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Autore: Saigo il SenzaVolto    12/08/2019    2 recensioni
AU, CROSSOVER.
Prequel de 'La Battaglia di Eldia'
Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage di Konoha. Un prodigio, un genio. Un ragazzo unico nel suo genere.
Un ragazzo il cui sogno verrà infranto.
Una famiglia spezzata. Una situazione ingestibile. Un dolore indomabile. Una depressione profonda. Un cuore trafitto.
Ma, anche alla fine di un tunnel di oscurità, c'è sempre una luce che brilla nel buio.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. La sua crescita, la sua famiglia, il suo credo, i suoi valori.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. Un prodigio. Un ninja. Un traditore. Un Guerriero.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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RICERCHE E OSCURI PRESAGI






31 Agosto, 0018 AIT
Confine tra il Paese della Terra e il Paese del Vento
11:45

Era giunto il momento di passare all’offensiva, decise Naruto. Era rimasto fermo e passivo per abbastanza tempo, restando sulla difensiva troppo a lungo a beneficio della Tsuchikage. Ma ora basta. Nel corso delle ultime settimane non c’erano più stati veri e propri scontri tra le due fazioni, solo brevi e deboli rappresaglie che duravano poco meno di mezz’ora. Lui e suoi cloni avevano lentamente, ma inesorabilmente, catturato sempre più uomini dell’esercito nemico in quelle occasioni, ma c’erano un numero sempre crescente di uomini e donne che venivano a rimpiazzare i loro posti dalla madrepatria Roccia. E nel frattempo, sempre più Shinobi della sua fazione morivano o venivano catturati a loro volta.

Naruto non poteva più sopportarlo.

I suoi cloni assunsero la posizione giusta per difendere i suoi uomini contro il Rilascio della Polvere della Tsuchikage mentre un altro clone volava sopra l’esercito, pronto ad ingaggiare Kurotsuchi nel caso lei o uno dei suoi ‘alter ego’ si decidesse ad apparire. Naruto era in piedi tra i suoi uomini, pronto a combattere e a spingere l’esercito della Roccia fuori dalla Terra del Vento.

Attivò il potere delle Sei Vie che gli era stato concesso dall’Eremita, il Potere di Ashura. Era cambiato e maturato rispetto ai tempi della Quarta Guerra Mondiale. Si era sbiadito, in un certo senso. Man mano che lui ne diveniva sempre più abile nell’uso, le sue conoscenze sembravano sfuggirli sempre più. Il potere di infondere la vita a tutti i moribondi lo aveva lasciato, per esempio. Era stata una grave perdita. Naruto non avrebbe mai più potuto comprendere come avesse fatto, in passato, a salvare la vita a Guy. Negli anni passati aveva speso ore e ore con Sakura e Lady Tsunade nel tentativo inutile di riattivare quel potere, ma erano stati sforzi vani. Il massimo che poteva fare adesso era pompare i feriti con il suo chakra Yang e sperare che riuscissero a farcela, ma era ben lungi da poter porre fine alla morte stessa.

Il Settimo sentì pesantemente sulla sua coscienza la perdita di quel potere. Sia durante questa guerra contro la Tsuchikage che in passato, durante l’invasione Otsutsuki. Sarebbe stato molto utile. Più di ogni altra cosa, Naruto non poteva perdonarsi di non poter più riuscire a salvare la vita a coloro che stavano sotto al suo comando.

Ma non era il momento di soffermarsi su quei pensieri. Scuotendo la testa, Naruto respirò profondamente e allungò la mano coi suoi sensi. Con il suo potere delle Sei Vie, piegò la terra alla sua volontà. Le montagne tremarono e la stessa roccia del Paese della Terra si levò al suo richiamo e si rivolse contro i suoi abitanti. La sabbia scivolò verso il cielo, un doloroso ricordo della mancanza di Gaara. Ci furono grida di panico e allarme da parte dell’esercito della Roccia, mentre Naruto faceva in modo che la terra inghiottisse loro le gambe fino alle ginocchia e formasse prigioni di sabbia e massi per intrappolarli. Non avevano nessuna speranza di vittoria adesso che si era finalmente deciso a sfoggiare il pieno potere delle sue abilità.

I suoi uomini lanciarono un grido di battaglia e caricarono, i suoi cloni sempre attenti e pronti a difenderli dal bagliore del Rilascio della Polvere. Ma non ce ne fu bisogno. In meno di venti minuti, la maggior parte dell’esercito avversario era stato annientato senza possibilità di contrattaccare.

E fu così che l’ennesima, e ultima, battaglia per la conquista della Terra del Vento si concluse. Tempestivamente, prepotentemente, e rapidamente. Non poté nemmeno essere definita una battaglia. Con le forze nemiche imprigionate nella terra e incapaci di muoversi, i soldati della Foglia e della Sabbia non ci misero molto a catturare i prigionieri e a sbaragliare quelli ancora liberi. Fu una vittoria soverchiante. La prima, vera vittoria dopo le innumerevoli battaglie e sconfitte precedenti. Gli uomini della Roccia furono catturati come niente. E quelli ancora a piede libero…

Naruto li spinse alla ritirata, fuori dalla Terra del Vento e verso le montagne. E da lì ancora oltre, verso il Paese della Terra e verso la casa da cui erano venuti.
 


01 Settembre, 0018 AIT
Occhio della Tempesta
20:03

Boruto odiava di già la piccola ‘alleanza’ che aveva stretto con Kurotsuchi. Ne era valsa la pena, si era detto, e doveva essere così. Perché altrimenti tutta quella stupida merda che aveva dovuto sopportare nell’ultimo mese sarebbe stata vana. Ma i fatti parlavano chiaro, e lui non era così stupido da non rendersene conto. Aveva esagerato. Aveva puntato troppo in alto e sottovalutato suo padre. Kurotsuchi non aveva l’intelligenza, né il potere, di impedire ad un Hokage infuriato di decimare il suo esercito e catturare i suoi ninja in una guerra di logoramento. Era per questo che qualche settimana prima era spettato a lui fornire una distrazione opportunamente allettante – vale a dire lui stesso – per impedire che la battaglia finisse prima del previsto. Ma ormai avevano l’acqua alla gola, e niente poteva riuscire a ribaltare la situazione.

