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Autore: Enchalott    31/07/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una crepa nel cuore
 
“Che fine ha fatto Dare Yoon?” domandò Narsas, sollevandosi lentamente sulle braccia per mettersi a sedere sul letto.
Adara si accomodò accanto a lui, osservando con pesante preoccupazione il cibo ancora intatto nel suo piatto. Non mangiava praticamente nulla da giorni: eppure, anche se restava a digiuno, continuava a soffrire il mal di mare e a rimettere bile, debilitandosi sempre di più. Il suo pallore contrastava con la penombra della cabina.
“Sta cercando di liberarsi delle invadenti attenzioni di Bicks, credo” rispose, scacciando dalla mente la ponderosa sensazione di impotenza.
“Ha permesso che Alyecc ti accompagnasse sotto coperta?!”
“No. Sono scesa da sola. E comunque non sarebbe stato un problema”.
L’arciere la fissò, assorto nei suoi ragionamenti.
“L’Imis’eli non si è risvegliato, allora”.
“Mhmm, in realtà c’è stato un momento in cui l’ho avvertito oscillare, ma si è trattato di un infinitesimo. Poi non l’ho più avvertito”.
“Oscillare?” ripeté lui sorpreso “In che senso?”.
“È difficile da descrivere, è come se mi avesse restituito una sorta di solletico”.
Il giovane si fece attento e i suoi occhi neri scintillarono alla luce soffusa del lume.
“Farfalle nello stomaco?” suggerì.
Adara impiegò un attimo a cogliere il senso di quell’immagine. Arrossì lievemente.
“Ma no! Certo, è innegabile che sia un uomo attraente e misterioso, ma riesco a distinguere i segnali del Crescente da quelli di un coinvolgimento sentimentale! Era… era diverso!”.
Narsas sorrise con dolcezza e le strinse la mano nella propria.
La mezzaluna rimase inerte, ma i lepidotteri chiamati in causa poco prima iniziarono davvero a sbattere le loro ali variopinte.
“Informazioni utili?”.
“Qualcosa sulle origini ignote del reggente e sulla sua ascesa al trono” precisò lei “Liubim, il padre adottivo di Anthos, è venuto a mancare quando lui non aveva ancora compiuto quindici anni, pertanto il Consiglio ha ritenuto opportuno affiancargli un tutore fino a quando non avesse raggiunto la maggiore età. Peccato che il giovane principe non fosse d’accordo e si sia dichiarato capace di reggere le sorti del Nord senza bisogno di alcun ausilio”.
“Ma Iomhar non ha un Consiglio come Elestorya…” considerò l’arciere.
“Infatti. Anthos l’ha sciolto seduta stante e ha punito i renitenti davanti a tutto il popolo” raccontò la principessa con un brivido “Di loro non è rimasto nulla su cui piangere. Così è stato per tutti quelli che hanno osato esprimere disaccordo o criticare il suo operato fino ad oggi. È semplicemente spaventoso!”.
“Perché gli dei permettono che un individuo del genere possegga la magia?” sospirò Narsas, scuotendo mestamente la testa.
“Non mi raccapezzo, infatti. Alyecc asserisce che il reggente l’abbia sempre posseduta, poiché non ha avuto alcun precettore. È un potere legato al sangue, alla sua nascita incomprensibile, al suo misterioso retaggio… ed è arcano e oscuro”.
“Non c’è dubbio. A questo punto, però, inizio a pensare che si tratti d’altro” ammise il giovane, pensoso “Temo che Anthos non sia umano. Che appartenga al male assoluto, all’ombra. La Profezia non ci aiuta su questo particolare, purtroppo…”.
