Capitolo 2
Il patto
Keep
in
mind
We're
under the same sky
And
the
night's
As
empty
for me as for you
If
you
feel
You
can't wait 'til morning
Kiss
the
rain
(Kiss
the rain, Billie Myers)
Il
palazzo dove dimorava Loki Laufeyson era arroccato su una scogliera. Le
sue
guglie nere e svettanti si intravedevano anche da una grande distanza,
ma per
raggiungere il portone principale occorreva necessariamente inerpicarsi
lungo
un sentiero scosceso, circondato da fitti rovi, arricciati e spessi
come
tentacoli. L’ululato di un lupo lontano impensierì
Sigyn, ma nonostante ciò la
ragazza si fece coraggio e salì ancora, finché il
viottolo non divenne una
scalinata e, finalmente, si ritrovò di fronte a un arco a
sesto acuto,
finemente scolpito. Lupi e draghi marini s’intrecciavano,
raccontando le storie
che aveva ascoltato tante volte per bocca dei poeti e dei cantori.
Tutto era
immobile. Varcò la soglia e si ritrovò in un
giardino rigoglioso, caotico,
profumato. Nonostante fosse una tiepida e fresca giornata
d’estate, la ragazza
immaginò come dovesse essere quello spaccato di verde cinto
dalla neve. Scacciò
il pensiero per avvicinarsi al portone in legno, anch’esso
decorato da una mano
abile e attenta e si stupì, perché lo
trovò aperto; una serie di fiaccole
accese le indicava idealmente la via da seguire. La stava aspettando?
Probabilmente,
ritenne Sigyn, il dio dell’inganno l’aveva vista
percorrere il viottolo tortuoso.
Si narravano tante cose, su quello Jotunn mascherato d’Ase,
forse troppe. La giovanissima
Æsinna aveva sempre pensato che la maggior parte di quelle
storie fossero
chiacchiere, dicerie sussurrate negli angoli più remoti di
Asgard e Ásaheimr[1]:
Padre Tutto aveva vietato a Loki di mettere piede nel suo palazzo per
via di
certi antichi torti e dissapori – di un tradimento orrendo,
la cui onta non
sarebbe potuta essere levata nemmeno col sangue – e mal
tollerava che si
facesse il nome del figlio che aveva adottato e allevato per poi
tramutarsi in
altro – nel nemico degli Æsir che avrebbe dovuto
proteggere. Sigyn avanzò per
le stanze arredate con semplicità e gusto, non prive di una
certa selvaggia
eleganza. Impaurita, ma decisa a portare a termine la sua incauta
visita,
s’inoltrò nella ricca dimora. C’era una
sala con un grande camino acceso e
pelli d’orso che ricoprivano sedie e poltrone; su un grande
tavolo erano disposte
mappe, cartine e appunti vergati con una grafia elegante e stretta,
virile. La
ragazza osservò i fogli lasciati in bella mostra, la lunga
penna d’oca infilata
nel calamaio, gli astrolabi e i compassi utili a misurare le stelle;
che uso
poteva mai fare il furbo dio degli inganni di tutti quegli strumenti?
Desiderava riprendere i viaggi lungo i Nove Regni per cui era noto?
C’è chi
diceva che i suoi stivali fossero incantati e gli rendessero possibile
ogni
fuga. Odino a un banchetto, una volta, si era bagnato le labbra con
l’idromele
e aveva detto che non c’era alcuna magia particolare nelle
calzature del figlio
perduto. Il merito delle sue improvvise sparizioni era dovuto solo a
una
spiazzante abilità nel rompere qualsiasi catena o legame.
Sigyn si stupì nel
vedere riprodotti i contorni di una terra che non aveva mai visto
né sapeva
collocare in alcun luogo; ne percorse con gli occhi le catene montuose,
le
pianure, i fiumi e i laghi: l’immaginò e
desiderò vederla.
“È
la
mappa di una terra lontana, di là del mare,” la
interruppe una voce bassa,
roca, venata da una punta sottile e affilata di divertimento.
La
ragazza sobbalzò, voltandosi di scatto. Nel vano della porta
si stagliava
l’ombra sardonica di un uomo alto e slanciato, bello
d’aspetto, molto più giovane
di quanto si era sempre figurata.
Loki.