Boruto non poteva aspettare fino al giorno in cui la Tsuchikage e la Roccia non avessero terminato la loro utilità. Avrebbe goduto immensamente nel vedere l’espressione del suo viso mentre lui distruggeva tutto ciò di cui era orgogliosa: le sue abilità, i suoi Shinobi, il suo Villaggio, la sua cultura e la sua Nazione. Tutto sarebbe stato calpestato e distrutto, e dalle ceneri sarebbe emersa un nuovo e migliore Paese. Uno governato solo ed unicamente da lui.

Un’unica Ombra, che incombe su ogni cosa.

Il suo occhio scrutò la pagina del rotolo che stava leggendo con morbosa attenzione, mentre la sua mano libera accarezzava pigramente le costole dove era stato tatuato il Sigillo Maledetto del Controllo delle Emozioni. Leggendo senza vedere, il suo sguardo tornò automaticamente all’inizio della pagina per ricominciare a leggere mentre assorbiva le informazioni. Mikasa aveva ragione. Aveva commesso un errore. Il suo Sigillo aveva fatto molto più che sopprimere le sue emozioni: lo aveva cambiato ad un livello fondamentale. Un cambiamento che, francamente, a Boruto sarebbe anche andato bene, se solo non avesse minacciato la ragione stessa della sua esistenza, del suo sogno, del suo obiettivo.

Ogni volta che attivava il Sigillo infatti, la sua mente cambiava. Non era più veloce come prima, non era più così decisiva. L’istinto era sostituito da una logica fredda, dura ed efficiente. Un processo che lo rallentava. Boruto non aveva bisogno di pensare, tutto quello che doveva fare era recitare. Senza sentimento, senza emozione, come una macchina. Si dava un compito e si muoveva automaticamente per eseguirlo, a tutti i costi.

Era inaccettabile.

Agire in questo modo lo avrebbe portato a compiere errori, e lui lo sapeva. La pura logica e ragione non potevano permettergli di vincere la guerra che stava portando avanti dall’ombra. Era un dato di fatto. Senza l’istinto, senza gli azzardi e le strategie, la sua battaglia si sarebbe conclusa in un enorme fiasco. Un fallimento epocale. Di questo passo, se avesse continuato ad utilizzare senza controllo quel Sigillo Maledetto, avrebbe condotto la sua gente alla sconfitta.

Era inaccettabile. Assolutamente, irrevocabilmente inaccettabile.

Le braci della sua rabbia furono alimentate. Più di ogni altra cosa, Boruto era arrabbiato. Con sé stesso, sì, ma anche con suo padre, per averlo spinto tanto a fondo. Era colpa sua e delle sue maledettissime abilità empatiche se adesso si trovava costretto a dover utilizzare quel Sigillo. Se non avesse trovato un modo per aggirare questa situazione, Boruto sarebbe retrocesso a dover assumere un ruolo di supporto. Non avrebbe più potuto combattere sulla Terra. Non avrebbe più potuto condurre i suoi amici negli scontri coi loro avversari. C’erano altre cose su cui avrebbe potuto dedicarsi, ovvio, come la politica – Shikamaru era ancora una priorità da abbattere – ma Boruto sapeva che non sarebbe stato contento in quel modo. Lui era un combattente. Era un Guerriero. Era il suo dovere guidare coloro che credevano in lui e nella sua causa sul fronte. Era in questo che lui era bravo. Era in questo che eccelleva più di in ogni altra cosa. Ma adesso, per colpa del Settimo Hokage, il criminale più forte del pianeta era costretto a rintanarsi lontano dalle lotte come un codardo.

L’unica cosa positiva in tutta questa serie di fallimenti? La sua sempre crescente velocità stava per superare quella dell’Hokage. Boruto non si era nemmeno sforzato troppo durante l’ultima visita sul pianeta, quando aveva distratto suo padre della battaglia e lo aveva costretto ad inseguirlo. Se avesse davvero voluto, sarebbe potuto andare ancora più veloce. Anche grazie al Marchio di Ishvara. Era diventato più veloce di Naruto adesso. E questa consapevolezza riempì Boruto con un cupo sorriso d’orgoglio. Finalmente c’era qualcosa in cui era migliore del suo donatore di sperma.

Un improvviso bussare alla porta lo fece sobbalzare. Boruto sbatté le palpebre. “Avanti,” disse.

Urahara aprì la porta e sbirciò dentro con un sorriso sbilenco. “Boru-kun,” lo salutò calorosamente. Si chinò all’interno, portando in mano una manciata di rapporti sugli eventi nel campo di battaglia. “Ho portato i rapporti che mi hai chiesto. La situazione con la Roccia non sta andando bene come speravi.”

Boruto si accigliò e afferrò le pergamene. “Grazie,” borbottò, aprendo rapidamente un rotolo legato in un nastro marrone (segno che indicava che proveniva dal Paese della Terra). Il suo occhio non mancò di vedere che la scrittura era frenetica e irregolare, come se fosse stato scritto in tutta fretta.

Il rapporto era semplice, anche se fiorito, nel suo messaggio: Kurotsuchi stava perdendo. “Quella maledetta cagna!” imprecò ferocemente il biondo. Seriamente, Boruto sapeva che non avrebbe dovuto essere così sorpreso. Aveva imparato molto tempo fa che se volevi fare qualcosa per bene, allora dovevi farla da solo. Circondarti da alleati che avevi allenato e con cui ti eri addestrato personalmente era l’unica cosa che ci si avvicinava.

Boruto s’irrigidì di colpo appena percepì Uraha scivolare attorno alla scrivania dietro a lui e iniziare a massaggiargli le spalle. “Ci sono problemi?” gli chiese.

Il primo istinto di Boruto fu quello di allontanarlo. Non era mai stato molto aperto a lasciarsi toccare dalle persone. La maggior parte della sua infanzia era passata nei combattimenti e negli addestramenti con suo nonno e sua zia. Le uniche persone, a parte Mikasa e Sora, che avevano avuto il permesso di toccarlo. Boruto non si era più lasciato toccare nemmeno dalla sua vecchia famiglia, in effetti. Ma Urahara era il loro maestro, e Boruto si fidava di lui. Sapeva di potersi fidare di lui. Non lo aveva mai deluso in tutti questi anni.