“Non la parte che conosciamo noi. Per questo dobbiamo leggere gli scritti custoditi a Jarlath con un’urgenza ancora maggiore. Dionissa aveva ragione quando ha presentito una forza malvagia e, soprattutto, deviante incombere sul mondo. Io non le ho creduto del tutto e non faccio che darmi della stupida per aver sottovalutato gli eventi! Devo farle sapere assolutamente ciò che troverò là. Per ora, quello che è indiscutibile è che il principe del Nord sta ignorando intenzionalmente gli avvenimenti in corso, occupandosi solo dei propri interessi, a quanto ho colto dal racconto del mio commensale. Ovviamente, non ho potuto porre ad Alyecc alcuna domanda sui testi sacri, per non farmi identificare. È fin troppo acuto, ci avrebbe messo poco a carpire il nostro intento effettivo”.
“Potrebbe essere lui stesso il braccio destro del principe. O una sua spia…” ragionò ad alta voce l’arciere, impensierito.
“Uhm, non credo. Non ha l’aria infida di un informatore e non manda certo a dire ciò che pensa realmente. È terribilmente schietto. Inoltre, il primo e unico consigliere del reggente si chiama Urien ed è un essere spaventoso e meschino, che lo affianca ormai da una decina d’anni. Alyecc mi ha detto che, se talvolta riesce a provare un certo rispetto per Anthos, invece il suo assistente lo ripugna su tutti i fronti”.
“Rispetto per un uomo malvagio ed egoista… bah, c’è poco da vantarsi!”.
Adara sospirò, annuendo alla considerazione del ragazzo.
“Già. Anch’io sono rimasta di stucco quando mi ha fatto capire le sue peculiari opinioni sul sovrano. Sono convinta che Alyecc conosca personalmente il reggente, ha rivelato particolari che non possono essere ascritti al semplice pettegolezzo. E poi più volte è sembrato punto sul vivo dalle mie palesi riserve sulla condotta disumana del principe…”.
“Avrà degli interessi privati a palazzo, non mi sorgono altre interpretazioni…”.
“Ci ho pensato anch’io, ma non sono riuscita a farlo sbottonare sull’argomento. Sa calibrare molto bene le parole. L’ultima cosa che mi ha riportato è che uno dei quartieri della capitale, Odhran, è insorto contro la tirannia e che Anthos l’ha polverizzato in un battito di ciglia insieme con tutta la sua gente. È agghiacciante la ferocia con cui ha agito. Si è tenuto in ostaggio solo la veggente che viveva lì, come monito, e le ha dato in sorte il peggiore degli incubi…”.
Narsas vacillò impercettibilmente e le sue dita strinsero con più forza quelle della principessa.
“Stai bene?” domandò lei, sfiorandogli la fronte con angoscia.
L’arciere era cereo e bruciava di febbre. Evidentemente, le cure suggerite da Bicks non avevano avuto l’effetto sperato.
“Sì…” rispose lui con garbo “E’ tutta questa crudeltà di un uomo verso i propri fratelli, è la sua scelta di essere spietato che mi disturba… Non riesco a trovare un solo motivo valido in una tale condotta e la aborro. Non necessitiamo di ulteriori prove al fatto che il principe del Nord non creda nella Profezia… non ci aiuterà, non ci ascolterà, si farà guidare solo dal proprio sterile individualismo... Maledizione!”.
“Anch’io ho domandato il perché…” sussurrò la ragazza, condividendo con lui quello scenario funesto.
L’arciere attese la sentenza e il suo sguardo si fece intenso.
“Alyecc non mi ha risposto. Nemmeno lui lo sa”.
“Alyecc non appare tanto virtuoso, da come si esprime. Non ne avresti cavato nulla. Mi pare un abile manipolatore e nient’altro…” giudicò il giovane, rabbuiandosi.
“Oh no, semplicemente è uno che non si lascia spaventare mai!”.
“Lo stai difendendo”.
“Ma che cosa dici, Narsas! Sto solo riportando i fatti e non pretendo neppure di avere ragione nelle mie considerazioni”.
“Quando lo rincontrerai, poiché scommetto che accadrà molto presto, dovrai evitare di farti intrappolare nelle sue reti, intessute di parole e racconti. Dovrai essere molto più imparziale nelle valutazioni”.
