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Autore: Enchalott    13/08/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Minaccia in agguato
 
Dionissa riprodusse in ogni dettaglio l’operazione che aveva compiuto poche ore prima negli appartamenti del fratello e il planisfero dipinto si schiuse, netto e tetro come la volta precedente, davanti agli occhi spalancati della regina di Elestorya.
“Oh, per le sacre sabbie…” mormorò lei, attonita e incapace di avanzare verso quella ferita scura che tagliava in due lo spesso muro di pietra.
Si inoltrarono guardinghe nel breve cunicolo, accedendo alla stanzetta con il funesto bacile di pietra. Non era cambiato nulla da quando la principessa aveva compiuto l’inquietante scoperta, erano solo aumentate le fiaccole introdotte nel passaggio per illuminarlo a giorno. Eppure quel luogo, che era e non era, pareva inghiottire tutto il chiarore prodotto, assorbendolo nelle sue viscere oscure.
“Shion non può avere svolto un tale sortilegio in autonomia” disse la veggente con un brivido a correrle lungo la schiena “Sono certa che qualcuno sia andato e venuto liberamente da qui, comunicando con lui attraverso la magia dell’acqua, in forma incorporea o addirittura di persona”.
“Non riesco a capacitarmi” disse Eudiya, osservando come ipnotizzata l’unico arredo presente nel cubicolo “E neppure a figurarmi un solo motivo valido per una risoluzione del genere”.
La principessa si strinse al braccio della madre, in preda alla medesima sensazione di impotenza, di subita e inaspettata doppiezza.
“Ora sappiamo com’è arrivato qui il veleno” affermò con mestizia.
“E chissà cos’altro” aggiunse la regina, parimenti abbattuta.
“Se davvero vogliamo conoscere l’identità del nostro avversario, dobbiamo servirci del bacile per comunicare con lui anche solo per un istante. Non vedo alternativa”.
“No!” esclamò Eudiya “Siamo totalmente indifesi contro qualsiasi cosa possa uscire da lì! E poi non conosciamo il sistema per aprire il contatto!”.
La figlia la guardò negli occhi, consapevole, e la sicurezza che la donna scorse nelle sue iridi verdi le diede un tuffo al cuore.
“Oh no, Dionissa! Non permetterò che sia tu a sperimentare un azzardo del genere!”.
“Mamma” rispose la veggente con calma “Shion non è dotato di poteri magici, pertanto possiamo pensare che il legame con l’altra parte sia più semplice del previsto o lui non sarebbe stato in grado di sostenerlo. Io credo che sia sufficiente immergere le mani nell’acqua del catino, come ho letto in uno dei testi di antica magia della biblioteca del palazzo. Chiunque si trovi all’altro capo dell’incantesimo verrà avvisato del nostro tentativo dal suo potere e risponderà”.
“Questo non cambia le cose! Non sarai tu a farlo! Pensa se, anziché limitarsi a rispondere, quel… qualcosa dovesse venire qui personalmente! Saremmo in sua completa balia. Sono necessarie delle precauzioni che tu non possiedi. Il Kalah è un dono, non un potere magico!”.
“Spero che tu non stia pensando di provare al posto mio” rispose la principessa, parimenti ostativa “Perché non posso consentire che tu ti metta in pericolo”.
“Allora siamo giunte a un’impasse” ragionò la regina, fissando turbata la pietra nera, luccicante di umidità stantia “Nessuno è al corrente del ritrovamento oltre a noi due e non so quanto sia utile diffondere la notizia, per il momento”.
“Allora non c’è scelta” sentenziò la giovane “Cercherò qualche indicazione aggiuntiva sui rischi che potrei correre e poi lo farò io”.
Eudiya sospirò scuotendo la testa.
“È escluso” disse severa “A costo di confinarti nella tua torre!”.
“Ma mamma…”.
“No! Forse avrei accettato la tua proposta se tu fossi stata nel pieno delle tue facoltà, in salute e soprattutto non in attesa di mettere al mondo un figlio. Ora come ora, invece, te lo proibisco categoricamente! Dovremo pensare a qualcos’altro!”
L’ultima affermazione frenò i propositi della veggente più del rigoroso divieto della madre. Non avrebbe mai dovuto dimenticare di essere responsabile di una vita che dipendeva esclusivamente da lei.