Con un sospiro, permise al contatto di continuare. “Kurotsuchi ha perso,” disse a Urahara. “L’Hokage e l’esercito congiunto della Sabbia e della Foglia l’hanno respinta al confine montuoso del Paese della Terra. Tuttavia ha servito al suo ruolo, decimando i ranghi dell’esercito di Konoha e tenendo il Settimo occupato fino ad oggi.”

“Beh, è già qualcosa,” mormorò allegramente l’uomo col cappello.

Se non altro, quella situazione diede a Boruto la possibilità di sfogarsi senza scaricare tutte le sue frustrazioni su Mikasa. Il Nukenin annuì lentamente, rilassandosi mentre sentiva lo stress accumulato nelle spalle dissolversi poco a poco. “Ora la Roccia è sulla difensiva, hanno perso il loro vantaggio,” riprese a dire. “L’Hokage continuerà ad attaccarli, e la Tsuchikage prenderà altre vite dal suo esercito per ogni miglio che la Roccia sarà costretta ad abbandonare. Alla fine però, Kurotsuchi sarà costretta a tornare nel suo Villaggio, oppure finirà per essere catturata dal Settimo. La Sabbia chiederà quasi sicuramente la sua morte, se dovesse sopravvivere alla battaglia. Ma data la predilezione di quell’idiota per la non violenza, probabilmente la Tsuchikage finirà in prigione.”

“Non la ucciderai?” chiese Urahara. “Era sempre stato quello il tuo piano, dopotutto.”

“Certo che lo farò,” Boruto alzò il suo occhio verso il cielo. “Il nostro coinvolgimento nella guerra non deve essere scoperto e, soprattutto, non posso permettere all’Hokage e ai suoi alleati di reclamare una vittoria a questo punto della situazione. Se possono dimostrare alla gente di avere il controllo, se possono dimostrare che possono ancora vincere; allora la gente si aggrapperà a loro invece che alla Rivoluzione. Questo non deve accadere. I Kara ed io entreremo in azione dopo che il Settimo avrà fatto tutto il duro lavoro, assassinando la Tsuchikage e rivendicando per noi la buona volontà della gente per spingere la guerra ad una fine rapida.”

“Sei veramente astuto, lo sai?” lo schernì l’altro. “Riesci a prevedere eventi che nemmeno io con tutta la mia esperienza sarei in grado di controllare.”

Il Nukenin ghignò. “Grazie mille, sensei.”

Urahara smise di massaggiargli le spalle, afferrando una sedia e sedendosi accanto a lui. “E dopo?” chiese ancora una volta. “Cosa hai intenzione di fare dopo?”

Boruto inarcò un sopracciglio. “Credevo di avervelo detto: ci alleneremo. La battaglia non potrà concludersi a nostro favore per come stanno messe le cose in questo momento. Tutti noi dobbiamo diventare più forti se vogliamo riuscire a sopraffare i nostri nemici quando arriverà il momento di combattere,” spiegò seriamente.

“Ma per farlo ci vorrà del tempo. Almeno diversi mesi, e tu lo sai. Credi davvero che varrà la pena perdere tutto questo tempo per allenarci invece che continuare a colpire la Foglia e le varie Nazioni?” domandò ancora quello.

Il biondo assottigliò l’occhio sinistro. “Non abbiamo molta scelta,” disse lentamente, posando una mano sotto al mento. “Il Settimo Hokage da solo è una minaccia che potrebbe annientare noi Kara come niente, e Sasuke Uchiha è attualmente in viaggio per il pianeta senza un apparente motivo. Non so cosa abbiano in mente di fare, ma sono pronto a scommettere che non sarà piacevole per noi. Se vogliamo riuscire a resistere, dobbiamo allenarci ed ideare una contromisura che possa permetterci di sfuggire a quei due mostri.”

Ci fu un attimo di silenzio. Poi, lentamente, Urahara annuì col capo. “Credo che tu abbia ragione, ragazzo mio,” ammise alla fine. “Nessuno di noi possiede un potere abbastanza ampio da riuscire a sconfiggerli. Per poter vincere contro di loro, allenarsi è la scelta più saggia che abbiamo.”

“Ma non ce ne staremo certo con le mani in mano,” riprese a dire il Nukenin. “Durante il nostro addestramento, le marionette di Kumo continueranno a cercare i Bijuu (Demoni codati) rimasti, e appena saremo pronti li cattureremo come abbiamo fatto finora. Non voglio rischiare di ingaggiare uno scontro col Gobi (Pentacoda) e gli altri Cercoteri mentre il Sigillo Maledetto è ancora incompleto. Potrebbe essere un rischio fatale.”

“Prevenire è meglio che curare,” citò il buffo personaggio, sorridendo con orgoglio. “Stai imparando sempre di più, Boruto.”

Il ragazzo ghignò di nuovo. “Ho imparato dal migliore.”
 


16 Settembre, 0018 AIT
Luna, Astro Celeste
Castello di Toneri
21:00

Boruto sospirò pesantemente.

Non era certo così che si era immaginato sarebbero finite le cose. Le ultime settimane erano passate nella quiete più assoluta. Dopo la fine della guerra tra la Sabbia e la Roccia, sia la Rivoluzione che le Nazioni contro di essa erano sembrate sprofondare in una tesa e immutabile situazione di stallo. Una calma ricolma di tensione e ansia, come una piccola tregua prima dell’esplosione finale. Nessuna delle due fazioni si decideva a compiere la prossima mossa, troppo contente – o troppo spaventate – dall’idea di poter rompere questa strana sorta di equilibrio che aveva inondato il mondo dopo il caos precedente.

Il Settimo Hokage era tornato nella Foglia. Su questo, Boruto non era rimasto minimamente sorpreso. Dopo aver letteralmente costretto l’esercito di Kurotsuchi alla ritirata, suo padre si era fermato un paio di settimane nella Sabbia per assicurarsi che la situazione fosse sotto controllo, prima di levare le tende e ritornare assieme ai suoi uomini nella loro amata Konoha. Una mossa prevedibile, Boruto se l’era aspettata, ma non era questo ciò che gli stava sui nervi.

