbe venuto dopo. Sentii le sue dita scostarmi la frangia e seguì un altro bacio, sulla tempia. Mi sforzai di trattenere il sorriso che minacciava di tradirmi. Bisognava avere pazienza. Il fresco notturno si era consumato velocemente, lasciando che la stanza tornasse calda, e non in modo piacevole. Si trattava di quel caldo estivo umido e afoso. Questo, e i cicloni, rendevano la stagione estiva a Tokyo particolarmente dura e il tempo passato assieme terribilmente prezioso. Prevedere quando saremmo stati sommersi di lavoro era impossibile. Basta pazienza.
Afferrai la mano di Hiroto e rotolai verso di lui, in modo da spingerlo contro il materasso, sotto di me. I suoi occhi si sgranarono per un momento. Sorrisi, compiaciuto che il mio attacco a sorpresa fosse andato a segno.
-Buongiorno- sussurrai, inclinando leggermente il capo per far scivolare i capelli sulle spalle.
-È sleale far finta di dormire- replicò Hiroto, trattenendo un sorriso. Sollevai le sopracciglia.
-E baciarmi nel sonno non lo è?
-Non ti ho baciato- mormorò, i suoi occhi guizzarono verso le mie labbra. –Non davvero…
Beh, era il momento di rimediare. Mi chinai e lo baciai sulle labbra, un contatto che voleva essere breve, lungo quanto il tempo di dire “buongiorno”, ma che divenne molto di più quando Hiroto si tese verso di me dal basso. Intrecciai le dita con le sue, mentre con l’altra mano gli accarezzavo il viso. La mano libera di Hiroto salì lungo il mio braccio e si arrestò sulla mia nuca per tenermi premuto contro di lui. Decisi di mordergli leggermente il labbro, un’idea che fu ricompensata da un gemito e un suono soffocato che avrebbe potuto essere il mio nome. Una familiare, naturale sensazione di calore si diffuse gradualmente dal petto al resto del corpo. Mi staccai a fatica da lui.
-Se continuiamo, presto non potremo fermarci- commentai, con voce molto meno ferma di quanto avessi voluto. Hiroto si leccò le labbra, facendomi vacillare.
-Dobbiamo fermarci…?- chiese, una mano stretta nella mia e l’altra tra i miei capelli. Guardai rapidamente al di là dello schienale del suo letto, verso la sveglia. Segnava le otto.
-Mi sa di sì- bisbigliai con una smorfia, poi mi ricordai di una cosa e abbozzai un sorriso.
-Non avevi detto di tenermi libero oggi, perché abbiamo “programmi”?- chiesi. A quelle parole, vidi i suoi occhi schiarirsi.
-Oh, sì- disse. –Per quanto mi piacerebbe un bis di ieri sera, abbiamo davvero dei programmi, quindi ci tocca alzarci e prepararci. Hai bisogno di tornare in camera tua?
Il mio sguardo cadde sui vestiti del giorno precedente, sparsi a terra. Ne avevo bisogno. Per quanto scomodo potesse sembrare, avevamo deciso di non modificare la disposizione delle stanze. Solo perché eravamo due coppie, non significava che le nostre storie dovessero influire sul nostro rapporto col partner. Questo, e poi Hitomiko non l’avrebbe mai permesso. Era sempre molto ferrea su quello che potevamo o non potevamo fare nelle camere, e non a torto. Il solo pensiero di come avevamo trascorso la serata prima di addormentarci mi mandava il viso a fuoco (il bis sarebbe piaciuto anche a me, però).
Accesi il telefono e mandai velocemente un messaggio a Kazemaru per chiedergli di portarmi dei vestiti puliti, poi, mentre Hiroto sceglieva cosa mettersi, mi infilai per primo in bagno. Non avevo addosso nulla a parte l’intimo, che mi sfilai rapidamente prima di farmi una doccia veloce. L’acqua fresca lavò via ogni traccia di pigrizia e desiderio, e cominciai invece a chiedermi quali fossero i misteriosi programmi che Hiroto aveva in serbo per me. Non avevo praticamente nulla su cui basare le mie aspettative. Mi sarei divertito comunque, con Hiroto. Uscii dal bagno in mutande e con un asciugamano sui capelli bagnati. Nel frattempo, Hiroto aveva scelto una camicia bianca a mezze maniche e un pantaloncino, ma li aveva soltanto appoggiati sul letto. Era ancora svestito, in attesa di poter usare la doccia. Mi avvicinai e lo abbracciai da dietro.
-Non mi hai detto dove andremo, o cosa faremo- esclamai. Lui mi sorrise.
-Perché è una sorpresa.
-Nessun indizio?
-Va bene. È un posto dove siamo già stati.
Lo guardai accigliato. –Sai che non restringe molto il campo.
-L’indizio è solo questo: ci siamo stati assieme- rispose, scrollò le spalle. Si voltò nell’abbraccio, tenendomi le mani, e premette le labbra contro le mie.
