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Autore: shilyss    31/07/2019    45 recensioni
Fable! AU La Sirenetta
Chiedere aiuto a Loki di Asgard è una follia. Lo sanno tutti, anche Sigyn. Ma l’amore, troppo spesso, fa fare cose folli, ci spinge a sacrificare ogni cosa…
Sbatté le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno. “Mi sono persa. Perdonatemi.”
“Nessuno si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un ghigno, gelido come i suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile e bello. “L’ho stabilito io stesso.”
“Lo so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col seiðr.”
“Ho un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise l’Ase – risata secca, asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?” inquisì, sporgendosi verso di lei. “Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite. A te quali hanno raccontato?”

[ ♦ Storia Vincitrice del contest “Villains against Heroes II Edizione”, indetto da missredlights sul forum di Efp, e e Vincitrice del Premio "Miglior Villain" ♦ ]
Questa storia partecipa alla Fables Challenge indetta da Il Giardino di Efp
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

Il patto

 

 

 

Keep in mind

We're under the same sky

And the night's

As empty for me as for you

If you feel

You can't wait 'til morning

Kiss the rain

(Kiss the rain, Billie Myers)

 

 

Il palazzo dove dimorava Loki Laufeyson era arroccato su una scogliera. Le sue guglie nere e svettanti si intravedevano anche da una grande distanza, ma per raggiungere il portone principale occorreva necessariamente inerpicarsi lungo un sentiero scosceso, circondato da fitti rovi, arricciati e spessi come tentacoli. L’ululato di un lupo lontano impensierì Sigyn, ma nonostante ciò la ragazza si fece coraggio e salì ancora, finché il viottolo non divenne una scalinata e, finalmente, si ritrovò di fronte a un arco a sesto acuto, finemente scolpito. Lupi e draghi marini s’intrecciavano, raccontando le storie che aveva ascoltato tante volte per bocca dei poeti e dei cantori. Tutto era immobile. Varcò la soglia e si ritrovò in un giardino rigoglioso, caotico, profumato. Nonostante fosse una tiepida e fresca giornata d’estate, la ragazza immaginò come dovesse essere quello spaccato di verde cinto dalla neve. Scacciò il pensiero per avvicinarsi al portone in legno, anch’esso decorato da una mano abile e attenta e si stupì, perché lo trovò aperto; una serie di fiaccole accese le indicava idealmente la via da seguire. La stava aspettando?

Probabilmente, ritenne Sigyn, il dio dell’inganno l’aveva vista percorrere il viottolo tortuoso. Si narravano tante cose, su quello Jotunn mascherato d’Ase, forse troppe. La giovanissima Æsinna aveva sempre pensato che la maggior parte di quelle storie fossero chiacchiere, dicerie sussurrate negli angoli più remoti di Asgard e Ásaheimr[1]: Padre Tutto aveva vietato a Loki di mettere piede nel suo palazzo per via di certi antichi torti e dissapori – di un tradimento orrendo, la cui onta non sarebbe potuta essere levata nemmeno col sangue – e mal tollerava che si facesse il nome del figlio che aveva adottato e allevato per poi tramutarsi in altro – nel nemico degli Æsir che avrebbe dovuto proteggere. Sigyn avanzò per le stanze arredate con semplicità e gusto, non prive di una certa selvaggia eleganza. Impaurita, ma decisa a portare a termine la sua incauta visita, s’inoltrò nella ricca dimora. C’era una sala con un grande camino acceso e pelli d’orso che ricoprivano sedie e poltrone; su un grande tavolo erano disposte mappe, cartine e appunti vergati con una grafia elegante e stretta, virile. La ragazza osservò i fogli lasciati in bella mostra, la lunga penna d’oca infilata nel calamaio, gli astrolabi e i compassi utili a misurare le stelle; che uso poteva mai fare il furbo dio degli inganni di tutti quegli strumenti? Desiderava riprendere i viaggi lungo i Nove Regni per cui era noto? C’è chi diceva che i suoi stivali fossero incantati e gli rendessero possibile ogni fuga. Odino a un banchetto, una volta, si era bagnato le labbra con l’idromele e aveva detto che non c’era alcuna magia particolare nelle calzature del figlio perduto. Il merito delle sue improvvise sparizioni era dovuto solo a una spiazzante abilità nel rompere qualsiasi catena o legame. Sigyn si stupì nel vedere riprodotti i contorni di una terra che non aveva mai visto né sapeva collocare in alcun luogo; ne percorse con gli occhi le catene montuose, le pianure, i fiumi e i laghi: l’immaginò e desiderò vederla.

