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Autore: Tatystories    05/08/2019    1 recensioni
Maya è una ragazza come tante che però deve fare i conti con una sedia a rotelle, con un vicino fastidioso e con una realtà celata nella sua memoria che si ripete fin dai tempi più antichi e che prevede la lotta del bene contro del male, di Madre Natura contro Caos e di cinque Elementi contro forze oscure e diaboliche. Passione, magia e mistero...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chi è davvero Lukas (Maya p.o.v.)

- Maya, allora pizza o pasta?
- Pizza mamma, stasera voglio pizza. Finisco di studiare e arrivo a preparare la tavola.
Ora mi sento meglio, tutta quella confusione è passata e seduta sulla mia sedia a rotelle mi sento di nuovo normale e al sicuro. Sembra assurdo pronunciare queste parole, ma è così. Ormai la mia vita è strettamente legata a lei ed è inutile provare a negare l’evidenza. Sistemo la stanza, la mia caduta ha rovesciato il cestino della carta che ha riversato il suo contenuto nel mio zaino. Frequento l’ultimo anno del Liceo Artistico, sono stata brava o forse lo sono stati i miei professori, ma nonostante il periodo di ricovero, la successiva riabilitazione e lo stress psicologico di aver perso la funzionalità delle gambe sono riuscita a non perdere l’anno scolastico. Amo quello che faccio, ma ho scoperto che la mia vera passione è un’altra. Mi iscriverò all’Università degli studi della Tuscia, dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’agricoltura, le foreste, la natura e l’energia qui a Viterbo e mi specializzerò in conservazione e restauro dell’ambiente forestale e difesa del sottosuolo. Ho scoperto questa passione durante le lezioni di architettura, mentre tutti erano interessati e preoccupati a capire come fosse stato costruito questo o quel elemento architettonico, io analizzavo l’impatto della sua costruzioni sulla natura circostanze e le conseguenze per l’ambiente. I miei professori hanno impiegato ancor meno tempo di me per capire quale sarebbe stato il mio futuro. Non sarà facile, la mia condizione complica tutto, ma ho la fortuna di avere dei genitori molto disponibili e una situazione economica agiata che mi permette di prendermela comoda senza sentirmi in colpa. Inoltre Celleno – Viterbo sono venti minuti d’auto e non appena arriverà la nuova macchina che potrò guidare io stessa mi sarà semplicissimo raggiungere l’università in piena autonomia.
Vado a mantenere la promessa di apparecchiare la tavola. Mia madre sta stendendo l’impasto della pizza, non è una grande cuoca, ma la sua pizza ha il suo perché e nessuno si lamenta quando decide di prepararla.
- Volevo avvisarti che stasera, dopocena, andiamo al cineforum con Grazia e suo marito. Quindi arrivano i gemelli a farti compagnia.
Gemelli uguale Lukas, mi sale una certa agitazione, ma cerco di contenerla. Certamente andrò anche lui al cinema o, tutt’al più, se ne starà tranquillo a casa.
- Va bene.
- Non sei contenta? Di solito i gemelli ti tirano sempre su il morale!
- Certo che sono contenta! Stavo solo pensando che gioco proporre questa volta.
Non ho voglia di dare spiegazioni e tanto meno di parlare di Lukas a mia madre. Non ho mai avuto una vita sentimentale particolarmente interessante. Qualche amicizia speciale, qualche bacio, poi c’è Chicco che da sempre fa parte della mia vita e che per anni si è dichiarato innamorato di me. Ad un certo punto mi sono arresa e ci abbiamo provato. Fu un periodo molto bello, siamo stati insieme sei mesi, ci siamo divertiti tanto, come sempre d’altronde e siamo andati ben oltre il bacio. Siamo arrivati fino ad essere nudi uno di fronte all’altro, pronti per superare quel confine che nessuno di noi due aveva mai osato superare con altri… ma non successe. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. Da quel momento capimmo che il nostro amore aveva una sfumatura diversa, più affettiva che romantica. Siamo compagni di avventure e sventure da sempre, nella stessa culla, nello stesso asilo e nelle stesse scuole fino a frequentare entrambi il liceo artistico. Abbiamo provato pallavolo, karate, piano e perfino hip hop insieme. Ci siamo raccontati il primo bacio, ci siamo confessati il primo furtarello e ci siamo consolati alla prima delusione. Abbiamo condiviso la punizione per il suo primo tre in algebra, rimanendo in casa per sei sabati di fila mentre i nostri amici si divertivano tra serate in discoteca e al bowling. Ci siamo sempre bastati e capiti, almeno fino all’incidente. Da quel momento è diventato tutto più complicato. Chicco si sente in colpa, il proiettile che mi ha colpito è partito da un fucile che si trovava tra le sue mani. Non è stata colpa sua, è stato solo un’incidente, un dannato incidente, ma Chicco non si è mai dato pace e sebbene più volte mi abbia assicurato di essersi perdonato, io sono certa che ogni volta che vede la carrozzina si punisce chiudendosi a riccio e impedendomi di tornare ad essere la sua amica del cuore.
- Maya ti ho stampato la copertina della tesina per la maturità. È in borsa, vai a prenderla prima che si stropicci. E’ molto bella, ti ha aiutata Chicco?
Sarà meglio che smetto di fantasticare su passato, presente e futuro e mi concentro su mia madre perché ha le antenne come una navicella spaziale e sente odore di bruciato a chilometri di distanza.
- Sì, mi ha fatto la foto e poi l’ha sistemata con Photoshop. È davvero un’artista. Io al confronto sembro una principiante, eppure siamo entrambi al quinto anno e i miei voti sono anche più alti dei suoi.
- Cara, siete diversi, avete doti diverse. Chicco è un’artista nel senso più stravagante e originale del termine, tu sei più terrena. Con i piedi ben piantati a terra e soprattutto interessata alla forma d’arte più primordiale che esista: Madre Natura.