In quel momento, Endou aprì la porta della stanza e si paralizzò sulla soglia. Hiroto ed io ci staccammo e lo fissammo.
-Oh merda- disse Kazemaru. –Mamoru, te l’avevo detto che era meglio bussare…
-Ma ho le chiavi!- ribatté Endou, che aveva chiuso istintivamente gli occhi, per chissà quale motivo.
Hiroto sospirò. –Endou, apri gli occhi, non stiamo facendo niente- disse.
-Ci stavamo vestendo- aggiunsi io. Kazemaru ci guardò. Sia Hiroto che io eravamo ancora in mutande, cosa che probabilmente invalidava la mia spiegazione. Kazemaru decise di non commentare e mi allungò i vestiti che mi aveva portato, un pantaloncino e una canottiera.
Notai che Endou aveva un pallone da calcio sottobraccio.
-Fate una partita? Con questo caldo?- chiesi, accigliato. Endou sembrò riprendere vita: spalancò gli occhi e sorrise, come se avesse dimenticato ogni cosa successa fino a un minuto prima.
-Certo! Il caldo non mi sconfiggerà!- dichiarò. –Mi sento irrequieto se non faccio abbastanza movimento. Facciamo troppo lavoro alla scrivania, non sono abituato!
-In effetti, sei più portato per il lavoro sul campo- osservò Hiroto, evitando delicatamente di menzionare la pila di documenti che Endou aveva sbagliato ad archiviare il mese precedente e che, com’era naturale, erano ricaduti sulle spalle del suo partner. Per fortuna, Hiroto era decisamente più capace in quel tipo di lavori ed era riuscito a smaltire tutto il lavoro in pochi giorni.
-Ecco! Le cose sono state fin troppo calme, di recente- disse Endou. –Non che non sia felice del fatto di non avere più missioni mortali da svolgere. Ce la meritiamo, la pace. Ci meritiamo un po’ meno tutto questo lavoro d’ufficio.- Strinse il pallone in entrambe le mani e lo tese in avanti come se volesse offrircelo. –Allora, giochiamo a calcio? Sono venuto a invitarvi, in realtà!
-Ah, mi dispiace, Midorikawa ed io abbiamo già dei programmi- rispose Hiroto, abbozzando un sorriso di scuse.
-Oh, davvero?- commentò Kazemaru, guardandomi. –Cosa fate di bello? Appuntamento?
-Così sembra, ma Hiroto non vuole dirmi niente!
-Tutto a suo tempo- recitò Hiroto, con una calma degna di un Buddha. Mi venne il dubbio che lo stesse facendo apposta. –Mi dispiace, ragazzi, sarà per la prossima volta. Ma oggi abbiamo tutti il giorno libero, giusto? Potresti chiedere a Burn e Gazel.
Endou annuì con vigore. –Pensavo già di andarci, ma Kazemaru doveva vedere Midorikawa quindi siamo venuti prima qua. Oh, e ho già reclutato Kidou, Gouenji, e le ragazze- spiegò, contando i partecipanti sulle dita della mano. -Beh, siamo già un numero pari, ma se Burn e Gazel accettano possiamo fare quattro contro quattro. È più divertente se siamo di più!
-A Gazel farebbe bene staccare un po’ dal lavoro- osservai. Gazel era una delle persone che più di tutte si era trovata sommersa di lavoro, e per di più non aveva avuto un attimo di respiro da quando era tornato in servizio. Almeno sembrava fosse maturato abbastanza da non usare più la spillatrice come un’arma se Burn lo irritava (per fortuna, visto che Burn lo irritava spesso).
–Non lo vedo da qualche giorno, magari faccio un salto a vedere come sta- aggiunsi, pensieroso.
-Vai pure, io devo ancora farmi la doccia- disse Hiroto. -Ci vediamo giù quando sono pronto.
-Se ti vesti in fretta, ti aspettiamo e scendiamo assieme- mi propose Kazemaru. Annuii ad entrambi e mi sbrigai a prepararmi per uscire.


 
xxx
 


L’ufficio dove lavoravano Gazel e Burn era più ordinato di quanto mi aspettassi, o forse sarebbe stato meglio definirlo... vuoto. Del resto, la stanza era stata praticamente ricostruita da zero, dopo essere stata distrutta da Coyote, congelata inavvertitamente da Gazel e in seguito chiusa e sigillata perché inagibile. L’agency aveva finalmente avuto il tempo e i fondi sufficienti per rimetterla in sesto soltanto una volta chiusi i conti con Garshield, e sospettavo che Gazel avesse avuto suggerimenti a riguardo. Dal momento che molti documenti cartacei erano stati sbrindellati, danneggiati o comunque resi illeggibili, Gazel aveva eseguito un massiccio arricchimento del nostro database elettronico; per questo, erano stati eliminati gli archivi fisici e i pochi fogli rimasti erano stati raccolti in apposite cartelle e conservati in scatole molto meno ingombranti. In sostanza, la stanza sembrava cinque volte più grande e descrivere l’arredamento come minimalista sarebbe stato un eufemismo. Non c’era quasi nessun mobile, ad eccezione di due scrivanie di metallo e due sedie girevoli, in sostituzione di quelle vecchie in legno, e un secchio della spazzatura posizionato tra le due scrivanie. Sulle finestre, al posto delle tende, erano state montate delle tapparelle. Erano state aggiunte anche altre cose: un condizionatore, una fotocopiatrice, un tritacarte e, dietro la scrivania di Gazel, persino un piccolo frigo.