“Permettimi almeno di cercare qualunque informazione possa esserci utile”.
“Sì. Quello lo concedo. Darò ordine che la stanza venga sigillata e sorvegliata. Non possiamo permetterci né errori né distrazioni. Il vantaggio di chi ci sta mettendo i bastoni tra le ruote è già fin troppo grande e mi chiedo che cosa ancora potremmo trovare, approfondendo le ricerche”.
Gli occhi scuri di Eudiya scintillarono di collera, ma anche di angoscia. La sua preoccupazione era rivolta alle sorti del Regno, ma sul suo viso si leggeva ben di più. L’essere misterioso che aveva creato quel sortilegio aveva preso Shion e lei era giunta a sperare che possedesse solo il suo corpo, non la sua anima. Non del tutto.
Improvvisamente, le saettò alla mente un’immagine lontana, una memoria di quando era solo una bambina di pochi anni e abitava ancora nel deserto.
I fuochi della sera accesi per allontanare il buio e le belve che cacciavano nell’oscurità, per riscaldare le ore più fredde della notte, per riunirsi a raccontare, per trasmettere sapere e tradizione di generazione in generazione.
Iola, sua nonna, era stata una delle sacerdotesse Kalah più dotate della tribù: ricordava i suoi occhi scuri venati di pagliuzze color ocra, come se conservasse nel profondo dello sguardo l’amore sconfinato per le mobili dune, i suoi capelli castani ormai striati di bianco, elegantemente intrecciati con una sciarpa rossa per ripararli dalla polvere. I bracciali d’argento che tintinnavano ad ogni suo movimento, mentre preparava il chae con foglie e radici, mentre riconosceva in lei, piccola erede dei Thaisa, il suo medesimo retaggio, che si era manifestato nella capacità di comprendere il linguaggio degli uccelli.
L’anziana veggente l’aveva condotta per mano sulle rive dell’oasi, una volta, e aveva raccolto l’acqua limpida e tiepida in una conca di terracotta, nella quale si era rispecchiata la luna piena. Eudiya aveva osservato con curiosità quel rito ancestrale, che serviva a potenziare la visione e poteva trasmettere sensazioni e immagini alle altre donne parimenti dotate del dono di Amathira.
Iola aveva intinto un dito nel liquido trasparente, che era diventato d’opale candido e che le aveva rimandato occhi e volti, ai quali aveva comunicato che la nipote possedeva una rara ed ammirevole dote. Le figure non erano apparse nitide in quel fondo latteo, ma la gioia che da esso era provenuta l’aveva fatta sentire accolta, come se anche lei da quel momento facesse parte di una famiglia allargata, che era autorizzata a trasmettere nel sangue il messaggio della dea del Cielo.
La nonna le aveva spiegato che non si trattava di un sortilegio, che non era necessaria alcuna magia per richiamare quella sorta di passaggio mentale e che esistevano molti modi per farlo, alcuni dei quali erano tuttavia proibiti e pericolosi. L’unico che era concesso oltre a quello da lei adottato, in caso di bisogno estremo e di necessità d’aiuto, era quello di versare nell’acqua una goccia di sangue. Qualcuno avrebbe risposto. Nel caso di una donna con il Kalah, dotata dell’esperienza necessaria, sarebbe stato un riscontro benefico e pulito.
Solo chi aveva cattive intenzioni e progetti maligni nell’animo avrebbe attirato a sé la magia oscura, che non era affatto una leggenda e che, grazie al cielo, all’epoca si trovava dall’altra parte del mondo rispetto al deserto di Elestorya.
Eudiya si era spaventata a quell’ammonizione e aveva promesso solennemente che l’avrebbe tenuta a mente. Non aveva mai eseguito quella procedura.
Ma ora il mondo in cui sua nonna era vissuta era mutato. Nulla era più come prima e lo scadere del tempo aveva rimescolato le carte, in un gioco che nessuno era destinato a vincere. Tranne chi stava tirando le fila del gran finale nell’affermazione del proprio egoismo. Quella sbiadita reminiscenza era affiorata nella sua memoria, come se Iola avesse voluto assisterla attraverso le pieghe del cosmo, di cui era tornata a far parte.
