Crossover
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Autore: evil 65    13/08/2019    10 recensioni
Il Multiverso, così come lo conosciamo… non esiste più. In seguito ad un fenomeno distruttivo noto come Lo Scisma, un uomo misterioso che si fa chiamare il Maestro è riuscito creare una realtà completamente separata dalle altre, dov’è adorato come un dio onnipotente.
Apparentemente inarrestabile, il Maestro comanda col pugno di ferro questa nuova terra, chiamata "Battleground", nella quale vivono numerosi personaggi provenienti dai vari universi, tutti immemori delle loro vite precedenti.
Ogni storia ha il suo principio. E questa è la loro epopea...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Anime/Manga, Film, Fumetti, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco un nuovissimo aggiornamento!
In questo capitolo farà la sua comparsa l'ultimo grande big bad di questa storia, probabilmente l'alleato più potente del Maestro, nonchè colui che lo aiuta maggiormente a tenere sotto controllo le menti degli abitanti di Battleground, grazie alle sue doti speciali.
Per chi non lo conoscesse, si tratta di uno dei migliori antagonisti nella storia dell'animazione, ed è il villain principale di uno dei film animati più belli realizzati. A fine capitolo troverete la sua scheda.
Ed ora... buona lettura!



Capitolo 21 - Incubi e deliri




Un luogo sotterraneo. Un cunicolo sotto la città. Una cripta. Un antico palazzo affondato nella crosta, circondato da fango e roccia. Un’enorme base con ponti, usci e bizzarre scale, talvolta fuoriuscite direttamente dal soffitto. Era costruito ad angolo, quasi ci si trovasse dentro una scogliera e, andando avanti, si sprofondasse subito in un abisso.
Nascosto come i vampiri nei vecchi cimiteri, evanescente come le ombre che nella notte vagavano tra le lapidi. Era di nuovo così che si era ridotto. Ma stavolta era diverso. Non era più un’ombra indesiderata, destinata a essere dimenticata fino a svanire. Era il centro del suo regno oscuro, la sua residenza, dalla quale diffondeva in tutto l’universo la vera essenza del dominio supremo di Battleground: la paura. L’annientamento completo della speranza.
Quanto gli era sempre suonata sgradita quella parola, quanto gli era odiosa. La speranza era solita vincere sempre, quella era la dura legge a cui stato costretto a prostrarsi per eoni.
Ma finalmente quella legge era stata infranta, così come la speranza, soppiantata dal terrore e dalle tenebre. Soppiantata da una nuova legge. La legge del terrore.
Grazie a Pitch Black, l’Uomo Nero, ormai la speranza era molto più fragile da spezzare, e questo era il sigillo del suo trionfo. La paura e la violenza, grazie a lui, erano i cardini di quella civiltà corrotta e opprimente. Cosa, meglio della paura, poteva essere un buon espediente per fondare un nuovo impero, mantenendolo saldo?
Chi ha paura diventa molto accondiscendente, accetta le condizioni imposte nella vana speranza di venire risparmiato dall’orrore che lo circonda. Chi ha paura non ha la forza di combattere, e ciò andava a vantaggio del Maestro. Tuttavia…
L’Uomo Nero passeggiò avanti e indietro nell’oscurità come un animale in gabbia, inquieto.
Infatti, esistevano ancora delle eccezioni. Anime che, nonostante tutto, si tenevano ancorati alla speranza, non intenzionati a perderla. Non si lasciavano sottomettere e reprimere dalla paura e dal terrore disseminati nell’universo. Non fino in fondo.
Il vero problema erano loro. LORO erano gli unici ostacoli da eliminare. Erano pochi, certo, ma erano fastidiosi. Piccoli, fastidiosi insetti che osavano opporre resistenza al suo potere.
Al centro della tana, quasi come illuminato da un faro, vi era una sottospecie di mappamondo in nera pietra, disseminato da piccole, pallidissime luci, sparse qua e là, sole, insignificanti, nemmeno numerose. Illuminato da esse, Pitch Black si avvicinò al globo.
Un uomo. Almeno, così appariva a prima vista, anche se per gli standard di un uomo era alquanto singolare. Una magra, inquietante ed alta figura che sembrava essere fatta della stessa tenebra dalla quale stava venendo fuori con eleganza sinistra: tenebra sembrava la lunga veste nera, con una scollatura a V, che ricopriva il suo intero corpo sino ai polsi.
Il contorno dell’ampia fronte terminava con una corta zazzera di capelli neri e lucidi, sparati all’indietro. Il volto cinereo, completamente glabro, aveva forma allungata, triangolare. Il naso aquilino era incastonato in mezzo a due occhi gialli, unico elemento risaltante in quell’oscura figura.
<< Tesoro, sono a casa! >> esclamò una voce improvvisa, risuonando tra le rocce con la stessa intensità di un tuono.
Calda e gentile all'apparenza, per Pitch era come il suono dell'abisso stesso, profondo e senza fine, che fuoriusciva dai meandri dell'Inferno per avvolgere il mondo in un ingannevole abbraccio.
Era la voce del supremo dittatore di Battleground, la creatura più potente che l'Uomo Nero avesse mai incontrato durante la sua lunga vita.
Il suo dominio era assoluto, così come lo erano la sua crudeltà e la portata della sua influenza. Quella era la voce... del Maestro.
<< Pitch? Pitch, sei in casa? So che ti piacciono le entrate teatrali, ma preferirei non dilungarmi più del dovuto. >>
L’Uomo Nero sospirò, stringendo le braccia dietro la schiena. Era abbastanza raro che il Signore del Tempo venisse a trovarlo, se non per fargli i complimenti del suo lavoro, ma dal suo tono oscenamente smielato intuiva non fosse qui per quello.
Mise su il suo miglior sorriso affabile e si girò nella direzione dell’alieno.
<< Non ti smentisci mai, vero, vecchio mio? >> disse piacevolmente.
In tutta risposta, il Signore del Tempo si limitò a stringersi nelle spalle.
<< Che vuoi che ti dica, Pitch? Squadra vincente non si cambia >> ribatté l'altro con aria gioviale, il volto adornato dal suo immutabile ghigno.
Poi, il ditattore lanciò una rapida occhiata in direzione del globo presente nella stanza.
<< Ma dimmi... come vanno gli affari? Ci sono stati problemi? >>
<< Nulla di diverso dal solito, temo >> ribatté lo spirito, seguendo il suo sguardo << Ci sono… piccole, microscopiche, remote anime che non cedono tanto facilmente… alla paura. >>
Fece scorrere le lunghe dita sui punti di luce, spegnendone qualcuno.
<< E per quanti sforzi io possa fare… insetti così si moltiplicano. >>
<< Oh, credimi, lo so bene. Recentemente, questi particolari individui si sono fatti molto più audaci >> commentò il Maestro, simulando un'espressione sconsolata << Ma suppongo che potrebbe essere peggio >> continuò, riprendendo il suo solito ghigno << Dopotutto, se non fosse per i tuoi... talenti... chissà quante povere anime avrei dovuto giustiziare per diserzione. Per certi versi, qualcuno potrebbe addirittura considerarti un eroe. Ironico, non credi anche tu? >>
<< Crudelmente esilarante, considerato chi ero prima… di questo. >>
Pitch spalancò le braccia e si guardò i palmi, a metà tra il fascino, l’estasi e la malinconia. Dopotutto, prima di diventare lo spirito della paura stessa, era un semplice mortale.
Ricordava vagamente di essere stato un marito e un padre, ma tali memorie erano state a lungo sepolte dai secoli che seguirono la sua trasformazione per mano dei Fearlings, spiriti demoniaci che incarnavano la paura stessa, e di cui lui era stato uno dei più dediti avversari. Era anche la ragione per cui tali creature avevano deciso di vendicarsi, trasformandolo in un loro simile e, ironicamente, creando quello che sarebbe diventato il loro re.
Lo spirito sollevò lo sguardo e tornò a fissare il Maestro.
<< Ma dubito fortemente tu sia giunto qui esclusivamente per congratularti con me. Almeno non questa volta. Ho ragione? >>
<< Acuto come sempre >> ribatté il Signore del Tempo, prima di stringersi nelle spalle << Ma sì, hai ragione, sono qui per offrirti una serata libera, per così dire. O forse sarebbe meglio definirlo un lavoretto extra >> aggiunse, quasi come un ripensamento.
Pitch congiunse le mani in grembo, inclinando il capo di lato. << E sarebbe? >>
<< Oh, niente di troppo complicato, amico mio. Ma dimmi... da quanto tempo non partecipi ad una festa? >>