“È la mappa di una terra lontana, di là del mare,” la interruppe una voce bassa, roca, venata da una punta sottile e affilata di divertimento.

La ragazza sobbalzò, voltandosi di scatto. Nel vano della porta si stagliava l’ombra sardonica di un uomo alto e slanciato, bello d’aspetto, molto più giovane di quanto si era sempre figurata.

Loki.

Viso affilato, occhi tanto verdi da sembrare quasi trasparenti, labbra sottili piegate in un sorriso ferino e sbieco, segnate da una cicatrice antica – il lascito di una punizione terribile che veniva sussurrata solo di rado, ad Asgard, a cui lei non aveva mai voluto credere, ma che ora era lì, davanti a lei, reale. Sentì il cuore batterle impazzito nel petto e s’accorse di essere in trappola. Il mago avanzò verso di lei a passi lenti, col piglio altero e tranquillo del padrone di casa, del principe. Tutto, in lui, suggeriva forza e sicurezza: gli abiti di pelle scura che indossava esaltavano il corpo agile e tonico, di guerriero, e così le armi che gli scintillavano alla cintura.

L’Ase si fermò davanti a lei incrociando le mani dietro la schiena, in un gesto che doveva essergli congeniale.

“La visitai molto, molto tempo fa,” aggiunse assottigliando le palpebre, come se stesse contando gli anni che erano trascorsi da quel viaggio e provasse una sorta di nostalgia per quella terra perduta.

Sigyn scoprì di avere la gola secca. Loki, ammesso che fosse davvero lui quell’uomo, differiva totalmente dall’immagine che si era costruita. Aveva imbastito un lungo e convincente discorso da fare a un potente stregone, ma il modo in cui il presunto padrone di casa la fissava, la spiazzante tranquillità che dimostrava nonostante lei si fosse introdotta nel suo palazzo senza essere stata invitata, l’avevano colta di sorpresa.

“Ho trovato la porta aperta e le luci accese e sono entrata,” si giustificò, ma nel momento in cui pronunciò quella frase si chiese cosa si nascondesse dietro il sorriso storto del dio. Se non la stesse davvero già aspettando, se non fosse in grado, per via di qualche abilità di cui si era persa la memoria nel corso del tempo, di leggerle il cuore e la testa. Dietro di sé il tavolo la bloccava, impedendole qualsiasi fuga.

“E dimmi, trovi la casa di tuo gradimento? Ha una vista magnifica, come puoi osservare,” le mostrò allargando le braccia. “Ma credo che tu sia qui per un altro motivo,” decise lui, avvicinandosi a una brocca colma d’idromele. Se ne versò un abbondante corno e ne offrì uno anche a lei. “Forse persino un’urgenza.”

Sigyn scosse la testa, ma non rifiutò la bevanda, sebbene scelse di non accostarla alle labbra.

“Non ricevo spesso ospiti, quindi prego, siediti e dimmi: cosa ti spinge a cercare, tra tutti, proprio il mio aiuto?”

 

Ci sono momenti in cui il destino si biforca in più svolte ed è necessario imboccarne una, ma ogni scelta ha un prezzo e tutte le strade portano a differenti soluzioni – o a finali che si sfiorano appena; simili, eppure mai identici. Sigyn comprese che era ancora in tempo per fuggire via e abbandonare il sontuoso palazzo del dio degli inganni. Il principe bandito l’aveva fatta accomodare sfoggiando una cortesia innata, ma scalpitava per farsi dire il motivo della sua improvvisa visita. Ricordò che doveva aver paura di Loki, perché c’era un motivo se Odino non gradiva da lungo tempo che fosse presente alla sua tavola. La sua voce era suadente e roca, piacevole da ascoltare, ma il suo sguardo era freddo, tagliente.

Sbatté le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno. “Mi sono persa. Perdonatemi.”

