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Autore: Menade Danzante    20/08/2019    6 recensioni
[Mini-Long ambientata subito dopo gli eventi narrati nella serie e nel libro. Da considerarsi come sequel di "Ride Home", ma non è necessario aver letto prima quella per seguire questa. Buona lettura!]
Sventata l'Apocalisse, angelo e demone si salvano grazie allo scambio dei corpi. La storia seguirà il ritorno alla normalità di Crowley e Aziraphale nell'arco di una settimana e un giorno. Dovranno fare i conti non solo con quello che hanno vissuto negli ultimi giorni, ma anche con il loro rapporto. Sarà cambiato qualcosa tra loro?
Dal testo: "D'istinto, si volta per condividere con Crowley lo sguardo raggiante che gli anima le iridi, ma il demone non è con lui: è probabilmente già arrivato a casa sua e starà innaffiando le piante che gli ha fatto conoscere – con un certo astio, deve ammetterlo – la sera precedente.
Gli ci vuole poco per concentrarsi e tornare sobrio. «Che sciocco» si insulta ad alta voce sforzandosi di ridere e di ignorare l'improvviso senso di mancanza che gli ha riempito il petto."
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'How to cope with Apoca-nope and be happy'
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venerdì

4. Venerdì







Il venerdì inizia sorprendentemente bene. Aziraphale ha dovuto aprire la libreria di buon mattino senza fare troppe storie sull'eventuale afflusso di clienti perché sta aspettando da due settimane un venditore che sostiene di avere copie preziose e introvabili del secondo libro della Poetica di Aristotele1. Con tutta la storia dell'Apocalisse l'angelo aveva pensato di dover rinunciare a quella verifica, ma alla fine si era risolto tutto per il meglio e di lì a poco avrebbe avuto la possibilità di sondare la mercanzia con le proprie mani. Crowley, che è arrivato presto e si è piazzato allo scrittoio senza l'aria di volersene andare a breve, gli ha fatto notare che tutto ciò è impossibile e Aziraphale lo sa meglio di lui, ma è curioso di vedere cosa abbia inventato questo truffatore.

Le fantomatiche copie si rivelano, dopotutto, il buco nell'acqua che entrambi avevano previsto. Il testo è così male assemblato che solo un bambino privo delle più basilari nozioni di biblioteconomia potrebbe dare per buona l'ipotesi che siano manoscritti medievali ricopiati da chissà quale amanuense. A poco serve lo sproloquiare del tizio in giacca e cravatta sulla veridicità di quella scoperta: Aziraphale non ha più nemmeno intenzione di leggere quello che sapeva dall'inizio essere uno scempio, tanta è l'arroganza con cui viene presentato. È così arrabbiato con la supponenza del venditore riguardo alle teorie aristoteliche che vorrebbe quasi fargli notare che lui Aristotele l'ha conosciuto, solo che per adempiere a una missione di quel cattivone di Gabriel non è riuscito a entrare in possesso del libro.

È l'intervento di Crowley che li salva dalla seccatura: basta nominare una denuncia per frode e furto di identità che il malcapitato se ne va. Aziraphale non sa dire se funzioni proprio così il diritto britannico, ma certo non discute con il beneficio di non avere più quel ciarlatano tra i piedi.

Crowley ride in prossimità di una colonna e mormora un più che divertito: «Te l'avevo detto, ma tu hai voluto insistere»

Aziraphale è piccato, ma è costretto ad ammettere che se avesse ascoltato il demone avrebbe evitato un'ora di discussione inconcludente.

«Sai, potresti duplicare i libri per venderli». Crowley tira fuori l'idea all'improvviso, senza alcun nesso con Aristotele e cogliendo Aziraphale completamente alla sprovvista.

«Prego?»