* * *

"He goes, and comes back alone
But always a hero comes home
Just wait though while he may roam
Always a hero comes home."

Idina Menzel - A Hero Comes Home


Renmant - Pianeta sotto controllo Imperiale

Un lampo illuminò gli alloggi della base. Nel mentre Summer e Fire riprendevano fiato, Thor si guardò intorno e inarcò un sopracciglio.
<< Dove... dov'è il prode Qrow? Perché non è con voi? Non è da lui ritirarsi nel mezzo di una battaglia >> disse in tono incerto.
Ancora una volta, calde lacrime solcarono il viso di Summer, che inconsciamente strinse le dita intorno all'arma dell'amato.
<< Qrow... ha fatto il suo dovere fino all'ultimo. Ci ha permesso di salvare Royal Noir, come un vero Cacciatore >> rispose la donna, tentando di mantenere una posizione più retta possibile, nonostante il trauma subito e i muscoli che ancora sembravano bruciare << Vado a fare rapporto, poi... penso avrò bisogno di qualcosa di veramente forte. >>
Thor rimase sconvolto dalle parole della compagna. Rimase a guardarla con occhi increduli finché non uscì dalla sua stanza. Allora abbassò il capo, si tolse l'elmo piumato e se lo portò al petto, vicino al cuore, ripensando al suo vecchio amico.
<< Qrow era un valente guerriero, e un buon amico >> disse con voce ferma e sicura di sé, nascondendo il suo dolore.
Ripensò alle battaglie combattute al suo fianco, e anche ai momenti di gioco e svago dove entrambi si cimentavano in gare di bevute, tracannando intere caraffe della miglior birra che Renmant potesse offrire. Naturalmente, la costituzione del Tonante aveva sempre avuto la meglio.
Osservò l’unico tavolo presente nella stanza, e, come se fossero spettri... poté rivederli. Lui e Qrow mentre bevevano, con Summer e gli altri a fare il tifo.
“Portate altra birra per questi due guerrieri!
E più cibo! Così comanda il Tonante! La notte ancora non è finita!” gridava in preda all'euforia datagli dall'alcol “Il giorno è nostro! E ancora una volta le armate del Maestro sono cadute per mano dei fucili dei nostri ribelli... e sotto i letali colpi di Mjolnir e Harbinger! Festeggiamo! Madamigella Summer, bevi il nettare degli dèi insieme ai due coraggiosi uomini!”