“Nessuno si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un ghigno, gelido come i suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile. “L’ho stabilito io stesso.”

“Lo so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col seiðr.”

“Ho un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise l’Ase – risata secca, asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?” inquisì, sporgendosi verso di lei. “Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite. A te quali hanno raccontato?”

La ragazza deglutì. Scoprì di avere la gola secca, la lingua incollata al palato. “Che siete geniale e crudele. Bugiardo e astuto. Brillante e pericoloso. Di fare attenzione alle vostre parole ambigue.”

“Ma sei comunque qui perché hai bisogno di me,” constatò il mago, “e ciò che vuoi fare, con tutta probabilità, violerà le norme stabilite da Odino, il tuo re.”

Il modo in cui pronunciò il nome di Padre Tutto, con una punta di dispetto e sarcasmo insieme, diede a Sigyn la misura di quanto le storie che aveva sempre ascoltato sul dio degli inganni corrispondessero al vero e facessero parte di un passato che c’era stato, esisteva. Comprese di essere entrata nella tana di un predatore che la squadrava come la preda che era destinata a essere. Non aveva scampo. Solo lei poteva trarsi d’impaccio o dare un seguito all’anelito che le bruciava dentro, ma aveva scelto il modo peggiore per esaudire i propri desideri.

“Mi chiamo Sigyn,” mormorò, sempre stringendo tra le dita sottili il corno, “e voglio raggiungere Midgard. Lì vive l’uomo che amo.”

L’ingannatore assottigliò gli occhi verdissimi. “Sigyn,” sibilò e il suo nome, pronunciato dalla bocca beffarda di Loki, le parve una carezza sulla pelle – anzi, lo era. “Rinunceresti ad Asgard per un uomo?” Rise, beffandosi platealmente di lei e di quel sentimento che giudicava, con tutta evidenza, patetico, di nessun conto. “Quante ore hai passato in sua compagnia?” inquisì. “Una manciata? Un paio? Un giorno intero? E parli d’amore.”

“Non credete nella forza dei miei sentimenti? Non è stato facile venire qui. La mia è una scelta senza ritorno, se deciderete di aiutarmi.”

“Oh, lo immagino.” Vuotò il corno e si leccò le labbra sottili, scuotendo la testa. “Ma Midgard… tu sei un’Æsinna. Perderai ogni cosa. Smarrirai la tua essenza. Fidati del mio consiglio: digli addio.”

Le parole di Lingua d’Argento avevano un peso particolare. Erano taglienti, argute, brucianti, ma Sigyn decise che non si sarebbe lasciata irretire dalla sua capacità oratoria. Posò il corno e strinse i pugni, la mente concentrata sul ricordo di un’alba ormai lontana settimane. “Non posso, non riesco. Non oggi,” sospirò.

Loki alzò le spalle. “Oggi, domani, tra cento anni. Non sono niente, per noi Æsir. Un battito del cuore, un respiro. Non sarai mai pronta a lasciarlo. L’uomo che ami ti sarà portato via, morirà.”

Aveva ragione. Le sue parole erano crudelmente vere, spiazzanti, feroci.

La ragazza gli rispose sforzandosi di controllare la voce e di mantenere un tono piatto e deciso, ma in realtà tremava, scossa dal pensiero che quella realtà di cui era perfettamente a conoscenza si realizzasse. Neanche gli Æsir erano immortali, ma il pensiero della caducità dell’esistenza si sedimenta in qualche parte dell’anima e lì rimane finché una frase o un evento non ricorda quanto le Norne siano beffarde, crudeli, impietose, quando tagliano il loro filo: anche quello, scarlatto, che lega tra loro due anime – ma allora che fine fa chi sopravvive e resta in vita?  Il suo cuore non si spezza, non sanguina fino alla consunzione?

Una lacrima, muta e orgogliosa, le rigò la guancia. “E sembra che la cosa vi piaccia, vi dia soddisfazione.”

Loki le concesse una risata secca e breve, beffarda, ma scosse la testa in segno di diniego. “La soddisfazione non è nella mia natura. Vuoi davvero vivere con gli umani? Pensi meritino tanta considerazione?” s’interessò, inarcando un sopracciglio.