Gazel era seduto su una delle due sedie, il pc spento e le gambe poggiate sulla scrivania. La canottiera e il pantaloncino mettevano in bella vista la pelle che aveva iniziato già ad abbronzarsi, nonostante passasse molto più tempo dentro l’ufficio che fuori. Stava sgranocchiando un ghiacciolo di un colore indefinito e leggendo qualcosa dallo schermo di un tablet. Burn era seduto poco lontano, totalmente abbandonato a terra, con le gambe larghe, la schiena poggiata contro il muro e uno stecchetto di gelato stretto tra i denti. Stava giocando con una playstation portatile, con un’espressione molto concentrata. Sia Gazel che Burn rimasero con gli occhi incollati ai loro schermi quando entrammo nella stanza, anzi forse non avevano neanche sentito bussare.
Nonostante la palese mancanza d’interesse, Endou non perse un minuto di più.
-Ragazzi! Giochiamo a calcio!- esclamò appena messo piede nella stanza. Sollevò la palla sulla testa come un trofeo e rivolse loro un sorriso smagliante. Burn alzò lo sguardo, le dita in pausa sullo schermo. Gazel non si mosse.
-Caldo- disse, senza elaborare oltre, e staccò un pezzo di ghiacciolo coi denti.
-Un po’ di movimento ti farà bene!- ribatté Endou senza perdersi d’animo. Questa volta Gazel lo guardò.
-Devi proprio venire qui ogni volta?- chiese, sollevò un sopracciglio.
-Già- rispose Endou –anche perché alla fine mi dici sempre di sì.
Cominciavo a capire come si fosse abbronzato, nonostante tutto.
Gazel sospirò. –È il mio dannato giorno libero- disse. Endou continuò a fissarlo sorridente.
-Non è un no.
-Dammi almeno il tempo di finire il mio gelato. E mi devo mettere le scarpe chiuse.- Gazel bloccò lo schermo del tablet, lo fece scivolare nel cassetto della scrivania e ce lo chiuse a chiave. Finì il ghiacciolo morsi e ne lanciò lo stecchetto nella spazzatura.
-Io sono già pronto- disse Burn, mettendosi in piedi con un balzo. Lasciò la playstation sulla propria scrivania, buttò lo stecco del gelato e si inginocchiò vicino al frigo, dal quale tirò fuori una bottiglietta di gassosa alla ciliegia. Gazel la occhieggiò disgustato, poi tornò a cercare le scarpe.
-Come fai a bere quella roba? Ha un sapore così… strano- borbottò.
Mi aspettavo che Burn contestasse, invece si limitò a scrollare le spalle e stappare la bottiglia. Ne bevve quasi metà in un colpo, poi si pulì la bocca con il dorso della mano e disse:- Le tue scarpe sono vicino a quelle scatole. Le hai lanciate lì stamattina.
-Ah, ecco. Potevi dirmelo subito- replicò Gazel. Fece una pausa, poi aggiunse sottovoce un “grazie” e attraversò la stanza per andare a prendere le scarpe. Burn sorrise, divertito. Sembravano essersi completamente dimenticati che c’eravamo anche noi.
Kazemaru mi diede una gomitata leggera per attirare la mia attenzione e mi sussurrò:- C’è qualcosa che mi sono perso?
-Non solo tu- bisbigliai in risposta.
Non si poteva semplicemente dire che fossero maturati: c’era qualcosa di diverso nel rapporto tra Burn e Gazel, qualcosa si era trasformato nel loro modo di relazionarsi l’uno all’altro e con il mondo. Non avrebbe dovuto essere così sorprendente. Era stato un anno a dir poco turbolento e la maggior parte di noi aveva visto la propria vita finire sottosopra. Questo era successo anche a Gazel, che aveva recuperato i propri poteri e, con essi, i propri ricordi. Forse era inevitabile che la sua visione del mondo si modificasse. A meravigliarmi di più, invece, era stato il cambiamento di Burn. Dopo il rapimento di Gazel e la morte di Chang Soo, era diventato più tranquillo, meno propenso a scoppi d’ira e provocazioni. Forse anche lui aveva fatto pace con i suoi demoni, di cui non sapevo nulla. Era sempre la solita testa calda, certo, ma a bruciare dentro di lui non era più un fuoco distruttivo. Anzi, di tanto in tanto, nei suoi occhi poteva essere trovata persino qualche traccia di gentilezza, soprattutto quando guardava Gazel.