Il tutto mentre Qrow afferrava la donna, facendola unire a loro in quella brilla allegria.
Thor trattenne una lacrima. Qrow gli ricordava Volstagg, un suo caro amico perito durante l'invasione di Loki e dei Decepticon. In un certo senso... gli voleva bene. Voleva bene a tutti loro.
<< Che la tua anima possa trovare la pace nelle sale del Valhalla >> disse ad alta voce << Che tu possa gustare dei migliori cinghiali di tutti i nove regni, e che tu possa combattere e festeggiare insieme agli eroi come Ragnar Lothbrok. >>
Fire aveva osservato il dio del tuono in silenzio, mentre qualche lacrima traditrice gli scivolava lungo la guancia, sotto la maschera. Neanche stavolta riuscì a dire nulla, niente avrebbe potuto rivaleggiare l’immenso onore che Thor aveva appena fatto al Cacciatore.
Sentì le gambe tremolare sotto il peso psicologico di quella notte, ma non poteva, non voleva cedere, non ancora. C’era un’altra cosa che gli premeva fare, prima di lasciarsi completamente andare.
“Egoista” insinuò una vocina maligna dentro di lui, dal timbro orrendamente simile a quello del Governatore Shen.
<< Zitto… >> gli sfuggì dalla bocca, pressando le dita su una tempia.
Thor si girò e lo scrutò con un cipiglio alquanto curioso e stranito.
<< Ragazzo, c'è qualcosa che non va? >> chiese.
L’aveva sentito chiaramente pronunciare quella parola, e pensando si riferisse alla sua commemorazione funebre, strinse entrambi gli occhi scrutandolo da capo a piedi.
<< Accettalo. I guerrieri muoiono in battaglia, ma solo i valorosi muoiono col sorriso sulle labbra e per i propri compagni. Se per te, tutto questo è inaccettabile, allora ti invito a rimembrare il suo sacrificio nei vostri confronti. Egli, ora, dimora nel Valhalla. La morte non è una fine, ma un inizio. Perciò non mancare mai più di rispetto a un caduto, e accetta la morte come consigliera e maestra di vita. Agli indegni spetta solo Helheim. Vedi di tenerlo bene a mente. >>
<< Non… >>
Fire sentì un groppo alla gola, quando si rese conto quale orribile fraintendimento aveva appena creato.
<< No… no, non intendevo questo… non potrei mai… >>
Sentiva la voce spezzata e si stava sforzando con tutto sé stesso di parlare chiaramente.
<< Mi ha salvato la vita! Si è sacrificato per far scappare me e sua moglie, non potrei mai e poi mai mancargli di rispetto! Io… io stavo… >>
Si premette le dita sulle tempie, sentendo delle fitte, ma cercò di prendere un respiro profondo e di fissare il dio negli occhi.
<< Mi dispiace >> scandì, ansimando << Non mi riferivo a lui. Io… sono… sono sconvolto, va bene? Voi… non avete idea di cosa sia appena successo a Gongmen, e… e sapere che è successo per causa mia… >>
<< Basta rimuginare, giovane >> ordinò Thor << Affronta con coraggio quanto è successo. Hai le mie sincere scuse per aver frainteso il tuo gesto, e pertanto ti invito a parlarne. Siamo compagni d'armi nell'onore. Fidati sempre di loro, e loro faranno altrettanto. >>
Il ragazzo ingoiò amaro, abbassando lo sguardo, tuttavia annuì: il dio aveva ragione, dopotutto. Così raccontò di come era stato catturato da Shen, di come Qrow e Summer fossero venuti a liberarlo e come avessero tentato di scappare. Dovette farsi forza per concludere con la parte con l’Indominus Rex e il sacrificio di Branwen.
Il principe di Asgard mise una mano sulla spalla del ragazzo in segno di comprensione. << Mi dispiace per quanto successo, figlio di Lada. Se fossi stato lì con voi, avrei potuto aiutarvi e forse Qrow sarebbe ancora qui. Il Dottore mi ha affidato altri compiti, ma ahimè mi pento di non aver combattuto al vostro fianco. Non dolerti, poiché l'anima di Qrow dimora nelle sale degli scudi dorati. Se c'è qualcosa che posso fare per lenire il tuo dolore... basta chiedere. Posso offrirti del nettare degli dei? >> chiese, indicando uno dei suoi barili di birra.
Fire deglutì, stringendosi nelle spalle; sentiva un peso orribile sparso per tutto il corpo. La crisi minacciava di scoppiare da un momento all’altro, e dubitava fortemente che un bicchiere l’avrebbe aiutato.
<< No, grazie >> borbottò, sforzandosi ancora una volta di tenere alto il tono della voce e di non farfugliare << Però... c’è qualcosa che… ho bisogno di fare, prima di… prima di poter dire di restare qui nella Resistenza. E sì… voi potete aiutarmi. >>
Prese un respiro profondo, quindi guardò l’uomo negli occhi.
<< Ho bisogno che mi portiate al castello Royston, nella foresta vicino Gongmen. Io… io devo incontrare mio padre. >>
Thor annuì comprensivo. << D'accordo, ti porterò a casa tua. È giusto che tu ti possa riconciliare con tuo padre, dopodiché prenderai la tua decisione. >>
Richiamò il martello nella sua mano e lo invitò ad aggrapparsi a lui. << Pronto? >>
Il Vigilante si aggrappò al grosso bicipite dell’asgardiano, prese un respiro profondo e annuì. << Pronto. >>
Con la stessa magia già attuata in precedenza, il dio lo teletrasportò fuori, a qualche metro di distanza dal castello Royston.