«Tu non vendi i libri perché li vuoi tenere. Però puoi sempre miracolarne un altro identico e venderlo: a te rimane una copia – quella originale – e il cliente ne ha un'altra. Facile, no? Tieni alte le apparenze»

L'angelo socchiude gli occhi per qualche attimo, sconvolto: Crowley non ha tutti i torti. Anzi, non ne ha proprio nessuno, ma per sicurezza scava ancora un momento nella sua testa per cercare eventuali obiezioni. Più che altro, cerca un motivo, uno solo, per non averci pensato prima, ma quello, come le obiezioni, non arriva.

«Sì. Sì, suppongo che potrei farlo». Il suo viso è illuminato di gioia ed è così contento che il demone abbia pensato a questo che potrebbe abbracciarlo come ha fatto il giorno prima, ma qui avverte la complessità della situazione: dovrebbe attraversare la stanza, tanto per cominciare, e sperare in un qualche riflesso condizionato da parte dell'altro, ma non è pronto ad affrontare la possibile delusione che seguirà inevitabilmente al non trovare niente del genere tra le braccia di Crowley. Si limita dunque a lanciargli uno sguardo pieno di gratitudine e tenerezza, sguardo di fronte al quale il demone scopre gli incisivi in un gesto di derisione.

Il campanello sulla porta tintinna e Aziraphale è pronto a mettere in pratica il nuovo consiglio del rosso, ma quando inquadra il cliente deve fare di tutto per non scoppiare a ridere: è l'uomo che Crowley ha tentato due giorni prima e, da come il demone reagisce nel vederlo, ne ha la piena conferma. I due si scambiano un'occhiata silenziosa e vagamente infuriata da parte di Crowley, ma nessuno osa commentare.

L'uomo non impiega troppo tempo ad individuare Aziraphale, a cui riconosce il ruolo di proprietario del posto con un cenno cordiale del capo, ma quando vede Crowley tutto cambia.

«Lei!» esclama, al settimo cielo. L'angelo seppellisce la faccia in un tomo qualunque: è di vitale importanza che non rida. «Oh, lei è un angelo!»

Crowley è livido. «No, piuttosto il contrario» bercia, le braccia incrociate al petto.

L'uomo agita una mano come a scacciare una mosca e continua a guardarlo adorante. «Ha funzionato, sa?»

Il rosso è basito. Gli occhiali sono scivolati lungo il naso, ma non si cura di rimetterli a posto. «Cosa?» sibila.

«Il consiglio: ha funzionato. È presto, me ne rendo conto, ma sento che sta andando bene. È solo merito suo. Sa, quello è un vecchio collega che purtroppo è stato licenziato. Non ho mai avuto il coraggio di buttarmi, finché non ho deciso di seguire la sua bizzarra idea. Stiamo uscendo insieme!»

Aziraphale capisce in fretta che Crowley non ha intenzione di parlare per dire alcunché, perciò interviene con grazia nella conversazione.

«Oh sì, il mio amico è molto bravo in questo» assicura, lo sguardo del demone che diventa omicida al di sopra delle lenti mano a mano che le parole acquistano un senso. «Un profondo conoscitore dei sentimenti umani»

«Aziraphale» sibila quasi impercettibilmente Crowley.

«Non vergognartene!» lo rimbrotta l'angelo, godendosi la sfumatura rosata che ha imporporato le guance del demone. «Quello che fai è di grande aiuto per gli altri». Poi, rivolto al cliente, sente il dovere di aggiungere: «È un romanticone!»

L'uomo se ne va poco dopo e la reazione di Crowley non tarda. È in momenti come quelli che Aziraphale ricorda che ha l'anima del serpente in sé: vede il demone lanciare gli occhiali lontano, alzarsi di scatto e puntare verso di lui ed è come se attaccasse con movimenti sinuosi e affilati, letali e ineluttabili. Ma Aziraphale non indietreggia di un centimetro, per niente impressionato, e si ritrova le mani di Crowley avvinghiate intorno al suo colletto, il viso troppo vicino.

