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Autore: mgrandier    26/08/2019    13 recensioni
Une decisione può cambiare l'esistenza, la propria e quella di altri, ma è l'insieme delle scelte che compiamo, le nostre e quelle di chi gravita nella nostra vita, sospese tra istinto e ragione, a determinare la nostra storia e a renderla una vita vera.
Oscar ha scelto di vivere come un uomo: ma è veramente questo ciò di cui ha bisogno?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un uomo solo – parte seconda
 
Aveva poi proseguito con maggiore accortezza il proprio viaggio, rispettando quanto aveva pianificato, e, infine, era giunto alla villa di famiglia, quella residenza in Normandia dove si era recato numerose volte durante la giovinezza e della quale conservava ricordi che considerava tra i frammenti d’infanzia e adolescenza a cui più si sentiva legato.
All’arrivo, era stato accolto dalla governante che, nonostante fosse abituata a non essere avvisata per tempo dell’arrivo dei Jarjayes alla villa, gli era parsa inaspettatamente rigida nell’accoglierlo. Così, aveva infranto quel sottile specchio di sospetto e sorpresa con la propria risolutezza, ordinando che venisse sistemata al più presto la propria stanza e disponendo perché una cena leggera gli fosse servita nella sala da pranzo, appena possibile. Poi si era ritirato in biblioteca, deciso a sfruttare al meglio ogni istante di quel periodo di riposo e di isolamento che aveva deliberatamente scelto per comporre, un pezzo alla volta, quella nuova vita che, lo sentiva dentro di sé, gli spettava di diritto.
Nei giorni seguenti, aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a cavallo, in lunghe passeggiate che, snodandosi lungo le strade sterrate della costa e dell’entroterra, lo avevano portato alla ricerca ossessiva di ogni singola traccia del proprio passato, di altre passeggiate e di altre corse, quasi a volerne ricalcare ogni dettaglio, fino a riscrivere i propri ricordi e le immagini impresse nella memoria. Alla vista di quei luoghi, si era sentito libero e al contempo stretto nel bisogno di una sempre maggiore libertà; realizzato e nello stesso istante insoddisfatto, mentre dentro di sé avvertiva crescente la necessità di ottenere sempre di più da se stesso, quasi volesse insistere per portare il proprio limite sempre più lontano, fino a stordirsi di stanchezza, là dove la mente pareva poter soccombere al corpo, nel corso di quelle giornate che, un tempo rapide e vivaci, ora gli parevano, al contrario, sempre più lunghe, inutili e insoddisfacenti.
Nelle interinabili ore trascorse in solitudine, aveva preso ad ascoltare il sibilo del vento, la voce sommessa delle fronde e quella inquieta delle onde; si era concentrato su ogni fruscio e su ogni rumore, come se in quei suoni senza voce potesse trovare un rimando diretto a se stesso, una risposta al suo intimo bisogno di confronto. Aveva evitato i centri abitati e il loro brulicare di vita, ma cercato incessantemente la compagnia degli elementi e quelle presenze indipendenti e apparentemente inafferrabili che al contrario, attorno a sé, parevano capaci del dialogo più profondo e trasparente. Aveva recuperato la propria capacità di ascoltare e quasi dimenticato la propria inutile voce, serbando ogni respiro per un nuovo sforzo, una nuova corsa a fendere il vento.
In quei giorni, in un crescendo continuo, era passato dalle prime brevi cavalcate sull’arenile, fino a lunghe ed estenuanti uscite che lo avevano tenuto lontano dalla dimora fin dalle prime luci dell’alba, per poi fare ritorno ben oltre dopo il tramonto, provato fisicamente, eppure inspiegabilmente mai pago nell’animo.