“Mamma…?” la richiamò la figlia, vedendola assorta in remoti ragionamenti.
La regina si riscosse e i suoi occhi si posarono sull’appuntito tagliacarte abbandonato lì accanto come un attrezzo indispensabile.
“Mi è tornata alla mente una possibilità, Dionissa…” mormorò, con una tenace risoluzione dipinta nell’atteggiamento.
Afferrò il coltello sotto lo sguardo interrogativo della principessa e si diresse al bacile.
“Ho già provato io” spiegò la ragazza “L’ha respinto, non è servito a nulla”.
“Perché non era quello che aspettava” rispose la donna.
Aprì la mano e si bucò l’indice con la lama appuntita, facendo in modo che alcune stille di sangue ricadessero nell’acqua indifferente.
“Ma cosa stai…!?” esclamò la veggente, agghiacciata.
Poi comprese. Conosceva quel cerimoniale, anche se non l’aveva mai effettuato, neppure quando il suo Kalah era forte e controllabile. Fissò il recipiente nero, pauroso nella sua immobilità. Non accadde nulla.
Eudiya tirò indietro la mano, rassegnata alla sconfitta del suo intento, fasciandosi il dito ferito in un fazzoletto di lino, ma continuò a scrutare il fondo del catino, ostinata.
Improvvisamente, l’acqua vibrò, facendosi opaca e iniziando ad avvolgersi su se stessa come se fosse qualcosa di vivo, sibilando orribilmente.
La superficie si increspò, smettendo di specchiare la volta rocciosa della stanza segreta, mutando aspetto e facendo scorrere immagini irriconoscibili.
Dionissa accorse al fianco della madre, cercando di leggere la realtà riflessa in quei cerchi semoventi, tentando di carpire al nemico il suo segreto.
Individuò un buio ondeggiante, privo di suoni, alcuni scorci di un luogo chiuso e irriconoscibile, venato di una luminosità verdastra e ostile. Poi, la concretezza di quell’ambiente traslò, come se l’acqua volesse condurle altrove, e le spire fatte d’alabastrino rilucere si macchiarono di altri colori, di altre forme, di un'altra contingenza ancora più sbiadita e confusa.
Ma in quella concretezza semi dissolta apparve una figura umana, che guardò a sua volta la profondità dell’acqua dalla sua parte, quasi incredula nello scorgere un fenomeno che probabilmente non si aspettava.
Una mano estranea accarezzò il pelo del liquido che ribolliva e le immagini si fecero lievemente più distinte, ma comunque indecifrabili.
“E’ troppo lontano da qui…” esalò Dionissa con terrore, trascinando via per un braccio la madre, che si era appoggiata con rabbia e risolutezza al bordo del bacile, per distinguere chi avesse osato fare del male a suo figlio “Non riesce a stabilizzare il contatto perché è eccessivamente distante o perché la sua magia è troppo debole in questo momento… E forse è meglio così! Allontanati, mamma, l’oscurità mi sta sfiorando come un gelido artiglio, mi sento soffocare…”.
I riflessi si fecero più incoerenti, il vorticare scostante del fluido rallentò fino a placarsi e il colore latteo iniziò a sfumare, facendo tornare l’acqua al suo aspetto naturale.
Tutto si fermò, come se nulla fosse mai accaduto.
Le due donne si guardarono, trattenendo il respiro.
Eudiya era pallida e le sue mani tremavano nello stringere la figlia maggiore in quell’abbraccio di intimorita condivisione.
“Hai… hai visto anche tu, Dionissa?” sussurrò, come se potesse essere ancora udita da chi era appena scomparso oltre la superficie ora immota.
“Sì. C’era un essere umano dall’altra parte, l’ho colto di sfuggita, ma non…”
“Essere umano…” ripeté la regina con un brivido, che la scosse da capo a piedi “Non so se possiamo ragionevolmente usare questa definizione…”
La veggente la fissò, senza comprendere.
“Non ho individuato nulla di lui e non sono riuscita a scorgere altro durante il contatto… ma i suoi occhi si sono fissati nei miei per un infinitesimo e… Quegli occhi sono impossibili da dimenticare!”.
“Tu sai chi…?” domandò la giovane con agitazione crescente.
La regina annuì, stringendo la figlia per le spalle, sconvolta e decisa.