<< Aspetterò qui, ragazzo. La tua scelta sarà determinata da ciò che farai, se tornare o no. Rammenta sempre che la decisione è solo tua, e rammenta ciò che hai visto oggi. Adesso vai. >>
Il giovane strinse i pugni, facendo un cenno in segno di ringraziamento e di comprensione. Quindi azionò le ali e volò verso le mura, dirigendosi verso la finestra della propria stanza.
Come si aspettava, era aperta, con la tenda che svolazzava, scossa dal vento. L’unica cosa fuori dalla norma era Logan Royston stravaccato su una poltrona, di fronte ad essa. Dormiva profondamente, anche se aveva l’aria di uno che si era addormentato solo da qualche ora, sforzandosi di restare sveglio. O almeno, questo era ciò che il figlio intuiva chiaramente, perché lo conosceva meglio di chiunque altro.
Fire sentì il cuore scaldarsi. Si levò il cappuccio e fece scomparire la maschera, quindi allungò una mano a scuotere con insospettabile dolcezza la spalla dell’uomo.
<< Papà… >>
Logan Royston si destò dal suo sonno aprendo lentamente gli occhi. Si raddrizzò piano sulla sedia e squadrò la figura dell'adolescente, mettendolo infine a fuoco.
<< B-Baelfire? È forse... >>
Un sonoro sbadiglio uscì dalla sua bocca, facendo eco in tutta la stanza, ma poi il nobiluomo riacquistò il proprio contegno e lo fissò, serio.
<< È forse questa l'ora di rincasare? Sono passati tre giorni, e non sono nemmeno riuscito a contattarti… dove sei stato? E dov’è Rowlet? >>
Fire sentì il labbro tremolare. Il sollievo di rivederlo e la sensazione di trovarsi in qualche modo al sicuro grazie alla sua vicinanza furono come la goccia traboccante del vaso, e la crisi che tanto aveva tentato di controllare infine esplose completamente.
Lo abbracciò, lo abbracciò con tutta la forza di cui era capace, affondando il viso nel suo petto, e scoppiò a piangere a dirotto.
<< S-Scusa… >> singhiozzò << scusa, papà… io… io… >>
<< Baelfire! >>
Logan sgranò gli occhi, trasudanti pura preoccupazione paterna, confuso e sconvolto: era rimasto completamente spiazzato dalla reazione dell’adolescente. Sapeva molto bene che non era da lui reagire in quel modo, di certo doveva essere successo qualcosa, dopotutto era appena tornato da una delle sue missioni.
Lo strinse a propria volta, accarezzandogli la schiena e i capelli per calmarlo, poi lo costrinse a sedersi sul letto e gli si sedette accanto, stringendogli le spalle con un braccio.
<< Calma, ragazzo, va tutto bene. Fa’ un bel respiro, rilassati, e raccontami tutto per filo e per segno. >>
Fire obbedì, sforzandosi di fare dei respiri profondi, nel tentativo di placarsi ancora una volta. Quando fu nuovamente padrone del proprio volto, si girò a guardare il padre adottivo con gli occhi ancora umidi di lacrime.
<< Ti ho mentito… >> confessò, mordendosi le labbra << Quando ti ho detto che io e Rowlet saremo andati su Remnant a seguire i traffici di Shen… ho mentito in parte. Ci sono andato perché… perché ho incontrato il Dottore, il capo della… della Resistenza. E quando sono tornato qui… Shen… mi ha catturato… ma sono fuggito grazie ai ribelli… e sono venuto qui... >>
Il marchese lo ascoltò in silenzio, senza interromperlo un istante. Quando lo vide nascondere il viso dietro una mano e liberare altre lacrime, fu il proprio turno di parlare.
<< Dov’è Rowlet? >>
<< Con… con i ribelli. Sta… sta bene, ne sono sicuro… >>
<< Perché mi hai detto una bugia? >> chiese allora Logan, serio ma pacato, in modo da poter capire le intenzioni del figlio a tutto tondo.
Fire abbassò lo sguardo, carico di vergogna.
<< Non volevo metterti in pericolo… sapevo… sapevo quanto sarebbe stato pericoloso mettersi in contatto con la Resistenza. Volevo andare da loro quantomeno per ascoltarli, prima di prendere qualsiasi decisione. Non volevo fare niente che rischiasse di esporti più di quanto tu non lo sia già. Ma poi… la situazione è precipitata… >>
<< Avresti comunque dovuto dirmelo subito >> ribatté suo padre << Cosa ti ho sempre detto? In famiglia non esistono segreti, di nessun genere. Alla fine, hai deciso di aiutare la Ribellione e il danno è stato fatto. Non fraintendermi... non sto dicendo che hai sbagliato a decidere di aiutarla: avresti dovuto dirmelo subito, avremmo potuto prendere una decisione insieme. >>
<< Mi dispiace… aveva ragione, sono un egoista… ho rovinato tutto… non sarei mai dovuto andare... >>
<< Di chi stai… ? >>
Fire gli posò una mano sulla spalla, come a chiedergli di concedergli un momento. Si costrinse a smettere di farfugliare e a prendere un respiro più profondo. Non aveva più senso nasconderglielo, arrivati a quel punto.
Allungò il braccio sinistro e torse l’avambraccio, abbassando la manica di lino che lo ricopriva. Non appena vide la cicatrice rossa e sottile, dalla forma di ideogrammi, Logan trattenne a stento un sussulto. Gli bastò dare un’occhiata ad essa e allo sguardo vulnerabile del figlio per capire cosa fosse successo, dopo che Shen l’aveva rapito.
<< Vorrei che non fosse successo niente >> mormorò Fire, ritraendo il braccio, mordendosi il labbro << Vorrei che tutto questo non fosse reale. Vorrei non aver risposto a quella chiamata, e ora come ora, vorrei potermi lavare le mani di tutto... >>