Gazel ritornò dopo qualche minuto con le scarpe da ginnastica ai piedi.
-È assurdo pensare che il caso Garshield abbia lasciato così tanto di cui occuparsi, considerando che prima non riuscivamo a trovare niente che lo ricollegasse ai suoi crimini. Sapete quanto lavoro mi è toccato negli ultimi quattro mesi?- Gazel sospirò e si massaggiò la fronte, irritato.
–Non appena lo abbiamo preso, improvvisamente tutte le prove della sua colpevolezza hanno deciso di spuntare fuori… dal nulla. Afuro mi ha detto che in Sud Corea hanno ricevuto più di cinquanta testimonianze impreviste, gli hanno invaso l’agency, non sapevano più dove metterli...
-Provo a indovinare. Fino all’arresto erano tutti in silenzio per paura, o per soldi- commentò Kazemaru. Gazel annuì.
-O entrambi i motivi, forse. Poi, dopo che è stata annunciata la condanna a morte, sono venuti fuori tutti insieme, ne sono spuntati migliaia, sparsi per tutto il mondo… Sono persino ricomparsi fascicoli che erano stati insabbiati, cartelle segrete…- disse, scuotendo il capo.
- Sembra non esserci mai fine all’orrore- sbottò Burn, alzò gli occhi al cielo. –È come se qualcuno stesse facendo tutto questo di proposito. Magari ora scopriremo che qualche ex collega di quello stronzo è ancora in circolazione.
-Spero di no, ho già abbastanza da fare- replicò Gazel. Scrutai il suo viso e, finalmente, mi azzardai a fare una domanda che avevo trattenuto per molto tempo.
-Gazel, tu… come stai?- chiesi. Subito avvertii la tensione farsi palpabile. Gazel mi guardò dritto negli occhi. Burn spostava lo sguardo da me a lui, e viceversa, attentissimo. Endou e Kazemaru si fecero da parte.
-Noi… aspettiamo fuori- disse Kazemaru, con tatto, poi uscirono dalla stanza e chiusero la porta.
Passò un altro momento prima che Gazel parlasse. Credevo che anche Burn sarebbe uscito, invece rimase. A Gazel non sembrava importare. Decisi di controllare la mia empatia per rispetto dei suoi sentimenti e il peso della tensione scomparve, lasciando soltanto il mio nervosismo.
-Sono ancora scombussolato, credo- ammise, alla fine. –Ogni tanto mi tornano in mente delle cose… Beh, ero molto piccolo quando è avvenuto l’incidente, quindi credo sia impossibile che io recuperi tutti i ricordi della mia infanzia. Ma mi ricordo di mia madre… e questo per ora mi basta.
Tacque per un momento, poi si appoggiò alla scrivania e abbassò lo sguardo, fissandosi la punta delle scarpe, come se fosse in imbarazzo.
-Sai, inizialmente non volevo ricordarla. Il primo ricordo che mi è tornato, quel giorno… è stato la sua morte. Forse per questo i miei poteri sono esplosi, è successo anche allora. Forse è stata la sua morte a farmi perdere il controllo… Non lo so. Ma avevo paura. Non volevo pensarci, ho cercato di non pensarci per così tanto tempo, anche dopo che è finito tutto- confessò, timidamente. Poi la sua espressione si addolcì.
-Ci sono ancora molte cose che non so, che non capisco. Ma, a poco a poco, hanno iniziato a tornare altri ricordi. Ricordi belli. Adesso, pensando a lei, mi sembra quasi di ricordare il suo calore. I suoi abbracci. Il suo sorriso. Lei è una parte di me. Anche se ho paura, sto lavorando per controllare il mio dono… lo devo a lei e a me stesso.- Sorrise dolcemente. Non avevo mai visto un’espressione tanto rilassata sul suo volto.
–E poi Chang Soo mi ha lasciato… Quando sono andato in Corea, Afuro mi ha dato un fascicolo su di me. Chang Soo aveva raccolto tutta la mia storia e aveva chiesto ad Afuro di darmelo, in caso non potesse farlo lui. Ce l’ho da mesi e non l’ho ancora aperto, ma un giorno lo farò. So che lo farò. Il solo fatto che esista… mi rende felice.
Notai che Burn stava sorridendo, forse imitando inconsciamente Gazel, come uno specchio. Forse perché lui sapeva già tutto. Mi trovai a sorridere anche io.
-Sono felice per te- dissi. Almeno questa storia aveva portato qualcosa di positivo a qualcuno.