Ho sempre trovato il termine Madre Natura rassicurante, protettivo e immenso. Comprende ogni cosa che naturalmente si trova sulla terra, ogni cosa che senza l’intervento umano sopravvive sul nostro pianeta e ogni cosa che può dare e togliere la vita con la sua stessa bellezza e primitiva forza.
La pizza come sempre è buonissima, papà ha fatto tardi, ma è riuscito a mangiare un boccone al volo prima di farsi una doccia per andare lindo e pinto al cinema. Suona il campanello, vado io ad aprire intanto che mia madre finisce di prepararsi.
Ecco i miei tre piccoli uragani, devo smetterla di chiamarli piccini perché credo che tra non molti anni mi guarderanno dall’alto al basso. La sedia a rotelle è il loro giocattolo preferito, credo siano stati gli unici tra tutti quelli che conosco che quando mia hanno vista qui seduta per la prima volta dopo la dimissione abbiamo emesso urletti di gioia pura e cominciato a farmi girare come una trottola. Il mondo si divide in due categorie davanti ad un paraplegico. I compassionevoli, pieni di “mi di spiace e ce la farai, ti siamo vicini e se hai bisogno devi solo chiamare” e gli spocchioni che hanno mascherato il sollievo di non essere al mio posto con battutacce tipo “quando mia fai dare un giro” o “stai una favola anche seduta”. Non ho apprezzato né gli uni né gli altri, ma mi sono divertita un sacco a fare la parte della disperata o della depressa a seconda della voglia che avevo. Di certo non mi sono mai strappata i capelli come presuppone una situazione come la mia. Qualunque altro essere umano sarebbe inferocito con il mondo o depresso o rassegnato… io non provo niente di tutto ciò, semplicemente mi sono adeguata e sono andata avanti. I medici o meglio gli psicologi – sì “gli” perché i miei genitori per sicurezza me ne hanno imposti ben cinque – dicono che è questo il motivo che mi frena e che non mi permette di alzarmi e camminare. Qualche giorno dopo l’operazione e la successiva diagnosi di paraplegia è successo il miracolo e le mie gambe sono tornate sensibili agli stimoli esterni quali martelletto, caldo e freddo, pizzicotti, tiratina di dita e quant’altro. Nessuno è riuscito a spiegarsi il motivo, tra le varie supposizioni la più accreditata fu che il proiettile si fosse mosso rimettendo in ordine ciò che si era lesionato, ma nessuno ci credeva, nemmeno lo stesso dottore che l’aveva azzardata. In realtà a pochi importava il perché fosse successo, ma piuttosto perché a quel punto non mi alzavo per tornarmene a casa con le mie gambe. Da lì la riabilitazione – sebbene fossi rimasta ferma solo per qualche giorno – e poi, dati gli infruttuosi risultati, la psicoanalisi, una vera rottura di palle. Comunque nemmeno quella sta dando dei risultati perché sono ancora inchiodata a queste quattro ruote, tranne oggi pomeriggio, quando per qualche secondo sono stata in piedi senza appoggio, ma forse è stato davvero solo un sogno.
- Maya… Maya… ma sei sul pianeta terra o su quello di Dynoland?
Sono i gemelli che reclamano la mia attenzione, Dynoland è il pianeta dove ambiento molte delle favole che mi invento per farli addormentare. Per un po’ di tempo gli ho letto i loro libri favoriti, poi una sera ho deciso di provare a raccontagli una delle mie storie. Mi diletto a scrivere favole per bambini, ma non le ho mai lette a nessuno se non ai miei gemelli. Li seguo in salotto e li guardo mentre si siedono sul divano, sono quasi spaventata. Non sono abituata a tanta gentilezza e pacatezza di modi. Cos’hanno? Cosa stanno architettando?
- Maya abbiamo una sorpresa. Ti piacciono le sorprese vero?
- Certo… se sono belle sorprese!
Con loro non si sa mai, hanno la tendenza a ragionare le birichinate e a farle passare per idee tue.
- Ohoh… certo che è una bella sorpresa! Tu vuoi bene alla nostra mamma e al nostro papà?
Questo è Pippo.
- Certo…
- E a noi?
Questo è ROBY.
- Certo…
- E vuoi farci felici tutti quanti?
Questo è Giacchy. Ma dove vogliono arrivare?

  • Certo!

Si alzano dal divano e ritrovando tutta l’energia e la grinta che li contraddistingue si lanciano verso il corridoio urlando:
- Vieni zio Lukas, vedi che avevamo ragione noi. Maya ti vuole bene e vuole e rimani qui con noi questa sera.
PICCOLI FURFANTI INFINGARDI E IMBROGLIONI!
Dalla cucina piomba mia madre.
- Ma dai! Davvero! È arrivato zio Lukas? Certo che può fermarsi per aiutare Maya, con voi tre piccole pesti ci vuole tutto l’aiuto possibile.
Zio Luka un paio di… non ho nessunissima intenzione di passare una serata con lui, nemmeno se tra noi ci sono i gemelli che certamente garantiscono gran confusione e nessuna intimità, ma come faccio a spedirlo al cinema senza far capire che ci siamo già incontrati e che non ho apprezzato la sua compagnia.
Lukas è molto compito ed educato e si rivolge a mia madre.
- Salve Signora Viola, ben ritrovata.
Ma quando si sono mai visti? Mi ricorderei di averlo già incontrato! Possibile che si conoscano già?
- Ciao, Lukas, come sei cresciuto. L’ultima volta quanti anni avevi? Diciassette?
Quindi io avevo dieci anni… ma proprio non mi ricordo di averlo conosciuto o anche solo visto.
- Era l’estate dei miei diciotto anni, ero qui per il matrimonio di Grazia.
Ecco perché non me lo ricordo, quell’anno sono stata tutta l’estate a Firenze da mia nonna e rammento quando mamma mi aveva mostrato le foto del matrimonio di Grazia. In quell’occasione le avevo chiesto informazioni su un ragazzo ritratto in una delle foto perché mi avevano impressionato i suoi occhi che sembravano infuocati. Ecco doveva avevo visto quegli occhi!