«Io non sono romantico» gli sibila direttamente sul naso, ancora rosso in volto. «Io sono un demone, tento le persone per lavoro e se ridici un'altra volta una stronzata come questa a qualcuno, io-»

Aziraphale fissa gli occhi gialli dell'altro in attesa che la minaccia venga formulata. Spera che questo avvenga il prima possibile, perché la presa del demone è forte ma la sua camicia no: vorrebbe riavere indietro i suoi abiti interi e non tutti spiegazzati ogni santa volta che fa un complimento all'amico, per l'amor del Cielo. Ma il demone sembra in difficoltà: dalle sue labbra non viene fuori nient'altro che un grugnito di frustrazione.

Aziraphale si sente particolarmente fortunato da tentare addirittura di incalzarlo: «Tu...?»

Niente. Crowley non aggiunge altro e rilassa appena i muscoli facciali.

«Capisco. Chiaro» lo sbeffeggia l'angelo con un sorriso prima di posizionare le sue mani su quelle di Crowley per liberare il colletto della camicia.

«Maledetto angelo» blatera il demone tra i denti prima di tornare ad una distanza consona senza riuscire a guardare l'altro negli occhi. Questo colpisce Aziraphale. È abituato a vedere Crowley irritato, ha anche familiarità con il suo modo di esternare la rabbia tanto da non averne paura, ma non è avvezzo a non sentire le sue minacce per intero, a meno che qualcuno non lo interrompa. Qualcosa non va, Aziraphale lo avverte, ma è una sensazione che gli sfugge. Prova a catalogarla mentre si sistema gli abiti sgualciti dalle dita affusolate di Crowley, ma non ci riesce. Potrebbe anche sbagliarsi, ma sa che chiedere se sia tutto a posto non porterebbe a niente: il demone non è il tipo da confessarsi così, questo in seimila anni l'ha capito bene.

L'angelo si tiene impegnato per qualche minuto, gironzolando per la libreria come sempre e lanciando fugaci occhiate al demone. Sembra quasi normale, ma Aziraphale può vedere le spalle più rigide del solito e la bocca tesa in una linea sottile.

Il biondo è quasi certo di non essere la fonte del problema, ma mentre scrive su un cartoncino – finalmente – le righe di ringraziamento che si era riproposto di inviare ad Adam non è poi così sicuro di niente. Finisce di compilare il bigliettino, lo imbusta e schiocca le dita, spedendolo a Tadfield senza la seccatura dei corrieri.

«Crowley?» apostrofa, incerto. Quando il demone alza finalmente gli occhi su di lui, Aziraphale si concede un sospiro di sollievo: non lanciano lampi d'ira. Tutto bene?, vorrebbe chiedere ad alta voce, ma le parole gli muoiono in gola. No, Crowley non risponderebbe mai, è inutile porre la domanda.

L'angelo si umetta le labbra, piuttosto, e afferra il cappotto, deciso a scacciare la tensione alle loro spalle.

«È ora di pranzo e ho un certo languorino. Mi fai compagnia?»

Le sopracciglia del demone si alzano, ma Crowley non fa storie, anzi annuisce: si rimette in piedi e con una sventolata di mano recupera le lenti scure, pronto per uscire. 



Di ritorno dal pranzo che ha cancellato tutte le ombre della mattinata l'angelo non protesta quando Crowley non svolta per lasciarlo alla libreria, ma continua verso Mayfair. Si chiede solo se lo stia facendo per l'abitudine di passare del tempo insieme, non importa dove, o perché non voglia tenere le sue cose nell'appartamento e lo stia riportando lì per recuperarle. Il dubbio gli impedisce di rilassarsi contro il sedile e in qualche modo Crowley lo percepisce.

«Posso tornare indietro, se vuoi» gli fa notare, piano, concentrato sulla strada mentre la Bentley sfreccia a una velocità sempre improbabile per il centro di Londra.