Aveva accantonato il suo tono faceto di superiore benevolenza. Pareva colpito dalla sua richiesta. La reputava, probabilmente, folle e oscena al tempo stesso, ma ne era attirato, spinto dall’idea che avrebbe generato caos nei Nove Regni – e di questo lui avrebbe approfittato, in un modo o nell’altro, come sempre.

“Lo amo,” rispose Sigyn sicura. “È un uomo audace, nobile, coraggioso. Vi siete mischiato con gli abitanti di Midgard. Sapete che non sono aridi come li dipinge Odino.”

Il profilo dell’Ase s’indurì. “Li conosco meglio di te, come conosco gli Æsir meglio di te. Il cuore di nessuno è libero da ombre, mia fiduciosa signora. Nemmeno i nostri, che siamo i figli di Asgard e dovremmo essere superiori agli altri,” sentenziò implacabile. Come poteva tanta saggezza risiedere nel volto di un uomo giovane, nel pieno della sua forza e nel mezzo della sua vita? C’era, in lui, una tensione, un’impazienza sempre più visibile. “Sacrificherai tutto per un’illusione, ti avverto. Ciò che provi non esiste – è un’infatuazione, niente di più.”

Eccolo dunque, lo spietato punto di vista del dio dell’inganno. Per lui le anime non erano legate da niente e l’amore era solo attrazione vestita con belle parole.

“Mentite. O parlate per voi e non per me.”

Loki stirò le labbra in un sorriso freddo, crudele. “Dici? Ne sembri proprio sicura! Allora, forse potrei aiutarti, piccola Sigyn,” esordì.

“Il vostro aiuto causerà la mia rovina. Siete voi a ingannarmi, non l’amore che provo per Erik.”

Il suo sguardo bruciante le scivolò addosso, sulla pelle, come una carezza avida. Rabbrividì di fronte a quegli occhi verdi e indagatori che la spogliavano, privando la sua anima di ogni menzogna, bugia o fiaba inventata allo scopo di giustificarsi.

“Ma non puoi fare a meno di sperare che possa aiutarti, non è vero? Sono davvero in grado di farti raggiungere Midgard, se è questo che vuoi. Ti propongo un patto.”

“Un patto? Come faccio a sapere che lo manterrete? Che voi sarete leale?”

“In passato, a volte, ho agito in modo crudele,” ammise Lingua d’Argento serafico, regalandole un sorriso luminoso e crudele, di lupo. “Gli Æsir sfoggiano le loro splendide armi incantate grazie a me, a me soltanto. Ho tramato, detto il falso, ingannato – sono il signore delle menzogne, del resto, certo non lo nego – ma sappi che loro, per primi, hanno mentito o evitato di ricompensarmi. Ecco perché li ho puniti e mi sono vendicato. E mi è piaciuto, sì. Quelli che si sono dimenticati di pagarmi adeguatamente, li ho cercati, soggiogati e resi miei schiavi. O hanno conosciuto le lame dei miei pugnali.”

“Ma io non ho niente da offrirvi, in cambio.”

“Oh, come corrispettivo voglio solo qualcosa di semplice, puramente simbolico, di cui puoi fare tranquillamente a meno! Ascoltami, piccola Sigyn: il mio incantesimo avrà effetto solo e soltanto fino all’equinozio d’autunno. Se entro il tramonto dell’ultimo giorno d’estate riuscirai a scambiare col tuo uomo un bacio di vero amore, rimarrai con lui per tutta la breve vita che gli è stata accordata dalle Norne. Ti avverto, non sarà facile. Per stare con lui, dovrai essere come lui. E soffrirai. Il corpo umano è più fragile di quello con cui ti hanno benedetto le Norne. Patirai il freddo, la fame, il dolore. Trascorso questo periodo, morirai come umana. Sei disposta a fare questo per uno sguardo che potrebbe non corrisponderti, per un uomo visto solo una volta?”

“Assolutamente sì.”

L’Ase annuì. “Hai una fede incrollabile, vedo. Ma lascia che ti avverta: se non riuscirai a dare il bacio di vero amore, morirai. Diventerai la spuma del mare, il vento tra gli alberi, il riflesso della luce al tramonto. È difficile dirlo con precisione.” Inclinò il capo e mezzo volto fu avvolto dall’ombra. “O, peggio ancora, tornerai a essere una figlia degli Æsir e ti terrò con me. Allora sarai la mia schiava.”