Un pomeriggio, dopo aver cavalcato a lungo, lasciando che anche i pensieri corressero liberi ad accarezzare i profili dolci del paesaggio, era giunto ad un luogo che ricordava di aver visitato in numerose occasioni in passato, uno spiazzo ombreggiato dalle fronde lunghe degli alberi, aperto ad occidente su un declivio morbido che digradava dolcemente fino alla via principale per Fecamp; affascinato dal paesaggio e dimentico quasi di se stesso, aveva arrestato la corsa di Cesar, scendendo a terra mosso da un inspiegabile istinto, inebriato dal momento e dal luogo, lasciando spazio ad un sottile entusiasmo, al brivido che quel luogo gli aveva donato. Aveva sguainato la spada, pregustando l’adrenalina del duello, e voltandosi aveva teso la lama alle proprie spalle, sollevando il braccio pronto ad un guizzo, con un sorriso di soddisfazione e di sfida già a fiorire sulle labbra.
- En garde! – aveva intimato … per poi restare in sospeso, ad osservare il proprio cavallo, indifferente, solo e con il capo chino a terra, già intento a brucare poco lontano. L’adrenalina era scemata in un soffio, la lama aveva fischiato tagliando l’aria, per poi scendere a conficcarsi nel terreno, mentre lo sguardo scivolava via dalla radura, fuggendo lontano, oltre la vegetazione, lasciando il suo animo in sospeso nell’orgoglio, incapace di accettare il fatto che quel duello non combattuto altro non fosse che una sorta di sconfitta.
Così, senza una vera giustificazione, aveva sentito le membra farsi inaspettatamente intorpidite e l’animo si era lasciato cogliere da una improvvisa stanchezza. Aveva raccolto la spada e ricomposto il proprio animo, per poi riprendere la via di casa, imponendosi di fuggire da ciò che era accaduto.
Di nuovo, proprio con quella stessa spossatezza nel corpo e insoddisfazione dello spirito si trovò a rientrare alla dimora anche nei giorni seguenti, quando ormai era in Normandia da oltre una settimana. Durante la giornata si era spinto ben oltre il limitare delle proprietà di famiglia, giungendo a settentrione in una zona di cui aveva letto sulle mappe custodite in biblioteca, ma che mai aveva visitato davvero. Per un istante, aveva colto dentro di sé quel brivido ancestrale che ricordava di aver provato in un lontano passato, quando, in situazioni analoghe, aveva intuito di aver infranto l’ennesimo limite; aveva socchiuso lo sguardo, annusando l’aria come un conquistatore, o un rapace, e aveva asciato che la vista accarezzasse lenta il panorama che, dalla sommità dell’altura, gli si era mostrato, scivolando lungo i pendii che digradavano dolci verso la costa. Era riuscito ancora a godere di quel brivido antico, si era sentito vivo e vincitore, e le labbra si erano tese nell’ombra di un sorriso, mentre la sensazione di essere sospeso sul proprio futuro lo faceva vibrare e il suo desiderio di andare oltre il proprio essere era parso, per un attimo, soddisfatto, finalmente sazio. Allora l’istinto l’aveva indotto a voltarsi, guardando alle proprie spalle, quasi che si aspettasse di trovarvi qualcosa che potesse riportagli certezza, che potesse legittimare la sua vittoria e gratificarlo, dandogli la prova concreta di aver davvero raggiunto il proprio scopo; e fu allora che il suo sorriso si sciolse, spegnendosi quasi, trovandosi ancora così come aveva desiderato e scelto di essere: finalmente e definitivamente solo.
Aveva serrato i denti, riconoscendo in quel mentre la nuova sfida che aveva inconsapevolmente lanciato contro se stesso, e sollevando il mento con determinazione, aveva lasciato alle proprie spalle quel mondo appena raggiunto, spronando il cavallo a tornare sui propri passi, dapprima lento, ma poi sempre più spedito.
Era giunto alla scuderia di casa sfinito, aveva lasciato Cesar alle attenzioni dello stalliere senza nemmeno attardarsi a ricompensarlo con qualche delizia, come al contrario era solito fare indugiando nel ricovero dei cavalli, e raccogliendo le ultime forze, chiuso in un silenzio cupo, si era diretto alla biblioteca, accasciandosi sul divano del salotto di lettura, con il capo riverso all’indietro, sorretto dal bracciolo, e un braccio sollevato a coprirsi gli occhi con la piega del gomito.