Quello che lo stava facendo infuriare davvero era il fatto che la Tsuchikage si era rintanata come un codardo. Chiusa nel suo patetico Villaggio, si rifiutava di ideare una seconda strategia per combattere contro la Foglia e i suoi alleati. E questo, nella sua opinione, era inaccettabile. Sapeva bene che quella donna era debole e ingenua rispetto a lui, ma aveva stretto con lei un’alleanza affinché potesse aiutarlo a decimare le difese dei loro avversari. Se si rifiutava di combattere, allora tutti i suoi piani si sarebbero dissolti come fumo. Non poteva permetterlo. Non quando i Ribelli continuavano ad aumentare e le persone credevano sempre di più nella Rivoluzione. Doveva escogitare qualcosa. Doveva trovare un nuovo pretesto per farli scontrare ancora una volta.

Mentre se ne stava seduto su una sedia nella sala da pranzo, il suo sguardo si posò sui due piccoli oggetti che teneva nel palmo della mano.

Zero e Bianco, i due anelli dell’Akatsuki che aveva trovato sui corpi di Yahiko e Konan.

Il suo occhio si assottigliò mentre li fissava. Secondo quanto dicevano le storie del passato, dovevano esserci almeno dieci membri nella vecchia Organizzazione Alba. Questo significava che, se le voci erano veritiere, loro possedevano solo due anelli su dieci. Là fuori, ce n’erano altri otto nascosti da qualche parte.

L’Organizzazione Kara non era come l’Akatsuki. Boruto non aveva dubbi su questo. Loro combattevano per unificare il mondo, per dominare ogni cosa e portare l’umanità alla vera Pace. L’Alba invece combatteva per un’illusione, per sottomettere e costringere tutti gli uomini in un mondo idilliaco privo di guerre e problemi. Erano due obiettivi completamente diversi, ma che tuttavia avevano a cuore la stessa cosa: la Pace. La fine delle guerre e l’unificazione di tutti i popoli. Due facce opposte della stessa medaglia.

Boruto osservò i due anelli bianchi con morbosa attenzione. Se lui e i suoi amici dovevano davvero essere gli eredi spirituali della vecchia Akatsuki, allora recuperare gli altri anelli era loro dovere. Non era solo per una questione ideologica, ma soprattutto pratica. Ogni anello conteneva dentro di sé una potente quantità di energia sigillante, capace di sottomettere e sigillare i Demoni codati una volta riuniti assieme. Era stato grazie a Zero e Bianco che Mikasa, Sora e gli altri erano riusciti a sigillare il Nibi (Bicoda) il Sanbi (Tricoda) e il Yonbi (Tetracoda) nell’Occhio della Tempesta. Se ne avessero recuperati altri, allora avrebbero potuto catturare i restanti cinque Bijuu con maggior facilità di prima. Un’impresa non da poco.

La sua mente venne pervasa dalla determinazione. Sì, decise alla fine, la guerra tra la Sabbia e la Roccia poteva attendere. Per il momento, consolidare il loro potere offensivo era la scelta migliore. Avrebbero sfruttato quest’attimo di tregua per assicurarsi l’ottenimento di ogni strumento che potesse aiutarli nella loro battaglia a lungo termine.

Senza pensarci due volte, il biondo serrò il pugno attorno ai due anelli.

“Mikasa, Sora, Urahara. Venite a me,” disse a gran voce attraverso la rete di comunicazione astrale che condividevano grazie a Mitsuki e ai suoi anelli. “Ho un compito per voi.”

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“Ci hai fatto chiamare?” chiese Sora, restando fermo e in piedi dinanzi al loro leader. Accanto a lui, Mikasa e Urahara lo rispecchiavano a loro volta, entrambi pronti ad eseguire gli ordini del biondo.

Boruto guardò con attenzione le tre figure poste dinanzi a lui e pronte all’azione. “Abbiamo una nuova missione,” disse con un tono di voce solenne. “Siete tutti e tre a conoscenza di Zero e Bianco, i due anelli dell’Akatsuki che ho recuperato diverso tempo fa, vero?”

Tutti e tre annuirono senza fiatare.

“Adesso è giunto il momento di recuperarne altri,” dichiarò subito dopo, lentamente. “Questi anelli non indicavano solamente l’appartenenza alla vecchia Organizzazione Alba, ma servivano anche ad uno scopo. Come ben sapete, contengono un potente Fuuinjutsu (Sigillo) in grado di sigillare i Bijuu nella loro interezza. Visto e considerato che dovremo catturare altri cinque Demoni, questi due anelli da soli non bastano più. Più anelli possiederemo, più semplice sarà catturarli in futuro.”

Fece una pausa per lasciar assimilare quelle informazioni nelle loro menti. “Approfitteremo di questo momento di tregua per recuperare altri anelli. La nostra prima missione consisterà nel ritrovare due di essi. Due anelli che credo di sapere dove siano finiti rispetto all’ultima volta che sono stati visti,” concluse il biondo.

“E come faremo col Settimo?” domandò Mikasa.

“Urahara-sensei ed io attiveremo il Sigillo Maledetto durante la nostra visita sulla Terra,” la rassicurò immediatamente il Nukenin. “Non temere, l’Hokage non riuscirà a percepirci durante la nostra ricerca.”

Ci fu un silenzio collettivo mentre tutti gli altri iniziarono a prepararsi mentalmente alla missione. Poi annuirono tutti con enfasi.

Boruto fece a sua volta un cenno col capo. “Preparatevi,” disse freddamente. “Partiremo tra una settimana.”
 


23 Settembre, 0018 AIT
Terra del Fuoco
Confine Orientale
22:15

Sore tenne gli occhi puntati perennemente su Boruto mentre lui e gli altri correvano attraverso il paesaggio. Si stavano dirigendo verso… una qualche zona della Terra del Fuoco. Non era sicuro della posizione precisa, dato che non aveva prestato molta attenzione durante il loro discorso. Sapeva che non spettava a lui conoscere i dettagli della missione. Tuttavia, era un po' terrorizzato dal fatto che stessero andando volutamente verso l’unica Nazione da cui avrebbero dovuto tenersi maggiormente alla larga.

“Siamo arrivati,” disse Boruto. Tutti e quattro si fermarono, appollaiandosi sui rami di un bosco di abeti. Tre piccole città tentacolari si ergevano sul fondo di una valle. Tra loro, una porzione di terra davvero massiccia era stata scavata nel suolo. La gente delle città vicine si era riunita ed aveva scavato un sentiero nelle profondità del cratere. Una miniera, concluse il moro.

“Che cosa stiamo cercando?” chiese Urahara, serio come non mai. Era la prima volta dopo tanto tempo che loro quattro si erano riuniti assieme per una missione.