“Come dite!?”

“Sii meno formale, piccola principessa, avanti! Questo è l’accordo che ti propongo. Come vedi, sono stato chiaro, affinché tu non possa dire che ti ho ingannata.” Dinanzi alla sua esitazione, sorrise in modo ferino. “Cosa c’è, hai improvvisamente paura di rischiare? In fondo, la vita è piena zeppa di scelte difficili. Non te l’hanno detto?”

Lei deglutì, sforzandosi di cambiare tono e registro. “Tu che ci guadagni?”

“Sei una prova che la fedeltà è inutile e l’amore romantico solo un’illusione. Inoltre, sei cara a Odino. La tua scelta lo farà soffrire. Ma, in fondo, diventare adulti significa anche questo, non ti pare? Decidere della propria vita da soli, prendersi le dovute responsabilità. È questo quello che volevi, che sognavi,” disse, sfiorando una delle ciocche della sua bella coda color dell’oro.

Sigyn fu scossa da un fremito basso, ma, di nuovo, non riuscì a indietreggiare. Loki era troppo vicino ed era riuscito a intrappolarla. Ora la guardava col suo sguardo aguzzo e feroce, regalandole un sorriso laterale, sbieco, lupesco. Sobbalzò quando sentì le dita dell’Ase scivolare sulla sua spalla, carezzarle il collo e la gola, ma sostenne il suo sguardo. Non voleva che cogliesse il turbamento e il terrore che l’avvolgeva – non riusciva a muoversi.

“E il prezzo? Che vuoi in cambio?”

Il dio degli inganni le prese il viso tra le mani e, facendolo, sfiorò le sue labbra con la punta delle dita. A quel tocco, la schiena di Sigyn vibrò, si tese, scossa da qualcosa di basso e implacabile.

“La tua voce.”

Tre parole spaventose, pronunciate con la bocca a pochissima distanza dalla sua. Era il momento di opporsi, di fuggire, di dimenticare il proposito sciocco di vivere come una donna di Midgard per un uomo che nemmeno conosceva davvero e non avrebbe ricordato chi lei fosse. Aveva fatto una scommessa rischiosa, pericolosa, basata solo su quel filo rosso in cui lei credeva con tutta la fede di cui disponeva. Loki le alzò il volto costringendola a guardarlo, lambendole le labbra con le sue, assaggiandole, gustandole, carezzandole, strappandole con feroce dolcezza un sussulto, un tremito, un sospiro – la voce e se stessa. Sigyn si ritrovò ad artigliare le sue braccia per scostarlo, ma scoprì che in realtà desiderava sorreggersi, aggrapparsi al corpo agile e nervoso dell’Ase. Maledisse il perfido e sfacciato ingannatore e lei stessa, che sottostava a quel contatto stregato. Loki la strinse a sé e la baciò ancora, fino a che lei non rispose alle sue labbra concedendogli la sua voce, precipitando in un vortice fatto di stregoneria.  Perché aveva vibrato tanto? Ancora tra le sue braccia beffarde, lo guardò confusa e tentò di parlare, ma scoprì che dalla sua gola non usciva più alcun suono. Fu allora che comprese la portata del suo errore; sentì le gambe cederle, sospirò per l’ultima volta. Poi, mentre Loki le recitava sulla bocca rune terribili, svenne e sognò di essere trascinata per i sentieri, noti a lui solo, che collegavano tra loro i vari mondi. Una cosa catturò la sua attenzione più volte, però. Il ciondolo dorato che l’Ase indossava. Riluceva appena e batteva sul suo petto ampio e largo: conteneva la voce che le aveva estorto. Lo sfiorò – lui la teneva tra le braccia – e chiuse gli occhi, di nuovo.