Viso
affilato, occhi tanto verdi da sembrare quasi trasparenti, labbra
sottili
piegate in un sorriso ferino e sbieco, segnate da una cicatrice antica
– il lascito
di una punizione terribile che veniva sussurrata solo di rado, ad
Asgard, a cui
lei non aveva mai voluto credere, ma che ora era lì, davanti
a lei, reale.
Sentì il cuore batterle impazzito nel petto e
s’accorse di essere in trappola. Il
mago avanzò verso di lei a passi lenti, col piglio altero e
tranquillo del
padrone di casa, del principe. Tutto, in lui, suggeriva forza e
sicurezza: gli abiti
di pelle scura che indossava esaltavano il corpo agile e tonico, di
guerriero,
e così le armi che gli scintillavano alla cintura.
L’Ase
si fermò davanti a lei incrociando le mani dietro la
schiena, in un gesto che
doveva essergli congeniale.
“La
visitai molto, molto tempo fa,” aggiunse assottigliando le
palpebre, come se
stesse contando gli anni che erano trascorsi da quel viaggio e provasse
una
sorta di nostalgia per quella terra perduta.
Sigyn
scoprì di avere la gola secca. Loki, ammesso che fosse
davvero lui quell’uomo,
differiva totalmente dall’immagine che si era costruita.
Aveva imbastito un
lungo e convincente discorso da fare a un potente stregone, ma il modo
in cui
il presunto padrone di casa la fissava, la spiazzante
tranquillità che
dimostrava nonostante lei si fosse introdotta nel suo palazzo senza
essere
stata invitata, l’avevano colta di sorpresa.
“Ho
trovato la porta aperta e le luci accese e sono entrata,” si
giustificò, ma nel
momento in cui pronunciò quella frase si chiese cosa si
nascondesse dietro il
sorriso storto del dio. Se non la stesse davvero
già aspettando, se non
fosse in grado, per via di qualche abilità di cui si era
persa la memoria nel
corso del tempo, di leggerle il cuore e la testa. Dietro di
sé il tavolo la
bloccava, impedendole qualsiasi fuga.
“E
dimmi, trovi la casa di tuo gradimento? Ha una vista magnifica, come
puoi
osservare,” le mostrò allargando le braccia.
“Ma credo che tu sia qui per un
altro motivo,” decise lui, avvicinandosi a una brocca colma
d’idromele. Se ne
versò un abbondante corno e ne offrì uno anche a
lei. “Forse persino
un’urgenza.”
Sigyn
scosse la testa, ma non rifiutò la bevanda, sebbene scelse
di non accostarla
alle labbra.
“Non
ricevo spesso ospiti, quindi prego, siediti e dimmi: cosa ti spinge a
cercare,
tra tutti, proprio il mio aiuto?”
Ci
sono momenti in cui il destino si biforca in più svolte ed
è necessario imboccarne
una, ma ogni scelta ha un prezzo e tutte le strade portano a differenti
soluzioni – o a finali che si sfiorano appena; simili, eppure
mai identici.
Sigyn comprese che era ancora in tempo per fuggire via e abbandonare il
sontuoso palazzo del dio degli inganni. Il principe bandito
l’aveva fatta
accomodare sfoggiando una cortesia innata, ma scalpitava per farsi dire
il
motivo della sua improvvisa visita. Ricordò che doveva aver
paura di Loki,
perché c’era un motivo se Odino non gradiva da
lungo tempo che fosse presente
alla sua tavola. La sua voce era suadente e roca, piacevole da
ascoltare, ma il
suo sguardo era freddo, tagliente.
Sbatté
le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno.
“Mi sono persa.
Perdonatemi.”
“Nessuno
si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un
ghigno, gelido come i
suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile. “L’ho
stabilito io stesso.”
“Lo
so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col
seiðr.”
“Ho
un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise
l’Ase – risata secca,
asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?”
inquisì, sporgendosi verso di lei.
“Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite.
A te quali hanno
raccontato?”
La
ragazza deglutì. Scoprì di avere la gola secca,
la lingua incollata al palato. “Che
siete geniale e crudele. Bugiardo e astuto. Brillante e pericoloso. Di
fare
attenzione alle vostre parole ambigue.”
“Ma
sei
comunque qui perché hai bisogno di me,”
constatò il mago, “e ciò che vuoi fare,
con tutta probabilità, violerà le norme stabilite
da Odino, il tuo re.”