“Tu credi che io non lo sia? Perché mi dici questo?”.
“Perché leggo in te molta ammirazione per lui. Così gli offri pericolosamente il fianco ed è una svista che non ti puoi concedere”.
La principessa percepì crescere il magone per via del rimprovero inaspettato. Non da lui. Non da Narsas.
“Quindi mi ritieni una ragazzina inesperta e priva di giudizio…” mormorò amara.
“Cosa? No!” esclamò il guerriero del deserto “Non fraintendermi! Desidero solo metterti in guardia dall’eventuale tattica di quell’uomo”.
“Tattica?” ripeté lei addolorata “E quale sarebbe la tua conclusione? Che Alyecc stia cercando di farmi girare la testa per prendermi in giro? Che vantaggi ne trarrebbe?”.
“Non lo so. Forse è lui che sta tentando di carpire informazioni da te. Perciò vorrei impedirgli di ferirti nei sentimenti, mentre stai provando a scoprire qualcosa che per noi potrebbe fare la differenza”.
“Non ho rivelato nulla di me! Ho prestato tutta l’attenzione necessaria! C’è comunque un altro punto che non puoi conoscere, non solo perché non eri presente” disse la principessa con voce soffocata “Tu non sai quale aspetto dell’indole di un uomo mi affascini… quale possa catturarmi sul serio… Non lo sai nemmeno tu, Narsas!”.
L’arciere trasalì e abbassò lo sguardo, colpito a fondo. Sospirò, sconfortato.
“Io avrei voluto essere lì con te, Adara, invece… Mi devi scusare, è la mia premura nei tuoi riguardi che mi fa parlare a sproposito, anche se non è quello il mio intento. È che non vorrei mai e poi mai vederti soffrire, così travalico ciò che è mio diritto esprimere. Ma in questo sono sincero”.
La ragazza osservò la sua espressione provata e stanca. Aveva acconsentito a quella cena, ma si vedeva che l’aveva tollerata forzando se stesso, unicamente per manifestare la fiducia che aveva in lei, nel suo alto compito, nel suo modo di essere.
Per un attimo la rasentò l’idea che il giovane potesse essere geloso di… No, che deduzione stupida! Stava solo cercando di esporle i suoi timori più che fondati e lei…
“O forse… Forse Alyecc ha davvero deviato l’unico discorso che sarebbe stato necessario affrontare!” esclamò, esitante “Avrei dovuto chiedere il suo pensiero sulla possibile fine del mondo, ma il tempo è volato e non ho voluto rischiare di…”.
Narsas le prese improvvisamente il viso tra le mani e lei si arrestò di colpo.
“Fermati. Va bene così, non angustiarti. E perdona la mia durezza. Non occorre sapere di più. Sei tu l’unica possibilità, Adara… La sola. Nessun altro”.
Si girò leggermente e la strinse con dolcezza al petto, trasmettendole il suo calore. La sua bocca le sfiorò la fronte, i suoi riccioli scuri le piovvero morbidi sul viso.
“I-io…?” esalò lei, colta alla sprovvista da quell’abbraccio improvviso.
“Sì. Non perché porti l’Imis’eli, ma perché sei… tu”.
“Narsas…”.
Sollevò il viso verso di lui, con il cuore che pulsava furiosamente, per domandare che cosa intendesse con quell’affermazione tanto semplice quanto complessa da interpretare. La risposta la raggiunse in un bacio. Uno vero. Non era una semplice, affettuosa carezza. Era desiderio.
L’arciere non stava giocando. Le sue labbra la cercarono con una passione mai espressa prima, quasi disperatamente. Lo ricambiò e lo sentì fremere, il suo respiro accelerò, le sue dita scesero lungo la sua schiena in una stretta decisa.