Gazel alzò di nuovo lo sguardo. I suoi occhi erano di un azzurro terso e chiaro come un cielo estivo.
-Spero di poter dire lo stesso per te, un giorno- mormorò. –Hai novità su…?
Scossi il capo. I miei sogni andavano e venivano, così come i miei poteri. Da quando mi ero svegliato dopo il coma, sembravano essere spariti di nuovo. Pensare che si fossero stabilizzati sarebbe stato troppo ingenuo. Avevo invece la sensazione fossero solo assopiti, da qualche parte dentro di me. Gazel e Burn mi rivolsero un’occhiata di comprensione.
-Spero anch’io che si risolverà, un giorno- dissi. –Intanto, magari, potrei provare ad andare da uno psicologo vero- aggiunsi, in tono scherzoso. Il mio tentativo di alleggerire l’aria fu ben accolto: Burn ghignò, mentre Gazel finse di essere offeso e mi diede un pugno sul braccio, senza forza.
-Magari- commentò. Non aggiunse altro, ma stava sorridendo.
Poco dopo, la porta si aprì e Kazemaru fece capolino.
-Pronti ad andare? Midorikawa, Hiroto è qui- disse.
-Arrivo subito- risposi, mi girai verso Gazel e Burn, ma loro non mi seguirono subito. Burn mi fece cenno di andare avanti. Annuii. Poco prima di voltarmi, intravidi un movimento, Gazel che prendeva la sua mano. Le labbra di Burn si curvarono in un sorriso.
-Pensavo che non ti piacesse il sapore- lo sentii dire.
-Sta zitto- lo redarguì Gazel senza troppa convinzione. Chiusi la porta alle mie spalle proprio mentre i due ragazzi annullavano lo spazio che c’era tra loro con un bacio.



 
xxx
 


Non potevo credere ai miei occhi.
-Il Luna Park? Quel Luna Park? Sul serio?- esclamai, probabilmente a voce troppo alta. Una signora che stava cullando il figlio piccolo accanto a me mi gettò un’occhiataccia. Hiroto le rivolse un sorriso di scuse, poi mi prese per mano e attraversammo la strada.
-Non vedevo l’ora di fare un giro sulle tazzine. L’ultima volta ci siamo proprio divertiti- disse, ironico, e scoppiò a ridere. Non riuscii a trattenermi a mia volta. Quando riuscii a smettere, eravamo già in fila per entrare, circondati da famigliole con bambini e bambine urlanti e da altre coppie.
-Beh, la sorpresa è riuscita, mi hai davvero sorpreso- ammisi. –Ma come mai qui? Vuoi davvero fare un giro sulle tazzine?
-Certo- disse lui. –Quello, e poi vorrei sovrascrivere gli altri ricordi che ho di questo posto. Con te.
Continuava a tenermi per mano, incurante di occhiate altrui. Mi rendeva felice.
Appena entrati, fui io a trascinarlo verso le tazzine. Sicuramente l’addetto trovava strano che due ragazzi belli cresciuti volessero entrare su quella giostra, ma non ne mostrò segni sul volto. Ci sedemmo in una delle tazze più grandi, nella quale stavamo giusto un po’ meno stretti, con le gambe piegate contro il petto. Era una tazza rosa confetto. Mi abbracciai le ginocchia e ci appoggiai la guancia.
-Sai, questo è il posto in cui ho capito di essere innamorato di te- confessai, sincero. Hiroto mi guardò, sorpreso, e un lieve rossore si diffuse sul suo viso.
-Tranquillo, lo so che a quel tempo ero l’ultimo dei tuoi pensieri- dissi, accennai una risata.
Hiroto scosse il capo ed abbassò lo sguardo, quasi con timidezza.
-Oh, no, non è affatto vero. Occupavi già abbastanza dei miei pensieri- ribatté.
-Davvero?
-Ti ho baciato io a quel ballo.
-Oh, è vero- non trovai altro da dire, sorpreso.
Hiroto sospirò e alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva.
-Lo so. Non è stato molto… da gentiluomo. In realtà, credo di averti confuso un bel po’, con tutti quei segnali misti. Mi dispiace per come mi sono comportato- disse. –Forse lo hai notato, ma sono un po’ lento nelle… questioni di cuore. Insomma, non ho mai fatto realmente qualcosa per farmi notare da Endou. Anche dopo essere stato rifiutato, avrei potuto comunque fare qualcosa. Invece non ho mai fatto alcun progresso, in tutti questi anni. Te l’ho detto, mi piacevi anche allora.
-Vero, me lo hai detto. Comunque mi fa strano pensare che occupassi tanto spazio nella tua testa. L’ultima volta che siamo stati qui, poi mi hai rifiutato. Penso che non fossi l’unico a essere confuso… lo eri un bel po’ anche tu- commentai, ridendo. Hiroto mi guardò negli occhi e mi prese le mani.