<< Sai che non puoi. >> Lo sguardo azzurro dell’uomo si fece severo. << Sarebbe alquanto disdicevole da parte tua. >>
<< Lo so >> ribatté il giovane << Non è quello che mi hai insegnato, e non è così che funziona la vita. Non posso, non voglio scappare. E non voglio ignorare la possibilità di cambiare finalmente le cose in questo mondo. Ma non posso avere tutto. >>
Lo guardò dritto negli occhi e deglutì.
<< Non posso… non posso più restare qui. Non posso restare al tuo fianco. Shen sa… sa che sono nella Resistenza, e sa quanto ti voglio bene. La tua recita sul fatto che non sai nulla della mia identità non può più proteggerti… sono andato troppo oltre questa volta. Lui non si fermerà più di fronte a nulla pur di catturarmi, e so quanto si divertirebbe ad usare te per farlo. >>
Logan rimase in silenzio per qualche istante. Infine annuì, in segno di comprensione, stringendogli forte una spalla. << Non crucciarti. A questo si può porre rimedio. Posso trasferirmi nella nostra residenza di Londra, finché le acque non si calmeranno. Molto probabilmente mangerà la foglia, ma non ci sarà molto che potrà fare quando sarò fuori dalla sua giurisdizione. >>
Fire annuì. << Devi partire il prima possibile. Sei in vantaggio, perché probabilmente adesso sarà molto occupato a tentare di ricostruire i sotterranei. >>
<< Tuttavia, potrebbe risultare alquanto sospetto agli occhi della società che mio figlio non sia né qui a Gongmen e né al mio fianco a Londra. >>
<< Hai ragione. Se te lo chiedono... dovrai raccontare che sono in visita alla capitale del pianeta Scarif, per approfondire i miei studi, visitare la città e partecipare alla festa del senatore Anakin Skywalker >>
<< E va bene >> disse Logan, facendosi serio << Ma voglio che tu mi faccia una promessa, Baelfire: non mentirmi mai più. Mai più dovrai dirmi una bugia. Siamo una famiglia, e risolveremo insieme qualunque genere di problemi. Dalle fughe rocambolesche con la Ribellione... alle tue prime cotte in cui potresti mettere incinta una giovane fanciulla >> concluse, ridendo.
In quel momento, Fire era talmente distrutto e sollevato allo stesso tempo dalle parole confortanti del genitore tanto da lasciarsi contagiare, liberando una risata isterica e disperata insieme. Quando riuscì a calmarsi, lo abbracciò nuovamente, appoggiando la tempia lungo la sua spalla.
<< Mi dispiace, papà… >> mormorò << Te lo giuro, non ti mentirò mai più. >>
Suo padre ricambiò l’abbraccio, infilandogli una mano tra i capelli, sospirando. << Perché per abbracciare più spesso il tuo vecchio devi metterti in pericolo così? >>
<< Io… >>
<< Sto scherzando, ragazzo >> ridacchiò Logan, allungando le dita ad asciugargli nuove lacrime << Ehi, andrà tutto bene. Io starò bene. Tu prosegui nel tuo operato e salva più persone possibili. Sappi che sono molto fiero di te. >>
Fire deglutì nuovamente, ma annuì.
<< Tornerò >> promise, stringendolo con disperazione << Quando tutto questo sarà finito e saremo tutti liberi, tornerò da te. Te lo giuro. >>
<< E io sarò proprio lì, su quella stessa sedia che vedi, ad aspettarti. >>
Padre e figlio rimasero abbracciati l’uno all’altro per un tempo infinito alla loro percezione. Poi Baelfire, con estrema riluttanza, si allontanò da quella stretta, piano, come se farlo gli costasse un dolore atroce.
Si alzò dal letto e camminò verso la finestra, salendo in equilibrio sul parapetto del balcone e osservando la luna piena alta nel cielo. Si calò il cappuccio sul capo, girandosi a guardare suo padre per l’ultima volta.
Logan era in piedi sotto l’uscio rettangolare della finestra, e gli restituiva lo sguardo mostrandogli il sorriso luminoso e gioioso che tanto il ragazzo amava. Rimase per qualche istante a contemplarlo, cercando di imprimerlo indelebile nella propria mente.
Poi strinse il pugno, e in un lampo verde, la maschera di gufo gli avvolse il volto e il mantello si distese nelle immense ali d’uccello. Con un semplice, fluido gesto, si librò in volo.
Quando Logan si sporse dal balcone seguendone la scia con lo sguardo, vide un’imponente figura volante affiancarglisi, sollevando il braccio, nel quale pareva crepitare dell’energia. Poi, dal nulla, un potentissimo lampo squarciò il cielo, facendo sparire i due nelle tenebre della notte.
Royston rimase per qualche istante ad osservare l’orizzonte: nell’azzurro dei suoi occhi erano dipinti orgoglio e speranza, ma anche preoccupazione e nostalgia. Ciononostante, la fiducia nell’uomo nei confronti di Baelfire era salda e forte, perché ora sapeva che stava finalmente compiendo il passo verso l’età adulta. Logan sapeva che, quando, sarebbe tornato da lui, avrebbe trovato un uomo.
<< Ti aspetterò >> mormorò, in un sussurro solenne di promessa.
Poi, lentamente, chiuse la finestra dietro di sé e abbandonò a passi lenti la camera del figlio, recandosi a predisporre l’imminente partenza per la sua terra natia: l’Inghilterra.