A sua volta lei gli passò le braccia intorno al collo e si inoltrò tra i suoi capelli bruni. L’orecchino scarlatto scintillò in un palpito, mentre lui la piegava delicatamente sul letto e le scioglieva con foga il nodo che chiudeva il mantello.
Poi la mano si bloccò. Lo sentì prendere fiato, mentre si sollevava da lei, con la respirazione fuori controllo. Lo vide arrestarsi con uno sforzo di volontà sovraumano e con il dolore fiammeggiante nelle iridi scure.
“No…” sussurrò con angoscia “Non… io non posso…”.
“Narsas…”
“Perdonami, Adara…”.
Si sganciò dalla stretta, allontanandosi il più possibile da lei, in preda al rammarico, nascondendosi il volto tra le mani. Tremava.
Il suo silenzio, dopo quell’impeto di pura passione, era troppo arduo da ascoltare, da accettare, da decifrare.
“Ti prego… parlami, Narsas!”
“Non avrei dovuto osare tanto…” mormorò lui, celato dalla penombra che occultava l’angolo più lontano della sua cuccetta “…e non so quali parole impiegare per scusarmi”.
“Nessuna. Non ti ho respinto”.
“Avresti dovuto sfoderare il pugnale, invece…”
“Perché? Io desidero comprendere, Narsas, e non ci riesco! Voglio capire cosa provo!” sussurrò, scossa “Cosa sono io per te! Che cosa sono?”.
L’arciere sollevò il viso e la guardò senza nascondersi, in un turbinio di emozioni.
“La speranza…”.
“Solo… questo?”.
“E’ quanto mi è concesso” rispose lui in un alito impercettibile.
Ma è tutto. Tutto.
 
“Non mi accompagnate alla mia cabina, Dare Yoon?” civettò Bicks, scendendo le scale del castello di poppa e prendendo impudentemente sottobraccio l’uomo.
“Temete di incappare in un filibustiere sulla vostra stessa nave?” ribatté lui freddo.
“Certamente no. È per godere ancora un po’ della vostra compagnia”.
“Spiacente, devo recarmi a sfamare i cavalli”.
“Allora vi saluterò a metà strada. Non amo molto gli animali a quattro zampe”.
Il soldato alzò gli occhi al cielo, fiaccato dall’ennesima allusione della capitana. Spostò il braccio e si liberò della stretta di lei, deviando l’argomento.
“La vostra esperienza suggerisce che pioverà ancora per molto?”.
“No, direi di no” rispose la donna “Spero, tuttavia, che con esperienza non intendiate che sono ormai anziana!”.
“Ma piantatela…” ringhiò lui.
“Questo tempo è fastidioso per chi è originario del Sud, lo so. Però è il bello dell’oceano. Essere imprevedibile e adrenalinico!”.
“Da come parlate, sembra che abbiate vissuto parecchio tra le onde. Senza che vi offendiate per l’uso dell’avverbio…”.
Lei rise, lasciando la balconata di legno sporgente sul mare e rientrando sotto coperta al riparo dalle gocce gelate che percuotevano il ponte.
“Ci sono nata. Voi però non mi avete rivelato che cosa significa Dare, il vostro appellativo di battaglia. Non lasciatemi nella curiosità!”.
“Vuol dire soffio implacabile. Allude all’ostinata perseveranza delle tempeste di sabbia che flagellano il deserto di Elestorya”.
“Affascinante. Ve lo siete dato da solo?”.
“Sì e no” rimandò lui alzando le spalle “Invece, il vostro pare un diminutivo”.
La donna aggrottò la fronte e si fermò lungo il corridoio illuminato fiocamente.
“Lo è. Il mio nome per esteso non mi piace nemmeno un po’”.
“Addirittura. Non può essere così terribile…”.
Bicks gli si avvicinò suadente, costringendolo contro la parete lignea del passaggio angusto e sfiorandolo con il proprio corpo flessuoso.
“Dipende da chi lo ascolta. Voi, per esempio. Suppongo che non vi impressionereste più di tanto. Ma sarei disposta a confessarvelo solo se foste implacabile con me come amante questa notte”.