«No, va benissimo» rassicura Aziraphale. «Così posso anche togliere il disturbo di ieri». È meglio che sia lui a intavolare l'argomento, si dice, così Crowley non potrà accusarlo del tutto di essere uno sfacciato profittatore della pazienza altrui.

Si scambiano un lungo sguardo ed è un bene che la Bentley abbia volontà propria, in un certo senso, e riesca a destreggiarsi nel traffico senza farli morire e senza uccidere i pedoni.

«Nessun disturbo» dice infine Crowley, tornando a guardare la strada.

«Oh»

Quando entrano nell'appartamento il demone si toglie gli occhiali e Aziraphale lancia prontamente uno sguardo alle piante: sono splendide come sempre. Il suo esperimento del giorno prima non ha causato alcun danno nemmeno dopo ventiquattro ore. Questo è positivo.

La poltrona è ancora lì, al centro della stanza. Crowley avrebbe potuto farla sparire, ma non l'ha fatto. È un sintomo di pigrizia o davvero vuole farlo continuare con le letture? L'angelo prova a infondere la domanda nel suo sguardo e Crowley rotea gli occhi al cielo prima di annuire. Il buonsenso dice ad Aziraphale che dovrebbe accertarsi del significato di quel gesto: gli esseri umani hanno modi ambigui di comunicare, di parlare con il corpo, e non sono rari i fraintendimenti. Però gli piace il sì come risposta a quella sua particolare domanda e dunque decreta il successo della conversazione con un sorriso largo e sincero.

Bevono un bicchiere di vino in silenzio, appoggiati al tavolo, mentre Aziraphale guarda la sala con attenzione.

«Questo è... autentico?» chiede di punto in bianco, puntando il calice verso la Gioconda.

Crowley sorride in modo provocante e si avvicina guardingo, come sul punto di rivelare un segreto. «Direttamente dalle mani del genio, angelo» dice, il tono basso colorato di orgoglio.

Aziraphale ha gli occhi sgranati per quella conferma e, in parte, per l'invidia: dov'era lui quando Leonardo regalava a Crowley uno dei suoi disegni preparatori?!

«C'è una cassaforte dietro» precisa Crowley e al biondo pare che l'euforia sia sparita completamente dalle sue parole.

«Perché mai avresti bisogno di una cassaforte?»

Il demone lo guarda con intensità. «Per l'acqua santa»

L'angelo rileva che non c'è malizia nella voce del rosso, nemmeno rancore, né delusione o disprezzo. Poggia il bicchiere sul piano del tavolo senza staccare gli occhi da quelli di Crowley e sente di avere la gola secca. Realizza che l'assenza di tutte quelle emozioni nel demone lo turba più di quanto avrebbe fatto la loro presenza. Aziraphale vorrebbe vederlo arrabbiato, furibondo, vorrebbe sentirlo urlare perché forse così sarebbe più facile per lui gestire il dispiacere e affrontare il disperato egoismo che non gli ha fatto vedere le vere intenzioni del demone in tempo, prima della rottura. Ma Crowley sembra stranamente pacifico e apatico. Questo, contro ogni previsione, fa male all'angelo: il demone si è rassegnato alla sua ottusità, evidentemente, e non considera più quel rifiuto ricevuto nel 1862 come uno degli atti più vergognosi che il biondo abbia mai compiuto in vita sua, soprattutto nei confronti del suo migliore amico.

Aziraphale non può fare a meno di sospirare.