-Sì, la strada è stata tutt’altro che facile, ma l’importante è essersi trovati- disse.
Annuii. Intanto, la giostra cominciò a muoversi e la tazza a ruotare insieme alle altre. La musica di sottofondo era allegra e vivace. Ci godemmo il giro in silenzio, tenendoci le mani. Hiroto mi accarezzava il dorso di una mano col proprio pollice, era una sensazione piacevole. Quando il giro finì, impiegammo qualche minuto a districarci e uscire dalla tazza, il che scatenò un’altra fitta di ilarità da parte di entrambi. I bambini ci guardavano confusi e divertiti. L’addetto ci salutò con calore. Appena riuscii a calmarmi, scelsi un angolo un po’ meno affollato e soleggiato per stiracchiarmi. Hiroto fece lo stesso. Quando sorrideva in modo così luminoso, i suoi occhi sembravano brillare. Mi trovai a dovermi trattenere dal baciarlo in pubblico.
-Allora… Mi hai portato qui per parlarmi di qualcosa, vero?- chiesi per spezzare il silenzio. Lo vidi immobilizzarsi per un attimo, ma si rilassò subito.
-Come hai fatto a capirlo?- domandò, curioso.
Feci spallucce. -Forse te lo ricorderai, ma, come ho già detto, mi piace osservarti. E ormai ti conosco da un po’- risposi. Gli offrii la mano e lui la prese senza esitazione.
-Quindi è proprio vero. La tua empatia non è più tornata- osservò con tranquillità.
-No- scossi il capo –non con te. Non riesco a percepire nulla quando sono con te.
-Ti dispiace?
Ci pensai per un po’, poi dissi:- No, non particolarmente. Solo di recente ho imparato a usarla o bloccarla come voglio, ma per anni non è stato così, non è mai stata una mia scelta… È piacevole essere soli nella propria testa, ogni tanto. Comunque, non credo di averne bisogno quando sono con te.- Mi accorsi che Hiroto appariva sollevato. –Per esempio, adesso sei sollevato. Perché?
Lui rise. –Niente di particolare, è solo che…- esitò –Mi sentivo un po’ in colpa, immagino. Credo di aver scoperto perché non funziona più su di me. Penso… Penso di averla annullata, quel giorno. Quando mi hai inseguito e ho usato per sbaglio il mio dono contro di te, ho nullificato gli effetti del tuo su di me. È da allora che non la puoi più usare, giusto?
-Credo che tu abbia ragione- osservai, pensieroso. –Ma non devi sentirti in colpa. A me non dispiace affatto. Anzi, ho cominciato a pensare che sia piuttosto brutto, entrare nel cuore degli altri senza permesso. Io non vorrei che qualcuno lo facesse a me, perciò ora cerco di starne fuori, a meno che non sia necessario.
Hiroto mi rivolse un sorriso più luminoso del sole stesso.
-È per questo che ti amo- disse, e mi fece arrossire.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, però, mi accorsi che eravamo nelle vicinanze della ruota. Eravamo quasi al centro della sua grande ombra. Quella grande giostra che incombeva su di noi mi metteva a disagio ed evocava immagini che non volevo nella mia testa. Improvvisamente, ebbi paura che Hiroto volessi salire e puntai i piedi a terra, fermandomi di botto, nonostante non volessi affatto restare lì.
-La ruota no!- esclamai. Hiroto, costretto a fermarsi insieme a me, si girò a fissarmi perplesso. Rendendomi conto di aver alzato la voce per una sciocchezza, abbassai lo sguardo, imbarazzato, e cercai di pensare ad una spiegazione valida.
-Ho… dei ricordi legati alla ruota. Non voglio- dissi, nervoso. Non era tutta la verità, ma non era una bugia. Mi morsi il labbro inferiore.
Con mio enorme sollievo, Hiroto non mi fece domande; mi portò invece lontano da lì, il più lontano possibile, come se allungare la distanza tra noi e l’oggetto potesse guarirmi all’istante. In effetti, funzionò: allontanarmi mi aiutò a tornare rilassato, anche se non proprio come prima. Quando trovammo una panchina all’ombra, Hiroto mi fece sedere e corse via a comprare qualcosa da bere. Mentre lui era via, mi presi un po’ di tempo per inspirare ed espirare profondamente e sperai che questo bastasse a calmarmi. La mia mente traditrice continuava a sovrapporre immagini del mio passato a quelle del presente, accostando una ruota panoramica grigia e arrugginita a quella del parco. Avrei voluto prendermi a pugni per aver rovinato la nostra uscita.
Hiroto tornò circa cinque minuti dopo, con due bicchieri di tè freddo. Me ne offrì uno, lo ringraziai a bassa voce. Notando il mio umore cupo, Hiroto esitò, poi si sedette accanto a me.
-Scusami, non lo sapevo- mi disse, costernato, scrutandomi.