“Vi ho già chiarito che non mi interessate in alcun modo”.
Lo sguardo della donna si fece torvo e minaccioso. Quel secco rifiuto la fece sentire furente e umiliata. Sfilò con rapidità il coltello dal fodero nascosto nella cinta di pelle e la lama balenò sinistra nell’ombra.
La casacca azzurra di Dare Yoon si squarciò a metà, ma sulla sua pelle abbronzata non rimase alcun taglio. 
“Ho sbagliato apposta” sogghignò lei “Se avessi voluto, vi avrei eviscerato come un pesce, ma ho pensato che fosse un vero peccato. Potreste cambiare idea col tempo”.
L’ufficiale ridacchiò, algido e tutt’altro che terrorizzato. La luce tenue delle lampade ad olio si irradiò sul di lui, mettendo in evidenza il tatuaggio con il sole, tracciato nitidamente all’altezza del cuore.
“Non dubito della vostra abilità con il pugnale” ribatté “Ma sulla pratica culinaria da voi così ben descritta avrei qualcosa da ridire”.
Solo allora Bicks avvertì la pressione di una lama altrettanto affilata e letale sotto le costole. Rinfoderò l’arma con rabbia e si ravviò i capelli, facendoli ricadere sulle spalle nivee. Abbassò lo sguardo sul petto scoperto dell’uomo, studiando il disegno senza alcuna vergogna.
“Sette promesse, eh?” disse tra i denti, contando i raggi della stella “Sono tante. Pensate di mantenerle tutte?”.
“Lo sto già facendo”.
“Ah. E che promessa avete rivolto alla donna che vi attende?”.
“Non c’è nessuna donna”.
La capitana sgranò gli occhi, sinceramente sorpresa.
“Alla terra madre, agli dei, al reggente, alla propria missione, alla donna che si ama, alla famiglia e alla spada… se non ricordo male” elencò precisa “Che senso ha incidere la propria parola per qualcuno che non esiste? Forse la vostra compagna è venuta a mancare?”.
“No” rispose lui, inflessibile “Ma se e quando ci sarà, potrà comprendere che valore ha l’uomo con cui dividerà la sua vita”.
“Io…” balbettò lei, sconcertata.
“Detto questo, vi auguro la buonanotte, Bicks” disse, rinfoderando a sua volta la spada e allontanandosi nell’oscurità.
 
Passi concitati in avvicinamento risuonarono lungo il corridoio della nave.
L’uscio della cabina si spalancò con uno schianto perentorio.
Adara sobbalzò, voltandosi di scatto, cogliendo l’espressione stravolta di Dare Yoon e il suo respiro affannato. Evidentemente aveva corso come una furia per raggiungerli. Si preparò mestamente ad accogliere una pessima nuova.
Narsas abbassò l’arco che aveva impugnato repentinamente, rilasciando il fiato alla vista del compagno di viaggio.
“Non farlo mai più” ammonì, rilassando il braccio “Anche se non sono nella mia forma migliore, avrei potuto piantarti una freccia nel cuore senza problemi”.
L’ufficiale boccheggiò, incapace di articolare qualsiasi suono.
“Oh, stelle! Ti hanno attaccato?” domandò con enfasi la principessa, notando la sua casacca stracciata fino alla vita.
“N-no…” rispose stentatamente lui, con voce provata dallo sforzo.
“Bicks ha attentato alla tua virtù?” fece eco Narsas, provocatorio.
“Ehi!” ringhiò finalmente il soldato “Ne ho abbastanza…!”
“Dare Yoon, ti prego! Cos’è accaduto?” lo incitò la ragazza.
“Il cavallo, mia signora… il vostro! È … è guarito!”
L’arciere lo guardò, faticando a credere alle proprie orecchie.
“Dico… ti ha dato di volta il cervello?” sbottò “Ci hai fatto venire un colpo per…”.