* * *


Cina (Terra) - Centro Imperiale

Il soffio pacato del vento sulle dune del deserto era un suono ipnotico, antico… magico. La voce appena sussurrata dell’aria sfiorava le colline di sabbia, i grandi spazi dorati, i granelli tutti simili eppure diseguali l’uno dall’altro. L’occhio, per quanto potesse spaziare per leghe e leghe tutto attorno, vedeva solo l’immensità di un mare rovente, immobile e al contempo in costante mutamento, vivo e prospero, anche se in un modo tutto suo.
Miglia fuori dal reticolo fitto delle risaie di Hong Kong, il paesaggio andava via inselvatichendosi: i fiumi sparivano sottoterra, in grotte o affioranti spelonche, la vegetazione si faceva più rada e aspra e alberi e palme lasciavano spazio a cespugli radi e dai rami spinosi, contorti e secchi alla vista, ma pulsanti di vita al di sotto della corteccia.
Il sole lì pareva esser un re nel suo regno. Nel deserto, ogni cosa era pensata per sopravvivere al caldo torrido e afoso, mentre vapori si levavano dalle piante troppo deboli e la loro acqua diveniva parte di quel mare sconfinato e bellissimo… eppure spoglio.
Un regno dotato di una bellezza pari solo all’ampiezza dei suoi confini ma, allo stesso tempo, atroce, furente e crudele. In mezzo alle colline sabbiose, alla dura roccia spaccata dal calore e le brutte piante che crescevano fra tali fenditure, si levavano, come retaggio e monito, ossa disseminate di creature ormai morte, bianche d'ogni forma e dimensione, arrotondate e levigate dagli anni e dal lento tocco del vento, delle radi piogge o, semplicemente, dall’imperituro scorrere del tempo.
Ecco quindi teschi di animali, dalle orbite vuote, scavate, le dentature messe a nudo con denti acuminati stretti in una ferrea morsa, e poco oltre le costole, semi sepolte che apparivano come taglio di un’epoca troppo antica per averne memoria.
Che tutto questo facesse parte di quel perverso gioco di puzzle di mondi e anime che era Battleground, Marie se ne scordò, almeno per un poco. Da quando viveva ai piedi delle mura della città araldica di Lord Shen, mai si era spinta oltre le più lontane propaggini dei campi di riso e grano, sebbene per molte e lunghe notti se ne fosse stata seduta sul portico della sua casa, con gli occhi scarlatti puntati oltre l’umano visibile.
Non era mai stata nel deserto, ma la sua vista sì, e quando dormiva i suoi sogni raccontavano di montagne d’avorio, torri in cruda pietra fra le rovine delle quali il vento soffiava minaccioso per poi addolcirsi pacatamente nello sfiorare le fronde di palme volte a rinfrescare con sottili ombre le oasi occasionali.
E qui, limpidi specchi d’acqua dalla superficie appena increspata e steli d’erba piccoli, sui quali ci si poteva assopire col suono del tutto e del nulla nelle orecchie. Fantasie forse sin troppo simili alle puerili visioni di infanti con la mente piena di avventure ed eroiche vicissitudini, portanti però ad un lieto fine, una conclusione raggiungibile solo attraverso le sofferenze e le sfide. E quale sfida poteva essere più grande e degna se non quella di attraversare l’immensità nella sua più reale incarnazione, così come lo stesso concetto era stato pensato?
Persino le guerre, le battaglie fra le foreste e le aspre montagne, gli scontri presso i fiumi o le cariche in aperte e ariose vallate perdevano poco a poco significato, poiché la Nosferatu non avrebbe mai potuto neanche arrivare ad immaginare cosa fosse il deserto. Neanche con la sua ancestrale conoscenza, i secoli trascorsi a vagare per il mondo, si era mai neanche lontanamente avvicinata alla realtà dei fatti. E si sa, la realtà non poche volte supera la fantasia.
Con questa convinzione, la donna si fermò sulla sommità di un’alta duna, i piedi nudi che affondavano nella sabbia senza percepirne il calore, con i lunghissimi capelli corvini che le ricadevano sulle sue spalle e ondeggiavano attorno al pallido viso, in parte oscurato, come il resto del corpo, da larghe vesti che la proteggevano dalla luce del sole, poiché sarebbe altrimenti divenuta polvere. Era una prospettiva incredibilmente romantica, dovette però ammettere a sé stessa, divenire parte di un qualcosa di così puro e innocente, eppure crudo e irato.
Un lento e lungo sospiro la fece sobbalzare un poco e l’immagine della figura di Auth tornò delineandosi nella sua mente. Girando su sé stessa, vide la donna stesa su una branda, il corpo d’oro fremente un poco e la coda che s’agitava inquieta. Le labbra si dischiudevano in rapidi e scattanti movimenti, come se stesse parlando o implorando qualcuno, e sotto le palpebre vedeva gli occhi muoversi febbrilmente.
E, di colpo, la meraviglia, lo splendore e la fantasia le crollarono addosso come una roccaforte in rovina e allo stesso modo lei cadde sulle ginocchia al suo fianco, abbassandosi col capo per avvicinare un orecchio alla bocca di lei e e sentire quali suoni flebili sgorgavano dalla sua bocca.
<< Amore mio... non lasciarmi… >>
“Sta delirando” pensò la corvina, poggiandole una mano in fronte “Se solo potessi comprendere la sua natura..."
E quella consapevolezza di totale impotenza la gettò nello sconforto. Lei era la causa di quella situazione, lei la chiave per la piaga che ora le affliggeva entrambe. Se solo fosse stata più forte… più attenta… Hans non l’avrebbe scoperta.
Il giorno era lungo, il caldo non avrebbe fatto altro che accentuarsi, e questo, infine, avrebbe spossato anche lei. Certo, non percepiva le temperature, non sentiva la fame nel modo convenzionale, e il suo concetto di fatica era ben diverso da quello che accomunava i poveri mortali, ma ciò che irradiava il Sole era tutto un altro discorso. Il caldo emanato da quei raggi, dalla sfera di fiamme scintille scarlatte le scavava il volto, indebolendole le gambe e le braccia. E allora la gola si seccava, e lei avrebbe iniziati a vedere rigagnoli di sangue sgorgare dalla sabbia arida e dalla pietra crepata.
Le borracce che aveva caricato sulla barella improvvisata contenevano scorte per qualche giorno, ma sarebbero bastate? O alla prima sosta avrebbe trovato gli otri in pelle vuoti? E Auth? Quella regina dorata si sarebbe rivelata più forte anche di lei? Non lo sapeva, e neanche voleva scoprirlo. La donna le aveva raccontato così tanto, eppure lei aveva compreso così poco. E adesso, mentre si rialzava sulle lunghe gambe, tornando a stringere la corda alla quale aveva legato la lettiga per riprendere il cammino, non poté farsi a meno di chiedere a cosa tutto quello sarebbe servito… se la loro fine non faceva altro che attenderle paziente al centro di un mare di sabbia.
Ma di tutto questo, Auth non sentiva e non percepiva niente. La sua mente vagava lontano, lasciando indietro quel corpo pesante e goffo per librarsi oltre gli astri, oltre il cosmo, fino ai confini di un universo che un tempo era stato parte della sua essenza. Nulla vide e nulla rispose. Nessuno dei suoi figli rispose al richiamo della madre, ogni cosa restava immobile, galleggiando in una dimensione che le era stata preclusa per sempre, e quello fu peggio di ogni sventura succeduta allo Scisma.
La possibilità di riavere indietro ogni cosa, i suoi pianeti, la sua Kyrie… era tutto lì, dietro ad un velo di fumo grigio e acre che le entrava nelle narici, le entrava nella bocca, in gola, negli occhi e la respingeva. Più si sforzava d’addentrarsi nel limbo dov’era stata strappata alla sua felicità, più questo le si opponeva. E allora decine di mani morte, fredde e viscide, spuntavano dal nulla e la circondavano, stringendola rabbiose, furenti e divertite.
Questo era lo Scisma, almeno per lei. Orride dita le artigliavano i polpacci, le cosce, unghie putrescenti si tesero verso la sua testa, scavarono a fondo la carne, le ossa e il cervello, bramose spire le strinsero la mente, tirandole la coda.
E allora cominciò a sentire voci distinte, gracchianti e malevole.
“Lasciaci entrare”
“Vogliamo aiutarti”
“Faremo sparire il dolore”
“Faremo sparire tutto”
“Noi siamo TUTTO”
“Facci entrare, troia!”