“Anthos” affermò con scossa certezza “Anthos di Iomhar!”.
 
 
La pioggia che aveva imperversato per quattro giorni sul Pelopi era cessata da alcune ore e una perfetta sfera tinta cadmio si era affacciata sulle onde ormai placate, annunciando il calare del sole con dimessa ostentazione.
Erano saliti in coperta per respirare una boccata dell’aria insolitamente mite, trasportata da chissà dove da una delle vigorose correnti dell’oceano, per ammirare l’impalpabile arcobaleno che attraversava languidamente il cielo in sette pennellate sfumate e per ristorarsi dopo tanta cupezza. Nel cuore e del clima.
Dare Yoon si appoggiò all’impavesata di babordo, che circondava il ponte di prua, lasciandosi lambire dal soffio moderato del vento. I capelli neri, che solitamente portava corti, erano cresciuti in quelle settimane e giungevano quasi a sfiorargli le spalle, ma aveva preferito non tagliarli per perdere provvisoriamente l’aspetto del soldato di professione, che gli stava incollato addosso come un’etichetta. Invece, si era finalmente rasato la barba che lo tormentava, e la sua carnagione olivastra era tornata a risaltare sul mantello nocciola, che gli schioccava sulle spalle al ritmo delle pigre folate. Gli occhi blu notte, illuminati dai raggi bassi del tramonto, erano colorati delle stesse tonalità del mare che stava scrutando in controluce.
“Non riesco a credere che tu sia già in piedi…” borbottò contrariato all’indirizzo del vicino “E neppure la ritengo una pensata delle più riuscite”.
Narsas gli sorrise lievemente, reggendosi al mancorrente di legno.
La luce calante produceva riflessi color cannella nelle sue iridi scure e gli incendiava la chioma castana, esposta all’aria salmastra. La fascia rossa e oro intrecciata tra i capelli gli scendeva su una spalla e l’orecchino pendente, che si intravedeva attraverso le ciocche ribelli, ardeva come fuoco cristallizzato.
“Già…” mormorò lui, appena udibile nello sciabordio dei frangenti.
Solo il suo colorito, meno abbronzato del solito, e il bendaggio bianco che gli circondava l’avambraccio sinistro costituivano un indizio sui suoi recenti trascorsi. Sul fatto che fosse stato sospeso sulla soglia dell’oltretomba.
“Davvero non ti ricordi nulla?” tornò alla carica Dare Yoon.
“Solo sensazioni confuse, che non riuscirei a discernere dalle semplici allucinazioni”.
“Quindi dobbiamo rassegnarci a non sapere come ha fatto quel tizio altezzoso a strapparti dalle grinfie di Reshkigal… perché lì eri e almeno questo non puoi negarlo!”.
L’arciere sollevò uno sguardo rannuvolato verso Alyecc, avvolto in una lunga cappa blu, che si trovava dirimpetto a loro, sulla sponda di tribordo dell’Amara, con Adara.
“Si direbbe che tu stia prendendo le misure per ficcargli una freccia nelle reni” commentò l’ufficiale, ironico.
“Per chi mi hai preso?” rispose in giovane con lo stesso tono “Le ho già calcolate da un pezzo e comunque non colpirei mai un uomo alle spalle, lo sai”.
Dare Yoon sghignazzò con sincero divertimento, raddrizzandosi e voltandosi poi verso l’interlocutore.
“E va bene” brontolò “Ammettiamo pure che quello là ti abbia salvato con una semplice iniezione, come sostiene, e non scendendo a patti con il dio della Morte come penso io… Concediamo anche che tu non sia in grado di rammentare nessun particolare, visto com’eri messo… ma per tutti i diavoli, Narsas! Tu sapevi di avere del veleno in corpo e non ci hai detto nulla!”.
Il ragazzo continuò a fissare le onde, chiuso nel suo ostinato mutismo.
“Non ho ammesso di esserne stato a conoscenza” ribatté dopo un po’.
Seh, e io sono una sacerdotessa Kalah…” ringhiò il soldato, indispettito “Scommetto ciò che vuoi che conosci per filo e per segno il fautore o la causa, invece! Perciò non prendermi per i fondelli, perché sono stanco di angustiarmi!”.