«Mi dispiace tanto di non aver capito»

«No, no, angelo, lascia stare» comincia Crowley, muovendo velocemente la mano in un gesto di noncuranza, ma Aziraphale non è dello stesso parere: improvvisamente non vuole vivere altri giorni senza aver chiarito agli occhi di Crowley le sue colpe e i suoi malintesi. Hanno evitato l'argomento la notte dell'Apocalisse per l'urgenza di salvarsi la vita, si sono ripromessi che ne avrebbero parlato, un giorno, ma l'angelo non è sicuro che ci sarà mai un momento in cui entrambi si sentiranno abbastanza pronti da porre a tema la questione. Anzi, ne è completamente sicuro, ma quello non cambia i fatti: sente che prima o poi dovranno fare i conti con il litigio di più di centocinquanta anni prima. Tanto vale farlo adesso.

Aziraphale ferma la mano del demone tra le sue in una muta preghiera di farlo continuare. Il rosso ha un fremito, ma alla fine non si ritira né smette di fissarlo, la mascella contratta. L'angelo si chiede per un attimo se il demone non si sia pentito di aver intavolato la discussione con tutta quella disinvoltura, ma decide di accantonare quel problema: ora non è più importante.

«Io... Io ho pensato che fosse per te, per toglierti la vita se fossimo stati scoperti» confessa l'angelo. «Non volevo esserne responsabile, Crowley»

Il demone sbuffa un grugnito e deglutisce. Conoscendolo, l'angelo crede di sapere cosa stia passando per la mente dell'altro: probabilmente ora vorrebbe vomitargli addosso quel rancore di cui Aziraphale ha sentito la mancanza poco prima. Sarebbe pronto a capire una reazione del genere: l'angelo non gli ha dimostrato fiducia, non ha capito quanto la vita sia cara al demone e che mai egli avrebbe potuto davvero prendere in considerazione l'idea di porvi fine autonomamente.

Si aspetta di essere insultato, ma quando finalmente Crowley parla non esce fuori nessuna ingiuria: solo una voce piatta che, Aziraphale lo sa, gli costa uno sforzo immane per rimanere tale.

«Ma qualcosa è cambiato» dice il demone, le pupille sottili. L'angelo annuisce piano, debole. «Cosa?»

«Le variabili». La risposta giunge veloce perché Aziraphale ci ha pensato così tanto nel 1967 che sa perfettamente cosa l'abbia spinto a fare quella follia. «Avevi messo su un furto nel mio quartiere, l'ho saputo e ho capito che eri in potenziale pericolo. Ti fidi a tal punto degli umani? Be', io no, non tanto da far loro maneggiare intorno a me qualcosa che cancellerebbe la mia stessa essenza». Il demone non interrompe il contatto visivo, lo ascolta con molta attenzione. «Quando sai che accadrà qualcosa e non fai niente per impedirlo, sei responsabile anche tu in un certo senso, no?». Aziraphale si costringe a fare un mezzo sorriso mentre abbassa lo sguardo e lascia una carezza sul dorso della mano di Crowley: sente che il respiro gli trema e deve riprendere momentaneamente il controllo del suo involucro umano senza che il giallo brillante delle iridi del demone indaghi le sue reazioni. Inspira a pieni polmoni prima di continuare, la testa ancora bassa: «Tra la responsabilità di non essere intervenuto in tempo per salvarti e la responsabilità di procurarti l'arma letale senza farti correre rischi superflui ho scelto questa. E ho scelto di fidarmi perché... perché non mi avresti mai chiesto di ucciderti... Non l'avresti chiesto a me, no?». Quando rialza gli occhi questi sono lucidi e arrossati, ma Aziraphale non vuole piangere: sorride un po' di più. «Ho fatto la scelta giusta, a quanto pare»

Crowley sorride per la prima volta da quando il biondo ha iniziato a parlare. «Ti rendi conto che avresti potuto semplicemente chiedermelo meglio, eh?» sottolinea, a metà tra la derisione e lo sbigottimento più totale.

Aziraphale annuisce. «Non ero sicuro di voler sapere la risposta, però»

Il demone scuote la testa, sconcertato, le labbra piegate in un ghigno.

«Certo, caro, se tu ti fossi spiegato bene...» puntualizza l'angelo poco dopo a mezza voce.