“Questo è, per quanto ho sentito dire, il punto esatto dove morì Deidara dell’Akatsuki,” spiegò seriamente Boruto. “Apparentemente, ha usato una Tecnica esplosiva di grosse dimensioni, come potete vedere.” Sora rabbrividì al pensiero di un Jutsu talmente potente da poter alterare in tal modo il paesaggio. “L’anello che indossava era ‘Blu’. Secondo le voci, l’anello non è andato distrutto, ma è stato trovato e nascosto nelle miniere scavate nel cratere. Dobbiamo trovarlo.”

Sora, Mikasa e Urahara annuirono contemporaneamente. “Per prima cosa controlleremo le miniere. Il mio Jougan dovrebbe bastare a proteggerci dai pericoli. Ci divideremo in due gruppi, e poi inizieremo a cercare.” disse Boruto.

“Andiamo, Sora,” disse allora Urahara, decidendo saggiamente di mettersi in squadra con lui. Mikasa e Boruto, infatti, si misero assieme a loro volta e scesero nelle miniere. Il giovane allievo ed il maestro fecero lo stesso subito dopo.

Il percorso che i minatori avevano scavato nella pietra era accidentato e irregolare. Era umido, bagnato per le piogge e ricoperto di muschio. Sora tenne d’occhio il terreno. Uno scivolone e… sbirciò oltre un piccolo burrone che scendeva nel profondo, talmente oscuro da essere inquietante. Fischiò. Era una lunga caduta.

Davanti a loro, una coppia di minatori emerse da un tunnel sottile nel muro. Sora, con un’oscillazione casuale del braccio, li colpì entrambi in testa col suo bastone. Caddero a terra, incoscienti. Era abbastanza sicuro che fossero solo svenuti e – sì, erano solo svenuti. Accanto a lui, Urahara nascose i corpi nel tunnel di prima.

Sinceramente, Sora non sapeva quanto sarebbe stata utile questa missione. Stavano perlustrando un gigantesco cratere per trovare un gioiello non più grande di una moneta, un gioiello che sarebbe stato sepolto per quasi vent’anni ormai. Sempre se fosse sopravvissuto all’esplosione che aveva creato il cratere in primo luogo. O se i minatori non l’avessero trovato e usato per comprare qualche pagnotta di pane per le loro famiglie.

Raggiunsero abbastanza velocemente il fondo delle miniere. Urahara si sbarazzò facilmente di ogni persona che incontrarono lungo la strada, senza ucciderli. Disse che non si sarebbero ricordati nulla al loro risveglio, e che ucciderli non avrebbe portato nessun vantaggio. Dopotutto, erano solo semplici lavoratori.

Era difficile capire dove finiva il cratere e dove iniziavano le miniere. La differenziazione era critica. L’anello poteva trovarsi ovunque tra la fine del cratere e il fondo delle miniere. Sora guardò dinanzi a sé con l’occhio della mente. Se gli anelli erano davvero potenti come Boruto li aveva descritti, allora dovevano avere una firma di chakra di qualche tipo.

Ma non percepì nulla. Sora sospirò. Urahara stava osservando con attenzione ogni angolo dei tunnel che attraversavano, sempre all’erta nel caso qualche minaccia fosse sbucata fuori all’improvviso. Anche se non ce ne sarebbero state. Tuttavia, lo sapevano entrambi, erano Nukenin ormai. Ninja traditori. La sicurezza non era un concetto associabile alla loro posizione. Dovevano stare sempre all’erta.

Innumerevoli tunnel erano stati scavati nella pietra, e si protraevano per miglia e miglia in ogni direzione. Sora poteva vedere tunnel più piccoli dividersi da quelli più ampi, creando una rete di gallerie in continua espansione. Ci sarebbero voluti mesi per esplorarli tutti. Avrebbero potuto vagare per mesi alla ricerca dell’anello. Si voltò, sospirando, e vide che Urahara stava frugando nelle tasche di alcuni minatori che aveva messo fuori gioco.

“Hai trovato qualcosa?” chiese. Urahara scosse la testa. “Lo immaginavo…”

Una crepa echeggiante risuonò alla base della miniera. Sora trasalì, scattando verso l’inizio del tunnel. Sbatté le palpebre. Davanti a lui sedeva un enorme serpente sinuoso con scaglie di color oro zecchino. Era più grande di quanto qualsiasi creatura che strisciava sulla terra avesse il diritto di essere. Si ergeva sopra di lui in cima a innumerevoli bobine di muscoli increspati e sinuosi. Volse gli occhi bestiali verso di lui, pieni di rabbia, odio e malizia. Poi però, prima ancora che esso potesse muoversi, Urahara gli recise la testa con un solo affondo della sua spada. “Che bestione orrendo,” sussurrò. “Mi ricorda un certo serpente di nostra conoscenza.”

“Ragazzi,” la voce di Mikasa rimbombò nelle loro teste tramite gli anelli di Mitsuki. “Tornate su. L’anello non è qui.”

Non se lo fecero ripetere due volte. Corsero entrambi verso l’uscita delle miniere. Boruto e Mikasa li stavano aspettando là, avvolti nei loro mantelli scuri mentre i loro occhi vagavano per la città mentre cercavano qualcosa. “L’anello non è nelle miniere, ma si trova qui,” spiegò loro Boruto appena lo raggiunsero. “Da qualche parte.”

Sora si chiese come facesse a saperlo. Tuttavia non fece domande, si strinse nelle spalle e lo seguì. Tutti e quattro attraversarono una delle tre città, saltando da un tetto all’altro e mantenendosi nell’ombra. Di sotto, la gente andava in giro per le strade nella beata ignoranza dei lupi in mezzo alle pecore, proprio sopra le loro teste.

Mentre correvano, Sora individuò un banco dei pegni a pochi isolati di distanza. Era un’opportunità come un’altra. “Boruto,” gli disse. “C’è un banco dei pegni laggiù.”

“Non là. Siamo nella parte più ricca della città. I minatori non avrebbero avuto motivo di venire qui,” gli disse, la sua voce più fredda e monotona del solito a causa dell’influenza del Sigillo.