“Ti sei preoccupato per me? Onorato…” rispose l’arciere con sviante arguzia.
“Per te? Macché… Per lei!” esclamò Dare Yoon, indicando la principessa.
Qualcosa nella posa indecifrabile di Narsas si incrinò a quell’affermazione. I suoi occhi si velarono di profonda malinconia. Sospirò lentamente.
“Sei stato tu a chiedere allo straniero di farci uscire dalla cabina, non è stata una sua iniziativa! Perché!? Parla! Lei era distrutta, avrebbe voluto rimanere con te!” rincarò l’ufficiale, ormai lanciato, facendo leva su un nervo scoperto.
“Sì!” esplose il ragazzo, furioso “Sì! Io lo sapevo! Ed è un fatto che riguarda me soltanto! Nessun altro! Tu non hai alcun diritto di farmi questa domanda!”.
“Cosa!?” gridò Dare Yoon “Ne ho diritto eccome! Pretendi che io me ne resti a cuccia quando hai preferito che quell’Alyecc sapesse, si insinuasse nei fatti tuoi e noi ci tenessimo fuori? È questo che mi stai dicendo?”.
“Alyecc è stato un male necessario…” rispose l’arciere, riguadagnando a fatica la compostezza “O lui o la fine. Quando scenderà dalla nave, non lo rivedremo mai più”.
“Che a conti fatti significa che, se non ci fosse stato lui, avresti deciso di restituire l’anima agli dei piuttosto che chiedere il mio aiuto! Questo valica la riservatezza! Sfiducia! Ecco cos’è! Ed è oltraggiosa e ingiustificata!”.
Narsas sollevò nel suo uno sguardo grave e addolorato, ma terribilmente sincero.
“Dare Yoon…” disse incolore “Tu mi hai più volte ricordato che per te io sono solo un membro della tribù che si è rivoltata contro il reggente, un messaggero di chi lo accusa di tradimento, un Aethalas che non ti convince affatto. Perché, ora, sarei io a dovermi fidare di te?”.
Scacco matto.
L’uomo sbarrò gli occhi, completamente disarmato nel sentirsi ritorcere contro ciò che aveva rimarcato in più di un’occasione.
 
“Non vi perdono di vista” commentò Alyecc sarcastico, osservando con la coda dell’occhio i due uomini al lato opposto “Ma sembra che oggi preferiscano litigare tra di loro piuttosto che controllare voi…”.
Adara si girò, schermandosi il volto con la mano per difendersi dalla luce intensa che riusciva persino ad infilarsi sotto il pesante cappuccio del giovane che le era accanto.
“E’ il loro modo di rapportarsi” rispose allegra “Mi fa ben sperare. Non posso ancora credere che Narsas sia vivo e ciò è solo grazie a voi…”.
“Mi sono limitato a capire che la chinetosi gli impediva di assimilare per bocca qualsivoglia antidoto al veleno, così ho usato un ago cavo e gli ho inoculato il rimedio direttamente nel sangue. Un metodo un po’ drastico, la vera fortuna è stata che il vostro amico Aethalas avesse con sé il preparato utile a contrastare la tossina”.
“No. La reale fortuna è stata incontrarvi, Alyecc… e che mi abbiate risposto”.
Lui si indurì.
La ragazza non gli aveva domandato direttamente come mai avesse aperto tanto tardivamente la porta della sua cabina, ma aveva più volte sottinteso la richiesta e lui era sempre riuscito a sviare il discorso. S’ingegnò anche in quel momento.
“Non credo che questo accresca la simpatia dei vostri compagni nei miei riguardi”.
“Già” sospirò lei “Forse perché avete mostrato il vostro viso solo a me. Perché mi avete riservato una simile eccezione?”.
“Non io. Il vento ha scelto per me” affermò lui con un sogghigno beffardo.
Adara scrutò la linea dell’orizzonte, velata della foschia dell’incipiente crepuscolo, accettando un’altra delle sue non risposte. Cambiò argomento, puntando su una questione che le stava particolarmente a cuore.
“Raccontatemi, vi prego… Narsas ha detto qualcosa mentre eravate con lui?”.
“No, se state alludendo a chi o a che cosa lo abbia condotto quasi alla morte. Desumo che non abbia confidato alcunché neppure a voi in merito, allora”.