«Ah! Questa, poi: adesso è colpa mia?!». Crowley sobbalza indignato e Aziraphale sente la mano che stringe tra le sue fare pressione per uscire dalla morsa nella necessità impellente di gesticolare il disappunto del suo proprietario, ma l'angelo non molla la presa.

«La colpa è... condivisa» corregge il tiro, pacificatore. Il petto del demone si inarca mentre pondera la questione con la fronte corrugata dal risentimento.

«Mm» è tutto quello che dice, ma il suo viso si addolcisce e, finalmente, restituisce la stretta di mano. L'angelo non ha idea di cosa significhi, ma preferisce non indagare e limitarsi a ricevere il contatto con rinnovata gioia. Sente che un grosso peso è appena scivolato via dalle sue spalle, un peso che si era concesso il lusso di dimenticare e che ora non c'è più. Aziraphale non è mai stato così felice di avvertire un vuoto dentro di sé e non è mai stato così contento di vedere il sollievo negli occhi del demone.

«Adesso è vuota, dunque» nota dopo qualche attimo di silenzio per rasserenare l'atmosfera. «La cassaforte»

«Sì, ma se vuoi darmi un altro thermos...»

«Crowley!» esclama l'angelo, mollando la mano del demone per esprimere tutta la sua indignazione per quella richiesta inappropriata, ma il rosso non fa altro che ridere sardonico, come se quello fosse un argomento su cui scherzare così alla leggera. Aziraphale, però, decide saggiamente di non farglielo notare. «E comunque sentiamo: qual è il numero di sicurezza della cassaforte di un demone? Seicentosessantasei?!»

Crowley emette un verso gutturale prima di replicare: «Sul serio? Mi stai chiedendo la combinazione che la apre? Se te la dico non sarà più sicura»

«Saprai chi sarà venuto a derubarti, però» ragiona l'angelo riprendendo il calice di vino e sollevandolo a mezz'aria con un sorriso compiaciuto per aver tirato fuori un'argomentazione straordinariamente inattaccabile. Fa roteare il liquido cremisi perdendosi nell'ipnotico vortice per un attimo, per poi tornare a guardare Crowley.

«È davvero seicentosessantasei?» tenta di nuovo.

«Ma che-! No!» sbotta il demone. «Troppo banale... Senza stile»

Aziraphale è costretto a concordare con un cenno affermativo del capo. Crowley distoglie lo sguardo e infila le mani in tasca, ma l'angelo non smette di fissarlo. Quando il demone incrocia di nuovo i suoi occhi reclina la testa disperato.

Si arrende con un sospiro. «Quattro, zero, zero, quattro2. Sei soddisfatto, adesso

Aziraphale si porta il bicchiere alla bocca ma non beve: resta immobile con un dubbio martellante nella testa.

Possibile? Non lo sa con certezza, ma spera tanto di sì. Decide che per ora non vuole sapere il perché di tutta quell'aspettativa.

Finge di non aver colto nessun tipo di riferimento e aggrotta la fronte. «Non troppo demoniaco per i miei gusti. Cos'è?»

Il demone lo guarda sbieco. «Sei veramente un piccolo bastardo. Lo sai»

«Giuro di no»

Crowley lo squadra ghignante, ammaliato. «Attento a quello che giuri, angelo: Qualcuno potrebbe arrabbiarsi Lassù»

Peggio di così, pensa Aziraphale, ma non se lo lascia sfuggire. Così come non si lascia sfuggire l'entusiasmo: prima vuole sentirglielo dire.

«Incredibile» commenta Crowley, le mani che affondano nelle tasche con più foga di prima, ma c'è un tenue sorriso a increspargli le labbra che scalda il petto dell'angelo: sta per cedere.

«È l'anno in cui mi sono-» il demone fa una piccola pausa, dà un'occhiata al biondo e riformula, «- ci siamo trasferiti permanentemente sulla Terra»

Romantico.