Il moro annuì, sapendo che il biondo era il più scaltro di loro. Poteva fidarsi del suo giudizio. Si fermarono in cima ad una casa che dava su un quartiere oppresso. Le case erano in rovina con finestre rotte e vernice scrostata. Boruto saltò giù e attraversò la strada prima di entrare in un piccolo negozio. Sulla porta era appeso un piccolo cartello con tre cerchi dorati.

Gli altri tre saltarono dietro al loro leader. Il negozio era buio e debolmente illuminato. File su file di scaffali fiancheggiavano l’unica stanza principale, con un bancone in primo piano dove altri scaffali erano posti dietro di esso. Un uomo corpulento presidiava il bancone, il cui volto era sbiancato e la sua espressione si era riempita di panico non appena aveva posato gli occhi sui loro volti. Si stava allontanando, verso la porta posteriore, visibilmente terrorizzato a morte.

“Fermati,” ordinò Boruto, con un tono di voce che prometteva dolore se non gli fosse stato obbedito. “Vogliamo solo parlare. Dicci quello che sai e andremo via.”

Gli occhi del negoziante guizzarono tra Boruto, loro tre, e la porta. Sora poteva vedere la paura dell’uomo anche dal tremore incessante delle gambe e delle braccia. Lui annuì, tremante. “Stiamo cercando un anello,” disse il biondo, fermo e inflessibile. “Qualche minatore dovrebbe averlo trovato, in qualsiasi momento che va da oggi a vent’anni fa. Ne sai qualcosa?”

“N-No, mi spiace,” disse il negoziante. “Temo di no.”

Boruto aprì leggermente l’occhio destro, fissandolo e restando in silenzio per diversi secondi. Poi lo richiuse lentamente. “Stai mentendo.”

Elettricità allo stato puro prese ad urlare sinistramente mentre danzava attraverso le assi di legno del pavimento. Bruciò il legno e fece rizzare in alto i viticci, generando dei fili di fumo. Gli occhi del negoziante si sgranarono come dischi mentre trasaliva prepotentemente. “La verità, questa volta,” intonò gelidamente Mikasa.

L’uomo annuì. “I-Il vecchio Isamu,” balbettò. “Ha trovato un anello, un paio d’anni fa. Ha provato a vendermelo, m-ma voleva un prezzo esagerato. Lo tiene come cimelio ora. Vive in una cabina all’estremità Ovest della città.”

Boruto annuì e posò una mano sul bancone. Un sacchetto di Ryo apparve in una nuvola di fumo. “Per la tua famiglia,” disse senza emozione. Poi, nemmeno un secondo dopo, una lancia di fulmini e saette schizzò fuori dal pavimento e impalò il negoziante in pieno petto. L’uomo cadde a terra, morto.

Sora ammiccò, poi scrollò le spalle con un sospiro. Tutti e quattro abbandonarono rapidamente il negozio e si diressero verso Ovest, verso la posizione dell’anello.

“Era davvero necessario?” gli chiese ad un certo punto.

“Sì,” ripose Boruto, senza esitare. Troppo facilmente per i suoi gusti. Doveva essere l’effetto del Sigillo. “Nessuno deve sapere che noi Kara siamo alla ricerca degli anelli, altrimenti i nostri nemici cominceranno a farsi domande. Non ci vorrà un genio per capire che li vogliamo usare per catturare i Bijuu.”

Sora annuì.

Trovarono la cabina del vecchio Isamu poco dopo.
 


24 Settembre, 0018 AIT
Terra del Fuoco
Antico Rifugio Segreto del clan Uchiha
01:37

Anche nel buio pesto della notte, Boruto riusciva finalmente a vederlo. Le macerie di un antico castello che era stato distrutto da molto tempo. Non si trovava nemmeno troppo lontano da dove avevano recuperato l’anello di Deidara, Blu. Era fatto di acciaio argenteo, come gli altri due, ma incastonato con una bellissima pietra blu-verde che ricordava al Nukenin l’acqua tropicale quando catturava la luce nel modo giusto.

I tre allievi ed il maestro saltarono giù dagli alberi ed atterrarono nel suolo della foresta. La pietra rovinata e bruciata del vecchio castello si profilò davanti a Boruto. Un antico relitto di montagna che una volta era una roccaforte del clan Uchiha. L’intera foresta attorno ad esso era densa di chakra Naturale, un fenomeno strano che fece prudere il suo occhio destro senza tregua, generandogli una strana inquietudine che rendeva la sensazione di timore nella parte posteriore della sua mente molto più forte. Senza dare voce a quei pensieri, Boruto osservò il castello col suo Jougan.

Se doveva essere sincero, il biondo non sapeva davvero se l’anello ‘Rosso’ fosse sepolto qui. I rapporti che aveva letto al riguardo non erano stati molto dettagliati. A quel tempo, Nagato e Konan si stavano preparando ad attaccare la Foglia, e nessuno dei due era stato presente per assistere allo scontro tra fratelli che era avvenuto in quel luogo. Lo scontro tra Itachi e Sasuke Uchiha. Se il padre di Sarada avesse spostato il cadavere di suo fratello dopo averlo ucciso, non c’era modo di dirlo.

Il solo pensiero di ciò era ripugnante per lui. Come avesse fatto Sasuke-sensei a compiere un’azione del genere, era un mistero per lui. Anche nonostante l’infinito odio che provava nei confronti della sua vecchia famiglia, Boruto era certo che non avrebbe mai potuto vivere serenamente con sé stesso se fosse davvero finito per uccidere sua sorella. Non erano in buoni rapporti, certo, ma non avrebbe mai voluto ucciderla. Naruto e Hinata, d’accordo; ma Himawari no. I suoi vecchi incubi lo avevano già tormentato abbastanza in passato. Non aveva bisogno di ricordarsene ancora.

“Concentrati,” si disse mentalmente. Dopotutto, in quel momento non poteva fisicamente sentire nulla. “Non ha senso pensare a queste cose. Il passato è passato.”

Boruto si focalizzò sulla missione. “Separatevi,” disse poi ai suoi compagni. “Cercate una tomba. Dovrebbe essere abbastanza recente rispetto alle altre, semmai ce ne fossero. Anche rudimentale, forse.”

Gli altri tre annuirono ed iniziarono a vagare per la foresta alla ricerca della tomba dello zio di Sarada.