-Non è colpa tua. Appunto, non potevi saperlo- replicai, scossi il capo. Non ero certo di averlo mai detto a qualcuno.
–Scusa se ho rovinato la giornata…- cominciai, ma Hiroto mi interruppe con un bacio veloce sulle labbra. Mi coprii istintivamente la bocca con una mano e lo fissai incredulo, mentre il sangue mi andava tutto al viso. Anche Hiroto arrossì, come preso alla sprovvista dalla sua stessa audacia. Restammo in silenzio per alcuni minuti. A riempire il vuoto c’erano le urla dei bambini, il fruscio del vento, l’eco distante della musica delle giostre. Le persone intorno a noi camminavano tranquille, ignare o incuranti della nostra presenza.
Abbassai lentamente la mano e bevvi un sorso di tè, esitante. Hiroto sospirò e parve rilassarsi un po’ mentre a sua volta sorseggiava la bevanda. Era dolce e rinfrescante, con una fettina di lime verde che galleggiava sulla superficie, visibile anche attraverso il coperchio di plastica opaco.
-Non hai rovinato niente. Io sono felice. Che tu sia venuto qui con me, intendo. Che tu sia con me, in generale. Sono felice, ecco- soffiò Hiroto, quasi senza respirare. Si fermò a riprendere fiato, bevve un altro po’ di tè. –Volevo parlarti, Midorikawa, ma non è solo per questo che ti ho chiesto di uscire. Mi piace stare con te. Mi piaci tu. Ovviamente vorrei che tu fossi a tuo agio con me, che mi parlassi di tutto quello che vuoi, ma non voglio forzarti. Voglio che tu stia bene e sia felice, va bene?
Mi guardò apprensivo. Annuii e lentamente mi avvicinai a lui, scivolando sulla panca finché le nostre ginocchia e spalle non si toccarono.
-È… complicato stare assieme all’agency. Adoro tutti i nostri amici, sì, e passiamo comunque tanto tempo assieme, ma… In qualche modo, non è mai abbastanza. Penso sia una buona idea continuare a tenere la vecchia disposizione delle stanze, ma vorrei…- Hiroto si fermò, deglutì. –Vorrei… toccarti di più, parlarti di più, la mia testa è così piena di pensieri che a volte mi sembra di scoppiare…
-Quando stavi dormendo… venivo a trovarti tutti i giorni e pensavo sempre, costantemente, a cosa ti avrei detto una volta che ti fossi svegliato. Pensavo che, quando saremmo stati di nuovo assieme, avrei avuto il coraggio di dirti tutto, tutto ciò che sentivo- continuò, serio. –Ma poi mio padre è morto, c’è stato il funerale e… Ho avuto molto a cui pensare. Ho riflettuto su molte cose, riguardo mio padre, riguardo me stesso e… riguardo te, Midorikawa. Ho pensato molto a noi due…
Hiroto inspirò profondamente. -Adesso non possiamo fare molto. Finché saremo minorenni, non possiamo renderci indipendenti. Ma quando cresceremo… quando saremo più grandi, ho pensato… Ho pensato che noi…- Mi posò la mano libera sulla spalla e mi guardò dritto negli occhi, più serio e determinato che mai.
-Midorikawa, quando avremo la possibilità e i mezzi per farlo… vorresti vivere con me? Vorresti… passare il resto della tua vita al mio fianco? Per me, non c’è nient’altro che vorrei di più- dichiarò, e mi lasciò senza fiato. Poggiai a terra il bicchiere e gli afferrai le spalle con entrambe le mani.
-Tu… vuoi vivere con me? Per il resto della… della vita?- ripetei, incredulo e commosso.
-Sì. Voglio renderti felice, se me lo permetterai.- Hiroto non esitò neanche un secondo. –Voglio dirti ogni giorno quanto tu mi rendi felice e condividere tutto con te.
-Io… tu non puoi immaginare quanto io ti ami- dissi e, per dargliene un’idea, lo attirai a me in un abbraccio strettissimo, che quasi gli fece cadere di mano il bicchiere. E lo baciai, anche se solo sulla guancia, fregandomene di eventuali sguardi indiscreti.
-Voglio tutto quello che vuoi tu- esclamai. –Voglio te. Per tutta la vita!
Hiroto si staccò dall’abbraccio, ma solo per mettere da parte il bicchiere, così da avere entrambe le mani libere per stringermi a sé più forte. Affondò il viso nella mia spalla, lo sentii ridere contro la mia pelle. Era radioso ed io lo amavo più di quanto me ne fossi mai creduto capace.
-E soprattutto sai cosa voglio adesso?- Sorrisi, con la bocca premuta contro il suo collo. –Tornare a casa. Perché qui siamo all’aperto e in pubblico ed io voglio baciarti senza interruzioni. Visto che tu sei stato così carino a invitarmi e che siamo venuti fin qua, però, che ne dici se prima facciamo un altro giro?