Erano loro, singole parti di quel fenomeno distrutto chiamato Scisma, che cercava in tutti i modi di penetrare la bolla all’interno della quale il Maestro aveva costruito un mondo di cui era signore e padrone indiscusso.
Allora, sola e senza nessuno, Auth si rannicchiò su se stessa, avvolgendosi con la coda e coprendosi il capo con le braccia, il volto premuto contro i seni e coperto dalle gambe.
E parlò. Parlò a se stessa, come se ormai non potesse più fare altro. Poi si sentì risucchiata, mentre lampi luminescenti e strati di esistenza, coscienza e consapevolezza le balenarono di fronte ancora una volta.
Di principio, Marie credette che quella sarebbe stata la fine, sua e di Auth. La meraviglia iniziale, passo dopo passo, aveva lasciato spazio ad un lento, ma costante crescendo di inquietudine, la quale, a sua volta, lasciò spazio ad una paura pacata, strisciante e velenosa.
Le ore trascorrevano, o forse si trattava di interminabili istanti, non poteva dirlo con certezza essendole negata la visione del sole. Sapeva solo che il cammino era costellato di colline, avvallamenti, pietra e roccia e dune e altre pianure, estese o meno.
Le impronte lasciate dai suoi passi e la lunga scia della barella venivano inghiottite dopo pochi secondi dall’ insaziabile appetito del deserto e già un otre giaceva abbandonata molte iarde alle sue spalle. L’ultima goccia di sangue, pendente dall’orlo a collo, cadde sulla sabbia, evaporando al solo contatto con la superficie granulosa.
E così, la fuga divenne un lento trascinarsi in un paesaggio sempre diseguale, eppure sempre similare al precedente. Marie andava avanti, senza svoltare né a oriente o occidente, onde evitare di tornare sui propri passi anche se, ora come ora, chi si sarebbe sognato di dar loro la caccia? Che fosse per mano d’uomo o quanto le attorniava in quel momento, la morte avrebbe comunque trovato il modo di portarle via da quell’inferno.
Nonostante questo, la nosferatu trovò comunque la forza di muoversi ancora e ancora e ancora, sempre col busto piegato in avanti, il caldo torrido del sole che le scavava la pelle coperta e il volto, mentre i primi lembi di epidermide iniziavano a pendere dalle ossa per la sete man mano sempre più bramosa.
La visione del mondo iniziò ad offuscarsi. Le dune parevano ondeggiare come pacati flutti di mare, chiazze azzurre iniziarono a ritagliarsi lo spazio nel panorama sempre uguale e che ora andò mutando.
Uno splash le annunciò che aveva affondato i piedi in una pozza d’acqua ma, nel momento in cui abbassò lo sguardo e allungò una mano, solo granelli di sabbia le scivolarono fra le dita, ora somiglianti a quelle di una putrida megera delle paludi delle quali sua madre tanto gli parlava quand’era bambina, prima che diventasse un mostro in pelle umana.
E allora pianse. Lacrime nere e vermiglie sgorgarono dagli occhi adesso scavati e infossati. Le orbite cerchiavano le iridi e le pupille, e pesanti occhiaie violette le segnarono. La lingua andò gonfiandosi e le labbra presero a spaccarsi a poco a poco.
Un pensiero quindi le si conficcò nel cervello, come una lama spinta a forza nel cranio e nella carne e rigirata in modo che il pensiero divenisse desiderio, puro e semplice: lasciar cadere la cappa, la coperta, il cappello e le vesti, giacere nuda sulla sabbia fino a divenire polvere, e stavolta nessuna implicazione romantica giunse ad addolcirgli l’idea della morte…
La morte che lei aveva rifuggito molti secoli prima, abbeverandosi del sangue versato sui campi di battaglia, centomila uomini col quale lei aveva banchettato, a lungo e ridendo sguaiatamente, con la bocca allargata in un ghigno estatico e avito di potere.
“Avevo un potere immenso… e ora guardatemi. Una mera ombra della donna che ero un tempo, completamente alla merce del fato, che aspetta solo di scivolare tra le flebili dita della mietitrice… come una comune mortale.”
Il tempo di pensare questo e cadde ancora in ginocchio, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, con Auth sulle sue spalle, appena consapevole del luogo e del tempo in cui si trovava.
Ormai era conscia di un’unica verità: la notte non sarebbe mai venuta, il sole l’avrebbe uccisa, il deserto avrebbe inghiottito… chi? Non era forse sola, non si trovava forse alle estreme propaggini del mondo, in solitudine e con l’oceano azzurro e verde vivido davanti a lei? Non sentiva forse il penetrante aroma della salsedine e lo sciabordio del mare contro scogliere di basalto, gesso e arenaria?