Il
modo in cui pronunciò il nome di Padre Tutto, con una punta
di dispetto e
sarcasmo insieme, diede a Sigyn la misura di quanto le storie che aveva
sempre
ascoltato sul dio degli inganni corrispondessero al vero e facessero
parte di
un passato che c’era stato, esisteva. Comprese di essere
entrata nella tana di
un predatore che la squadrava come la preda che era destinata a essere.
Non
aveva scampo. Solo lei poteva trarsi d’impaccio o dare un
seguito all’anelito
che le bruciava dentro, ma aveva scelto il modo peggiore per esaudire i
propri
desideri.
“Mi
chiamo Sigyn,” mormorò, sempre stringendo tra le
dita sottili il corno, “e
voglio raggiungere Midgard. Lì vive l’uomo che
amo.”
L’ingannatore
assottigliò gli occhi verdissimi. “Sigyn,”
sibilò e il suo nome,
pronunciato dalla bocca beffarda di Loki, le parve una carezza sulla
pelle –
anzi, lo era. “Rinunceresti ad Asgard per
un uomo?” Rise, beffandosi
platealmente di lei e di quel sentimento che giudicava, con tutta
evidenza,
patetico, di nessun conto. “Quante ore hai passato in sua
compagnia?” inquisì. “Una
manciata? Un paio? Un giorno intero? E parli
d’amore.”
“Non
credete nella forza dei miei sentimenti? Non è stato facile
venire qui. La mia
è una scelta senza ritorno, se deciderete di
aiutarmi.”
“Oh,
lo immagino.” Vuotò il corno e si leccò
le labbra sottili, scuotendo la testa. “Ma
Midgard… tu sei un’Æsinna. Perderai ogni
cosa. Smarrirai la tua essenza. Fidati
del mio consiglio: digli addio.”
Le
parole di Lingua d’Argento avevano un peso particolare. Erano
taglienti,
argute, brucianti, ma Sigyn decise che non si sarebbe lasciata irretire
dalla
sua capacità oratoria. Posò il corno e strinse i
pugni, la mente concentrata
sul ricordo di un’alba ormai lontana settimane.
“Non posso, non riesco. Non
oggi,” sospirò.
Loki
alzò le spalle. “Oggi, domani, tra cento anni. Non
sono niente, per noi Æsir.
Un battito del cuore, un respiro. Non sarai mai pronta a lasciarlo.
L’uomo che
ami ti sarà portato via, morirà.”
Aveva
ragione. Le sue parole erano crudelmente vere, spiazzanti, feroci.
La
ragazza gli rispose sforzandosi di controllare la voce e di mantenere
un tono
piatto e deciso, ma in realtà tremava, scossa dal pensiero
che quella realtà di
cui era perfettamente a conoscenza si realizzasse. Neanche gli
Æsir erano
immortali, ma il pensiero della caducità
dell’esistenza si sedimenta in qualche
parte dell’anima e lì rimane finché una
frase o un evento non ricorda quanto le
Norne siano beffarde, crudeli, impietose, quando tagliano il loro filo:
anche
quello, scarlatto, che lega tra loro due anime – ma
allora che fine fa chi
sopravvive e resta in vita? Il
suo cuore
non si spezza, non sanguina fino alla consunzione?
Una
lacrima, muta e orgogliosa, le rigò la guancia. “E
sembra che la cosa vi
piaccia, vi dia soddisfazione.”
Loki
le concesse una risata secca e breve, beffarda, ma scosse la testa in
segno di
diniego. “La soddisfazione non è nella mia natura.
Vuoi davvero vivere con gli
umani? Pensi meritino tanta considerazione?”
s’interessò, inarcando un
sopracciglio.
Aveva
accantonato il suo tono faceto di superiore benevolenza. Pareva colpito
dalla
sua richiesta. La reputava, probabilmente, folle e oscena al tempo
stesso, ma
ne era attirato, spinto dall’idea che avrebbe generato caos
nei Nove Regni – e
di questo lui avrebbe approfittato, in un modo o nell’altro,
come sempre.
“Lo
amo,” rispose Sigyn sicura. “È un uomo
audace, nobile, coraggioso. Vi siete
mischiato con gli abitanti di Midgard. Sapete che non sono aridi come
li
dipinge Odino.”