- Certo hai ragione, era il 2012. Quando sei arrivato?
- Questa mattina e mi fermerò un po’ di tempo, non so quanto di preciso, Grazia insiste perché mi fermi tutta l’estate.
Tutta l’estate! Non è possibile, non ho intenzione di sopportare la sua insolenza tutta l’estate.
- Maya tu non l’avevi conosciuto al matrimonio di Viola, ricordo che eri dalla nonna. Lukas ti presento mia figlia Maya, ha diciotto anni.
Ci guardiamo, io ho tutta l’intenzione di fingere di non conoscerlo e che il nostro incontro questo pomeriggio non sia mai esistito. Per evitare che invece Lukas faccia una scelta diversa, lo anticipo sui tempi e mi presento con tutto il garbo che mi è stato insegnato.
- Piacere Lukas, lieta di conoscerti. Andrai al cinema anche tu questa sera? Mi hanno detto che il film è davvero bello e il regista uno tra i più promettenti del panorama cinematografico.
Non ho la più pallida idea di quale film andranno a vedere e tantomeno di chi sia il regista, ma non voglio che rimanga qui a casa mia con me e i gemelli.
- Davvero! E chi sarebbe il regista?
Disonesto, cafone e spregiudicato. Sa perfettamente dove voglio arrivare, ma non ha nessuna intenzione di facilitarmi il compito. Mi allontano dal salotto e vado in cucina, mi verso un bicchiere d’acqua e penso ad una strategia per obbligarlo ad andarsene. Dal salotto sento le voci dei gemelli che incitano lo zio a fermarsi a giocare con loro. Cominciano a raccontargli di quando li ho verniciati da capo a piedi con la pittura per il corpo, avevo appena finito un corso extra scolastico di body painting e voleva verificare le mie capacità. Tre piccoli capolavori: una tigre, una pantera e un koala. Peccato che ad un certo punto, Giacchy per imitare il koala e appendersi al mio collo, si lanciò dal tavolo urtando la tanica dell’azzurro e sporcando tutto il salotto. A complicare ulteriormente la situazione già difficile, Pippo e Roby usarono la pozza di azzurro come fosse un laghetto e loro pesciolini allegri. Furono due ore di duro lavoro, ma quando rientrò Grazia era tutto pulito e i gemelli dormivano quieti lindi e sfiniti. Li avevo obbligati ad aiutarmi a ripulire il salotto e consapevoli di averla combinata grossa non avevano fiatato e si erano impegnati a modo loro. Lukas rideva della vicenda, una risata cristallina e pulita, a tratti affascinante e forse un po’ arrogante. Tutto sommato se non mi avesse trattata come una ragazzina capricciosa che non si alza dalla sedia a rotelle per fare un dispetto a qualcuno, potrebbe anche piacermi, ma non posso dimenticare il suo ordine perentorio e la delusione che anche lui come tutti gli altri vedesse solo la mia condizione piuttosto che la mia persona.
- Zio Lukas un’altra volta invece abbiamo visto Maya in mutandine, erano proprio belle perché avevano…
Oh no! Non possono raccontargli di quella volta. Devo fermarli. Mi precipito in salotto, sono diventata piuttosto veloce quando la situazione lo rende necessario.
- Basta piccoli briganti, vi sembra opportuno raccontare delle mie mutandine allo zio? Dite ancora una parola e prometto che questa sera andrete a letto senza favola.
- Io sarei piuttosto interessato.
Me lo sussurra piano all’orecchio mentre si avvicina alla sedia a rotelle e la sospinge fino a portarmi davanti ai gemelli. Sfacciato, sia per la risposta che per aver pensato di potermi trasportare come un bambolotto dove gli pare e piace. Tiro il freno a mano e la sedia si blocca improvvisamente, il brusco fermo sospinge il busto di Lukas in avanti, avvicinando pericolosamente il suo viso al mio. La sua bocca è perfettamente allineata con il mio orecchio sinistro, mi aspetto altre parole taglienti, ma non sono vocali e consonanti a infuocarmi, ma un piccolo soffio, un alito leggero e il suo ciuffo che mi solletica la fronte. Non mi giro, non voglio guardare i suoi occhi, sebbene non ne ho bisogno, so già che sono attraversati da splendide fiamme dorate. Mi sento fremere dalla punta dei capelli fino alle dita dei piedi. La bocca ha perso la salivazione, le spalle si sono inarcate, i capezzoli sono turgidi e il basso ventre cerca una posizione più comoda. Nel farlo ordina alle gambe di liberarsi dalla costrizione della sedia a rotelle. Muovo un piede, lo metto a terra, muovo l’altro, anche lui si trova a terra e sento l’unione con il pavimento sotto di me. Capisco che qualcosa di potente da terra sta risalendo nelle mie gambe per dar loro la forza di reagire e sorreggermi. Sto per alzarmi.
- No, Giacchy fermo!
Chi ha urlato? È Grazia che entrando in salotto ha visto il gemello salire sul bracciolo del divano e prepararsi per il lancio. Ma è troppo tardi, Giacchy è piombato sulle mie gambe immobilizzandomi di nuovo. La magia sfuma e l’energia con essa. Ritorno alla realtà e mi sembra di aver passato gli ultimi cinque minuti in una bolla di sapone. Forse non sono stati nemmeno cinque minuti, ma solo pochi secondi nei quali per un attimo ho pensato di alzarmi e camminare. Cosa è successo? E’ stato Lukas? Mi sento stordita e preferisco non pensarci più. Solletico Giacchy. È il più monello dei tre, dieci ne pensa e cento ne combina, ma è anche il più affettuoso. Ci ho messo un po’ per capirlo ma ogni suo lancio è un modo per ricevere qualche coccola senza chiederla. Guardo Lukas che sembra particolarmente affaticato quasi avesse fatto una corsa, ha un po’ di affanno ed è leggermente sudato, forse non si sente bene.