La principessa scosse la testa, rattristata.
L’arciere aveva schiuso le palpebre, quando era accorsa al suo capezzale, e l’aveva contemplata, lasciando che lei gli stringesse la mano nella sua e che si sfogasse sulla sua spalla in un pianto disperato e liberatorio. Le aveva accarezzato una guancia con dolcezza, senza parlare, perché non ce n’era stato bisogno. Adara aveva letto nel suo sguardo sofferente ma deciso che non le avrebbe rivelato nulla. Le aveva già chiarito in precedenza che esistevano argomenti che non era disposto a condividere: insistere sarebbe stato come mancargli di rispetto e non sarebbe stato giusto. Era difficile da accettare, ma lo avrebbe fatto per lui, perché di lui si fidava.
Alyecc scrutò nel profondo dei suoi occhi, senza mostrare alcun cambiamento di posa. Continuò a sporgersi verso il bompresso, sfidando le sbruffate del mare.
“Se, invece, desiderate conoscere altri dettagli” proseguì, alludendo alla domanda da lei posta poco prima “Sappiate che ha pronunciato più volte il vostro nome”.
Adara sussultò e sollevò il viso, cercando di cogliere qualcosa dell’interlocutore oltre l’ombra altalenante della stoffa che gli nascondeva i tratti.
“Il mio…?”.
“Sì” confermò l’uomo, come se fosse un dato di poco conto “Mi riesce difficile pensare che per lui siate semplicemente una donna da accompagnare sana e salva a Jarlath”.
“Io…”.
Il Crescente prese improvvisamente a fremere, come se quell’affermazione avesse scatenato una reazione misurata ma incontenibile. Poi iniziò a bruciare.
Adara portò istintivamente le mani all’ombelico, abbandonando le funi cui era aggrappata e perse la stabilità. Le mani di Alyecc si posarono prontamente sulle sue spalle, sostenendola affinché non cadesse.
“Che vi prende?” domandò cortese “Non vi sentite bene?”.
“No… no, è solo la tensione, scusatemi…” mormorò lei, reggendosi al suo braccio “Voglio scendere da questa nave al più presto!”.
“Non sarebbe meglio che prima attraccasse?” ribatté lui con pronto umorismo.
La ragazza rise, suo malgrado. La mezzaluna cessò l’assalto.
Alyecc le sollevò alla luce il braccio destro con fare interessato, scorgendo un livido bluastro che sporgeva dalla manica leggermente sollevata.
“E questo?” proferì serio “E’ il risultato del duello scenografico, di cui tutti parlano, con il soldato che vi portate dietro?”.
“Oh… no…” spiegò lei, ritraendo inutilmente l’arto, che rimase nella morsa dell’uomo “Sono scivolata mentre correvo in cerca di voi. Pensate, non mi sono neppure accorta di aver preso una botta simile in quel frangente…”.
Lui aggrottò la fronte sotto il cappuccio, osservando la macchia scura.
“Vi duole?”
“No. Grazie per il pensiero. È l’anima che mi fa male e in tal caso non esiste rimedio”.
“Posso intuirne le ragioni. Ma se il vostro Aethalas ha stabilito di non aprirsi con voi, dovete accettare la sua risoluzione. L’unico farmaco efficace è il non pensarci”.
“Devo stare attenta con voi, Alyecc… siete estremamente perspicace, non posso celarvi nulla” sospirò “Però siete in errore se credete che sia possibile arrestare le inquietudini per chi ci è caro. Non ditemi che voi ci riuscite!”.
“Perfettamente. Nessuno vanta una tale presa su di me”.
“C-come?” balbettò lei, spalancando gli occhi.
“Non permetto che accada” precisò lui “Ve l’ho già detto. Per me i sentimentalismi sono punti deboli che non gradisco sperimentare”.
“Ma non potete decidere a comando! Sono forze che esulano dalla nostra volontà!”
“Provatemelo, allora”.
Adara rimase sconcertata dal freddo distacco del suo modo di ragionare e si arrovellò sulla vera natura di quell’uomo, che riusciva ad essere tanto gentile quanto arrogante e gelido al contempo. Che non concedeva a nessuno di avvicinarglisi.