Il
profilo dell’Ase s’indurì. “Li
conosco meglio di te, come conosco gli Æsir
meglio di te. Il cuore di nessuno è libero da ombre, mia
fiduciosa signora.
Nemmeno i nostri, che siamo i figli di Asgard e dovremmo essere
superiori agli
altri,” sentenziò implacabile. Come poteva tanta
saggezza risiedere nel volto
di un uomo giovane, nel pieno della sua forza e nel mezzo della sua
vita? C’era,
in lui, una tensione, un’impazienza sempre più
visibile. “Sacrificherai tutto
per un’illusione, ti avverto. Ciò che provi non
esiste – è un’infatuazione,
niente di più.”
Eccolo
dunque, lo spietato punto di vista del dio dell’inganno. Per
lui le anime non
erano legate da niente e l’amore era solo attrazione vestita
con belle parole.
“Mentite.
O parlate per voi e non per me.”
Loki
stirò le labbra in un sorriso freddo, crudele.
“Dici? Ne sembri proprio sicura!
Allora, forse potrei aiutarti,
piccola Sigyn,” esordì.
“Il
vostro aiuto causerà la mia rovina. Siete voi a ingannarmi,
non l’amore che
provo per Erik.”
Il
suo sguardo bruciante le scivolò addosso, sulla pelle, come
una carezza avida.
Rabbrividì di fronte a quegli occhi verdi e indagatori che
la spogliavano,
privando la sua anima di ogni menzogna, bugia o fiaba inventata allo
scopo di
giustificarsi.
“Ma
non puoi fare a meno di sperare che possa aiutarti, non è
vero? Sono davvero in
grado di farti raggiungere Midgard, se è questo che vuoi. Ti
propongo un patto.”
“Un
patto? Come faccio a sapere che lo manterrete? Che voi sarete
leale?”
“In
passato, a volte, ho agito in modo crudele,” ammise Lingua
d’Argento serafico,
regalandole un sorriso luminoso e crudele, di lupo. “Gli
Æsir sfoggiano le loro
splendide armi incantate grazie a me, a me soltanto. Ho tramato, detto
il falso,
ingannato – sono il signore delle menzogne, del resto, certo
non lo nego – ma
sappi che loro, per primi, hanno mentito o evitato di ricompensarmi.
Ecco
perché li ho puniti e mi sono vendicato. E mi è
piaciuto, sì. Quelli che si
sono dimenticati di pagarmi adeguatamente, li ho cercati, soggiogati e
resi
miei schiavi. O hanno conosciuto le lame dei miei pugnali.”
“Ma io
non ho niente da offrirvi, in cambio.”
“Oh,
come corrispettivo voglio solo qualcosa di semplice, puramente
simbolico, di
cui puoi fare tranquillamente a meno! Ascoltami, piccola Sigyn: il mio
incantesimo avrà effetto solo e soltanto fino
all’equinozio d’autunno. Se entro
il tramonto dell’ultimo giorno d’estate riuscirai a
scambiare col tuo uomo un
bacio di vero amore, rimarrai con lui per tutta la breve vita che gli
è stata
accordata dalle Norne. Ti avverto, non sarà facile. Per
stare con lui, dovrai essere
come lui. E soffrirai. Il corpo umano è
più fragile di quello con cui ti
hanno benedetto le Norne. Patirai il freddo, la fame, il dolore.
Trascorso
questo periodo, morirai come umana. Sei disposta a fare questo per uno
sguardo
che potrebbe non corrisponderti, per un uomo visto solo una
volta?”
“Assolutamente
sì.”
L’Ase
annuì. “Hai una fede incrollabile, vedo. Ma lascia
che ti avverta: se non
riuscirai a dare il bacio di vero amore, morirai. Diventerai la spuma
del mare,
il vento tra gli alberi, il riflesso della luce al tramonto.
È difficile dirlo
con precisione.” Inclinò il capo e mezzo volto fu
avvolto dall’ombra. “O,
peggio ancora, tornerai a essere una figlia degli Æsir e ti
terrò con me. Allora
sarai la mia schiava.”
“Come
dite!?”
“Sii
meno formale, piccola principessa, avanti! Questo è
l’accordo che ti propongo.