“No! No!” continuò lui, scuotendo la testa “Non mi sono spiegato adeguatamente! La ferita sulla zampa è sparita!”.
“È un’ottima notizia, ma non c’era bisogno di spaventarci a morte!” osservò Adara.
Dare Yoon spostò il brandello di stoffa che gli pendeva addosso e scoprì la spalla, mostrando i segni ancora evidenti dei denti acuminati del kira.
“Anch’io sono a posto ormai” riprese, totalmente in ansia “Però le cicatrici sono rimaste! Sanate sì, ma ben visibili. Invece… invece il cavallo non ha più niente! Nessuno sfregio, nessun callo… zero! Pulito! È come se non ci fosse mai stata alcuna lesione!”.
“Cosa?” rantolò Narsas, spalancando gli occhi e intuendo immediatamente il punto.
Adara aggrottò la fronte, incerta.
“Mia signora” continuò il soldato, rispettoso, chiudendo la porta con meno enfasi “Avete detto che quel forestiero, Alyecc, vi ha aiutata a medicare l’animale pochi giorni fa. Come…?”.
“Sì…” ammise lei, più impaurita “Ha detto di avere con sé un unguento strepitoso. Ho visto che ha preso una boccetta e ha versato alcune gocce trasparenti sulla ferita del mio cavallo, poi l’ha ribendato, raccomandandosi di lasciarlo così qualche tempo”.
“Nient’altro?” domandò l’arciere, visibilmente turbato.
“No…”.
Si guardarono in silenzio l’un l’altro.
“Per quanto possa essere miracoloso” affermò Dare Yoon, interrompendo la tensione che aleggiava nell’aria “Nessun farmaco riesce a cancellare del tutto e in così poco tempo dei buchi come quelli. Li rimargina o li cauterizza, ma questo… questa…”.
“Questa è magia” completò Narsas lapidario.
 
 
Dionissa era dolce e altruista, empatica e riservata, disposta ad anteporre qualunque altra persona a se stessa, se necessario. Ma era parimenti ostinata e decisa, soprattutto quando era conscia che la posta in gioco fosse inestimabile.
Il Kalah aveva tentato di parlarle. Aveva intravisto un volto, senza riconoscerlo ed era certa che non fosse stata tanto una visione, quanto più un tentativo di comunicazione da un luogo molto lontano. Aveva avvertito un’urgenza, ma non era stata in grado di identificare né l’interlocutore né la richiesta.
L’arrivo improvviso di Kendeas e di Phylana, il successivo, tragico racconto della giovane Aethalas e la stanchezza derivante da quelle ore convulse avevano interrotto la sua ricerca nelle stanze di Shion. Era fondamentale recuperare il tempo perduto, perciò era ritornata in quell’ala del palazzo reale.
Eudiya aveva acconsentito a lasciarla indagare da sola, impossibilitata ad assisterla, a patto che portasse con sé alcune guardie e la facesse avvertire immediatamente al primo rinvenimento sospetto o a qualsiasi accenno di pericolo. E che non si affaticasse troppo, date le sue condizioni.
La veggente lasciò che i soldati spalancassero le porte degli appartamenti del principe e che ispezionassero l’ambiente, in conformità agli ordini della regina. Poi li congedò educatamente, richiudendosi i battenti alle spalle.
Si concesse un attimo, sospirando e stringendo tra le dita il pendente che le aveva donato Aska Rei. Avrebbe dato qualunque cosa per sapere che lui era sano e salvo, che sarebbe tornato e che avrebbe potuto conoscere il figlio che ancora non sapeva di aver generato. Mormorò una preghiera ad Amathira e ricominciò a prendere in esame la camera con scrupolosa minuzia.
A parte i solchi delle righe sconosciute della Profezia trascritte dal fratello, non era venuto fuori altro, neppure dalla sua fornita biblioteca.