Il Nukenin sospirò e vagò a sua volta per i boschi che circondavano la vecchia fortezza degli Uchiha. Con il Sigillo Maledetto attivo sul suo corpo, sentì i suoi pensieri cominciare ad echeggiargli nella mente senza sosta. Era strano. Anche se non era la prima volta che si trovava ad essere spogliato delle proprie emozioni, era certo che non si sarebbe mai potuto abituare a quella sensazione.

Eppure, questo luogo aveva una certa fascinazione per lui. In questo posto era stata scritta la storia, dopotutto. Qui era dove Itachi Uchiha, uno dei più famosi ed infamati Nukenin della storia della Foglia, era stato sconfitto per sempre per mano del suo fratello minore. Boruto poteva provare rispetto per Itachi, essendo un Ninja traditore come lo era stato lui. Eppure, non poteva fare a meno di pensare che la sua figura celasse molto di più rispetto a quello che la storia e le leggende raccontavano sul suo conto.

Non che lui sapesse il perché, però.

“Boruto! Qui!” fece la voce di Urahara all’improvviso. Il Nukenin si fece rapidamente strada verso di lui. Appena lo trovò, vide che Mikasa e Sora erano già lì a loro volta.

Definirla grezza era riduttivo. Era una tomba rudimentale. Poco più di una grossa pietra posta su un tumulo di terra e roccia alla base di un grande albero. Eppure, il suo contenuto appena riportato alla luce non mentiva. Un solo scheletro – un maschio, in base alle dimensioni e alle sembianze – che portava un anello sull’anulare destro. La tomba doveva essere stata già aperta almeno una volta, a giudicare dai vecchi segni di richiusura nel terreno, ma Boruto non riuscì a vedere nulla che fosse stato trafugato o distrutto in essa. Né lo scheletro, né la roccia.

“È lui,” disse loro Boruto. Si inginocchiò dinanzi ad essa, osservando attentamente i resti posati nella fredda terra. Itachi Uchiha non era stato sepolto in profondità, ma lui non aveva neppure il più piccolo desiderio di disturbare il suo riposo più di quanto fosse necessario. Sussurrando una preghiera silenziosa, allungò una mano e sfilò con cura l’anello dal dito scheletrico.

Boruto lo strofinò sul mantello. Era proprio lui. Un piccolo cerchio di metallo argenteo con una gemma rossa incastonata su di esso. La scritta ‘Rosso’ era incisa su di essa. Il biondo annuì tra sé. Guardò un’ultima volta la tomba. “Richiudetela,” ordinò. “Non disturbiamolo oltre. Lasciamo i morti al loro riposo.”

Ci misero cinque minuti buoni per riempire la fossa di terra e richiuderla con la roccia. Poi, appena ebbero finito, Boruto si rivolse ai suoi compagni.

“Urahara-sensei,” disse il ragazzo, porgendogli Rosso. L’uomo col cappello si mise l’anello sull’anulare destro, proprio come lo scheletro. Poi, con uno schiocco di dita, Boruto evocò Bianco, Blu, e Zero.

“Mikasa,” disse, porgendole Bianco. La ragazza se lo mise sul dito medio destro senza fiatare.

Il biondo si rivolse infine al suo migliore amico. “E Sora,” concluse, affidandogli Blu. Il moro sorrise mentre fece scivolare l’anello sul suo indice destro.

Boruto tenne Zero per sé, sul suo pollice destro. Fece un passo indietro ed annuì. “Questi sono quattro dei dieci anelli,” dichiarò lentamente. “Gli altri sei saranno più… difficili da recuperare. Due dei quali si trovano quasi certamente nella Foglia. Ma non ci occuperemo di questo adesso. Per ora, questi quattro anelli basteranno per permetterci di sigillare i futuri Bijuu che dovremo affrontare.”

Tutti quanti annuirono solennemente, i loro volti sorridenti e pieni di determinazione.

Boruto alzò lo sguardo verso le stelle. “Mitsuki, estrazione.”
 


30 Settembre, 0018 AIT
Luogo Sconosciuto

Lo spettacolo che si ritrovò dinanzi era raccapricciante.

Cenere, tizzoni e braci fumanti.

L’intero pianeta, per tutta la sua estensione, era ridotto ad un cumulo di macerie. Cenere, tizzoni e braci fumanti ricoprivano tutto il terreno per miglia e miglia. Era uno spettacolo deprimente. Le montagne, una volta alte, splendenti e ricolme di vegetazione verdeggiante, adesso erano annerite e bruciate per tutta la loro ampiezza, a partire dal vertice fino alla punta della cima più alta. I fiumi, un tempo pieni di fresca e limpida acqua scrosciante, adesso erano secchi e il loro fondale rosso come il fuoco. Le città, un tempo piene di vita e rumore, non esistevano più. Nemmeno una persona era sopravvissuta alla furia apocalittica del mostro che aveva causato tutto questo. Nemmeno una pianta si era salvata dal fuoco degli incendi che avevano devastato il pianeta. Ogni forma di vita che abitava questo luogo, vegetale e animale, senziente e non… era sparita. Non era rimasto nulla.

Solo cenere, tizzoni e braci fumanti.

L’anziano essere guardò la devastazione attorno a lui con uno sguardo accigliato. “Che cosa orribile,” pensò.

Non c’era rimasto niente di vivo in tutto il pianeta. Di questo, purtroppo era certo. Aveva setacciato ogni angolo del globo per accertarsene, proprio come aveva fatto con tutti gli altri pianeti colpiti dalla stessa calamità. E anche adesso, proprio come tutte le altre volte precedenti, il risultato era sempre e solo lo stesso. Morte, distruzione e fuoco implacabile che consumavano ogni cosa, senza lasciare nemmeno un barlume di vita.

L’unica cosa che restava erano cenere, tizzoni e braci fumanti.

“Lo ha fatto di nuovo,” realizzò, devastato. “Ha assorbito tutta l’energia di questo mondo. Un'altra volta.”

Poi però, i suoi occhi notarono qualcosa. Il suo sguardo si posò miracolosamente su una piccola foglia ai suoi piedi, coperta dalla cenere e sporca di terriccio bruciato. La sua mano si mosse da sola, guizzando immediatamente in avanti per raccoglierla. La tenne delicatamente sulle dita, come se fosse qualcosa di prezioso e fragile, osservandola con morbosa dedizione. Era nera e bruciata, coi bordi completamente secchi e privi di acqua. Eppure, nella parte centrale, una piccola sfumatura di verde ancora continuava a resistere. Il segno inequivocabile dell’ostinatezza della vita.