Come vedi, sono stato chiaro, affinché tu non possa dire che
ti ho ingannata.” Dinanzi
alla sua esitazione, sorrise in modo ferino. “Cosa
c’è, hai improvvisamente paura
di rischiare? In fondo, la vita è piena zeppa di scelte
difficili. Non te
l’hanno detto?”
Lei
deglutì, sforzandosi di cambiare tono e registro. “Tu
che ci guadagni?”
“Sei
una prova che la fedeltà è inutile e
l’amore romantico solo un’illusione. Inoltre,
sei cara a Odino. La tua scelta lo farà soffrire. Ma, in
fondo, diventare
adulti significa anche questo, non ti pare? Decidere della propria vita
da soli,
prendersi le dovute responsabilità. È questo
quello che volevi, che sognavi,”
disse, sfiorando una delle ciocche della sua bella coda color
dell’oro.
Sigyn
fu scossa da un fremito basso, ma, di nuovo, non riuscì a
indietreggiare. Loki
era troppo vicino ed era riuscito a intrappolarla. Ora la guardava col
suo sguardo
aguzzo e feroce, regalandole un sorriso laterale, sbieco, lupesco.
Sobbalzò
quando sentì le dita dell’Ase scivolare sulla sua
spalla, carezzarle il collo e
la gola, ma sostenne il suo sguardo. Non voleva che cogliesse il
turbamento e
il terrore che l’avvolgeva – non riusciva a
muoversi.
“E il
prezzo? Che vuoi in cambio?”
Il
dio degli inganni le prese il viso tra le mani e, facendolo,
sfiorò le sue
labbra con la punta delle dita. A quel tocco, la schiena di Sigyn
vibrò, si
tese, scossa da qualcosa di basso e implacabile.
“La
tua voce.”
Tre
parole spaventose, pronunciate con la bocca a pochissima distanza dalla
sua.
Era il momento di opporsi, di fuggire, di dimenticare il proposito
sciocco di
vivere come una donna di Midgard per un uomo che nemmeno conosceva
davvero e
non avrebbe ricordato chi lei fosse. Aveva fatto una scommessa
rischiosa,
pericolosa, basata solo su quel filo rosso in cui lei credeva con tutta
la fede
di cui disponeva. Loki le alzò il volto costringendola a
guardarlo, lambendole
le labbra con le sue, assaggiandole, gustandole, carezzandole,
strappandole con
feroce dolcezza un sussulto, un tremito, un sospiro – la voce
e se stessa.
Sigyn si ritrovò ad artigliare le sue braccia per scostarlo,
ma scoprì che in
realtà desiderava sorreggersi, aggrapparsi al corpo agile e
nervoso dell’Ase.
Maledisse il perfido e sfacciato ingannatore e lei stessa, che
sottostava a
quel contatto stregato. Loki la strinse a sé e la
baciò ancora, fino a che lei non
rispose alle sue labbra concedendogli la sua voce, precipitando in un
vortice
fatto di stregoneria. Perché
aveva
vibrato tanto? Ancora tra le sue braccia beffarde, lo guardò
confusa e tentò di
parlare, ma scoprì che dalla sua gola non usciva
più alcun suono. Fu allora che
comprese la portata del suo errore; sentì le gambe cederle,
sospirò per
l’ultima volta. Poi, mentre Loki le recitava sulla bocca rune
terribili, svenne
e sognò di essere trascinata per i sentieri, noti a lui
solo, che collegavano
tra loro i vari mondi. Una cosa catturò la sua attenzione
più volte, però. Il
ciondolo dorato che l’Ase indossava. Riluceva appena e
batteva sul suo petto
ampio e largo: conteneva la voce che le aveva estorto. Lo
sfiorò – lui la
teneva tra le braccia – e chiuse gli occhi, di nuovo.
♥
Cos’è
l’amore? Sigyn tremava, stretta nel mantello di lana che un
paio di donne
gentili le avevano messo sulle spalle. Regalava sorrisi a tutti e
provava a
spiegarsi a gesti. Loki aveva mantenuto la parola, portandola fino al
limitare
del villaggio fortificato dove, in quanto figlio di un importante jarl[2],
abitava Erik. Era esattamente come lo ricordava, nobile e bello.