 

 

 

Cos’è l’amore? Sigyn tremava, stretta nel mantello di lana che un paio di donne gentili le avevano messo sulle spalle. Regalava sorrisi a tutti e provava a spiegarsi a gesti. Loki aveva mantenuto la parola, portandola fino al limitare del villaggio fortificato dove, in quanto figlio di un importante jarl[2], abitava Erik. Era esattamente come lo ricordava, nobile e bello. Vedendola, però, il capitano del drakkar non provò un improvviso moto d’amore, né la riconobbe. Non poteva, perché vittima dell’incantesimo che gli aveva cancellato la memoria quando aveva attraversato il confine tra Asgard e Midgard. Erik era cosciente che una parte della sua vita era stata spazzata via: ricordava nitidamente la tempesta, ma ogni sera, nella sala del conte suo padre, raccontava lo smarrimento provato nell’essersi ritrovato a vagare nei boschi gelidi dell’estremo nord della penisola scaldica. Lì, invece, nella penisola dello Skagen che un giorno sarebbe stata chiamata Danimarca, il clima era più mite e l’estate più tiepida. Nonostante questo, però, Sigyn, mutata in un essere umano per l’inganno o l’incanto di Loki, pativa il freddo, la fame, il sonno e la sete come mai le era capitato nella sua breve vita di Æsinna. Erik l’aveva accolta nella sua casa, conquistato dal suo aspetto grazioso e dalla triste sorte che l’aveva resa muta, ma nonostante fossero passate già alcune settimane da quando la ragazza era arrivata nella sua terra, non pareva essere mosso dallo stesso interesse nutrito per lei ad Asgard. Ogni giorno, il cuore di Sigyn si riempiva di angoscia, di tristezza e di delusione. Tutte le mattine si acconciava i capelli stando ben attenta a replicare la stessa pettinatura che il giovane aveva apprezzato prima di lasciarla. Così, la sua bella chioma color dell’oro che le scendeva sulla schiena veniva stretta in una coda fermata da un nastro. Erik le sorrideva, le diceva che era bella, le assicurava che si sarebbe preso sempre cura di lei, ma non pareva essere mosso da nessun’altro interesse. Sigyn era certa che, se avesse potuto parlare, sarebbe riuscita ad attirare di nuovo le attenzioni del giovane figlio del conte. Si erano conquistati a vicenda, raccontandosi storie e scambiandosi opinioni, in fondo. Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime mute, prese a maledire Loki. Lui lo sapeva. Doveva aver intuito, astuto com’era, che, senza la sua voce, conquistare Eric sarebbe stato estremamente difficile.

L’ennesimo tramonto calò sul fiordo. Attorno a un fuoco, la gente ballava, festeggiava. Eric la prese per mano e la trascinò tra la folla festante. Ballarono a lungo, fino a che non girò loro la testa.

“Sei dolce e sei bella, cara Sigyn. Se solo parlassi, se solo… fossi lei,” sospirò con un sorriso mesto. “Quella che mi ha trovato e salvato. Che sto cercando ancora,” ammise, mentre un velo di tristezza gli copriva lo sguardo. “Nessuno crede alla sua esistenza, ma io la troverò, amica mia. È da qualche parte, lo so.”

Smisero di danzare ed Erik venne chiamato da uno dei suoi fratelli per dirimere una questione. In quei giorni sempre più caldi, ricopriva le veci dello jarl suo padre[3], partito su un drakkar per commerciare, e stava sostenendo il peso del comando con rettitudine e saggezza. Sigyn, sgomenta, osservò la figura del giovane allontanarsi. Non le aveva mai parlato di alcuna donna e il pensiero che lui la ricordasse, ma la confondesse con un’altra, la fece tremare.

 

“Temo che conquistarlo sarà più difficile del previsto, piccola principessa.”

La voce roca e beffarda di Loki la raggiunse come una lama. Si voltò lentamente e vide il dio degli inganni seduto su una vecchia panca. Tra le mani stringeva una rete da pesca che, verosimilmente, stava aggiustando; indossava abiti umili, dimessi, ma nemmeno il mantello logoro e gli stivali consunti che calzava riuscivano a celare del tutto il suo portamento altero, di figlio di re. Al collo, portava il ciondolo che conteneva la sua voce.

“Sei sorpresa di vedermi, Sigyn? Sto solo controllando come vanno le cose. Ammiro la mia opera,” ghignò, anticipando ogni sua obiezione.

L’Æsinna tornò a fissare la figura ormai lontana di Erik e poi, di nuovo, Loki.



[1] Il paese dove è situata Asgard.

[2] Conte vichingo.

[3] Conte vichingo.

   
 
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