La sua mente si riempì di feroce determinazione.

Non era ancora finita. La speranza non era ancora stata infranta. C’era ancora una possibilità per riuscire a fermare quel maledetto drago assetato di potere, e lui lo sapeva. La visione che aveva avuto diversi mesi fa ne era la prova. La prima visione che aveva avuto dopo tanti, tantissimi secoli di vita e meditazione. E questa cosa non poteva essere ignorata. Non con tutta la devastazione che il Divoratore di mondi stava causando nell’universo. Non più ormai.

Le visioni del suo popolo non sbagliavano mai. Non potevano fallire. Non potevano essere messe in dubbio. Erano un dono, un dono che andava utilizzato con la massima responsabilità e fedeltà. Un dono che, se sapientemente utilizzato, avrebbe potuto portare pace, prosperità ed evoluzione per moltissimi popoli, non solo il suo. Ma erano anche un dono che, nelle mani di coloro che bramavano solo il potere e la conquista, avrebbero potuto portare all’estinzione di intere razze in ogni angolo dell’universo. Non potevano essere divulgate con troppa disinvoltura. Non poteva farlo. Doveva agire con saggezza e ragione, in modo da poter compiere ciò che la sua visione gli aveva mostrato che sarebbe accaduto. E così avrebbe fatto.

Vrangr sarebbe stato sconfitto. E solo una persona sarebbe stata in grado di fermarlo. Una persona che, nella sua visione del futuro, l’anziano essere aveva visto molto, molto chiaramente.

Boruto Uzumaki.

Era ironico pensare che, tra tutte le razze che popolavano l’universo, colui che avrebbe portato alla disfatta il drago oscuro sarebbe stato un discendente del suo stesso popolo. Un terrestre. Era una consapevolezza che, anche in mezzo a tutta questa distruzione, riusciva a fargli spuntare un piccolo sorriso sulle labbra. Sì, un altro discendente della stirpe che lui e suo fratello avevano creato sulla Terra, un altro portatore del chakra di sua madre, sarebbe stato colui che avrebbe messo a tacere per sempre la prepotenza e l’oppressione di Vrangr, il Divoratore di mondi.

Ma non ce l’avrebbe fatta da solo. Lui lo sapeva. Aveva visto anche questo nella sua visione. Quel ragazzo da solo non avrebbe mai potuto compiere un’impresa del genere. Non quando il suo avversario era un drago, uno degli esseri più potenti dell’universo. Aveva bisogno di alleati. Aveva bisogno di compagni. Persone che potessero accompagnarlo in quell’impresa, che potessero aiutarlo a crescere e a migliorarsi durante il viaggio che lo aspettava. Persone che, come aveva rivelato la sua visione, non sarebbero stati solamente degli amici per lui. Erano persone speciali.

Erano persone che provenivano dal suo presente.

Ed erano persone che provenivano anche dal suo passato.

L’anziano essere, nonostante tutta la sua saggezza e conoscenza dovuta a millenni e millenni di esistenza, non riusciva a spiegarsi il perché di quella strana combinazione di persone. Dieci compagni, tutti estremamente vicini, eppure completamente diversi tra loro. Alcuni di loro, con suo sommo tripudio, erano persone che conosceva. Persone che aveva visto, durante la sua ultima visita sulla Terra. Eppure, non tutti quelli che la sua visione gli aveva mostrato erano persone contemporanee a quella linea temporale. C’erano persone defunte da tempo. E persone che, a differenza di quello che pensava, erano molto più giovani di quanto non fossero in realtà. E questo era strano. Coloro che vivevano in periodi temporali differenti non potevano mai incontrarsi per nessun motivo. Era questa la regola, dopotutto. Una regola universale. Eppure, se questo era ciò che la sua visione gli imponeva, allora lui avrebbe trovato il modo per realizzarlo.

Non era impossibile. C’erano numerose Tecniche che potevano permettergli di portare a termine quel compito. Tecniche oscure, Tecniche segrete. Tecniche che operavano nella distorsione spazio-temporale della realtà stessa. Sarebbe stato rischioso, ma non impossibile. E, se voleva restare fedele a ciò che aveva visto nella sua visione, lui doveva utilizzarle ad ogni costo. In fondo, il tempo tra le varie dimensioni era distorto, e poteva essere modellato a proprio piacimento.

Il vecchio Eremita posò per l’ultima volta lo sguardo su quella minuscola foglia nelle sue mani, rafforzando la sua determinazione.

Non poteva esitare. Avrebbe fatto ciò che era necessario. Il drago stava diventando una minaccia troppo opprimente per poter essere ignorato. Aveva distrutto già innumerevoli mondi a parte questo, e non si sarebbe mai fermato. Adesso, secondo i suoi calcoli, era diretto verso il mondo di Eldia. E se lo avessero lasciato continuare con questa strage di mondi, di questo passo sarebbe giunto anche sulla Terra stessa. Non poteva permetterlo. Doveva agire, e in fretta. Ci sarebbe voluto tempo per poter preparare tutto il necessario, ma lo avrebbe fatto senza esitazione. Per la salvezza di Eldia, per la salvezza della Terra, e di tutto l’universo.

Hagoromo osservò il cielo oscuro col suo Rinnegan ardente di determinazione.

“Preparati, Vrangr. La tua fine si sta avvicinando.”
 








 

Note dell’autore!!!

Salve gente! Ecco a voi il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto.

I nodi cominciano finalmente a tornare al pettine. Abbiamo finalmente cominciato a vedere come gli eventi del presente si stanno collegando sempre più alla storia precedente. Nel prossimo capitolo vedremo, una volta per tutte, come ha fatto il nostro biondino a finire ad Eldia assieme a Sarada. Siamo finalmente arrivati al collegamento con la Battaglia di Eldia. Era ora…

Volevo riuscire a tutti i costi ad inserire una scena con Itachi Uchiha nella mia storia. Purtroppo, non potendo inserirlo come personaggio effettivo – dato che è morto e sepolto – ho voluto fargli fare una piccola comparsa dopo la sua morte. Boruto e gli altri Kara sono alla ricerca degli anelli dell’Akatsuki, ma questa è una storia che si concluderà un’altra volta. Dopotutto, come sapete, il Destino ha altri piani.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo. A presto!
   
 
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