Dionissa pensò che non fosse poi così anomalo, Shion non avrebbe mai tenuto in bella mostra un testo così importante, soprattutto per il fatto che le sue intenzioni primarie erano all’apparenza quelle di non farsi sorprendere in tale opera.
Perciò lei avrebbe dovuto rivolgere la sua attenzione altrove, alla normalità, all’abitudine, cercando qualcosa che nessuno avrebbe mai considerato equivoco oppure fuori posto.
Lo scrittoio che aveva esaminato in precedenza con la madre non aveva presentato sportelli segreti o doppi fondi: quella dei fogli bianchi, segnati dal calco del pennino sulla risma, era stata una svista comprensibile.
Eudiya aveva assicurato che la stanza era priva di passaggi secondari o di botole nascoste, aveva addirittura fatto portare la planimetria originaria di quella sezione dell’edificio, pertanto anche quella possibilità era da escludere.
Allora dove? Dove avrebbe dovuto convogliare il proprio flebile Kalah per portare aiuto al principe, per scoprire che cosa l’avesse trascinato lontano dalla reggia che per lui era casa, che cosa avesse raffreddato e sconvolto il suo fragile cuore?
Il suo sguardo si fermò sulla gigantesca tela dipinta, che rappresentava il planisfero dettagliato dei Due Regni, affissa alla parete difronte alla zona adibita a studio.
Si avvicinò, analizzando i particolari e facendo leva sulla memoria per ricordare le caratteristiche geografiche del suo mondo.
Qualcosa del disegno attirò il suo sguardo, come una lieve stonatura.
Corse allo scaffale dei libri e cercò velocemente l’atlante che aveva notato durante la visita antecedente, spalancandolo nel punto centrale, che offriva parimenti una cartina precisa delle terre e dei mari.
Ritornò al muro dirimpetto, confrontando febbrilmente le due riproduzioni e la vide.
Il dipinto più grande presentava una linea di confine tra il Nord e il Sud, indicata con una linea tratteggiata in grigio scuro, che sul tomo cartaceo non c’era.
L’omissione avrebbe anche potuto essere voluta, trattandosi di un mappamondo fisico e non politico, ma alla metà esatta di quella striscia c’era un segno leggero, come una macchia impressa sulla tinta, che era leggermente schiarita.
Il colore era stato evidentemente toccato più volte, dunque si era sbiadito in quel punto esatto. Non c’erano altre sbavature se non quella.
Dionissa chiuse il volume con un gesto repentino e lo abbandonò sul tavolo, aprendo le mani, con un tremito, verso l’enorme quadro.
Appena le sue dita delicate si posarono sulla screziatura più chiara, si sentì trapassare da una forza sconosciuta e negativa.
Il Kalah insorse a sua difesa e, stranamente, non cedette all’opposizione offerta da quell’energia misteriosa e oscura: la principessa si captò come indesiderata e respinta, ma resistette, appoggiando cocciutamente i palmi sul punto che aveva rilevato, senza recedere.
La tela decorata iniziò a vibrare, fu una contorsione appena percettibile, il disegno dei continenti arretrò, come se qualcuno lo stesse cancellando velocemente dal centro verso i bordi o stesse invece riavvolgendo la realtà su se stessa.
Il movimento magico produsse una fessura piuttosto grande sul dipinto, che assunse l’aspetto di una ferita nera e profonda; si ingrandì, tanto da consentire l’eventuale ingresso ad una persona attraverso quella che avrebbe dovuto essere la semplice pietra della parete di fondo della stanza.
La veggente abbassò le braccia e fissò sconcertata il taglio netto che aveva difronte, dal quale proveniva una luminosità tetra e raggelante.
Raccattò il primo oggetto a portata di mano, un tagliacarte d’argento, e lo lanciò oltre la linea scura: il soprammobile varcò il confine buio e cadde oltre con un clangore metallico, come se fosse semplicemente piombato sul pavimento. Quel suono familiare la confortò.