Solo adesso Aziraphale affoga il sorriso trionfante nel vino. 



«Puoi restare» gli ha detto Crowley con tutta la noncuranza di cui è stato capace. «Per la notte, intendo. È tardi. Ma se vuoi ti riporto in libreria. Fa' come vuoi, a me non cambia niente»

Di tanto in tanto quella frase si insinua nei pensieri di Aziraphale quando legge di Milady3 alle piante. Fortunatamente può vantare secoli di allenamento nella lettura perché quella distrazione non gli impedisca di continuare a parlare alle foglie verdi e attente con la stessa fluidità di sempre. Il demone è dall'altra parte della sala, oltre la porta, ad ascoltare le disavventure dei moschettieri.

«È buffo che tu lo chieda adesso, caro. Stavo pensando che potrei... se per te non è troppo presto... leggere di nuovo qualcosa a quelle meraviglie di là»

«Oh no, non di nuovo. Andiamo!»

Ma alla fine gli ha dato il suo permesso e Aziraphale si è sistemato gli occhiali sul naso, ha preso posto in poltrona e ha iniziato la lettura. Ha detto a Crowley di farlo smettere in qualsiasi momento: non vuole recare disturbo al padrone di casa o uno shock alle piante, ma è la luce naturale che filtra dalle finestre a ricordare ad Aziraphale di fermarsi.

Lancia un'occhiata a Crowley e scopre che non è più seduto sul trono, ma si trova sulla soglia della sala con un vaporizzatore in mano.

«Da quanto sei lì? Avrei potuto evocare una sedia per te. Beh, avresti potuto anche tu...»

«Sto bene» assicura il demone con una smorfia.

«Vuoi controllare le piante?»

Crowley annuisce brevemente. «Devo innaffiarle»

Aziraphale sorride e si toglie di mezzo. Alla sua proposta di far sparire la poltrona per agevolare l'operazione il demone è categorico: sciocchezze, può restare dov'è.

L'angelo lo osserva mentre con perizia si prende cura delle foglie, controllandole meticolosamente ed emettendo sibili sinistri di tanto in tanto. Le piante non si scompongono troppo, anche se quando il demone soffia il suo rimprovero fremono brevemente.

La scena è così rilassata agli occhi di Aziraphale che per contrasto gli torna in mente l'assurda minaccia incompleta che il demone gli ha fornito appena il giorno prima. Si chiede come sia stato possibile vedere Crowley così a disagio nella sua libreria, ma ancora una volta non se la sente di porre la domanda ad alta voce e rovinare il momento. In più splende il sole al di là delle finestre: sarebbe un peccato sprecare una giornata così promettente con un probabile litigio e Aziraphale non può permetterselo. Sarebbe molto meglio impiegarla in altro modo, si dice, e mentre il pensiero prende forma nella sua mente gli spunta un sorriso sulle labbra.

«Che c'è?» chiede Crowley, inquisitorio, il vaporizzatore per piante puntato contro Aziraphale come un'arma. Se possibile, il sorriso dell'angelo si fa più largo.

«Facciamo un picnic?»










Note:

[1]: Il secondo libro della Poetica di Aristotele è un mistero per la critica: si è ipotizzato che fosse sulla commedia in opposizione al primo, che invece affronta la tragedia, ma attualmente è messa in dubbio la sua stessa esistenza.
[2]: È la combinazione che viene usata nel libro. Nella serie non credo che venga mai specificato apertamente, ma dato il motivo del libro non ho pensato nemmeno per un attimo di scegliere un'altra combinazione.
[3]: Milady è un personaggio de I tre moschettieri.






Angolino di Menade Danzante:

Ancora mille grazie a tutti coloro che stanno seguendo gli sviluppi della storia! Spero tanto che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Alla prossima con il picnic e non solo! ;)
Baci baci!

   
 
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