“Beh…” formulò con espressione meditabonda “Se il vostro destriero avesse un grave problema di salute, voi riuscireste a rimanere così indifferente?”.
Alyecc si immobilizzò, assorbendo quelle poche parole con incredulità. Lo attraversarono, attenuando la densità della scorza di cui era ammantato. Iniziò a ridere leggero, scuotendo la testa.
“Avete ragione, è proprio necessario scendere da questa nave” replicò, evitando per l’ennesima volta di esprimere le proprie emozioni più profonde.
“Siete ansioso di tornare a casa, dunque?” domandò la principessa, seguendolo in quella variazione d’argomento, quasi assuefatta all’altalena che lui le imponeva.
L’uomo la guardò dall’oscurità oscillante e i suoi occhi luccicarono agli ultimi barbagli del sole che si inabissava tra i flutti.
“Non ho mai chiamato casa nessun luogo del creato”.
La principessa si sorprese e parimenti si rattristò per quell’ammissione tanto caparbia, ma prima che potesse replicare lui continuò, quasi sprezzante.
“Temo che Neirstrin sia più lontana di quanto immaginiamo, comunque. Siamo fuori rotta da qualche ora, ormai”.
“C-cosa? Ma come lo sapete?”.
“Ombre, stelle, sesto senso…” rispose lui alzando le spalle con noncuranza “E, prima che me lo domandiate, no. Non si tratta di uno scarroccio dell’imbarcazione o l’avrebbero corretto già da tempo”.
“State dicendo che l’Amara ha deviato di proposito!? Ma non è…”
“Non credo sia tutto” rincarò il giovane “Guardate…”.
La prese sottobraccio e la condusse verso la serpa, avvolgendosi accuratamente una cima sfioccata al polso e stringendone saldamente l’estremità in pugno. Indicò la murata all’angolo di prua, dove campeggiava in rosso il nome della nave.
“Che cosa notate?”.
Adara aguzzò la vista, sporgendosi oltre il parapetto con un leggero senso di panico, nonostante Alyecc la stesse cingendo saldamente alla vita per non farla sbilanciare.
“La A iniziale e quella finale sembrano dipinte più di recente” constatò “Il colore è meno deteriorato, ma può essere frutto di una semplice rinfrescata alla vernice…”.
“Come no!” sogghignò il giovane “Hanno modificato l’identificativo del galeone, altro che lavori di manutenzione! Quelli non si fanno a toppe! Sommatelo a ciò che vi ho esposto prima e al fatto che abbiamo una nave in scia, seppur a debita distanza…”.
“Oh, stelle!” esclamò lei, voltandosi a prua senza distinguere però altri scafi in avvicinamento “Come avete fatto a…?”.
“Vederla?” completò lui “E’ difficile cogliermi di sorpresa, ve l’ho spiegato”.
Alyecc si raddrizzò, balzando giù dallo scalino di legno e aiutandola a scendere. Trattenne le sue mani nelle proprie, poi si slacciò con un gesto rapido il braccialetto d’argento che potava alla sinistra, porgendoglielo.
“Prendete” ordinò perentorio “Ve lo regalo. Ora andate ad avvisare i vostri amici che presto sarà inevitabile impugnare le armi. Dovranno difendersi e salvaguardare anche voi. L’Amara si rivelerà per quel che è a breve, temo”.
“Ma… ma io non posso accettare…” balbettò lei, frastornata “E’ troppo prezioso e poi voi stesso mi avete consigliato di non indossare gioielli! Mi state spaventando a morte! Perché credete che saremo costretti alla lotta? Vi prego, non tenetemi sulle spine, Alyecc!”.
“Non discutete!” intimò lui, agganciandole il monile al polso e stringendolo in modo che non si sfilasse “Andate, presto! Ma non mostrate di aver compreso che c’è qualcosa che non va. L’equipaggio finge di essere distratto, ma ci osserva”.
Adara fece qualche passo indietro, ancora poco convinta, esaminando le maglie a forma di squame che cesellavano la lucida catenella.
“Alyecc… e voi cosa farete? Giuratemi che questo non è un regalo d’addio”.
“Ciò che sarà necessario. Non ho paura. Ora andate e… non fidatevi di nessuno!”.
La principessa scese dalla scaletta di tribordo e, quando si voltò, lui era sparito.
   
 
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