Raccolse le forze e il coraggio per decidersi ad attraversare a sua volta quella soglia spaventosa e maligna. Accese una lampada e la sollevò, inoltrandosi con timore e cautela attraverso il mappamondo squarciato.
I suoi occhi verde oliva impiegarono qualche attimo ad abituarsi all’oscurità, che riusciva quasi a prevalere sul debole riverbero della fiammella. Aumentò l’intensità del lume e si strinse nel velo verde giada, trattenendo il respiro.
Scorse a terra il lustro coltellino che aveva scagliato e la sua sicurezza aumentò.
Il locale era un quadrato terribilmente angusto, c’era a malapena lo spazio per restare in piedi e osare qualche passo. I muri erano vicini tra loro e incombenti, tagliati a vivo in una roccia grigiastra e lucida, che non riconobbe come parte del palazzo.
L’unico elemento presente, che troneggiava al centro dell’ambiente asfittico con un bagliore sinistro, era un piccolo bacile nero ricavato da un masso scolpito a vivo.
I suoi orli erano stranamente viscidi e la conca era chiusa da un coperchio a guglia, una foggia che non rimandava assolutamente all’arte tipica di Elestorya.
Dionissa sollevò la lampada: l’elemento le ricordò le immagini con le vedute architettoniche massicce e svettanti del Nord, atte a difendere le costruzioni dal peso delle nevi, e il già conclamato sospetto di un contatto di Shion con Iomhar divenne pressoché certezza.
Percepì una crepa nel cuore e una sofferenza infinita.
Aveva promesso alla madre che l’avrebbe avvertita in caso di novità o di pericolo e quel catino sbalzato rappresentava entrambe le cose. Inoltre, per la regina sarebbe stato un dolore aggiuntivo, così come risultava per lei in quel momento.
Appoggiò la lampada a terra e allungò la mano verso la chiusura appuntita, con un batticuore sempre più forte. Il Kalah le rimandò un segnale inorridito, ma non la ostacolò nel tentativo.
La luce fioca si rifletté sull’interno dell’avvallamento pieno d’acqua, quando liberò il bacile della sua protezione. La superficie del liquido era trasparente e inerte, come se non si trattasse d’altro che di un recipiente per lavarsi le mani.
Dionissa sapeva che non era così. Sollevò da terra il tagliacarte di metallo e arretrò il più possibile. Poi lo scagliò con decisione nell’acqua.
Per un infinitesimo non accadde nulla.
Poi il fluido divenne opalescente e lattiginoso, prese a ribollire con rabbia ed emise un fontanile di schizzi fumiganti verso il soffitto incrostato d’umidità, sibilando come un rettile infuriato per essere stato turbato nell’ancestrale riposo.
Con l’ultimo spruzzo espulse l’oggetto indesiderato dal suo ventre ribelle, mandandolo a conficcarsi nella pietra accanto. Dopo ritornò immoto e atro.
La principessa impallidì. Quella… cosa si era difesa da ciò che aveva giudicato come un’intrusione. Evidentemente c’era un sistema preciso per utilizzarla. Il primo che le venne in mente le diede i brividi: aveva sentito parlare di comunicazione attraverso l’acqua, era una forma di magia non necessariamente malvagia, ma l’aspetto del bacile le lasciava ben pochi dubbi in proposito.
Lo richiuse e arretrò, angosciata.
Lo stomaco le diede una contrazione dolorosa quando pensò che Shion aveva certamente utilizzato quel sistema per contattare qualcuno… o qualcosa al Nord.
“Fratello, perché…?” mormorò, come svuotata da ogni energia.
Uscì dal buio, accedendo nuovamente alla camera del principe, rinunciando a qualsiasi ulteriore risoluzione solitaria. Il dipinto si richiuse alle sue spalle.
Si avvicinò alla porta d’ingresso e richiamò l’attenzione di un soldato.
“Fate venire la regina, Thyr Kari… subito”.
L’uomo scattò sull’attenti e si allontanò di corsa.
   
 
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