- Noi andiamo Maya. Lukas cosa hai deciso? Torni a casa come pensavi di fare o vuoi fermarti visto che Viola ti ha inviato a restare ad aiutare Maya? Mi sembri particolarmente affaticato…
Grazia è una mamma molto premurosa e di certo lo è anche come sorella, sebbene da quanto ho capito non si conoscano molto.
- Sto bene. Se a Maya non dispiace mi fermo per aiutarla con i gemelli dal momento che questa sera mi sembrano particolarmente agitati.
Se a Maya non dispiace, certo che mi dispiace, ma cosa faccio? Racconto che oggi mi hai turbato con quella frase assurda alla Gesù Cristo – alzati e cammina – o che due minuti fa mi hai infuocata con un sospiro…
- Certo che mi fa piacere!
Esclamo con esagerato e dissimulato entusiasmo… e vediamo di arrivare a fine serata sani e salvi.
- Benissimo, allora mi fermo. Appena i gemelli saranno a letto tolgo le tende e torno a casa a piedi. Mi piace passeggiare di sera.
- Va bene Lukas, ci vediamo più tardi. Gemelli vedete di fare i bravi e di comportarvi bene o domani niente parco giochi… intesi?
Quanto adoro le minacce fasulle delle mamme, tremende promesse di torture medievali che si tramutano in nasi fumanti e occhi alzati al cielo. Bastano gli occhioni sgranati al punto giusto o la parolina magica che tutto può – che non è bidibibodibibù, ma “scusa” – e il gioco è fatto.
Niente da fare, sono proprio usciti tutti e mi hanno lasciato una zavorra pesante: Lukas. Vado in cucina a preparare il latte, nonostante abbiano ormai compiuto cinque anni ancora pretendono il latte prima di coricarsi. Per lo meno hanno sostituito i biberon con delle borracce molto simpatiche che gli ho regalato lo scorso natale. Le ho comprate in un negozio in centro Firenze, erano lì in vetrina che mi guardavano, ognuna con il nome dei miei tre piccoli birbanti e ad ogni nome era associata l’immagine di un animaletto. Per Filippo il canguro, perfetto per la sua passione per i salti, per Giacchy un leone dalla criniera dorata come i suoi capelli e per Roby un orsacchiotto con le zampe immerse in un vaso di miele, adatto al più golosone dei fratellini. Latte tiepido con un cucchiaino di miele, poi lavaggio denti e infine la storia della buona notte. Che bel suono, sento la loro risata rimbombare dal salotto. Stanno giocando con Lukas e avrei davvero voglia di partecipare anche io, ma mi sento ancora agitata per quello che è successo, però dovrò trovare il modo per chiarirgli che non può trattarmi in quel modo. Deve sapere che non sono una bambina che non si solleva dalla sedia a rotelle perché fa i capricci o perché vuole attirare l’attenzione e che non può ipnotizzarmi con i suoi giochetti da mago Merlino.
Li raggiungo in salotto e quasi non credo ai miei occhi. Sono tutti sdraiati sul pavimento avvinghiati con gambe e teste intrecciate a tal punto da creare veri e propri mostriciattoli. Pippo ha un braccio di Lukas e le gambe di Roby. Giacchy ha una gamba di Lukas e un’altra di Roby e così via. Si divertono come matti e quello che sghignazza più di tutti è proprio Lukas che all’alba dei suoi venticinque anni e della sua presunta maturità, sembra il più piccolo e disperato di tutti.
- Forza, è ora di bere il vostro latte e poi di lavarsi i denti e mettere il pigiama. Non crediate che la presenza di zio Lukas cambi le nostre abitudini.
Sono un po’ dura, ma se non mi comporto così prenderanno il sopravvento e in un batter d’occhio mi ritroverò sdraiata in mezzo a loro… o forse no… non posso più… dovrei poi strisciare come un verme per ritrovare la posizione eretta. Sento un tuffo al cuore, questo non è il primo pensiero di rimpianto che provo da quando sono costretta su questa sedia a rotelle, ma è il primo che mi fa venir voglia di urlare. Non che non abbia pianto o non mi sia disperata quando mi hanno rivelato la mia condizione, ma quasi subito un forte senso di sopravvivenza ha preso il posto della disperazione e una forza inaspettata mi ha permesso di cominciare a impostare la mia vita da questo nuovo punto di vista. Anche quando i dottori hanno constatato la mia apparente guarigione, ma le mie gambe non l’hanno confermato non sorreggendomi come avrebbe dovuto essere, non ho provato paura, ma nemmeno rassegnazione. Semplicemente mi sono intestardita e ho ripreso a programmare la mia esistenza da questa seduta, senza mai pensare a quanto perdevo, ma sempre positiva e propositiva. Oggi per la prima volta vedo quello che mi sto perdendo e mi fa male. Un dolore sincero e profondo che avevo scacciato in un angolo e che non volevo e non voglio provare. Lukas capisce che mi sta succedendo qualcosa perché mi fissa e cerca di svicolarsi dalla stretta dei gemelli, ma ormai è tardi. Il panico ha preso il sopravvento, tutto quel panico che avevo astutamente nascosto da qualche parte nella mia testa e che non doveva assolutamente proporsi adesso, davanti ai gemelli e soprattutto davanti a Lukas, ma credo di non poterci fare nulla. Il respiro diventa affannato e la vista offuscata, sento le guance bagnate di calda umiliazione. Lukas è velocissimo, si solleva dal pavimento, piazza i gemelli sul divano e accende la tv sul canale dei cartoni animati. Poi si avvicina, lo fa lentamente, sa che potrei rifiutare la sua compassione, ma per qualche strano motivo sono certa che non è compassione ciò che ha da offrirmi… ma comunque non so cosa sia. Non ci conosciamo, non ci siamo mai visti prima di oggi, non abbiamo nulla in comune e le nostre strade si separeranno molto presto dal momento che mi ha raccontato che partirà appena possibile. È dietro di me, mi sta spingendo verso la cucina. Si ferma, ho i brividi e percepisco la sua vicinanza e il calore della sua energia, ora vorrà dirmi delle parole gentili, di conforto e di supporto, ma non credo di essere pronta. Non succede, se n’è andato, è tornato in salotto con le borracce del latte. Sento i gemelli sorseggiare di gusto e questo significa che sono pronti per la nanna. Devo riprendere il controllo   e andare a raccontargli la favola della buona notte, anche se mi sento morire dentro per la vergogna di aver mostrato le mie paure ad un perfetto estraneo molto più di quanto non abbia mai fatto con i miei stessi genitori.