Vedendola,
però, il capitano del drakkar non provò un
improvviso moto d’amore, né la
riconobbe. Non poteva, perché vittima
dell’incantesimo che gli aveva cancellato
la memoria quando aveva attraversato il confine tra Asgard e Midgard.
Erik era
cosciente che una parte della sua vita era stata spazzata via:
ricordava
nitidamente la tempesta, ma ogni sera, nella sala del conte suo padre,
raccontava lo smarrimento provato nell’essersi ritrovato a
vagare nei boschi
gelidi dell’estremo nord della penisola scaldica.
Lì, invece, nella penisola
dello Skagen che un giorno sarebbe stata chiamata Danimarca, il clima
era più
mite e l’estate più tiepida. Nonostante questo,
però, Sigyn, mutata in un
essere umano per l’inganno o l’incanto di Loki,
pativa il freddo, la fame, il
sonno e la sete come mai le era capitato nella sua breve vita di
Æsinna. Erik
l’aveva accolta nella sua casa, conquistato dal suo aspetto
grazioso e dalla triste
sorte che l’aveva resa muta, ma nonostante fossero passate
già alcune settimane
da quando la ragazza era arrivata nella sua terra, non pareva essere
mosso
dallo stesso interesse nutrito per lei ad Asgard. Ogni giorno, il cuore
di
Sigyn si riempiva di angoscia, di tristezza e di delusione. Tutte le
mattine si
acconciava i capelli stando ben attenta a replicare la stessa
pettinatura che
il giovane aveva apprezzato prima di lasciarla. Così, la sua
bella chioma color
dell’oro che le scendeva sulla schiena veniva stretta in una
coda fermata da un
nastro. Erik le sorrideva, le diceva che era bella, le assicurava che
si
sarebbe preso sempre cura di lei, ma non pareva essere mosso da
nessun’altro
interesse. Sigyn era certa che, se avesse potuto parlare, sarebbe
riuscita ad
attirare di nuovo le attenzioni del giovane figlio del conte. Si erano
conquistati a vicenda, raccontandosi storie e scambiandosi opinioni, in
fondo.
Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime mute, prese a maledire
Loki. Lui
lo sapeva. Doveva aver intuito, astuto com’era, che, senza la
sua voce,
conquistare Eric sarebbe stato estremamente difficile.
L’ennesimo
tramonto calò sul fiordo. Attorno a un fuoco, la gente
ballava, festeggiava.
Eric la prese per mano e la trascinò tra la folla festante.
Ballarono a lungo,
fino a che non girò loro la testa.
“Sei
dolce e sei bella, cara Sigyn. Se solo parlassi, se solo…
fossi lei,” sospirò
con un sorriso mesto. “Quella che mi ha trovato e salvato.
Che sto cercando
ancora,” ammise, mentre un velo di tristezza gli copriva lo
sguardo. “Nessuno
crede alla sua esistenza, ma io la troverò, amica mia.
È da qualche parte, lo
so.”
Smisero
di danzare ed Erik venne chiamato da uno dei suoi fratelli per dirimere
una
questione. In quei giorni sempre più caldi, ricopriva le
veci dello jarl suo
padre[3],
partito su un drakkar per commerciare, e stava sostenendo il peso del
comando
con rettitudine e saggezza. Sigyn, sgomenta, osservò la
figura del giovane
allontanarsi. Non le aveva mai parlato di alcuna donna e il pensiero
che lui la
ricordasse, ma la confondesse con un’altra, la fece tremare.
“Temo
che conquistarlo sarà più difficile del previsto,
piccola principessa.”
La
voce roca e beffarda di Loki la raggiunse come una lama. Si
voltò lentamente e
vide il dio degli inganni seduto su una vecchia panca. Tra le mani
stringeva
una rete da pesca che, verosimilmente, stava aggiustando; indossava
abiti
umili, dimessi, ma nemmeno il mantello logoro e gli stivali consunti
che
calzava riuscivano a celare del tutto il suo portamento altero, di
figlio di re.
Al collo, portava il ciondolo che conteneva la sua voce.
“Sei
sorpresa di vedermi, Sigyn? Sto solo controllando come vanno le cose.
Ammiro la
mia opera,” ghignò, anticipando ogni sua obiezione.
L’Æsinna
tornò a fissare la figura ormai lontana di Erik e poi, di
nuovo, Loki.