Già, senza dubbio, tutto questo era lì davanti a lei, ma tutte quelle coltri le ricadevano sul viso, le oscuravano gli occhi, le annebbiavano la vista. Doveva solo sollevarle, non tanto, quel che sarebbe bastato per vedere… vedere il mondo…
Il corpo di Marie cadde dolcemente di lato, invecchiando sotto la seta, la lana e il velluto, il satin e il cotone e tutta quella massa soffice che la avvolgeva come una bambina…
In quel preciso istante, Auth la prese fra le braccia, dolcemente, gentilmente, facendo sì che nessun lembo di pelle fosse esposto alla luce del sole. Lei era andata… era andata oltre ed era tornata, si era presa per mano guidandosi fuori dalla sua più intima e segreta paura. Ma ora era tornata, i suoi piedi nudi affondavano nella sabbia, le corna venivano sfiorate dallo scirocco, lieve e lento, e gli occhi si colmarono del trionfo dell’oro del deserto e dell’azzurro incontrastato della terra.
I suoi pensieri non furono dissimili da quelli della compagna, quando questa ancora muoveva i primi passi nel deserto, ma a lei bastò estendere appena la propria consapevolezza per comprendere che per leghe e leghe tutto attorno a lei non v’era niente.
Osservò il volto ombrato della sua salvatrice e sorrise nella più dolce delle sue possibilità. Quella bambina era stata così forte… così tenace. Forse, se anche lei lo fosse stata a quei tempi burrascosi e sanguinari, l’universo sarebbe ancora integro.
<< Ora riposeremo. Quando entrambe saremo in forze, attraverseremo il deserto fino a raggiungerne i confini… e poi oltre ancora, se le gambe ce lo consentiranno. >>
Detto questo, scese a valle, la lunga coda lasciata libera di muoversi dietro e lungo i fianchi, spostandosi adagio sulla punta dei piedi per non affondare nel soffice terreno. Il vento si fece via via più furioso e sferzante, sollevando granelli di sabbia e schiantandoli di qua e di là come proiettili, e quando questi minacciavano le loro figure, una lamina iridescente le avvolgeva per proteggerle.
Auth percepì l’avvicinarsi di una montagna scura, soffocante e tetra che trascinava con se blocchi di pietre strappati da rovine, sparse come rovi e arbusti d’alberi estirpati lì dove, dopo tanta fatica, avevano trovato una sorgente d’acqua dalla quale trarre nutrimento.
<< Ora staremo meglio >> promise l’entità resa mortale, fermandosi infine in quel vuoto fra cinque grandi dune.
Chiuse gli occhi, estendendo non solo la propria consapevolezza, ma anche la sua volontà, e questa s’insinuò per diversi metri sotto il manto arso dalla calura del sole, come spire e tentacoli, e poi ancora più sotto.
<< Ecco… ora piano… >> sussurrò Auth, stringendo a sé quel fagotto di carne rinsecchita che ancora debolmente respirava.
Con un cupo, lungo e profondo ruggito, costoni di cruda pietra squarciarono il suolo come cinque dita. Dita possenti, incredibilmente forti, rozze ma gentili, e lentamente iniziarono a serrarsi attorno alle due donne con la tempesta di sabbia che incalzava e ruggiva.
La donna levò lo sguardo verso il sole, conscia che, fino a quando la bambina non si sarebbe rimessa, quella vista le sarebbe stata negata. Rimase immobile, mentre sonori schianti annunciavano l’appropinquarsi del fronte omicida e bramoso, finché solo sottili lame di luce filtrarono dalle dita dischiuse.
A poco a poco, quella flebile sorgente luminosa andò scemando, e una confortevole e fresca ombra pervase il tempo e lo spazio ottundendo il fragore della tempesta, finché al posto del deserto e di quell’apocalisse non rimase altro che… nero. Quello stesso nero che venne quasi timidamente illuminato dal chiarore emanato dalla pelle della Dea, che rischiarì il nuovo ambiente, mentre la nuova sabbia copriva quel rifugio trasformandolo in nient’altro che una delle tante dune immutabili che costellavano il deserto.
<< Andrà tutto bene, Marie >> sussurrò con fare quasi materno.
Facendo schioccare la coda al modo di una frusta, si lacerò la pelle del polso sinistro e lo poggiò sulle labbra secche della Nosferatu, con il sangue che sgorgava a densi fiotti.
Ora restavano loro, il silenzio e nient’altro, se non una dolce, pacata quiete.
<< Ora riposa… riposiamoci entrambe. >>



Nuovi Personaggi:

Pitch Black / L’Uomo Nero

Opera: Le 5 Leggende / I Guardiani dell’Infanzia
Razza: Spirito
Video Tribute: https://www.youtube.com/watch?v=hJsl8LqJPng
Soundtrack: https://www.youtube.com/watch?v=m8H3M0DDWDs
Autore: Rory Drakon
  
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