Lukas ha spento la tv e sta chiedendo ai gemelli dove si trova il bagno, dopotutto non è mai stato in questa casa. Imposto la migliore faccia che riesco a trovare tra mille pensieri e sconforti e li aspetto nella camera degli ospiti dove normalmente dormono quando gli faccio da baby-sitter. C’è un grande letto matrimoniale dove adorano raggomitolarsi vicini vicini, prima dell’incidente mi sdraiavo con loro e si addormentavano abbracciati a me. Un altro rimpianto, solo il secondo da mesi, ma già il secondo di questa serata. Eccoli i miei cuccioli, sono come fratellini per me, non ho avuto la fortuna di avere fratelli o sorelle, ma da quando sono nati loro sento la responsabilità di una sorella maggiore. Voglio farli star bene, proteggerli, assicurarmi che siano felici e mi piace farlo, mi fa sentire bene e giusta. Lukas rimane sulla porta, dimostra con questo gesto una delicatezza che non mi aspettavo. I gemelli sono già sotto le coperte e aspettano con trepidazione una nuova favola. Proprio qualche giorno fa ho finito una nuova storia: Il Meraviglioso e fantastico viaggio della famiglia Grando.

Dormono, pacifici e sereni e molto probabilmente stanno viaggiando con la famiglia Grando tra pianeti strampalati e alieni senza senso. Di certo la fantasia non mi manca. Ho sempre scritto favole fantasiose, ma dall’incidente ho avuto molto più tempo da dedicare alla scrittura e i racconti sono diventati sempre più fantastici e le ambientazioni più bizzarre e spaziali.  Lukas mi sta ancora guardando, non mi ha perso d’occhio nemmeno un momento da quando ho iniziato a raccontare la favola della buona notte. Non capisco cosa dice quello sguardo, non è compassione, non è ammirazione, non è curiosità e nemmeno ardore. Sembra che voglia infilarmi qualcosa in testa con la forza dello sguardo, mi chiedo perché semplicemente non mi dice cosa frulla nella sua di testa. Gli passo accanto cercando di essere più invisibile possibile, cosa che ovviamente mi è impossibile dovendo muovermi con due enormi rotelle al posto dei piedi – e siamo a tre rimpianti -.
Mi segue fino in salotto, è presto, ma aveva assicurato a sua sorella che una volta sistemati i gemelli sarebbe ritornato a casa. Forse è meglio se glielo rammento, con educazione.
- Preferisci andar via subito o vuoi che ti prepari un caffè?
- Un caffè andrà bene, grazie.
Dovevo tacere e lasciare a lui l’incomodo di trovare qualcosa da dire. Prendo la caffettiera, la riempio e la mette sul gas. Mia madre ha sistemato tutto in modo che io sia perfettamente autonoma, la maggior parte dei ripiani alti sono vuoti o contengono elettrodomestici e pentolame che usiamo poco o per nulla. Tutto è posizionato a portata di sedia a rotelle. Pochi minuti e nella stanza si diffonde un aroma delizioso, mi stuzzica le narici e mi fa venir voglia di berne una tazza con lui. Preparo lo zucchero e il latte, non so come gli piace, ma se due più due fa ancora quattro lo berrà nero e amaro. Si è già accomodato e dopo aver versato il caffè in due graziose tazze colorate che fanno le smorfie, mi avvicino a lui.
- Hai per caso dello zucchero di canna?
Ho sbagliato, gli piace zuccherato ed ha anche gusti ben precisi. Ricordo che mia madre tiene lo zucchero di canna per quando prepara i cookies, ma non sono certa di dove si trovi. Apro un paio di antine, ma non c’è. Provo nella dispensa sulla parete opposta, ma anche qui non lo trovo.
- Forse è là sopra!
Lukas mi suggerisce una mensola piuttosto alta sopra la quale si scorge un barattolo di vetro dal contenuto ambrato. Se non sbaglio è proprio quella che cercavo, ma non ci arriverò mai. Mi volto verso di lui con lo sguardo costernato e lo vedo bere il suo caffè nero e senza zucchero. A quel punto capisco tutto.
- Perché lo hai fatto? Ti piace prendermi in giro? Trovi che sia divertente giocarti di una disabile?
Sono infuriata, sto bisbigliando solo perché non voglio svegliare i gemelli, benché sappia per esperienza che il loro sonno è innaturalmente pesante. Sputo le parole come fossero veleno amaro e disgustoso. Desidero ardentemente vendicarmi per quello che mi ha detto a casa di sua sorella e per quanto mi ha appena fatto. È un mostro, senza cuore e senza orgoglio e non voglio rivederlo mai più. Lukas si è alzato e cammina verso di me, prende con facilità la candida zuccheriera e la appoggia con violenza sul tavolo.
- Se tu fossi una vera disabile avrei taciuto e come ho appena fatto mi sarei servito da solo per non metterti in imbarazzo. Ma tu puoi camminare e invece stai rannicchiata su quella sedia a rotelle recitando la parte dell’inferma solo per paura di quello che hai visto quella sera. Puoi far finta con gli altri, ma non come me. Io so chi sei.
Nei suoi occhi le fiamme dell’inferno.
- Cosa vuoi da me? Di cosa diavolo stai parlando e chi ti credi di essere? Io ho un proiettile nella colonna e non recito proprio nulla!