-Sulla parte delle interruzioni, ho dei dubbi. Ma su tutto il resto sono d’accordo con te.
A poco a poco sciogliemmo l’abbraccio, poi recuperammo i nostri bicchieri e ci alzammo dalla panchina. Non appena lasciata l’ombra, il tè cominciò a perdere la sua freschezza, persino la fettina di lime sembrava soffrire. Mi guardai attorno nel parco, cercando al contempo un cestino e un’altra attrazione su cui salire, o un posto dove fermarci a mangiare. Evitai, per quanto possibile, di guardare verso la ruota, anche se già questo significava che ne ero fin troppo conscio. Poi Hiroto individuò una bancarella che serviva takoyaki fumanti, appena cucinati, e altre delizie di strada, e decidemmo di fermarci a mangiare lì.
-Hai preso tu il tè prima, quindi stavolta faccio io- affermai, Hiroto provò a protestare, ma lo spinsi verso un tavolo da picnic e lo convinsi a sedersi e aspettarmi. M’incamminai verso la bancarella, frugandomi nelle tasche per recuperare tutti i soldi che avevo con me, e mi misi in fila con gli altri. C’erano soltanto tre persone prima di me, e nessuno mi seguì, quindi pensai che non ci fosse niente di male a sporgermi un momento verso il bancone e afferrare qualche tovagliolino da portare al tavolo assieme al cibo.
I pezzi di carta svanirono tra le mie dita, o forse sarebbe meglio dire che si polverizzarono. Per un secondo, fissai il mio palmo vuoto, immobile. Paralizzato. Mi convinsi che il caldo stesse giocando un brutto scherzo alla mia mente. Presi un respiro profondo, tornai al mio posto dietro gli altri e appoggiai la mano sul cordone che delimitava la fila.
Anche questo svanì sotto le mie dita.
I due capi del cordone caddero a terra, come recisi. 
A quel punto, il panico cominciò a montarmi dentro, come un’onda che cresceva sempre di più, fino a soffocarmi. Mi guardai attorno, sperando che nessuno avesse visto cos’era successo, e allo stesso tempo cercando testimoni del fatto, così da accertarmi che fosse accaduto davvero. Che non era solo nella mia testa. La persona in testa alla fila ricevette i propri takoyaki e se ne andò, quelle davanti a me indietreggiarono per farla passare e una delle due, una donna sui quaranta, per poco non mi venne addosso. Nell’istante in cui stava per toccarmi, feci un balzo indietro d’istinto. Lei non se ne accorse. Avevo paura di toccarla, paura che avrei incenerito anche lei. Mi girai e mi trovai a fissare la ruota panoramica, che mi parve grande il doppio di prima.
Un attimo dopo, stavo urlando.
-Hiroto… Hiroto!- gridai il suo nome a pieni polmoni.
Tutti si voltarono a fissarmi stupiti, il venditore, le due donne in fila, i passanti, ma a me importava solo di Hiroto.
Il ragazzo arrivò di corsa e, non appena vide in che stato mi trovavo, mi raggiunse e mi prese il viso tra le mani.
–Midorikawa, Midorikawa, guardami, dimmi cosa succede- mi interrogò, allarmato.
Lottai contro le lacrime per spiegare.
-I miei… poteri…- riuscii a dire soltanto questo, ma Hiroto capì. Il suo sguardo diventò ancora più inquieto. Lo guardai con gli occhi pieni di lacrime.
-Aiutami- lo supplicai. –Non voglio…- Non voglio far del male a tutte queste persone. Non voglio farti del male, pensai, non riuscii a dirlo.
La musica delle giostre non aveva più un suono vivace, spensierato, nella mia testa si mescolava alle note tristi della mia canzone. Le voci delle persone attorno a me si mescolarono con voci che venivano dal mio passato, dai miei ricordi. Prima ancora che Hiroto avesse la possibilità di usare il suo potere, persi conoscenza tra le sue braccia, perché non riuscivo a respirare.






 
**Angolo dell'autrice**
Buongiorno!
Finalmente entriamo nell'arco del protagonista!!! Evviva!!!
Forse per la prima volta nella storia di questa fic, ho dovuto tagliare in due il capitolo perché era troppo lungo e, in qualche modo, influiva sul ritmo della narrazione. Sono un po' emozionata per questa parte finale e mi sono fatta prendere la mano... Era da tanto che non scrivevo così tanto in italiano, e mi sono anche divertita!
Le storie romantiche sono sempre state in secondo piano in questa storia, per via della trama che gradualmente è diventata più pesante e corposa. È stato bello scrivere tante scene romantiche (e un po' zuccherose, se vogliamo), anche se mi dispiace aver dovuto rovinare loro la festa anche stavolta :P 
Che ne pensate del capitolo? Vi è piaciuto?
Baci,
  Roby
 
   
 
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