Gli urlo queste parole come lava infuocata che fuoriesce indomita e prepotente dalla bocca di un vulcano. Lo odio e non lo voglio in questa casa. Deve andarsene. Io non ho visto niente quel giorno, però perché ho capito immediatamente a quale giorno si riferisce? Seppellisco questo pensiero in un angolo profondo della mia coscienza, non voglio affrontare questa domanda e la sua risposta. I fatti certi sono che io non sono nessuno e lui non sa un bel niente di quello che posso o non posso fare. La furia divampa incontrollabile e sento limpidamente il fuoco accendersi nelle mie vene, il calore delle fiamme diffondersi nelle braccia e nelle gambe. Mi pizzicano i piedi e mi formicolano le mani, brividi incandescenti percorrono il mio corpo da capo a piedi, mi sento potente, sicura, un leone pronto a sbranare la sua preda.
- Vattene! Vattene via da questa casa e non tornare mai più!
Lukas sorride, i suoi occhi sono tornati normali, nocciola dorati, non più arroventati. Mi squadra dall’alto al basso, soffermandosi sul mio volto, poi fa un cenno con le sopracciglia sollevandole leggermente e indicando con lo sguardo il pavimento. Guardo giù… giù… sempre più giù. Da quanto tempo il giù non era più così giù? Oh Cielo Santo! Sono in piedi e mi sono alzata senza l’aiuto di niente e nessuno, non ho fatto leva sui braccioli, non ho ancorata i piedi a terra, non ho riflettuto su quale muscolo utilizzare per riuscire a sollevarmi. Sono in piedi! Lo guardo sbalordita, ma lui mi sta già parlando.
- Adesso vieni verso di me. Muoviti e cammina!
Ancora quelle parole, ancora quel comando e di nuovo le fiamme al posto delle iridi. Ma questa volta mi sento più forte, mi irrita il suo tono, ma non cedo come questa mattina. Spingo un piede in avanti, sono terrorizzata… e se il piede non risponde al mio comando? Se è tutto frutto di adrenalina e il prodigio si limita a farmi stare in piedi? Tentenno, ma un altro comando mi sprona.
- Ho detto cammina!
La sua voce è dura, diversa da quella che ho udito fino ad ora. Sembra posseduto da qualcosa di potente e accattivante. Vado avanti. Ora il sinistro dovrà fare un percorso doppio rispetto al piede destro. Il secondo passo è sempre quello più difficile. Devo mantenere l’equilibrio per più tempo e lo devo fare portando tutto il peso su una sola gamba. Si muove! Semplicemente e senza fatica, non sento dolore, il corpo non barcolla, non ho le vertigini o tentennamenti. Mi fermo per prendere fiato anche se dentro di me sento che posso farcela, qualcosa o qualcuno mi guida e in un attimo capisco che è Lukas. Lo osservo con più attenzione. È concentrato su di me, anzi sulle mie gambe, ha la fronte aggrottata e leggermente permeata dal sudore e gli occhi socchiusi. Le mascelle sono serrate e noto un guizzo sullo zigomo sinistro come se lo sforzo di mantenere il contatto visivo gli provocasse dolore. Scendendo noto il collo teso, le vene pulsano e affiorano dalla pelle gonfie e bluastre. Le spalle sono aperte, posso quasi vedere le scapole toccarsi, le braccia sono tese lunghi i fianchi rigide e muscolose, mentre le mani sono serrate a tal punto da mostrare le nocche sporgere in modo innaturale. Tutto il resto del suo corpo è ben saldo sulle gambe leggermente divaricate. Sembra che il suolo lo stia trattenendo fisato a terra con forti radici fantasma che si aggrovigliano lungo i polpacci. E poi le sento. Le stesse radici salgono dal pavimento e afferrano anche i miei polpacci. Sono forti ed energiche e so che posso farcela. Proseguo, vado dritta per il percorso tracciato a terra da fiamme immaginarie. Sono segni infuocati che mi portano da Lukas. Sto camminando fiera e sicura come mai in vita mia, nemmeno prima dell’incidente sono mai stata così determinata. Sono davanti a Lukas, altri due passi e gli sarò di fronte, ma lui perde il contatto e barcolla paurosamente sugli arti inferiori che improvvisamente sono diventati molli e deboli. In un batter d’occhio riprende l’equilibrio e ritorna saldo, ma per me è la fine. Anche le mie gambe sono tonate deboli e insicure e non riesco a riprendermi come lui. Crollo su me stessa esattamente come farebbe un sacco di patate svuotato all’improvviso, ma Lukas mi prende al volo. Sono tra le sue braccia, il viso appoggiato sulla spalla destra e con le braccia mi aggancio al collo, ho paura di cadere, ma in realtà so perfettamente che non lo permetterebbe mai. Ma perché so queste cose? Perché mi fido così tanto di lui? Perché mi sento a casa tra le sue braccia? Ma soprattutto… com’è riuscito a farmi camminare? Nella mia mente mille domande senza risposte che trovano pace solo grazie ai suoi sussurri e al suo profumo che mi invade i sensi: è legno e agrumi, forse bergamotto.
- Brava, sei stata brava. Vedrai che insieme ce la faremo. Terra e Fuoco collaborano da sempre, devi solo sforzarti di ricordare chi sei.
Alzo la testa da quell’incavo così naturale che è lo spazio tra il collo e la clavicola e ci guardiamo negli occhi. Sono di nuova nocciola, credo di essere pazza. Può essere che un uomo cambi colore degli occhi così velocemente? Ho sentito parlare di occhi grigi che diventano azzurri con il bel tempo o verdi che con il sole schiariscono, ma di fiamme rosso fuoco mai! Il suo fiato solletica le mie labbra che si schiudono per lasciarsi accarezzare da quel morbido alito. Percepisco l’aroma del caffè ancora vivo e invitante - d'altronde l’ha bevuto nero e senza zucchero – e desidero assaggiarlo. Lui lo capisce e non si fa pregare, si avvicina paurosamente alle mie labbra e mi bacia.
Avevo ragione, il sapore del caffè è forte, ma molto più dolce di quanto non mi aspettassi. Voglio essere audace e mi azzardo a schiudere di più le labbra, senza indugio Lukas ne approfitta a insinua la lingua. È morbida e succulente proprio come dovrebbe essere. Mi lascio andare completamente e giochiamo a rincorrerci. Poi la sua mano mi prende la nuca, aggancia i capelli costretti in una coda da cavallo e li strattona leggermente facendo ricadere il capo all’indietro. Non gioca più. Mi bacia il collo, lo morde, ma senza farmi male, l’unico dolore-ardore che sento proviene dal basso ventre che ulula pietà. Ad un certo punto l’altra mano sfida la maglietta e si infila senza troppi complimenti sotto di essa. Trova l’ostacolo della canottiera, ma senza fatica passa sotto anche a questa trovando il seno. Lo aggancia con delicatezza, ma determinazione, gli sta tutto in una mano, ma quella mano non è ancora soddisfatta. Due dita si allontanano dalla presa per allungarsi verso il capezzolo e lo stuzzicano fino a renderlo gonfio e disperato. Io ansimo e spero che non smetta perché mai mi sono sentita così viva e accesa. Sono vergine, non tanto per scelta quanto per vicissitudini. Tranne Chicco durante quel breve interludio amoroso non ho mai avuto un ragazzo fisso, qualche flirt che non è mai andato oltre il bacio, in parte perché non mi sentivo a mio agio a far altro, ma soprattutto perché nessuno mi ha mai dimostrato quel tipo di interesse. Chicco sostiene che è colpa mia perché faccio paura ai ragazzi. Dice che al liceo ho la nomea della “frigidella”, ma non mi sono mai preoccupata di sfatare questo mito. Se mi vedessero ora intrecciata ad un perfetto estraneo che con una mano mi avvinghia la nuca e con l’altra possiede il seno cambierebbero idea… ma… com’è possibile? Una mano sulla nuca, una mano sul seno, ma allora chi mi tiene sollevata da terra? Mi libero dalla sua presa e guardo in basso. Non sono più tra le sue braccia decisamente occupate in altro, sono in piedi e mi reggo da sola sulle gambe che sento di nuovo forti e robuste. Anche Lukas riprende il controllo, anche se con molta più fatica di me e si allontana di un paio di passi. Quando capisce perché mi sono distratta sorride.
- Com’è possibile?
Credo che la mia domanda sia più che lecita, ma non avrò risposta, non oggi almeno. Sentiamo la porta di casa aprirsi e il vociare di nostri genitori. È presto, perché sono già a casa? Il rientro non era previsto prima di mezzanotte. Cosa faccio? Se i miei genitori mi vedessero qui in piedi da sola lontana dalla carrozzina impazzirebbero di gioia, ma non me la sento. Non ancora. Devo prima metabolizzare che sono tornata a camminare e capirne il motivo e solo dopo potrò renderli partecipi di questa meravigliosa notizia. Ma se è così meravigliosa perché non mi sento al settimo cielo, ma solo disorientata e preoccupata. Mi risiedo e cerco di ricompormi perché oltre ad aver camminato, ho quasi fatto l’amore con uno sconosciuto e non uno qualunque ma il fratello della migliore amica di mia madre e lo zio dei bambini a cui faccio da baby-sitter- Ma i gemelli? Mi sono completamente scordata di loro! Dormono, sospiro di sollievo, ora ricordo, li ho lasciati addormentati nella loro stanza. Lukas è perfettamente rientrato nel suo ruolo di belloccio, mentre io mi sento arrossata, sudata e anche lussuriosa e sono quasi certa che tutto questo traspaia da ogni poro della mia pelle.
- Ciao ragazzi.
- Mamma! cosa ci fate a casa così presto?
La mia voce è leggermente stridula e la respirazione affaticata. Sembra che ho appena affrontato la maratona di New York.
Mia madre mi guarda inclinando un po’ la testa di lato, me lo sento ha capito che è successo qualcosa tra me e Lukas. Per fortuna interviene Grazia che entra in cucina esclamando:
- Non crederete mai quello che ci è successo! Eravamo già tutti seduti su quelle comodo poltroncine di velluto blu della sala del cinema. Avevamo anche comprato un bidone enorme di pop-corn e ci stavamo godendo i trailer dei film della prossima stagione quando è saltata la corrente e siamo rimasti completamente al buio. Dopo qualche minuto di attesa è comparso un uomo con una torcia e ci ha avvisati che dovevamo uscire perché a causa di un’inspiegabile corto circuito l’impianto elettrico era saltato e non era possibile aggiustarlo nell’immediato.
Mia madre ancora mi sta osservando.
- Maya ti senti bene?
 Intanto Lukas approfitta del racconto di sua sorella per indirizzare l’attenzione di mia madre su altro e con tutto lo charme che ha usato poco fa con me per intrappolarmi nella sua rete magica, esclama:
- Incredibili, chissà cosa ha causato un cortocircuito in un impianto di ultima generazione. Mi pare di aver capito che lo hanno ristrutturato da poco…
Mia madre ci casca e smette di fissarmi per rispondere a Lukas.
- Sì, hai ragione. È praticamente nuovo. È stato riaperto tre mesi fa dopo un anno di lavori per metterlo in regola. Ci hanno solo detto che sembra sia stata una scarica elettrica ad altissimo voltaggio. Ci hanno fatto un buono che potremo usare appena avranno aggiustato l’impianto. Qui tutto bene? I gemelli?
Non sono ancora in grado di prendere parola e ringrazio mentalmente Lukas che lo ha intuito e si sta prendendo la briga di rispondere alle domande di mia madre.
- Benone, si sono addormentati dopo una mirabolante avventura raccontata da sua figlia. Una delle favole più belle che abbia mai ascoltato, ha davvero un talento. E non solo in quello!
OH MIO DIO! Che cosa vuole dire con queste parole? In cosa sarei altrettanto brava? Se solo dice una parola dei nostri baci, mi alzo da questa sedia e lo strangolo!
- Devo complimentarmi perché sua figlia fa un caffè buonissimo, immagino sia stata lei ad insegnarglielo?
Sospiro di sollievo. Mi sento molto più calma ora, ma anche molto più sciocca.
Finalmente arriva il momento dei saluti. Tutti a casa propria, tranne i gemelli che dormiranno da noi come sempre succede in queste occasioni e torneranno a casa loro solo domani dopo la colazione. Sono molto stanca e ho davvero bisogno di riflettere, inoltro voglio riprovare a camminare nella solitudine della mia cameretta e senza Lukas. Ho questa assurda idea che in qualche modo abbia influito sulla riuscita della mia camminata. Saluto mia madre e bacio mio padre. Papà è davvero un uomo speciale, sempre dolce e romantico con la mamma e moderno e comprensivo con me. Sono stata davvero fortunata ad essere stata adottata da una famiglia così generosa, probabilmente nemmeno i miei veri genitori sarebbero stata più amorevoli. Non mi è mai importato molto della mia famiglia biologica, sono cresciuta conoscendo la verità dei fatti e questo mi ha permesso di accettarla. Sono molto più incuriosita dalla modalità del mio ritrovamento e del motivo per il quale mi trovavo sola e infante in un bosco, piuttosto che dallo scoprire chi mi ha generato.
Finalmente sono sola nella mia stanza, Lukas e i genitori dei gemelli sono tornati a casa e mio padre e mia madre sono rispettivamente il primo sul divano ufficialmente a guardare la tv e ufficiosamente a russare e mia madre in camera a leggere Jane Austen.
È arrivato il momento di riprovarci, voglio capire se posso camminare anche senza la presenza di Lukas. Accosto la carrozzina al letto, metto i freni e sporgo i piedi nudi dalla pedana. Sento il freddo del pavimento, ma la sensibilità l’ho ripresa fin da subito. Però questa volta li sento anche ben piantati a terra come se l’area appoggiata al terreno sia aumentata. Mi sollevo, senza alcun appoggio e senza alcuno sforzo. Sono in piedi e sono ben ferma. Scelgo il mio obbiettivo. Scelgo la scrivania perché si trova nella zona più distante dal letto e poi c’è la sedia che potrebbe essermi utile. Non è certo invitante come le braccia di Lukas ma mi accontento. Procedo. Sto camminando e lo faccio bene. Non barcollo. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei passi e sono arrivata alla scrivania. Non sono stanca, decido di tornare indietro. Uno, due, tre, quattro, cinque… sento le gambe cedere, non sono stanche, ma l’energia è finita. Mi lancio verso il letto che dista un paio di metri da me e ricado sul materasso morbido. Sono contenta. Ce l’ho fatta anche da sola. Devo solo allenarmi un po’ e piano piano tornerò a camminare. Mi assale di nuovo quella strana sensazione di prima, una sorta di disorientamento e timore dell’avvenire, come se camminare sia più temibile del rimanere inchiodata su una sedia a rotelle. Perché? Non ha senso.
Non voglio pensarci in questo momento, voglio piuttosto bearmi della nuova conquista e pensare a come dirlo ai miei genitori. Non voglio che si facciano false illusioni, sento che ce la farò, ma non posso esserne certa, quindi aspetterò un po’ di tempo prima di dir loro la verità. Fin dal giorno in cui i dottori ci hanno detto che non c’era motivo perché io non riuscissi a camminare dopo quella inspiegabile guarigione e ripresa della sensibilità delle mie gambe, loro hanno fatto di tutto per sbloccarmi e aiutarmi a tornare in piedi. Ma nulla di quello che hanno fatto ha funzionato ed ogni volta la delusione era peggiore della volta precedente. Più per loro che per me. Io non ci ho mai creduto davvero. Tranne oggi. Oggi con Lukas ci ho creduto e ce l’ho fatta. Forse avevano ragione i medici ed ero solo bloccata psicologicamente, ma allora perché un perfetto estraneo è riuscito a far breccia nel mio scudo, mentre fior fior di esperti non ci sono mai riusciti. Inoltre ci sarebbero anche le parole di Lukas da analizzare, ma fin ad ora sono passate in secondo piano perché ero troppo meravigliata ed entusista per la nuova conquista. Ma ora sarebbe il caso di analizzarle. Cosa intendeva quando mi diceva che lui sa chi sono o che Fuoco e Terra collaborano? Cosa o chi sono Foco e Terra? E perché ripetendo queste due parole che ho sempre usato sento le farfalle nello stomaco? Devo rivederlo e parlarci di nuovo, devo capire alcune cosa o impazzirò. Ora sono davvero stanca e domattina per la colazione mi aspettano tre birbanti a cui non importa quante ore di sonno ho accumulato o perso.

Pensieri di Madre natura

Oh figliola mia, dolce Terra sempre così cauta e timorosa, passionale e appassionata. Così ancorata alle tue radici terrene e titubante a prendere il volo. Lo avevo avvisato che sarebbe stato difficile, ma solo Fuoco potrà risvegliarti dal lungo sonno. Ci ho provato io stessa quella sera, eri tra le mie braccia ferita e tremante, ma ti sei spaventata e ti sei chiusa in te stessa. La mia figlia impaurita. Solo per questo motivo ti ho mandato Fuoco. Siete sempre stati complementari, un rapporto di amore e odio, un legame magico e indissolubile fin dai tempi che furono… è necessario, nessun’altro potrebbe riuscirci. È sempre stato così, ma Fuoco ha perso il controllo, mi ero raccomandata non succedesse. Non sa nulla del vostro rapporto passato e non può quindi sapere quanto siete stati legati, ma gli ho chiarito che deve tenere le distanze da te figliola mia per il bene di entrambi. Quel bacio doveva essere fermato. Per essere certa che mai più succeda ho fatto in modo che non possiate oltrepassare un certo limite senza scatenare una reazione che vi fermi. Sono catene sottili, ma indispensabili per evitare il peggio. Non posso permettere a Fuoco di avvicinarsi troppo a te, deve stare attento. Terra sei una calamita per lui, ma se non saremo cauti vi brucerete entrambi e con voi tutta l’umanità.

   
 
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