Il mattino seguente, aveva sorpreso la governante rifugiandosi in biblioteca, quasi che fosse giunto alla consapevolezza di poter proseguire i propri viaggi solo e soltanto là dove nessuna cavalcata avrebbe potuto condurlo, attraverso la lettura.
Nei giorni successivi, aveva perseverato nello studio, dedicandosi ai testi classici e a qualche trattato di scienze, sentendosi quasi sollevato dal quel nuovo impegno di lettura; per qualche giorno ancora si era ancora riservato, nel tardo pomeriggio, il piacere di una breve passeggiata, mosso, gli pareva, da uno spirito nuovo, quasi che finalmente, dividendosi tra studio e cavalcate, gli fosse riuscito di trovare l’equilibrio giusto per godere appieno di quei momenti di svago. Poi, anche la lettura si era tramutata in una sfida e lo studio, progressivamente, aveva consumato le ore di luce facendosi quasi ossessivo, fino a assorbire il tempo delle passeggiate e rubare il tempo del sonno, ricalcando con la stanchezza i contorni di una nuova, inammissibile, insoddisfazione.
 
Il bussare vigoroso sul battente di legno della porta della biblioteca lo strappò bruscamente dalle vicende di Achille provocandogli un sussulto; sollevò lo sguardo dalla pagina puntando cupo verso il punto da cui gli era giunto il richiamo, scorgendo la governante ferma sull’uscio, con lo sguardo accigliato.
- Sì? – chiese asciutto corrugando la fronte e invitando la donna a parlare.
- Chiedo perdono, ma la cena si sta freddando anche questa sera. – rispose lei calcando l’accento volutamente su quell’anche.
- Oh … - gli riuscì appena di rispondere, cercando di rammentare se veramente, nei giorni passati, avesse cenato oltre l’orario consueto, o anche solo se avesse realmente cenato – Ehm … lasciate pure tutto nella sala da pranzo; arrivo tra un attimo solo. –
Gli parve di scorgere sul viso della donna un riflesso di fredda soddisfazione, che tradusse nell’ombra del pensiero del non dover indugiare ancora fino a tardi nel rassettare la cucina e la sala da pranzo, e, in risposta, tornò svelto e silenzioso alla propria lettura.
Si aspettava di essere lasciato solo, ma dopo qualche istante si accorse di non aver ancora udito i passi della governante allontanarsi oltre il corridoio; così alzò di nuovo lo sguardo sull’uscio, trovando conferma al proprio pensiero.
- C’è altro, Rose? – chiese allora, insospettito dall’insolito indugiare della donna, che conosceva diretta e risoluta, e che invece ora appariva piuttosto incerta.
- Sì, Mad … Monsieur. – si corresse lei, frugando tra le pieghe sul fianco della sua gonna e traendo dalla tasca un piccolo involto di carta – Ecco … poco fa è giunto un messo da Palazzo con una missiva per voi. In realtà, è per questo che mi sono permessa di disturbarvi nonostante foste impegnato qui nelle vostre letture. –
Svelto, richiuse il testo che tratteneva tra le mani, allungandosi fino a posarlo sul tavolo poco distante, e seguendo l’istinto si sollevò dalla poltrona.
- Il messo ha lasciato anche un messaggio per me? – chiese allora, raggiungendo la donna sulla soglia della biblioteca – Vi ha riferito qualcosa in particolare? –
- No, Monsieur. – si affrettò a rispondere Rose, mentre consegnava la missiva tra le sue mani – Ha detto soltanto che si trattava di una lettera per voi da parte del Generale Jarjayes. -
- Puoi andare, Rose. – la congedò allora senza troppi giri di parole, spingendola quasi oltre la soglia della biblioteca e chiudendole alle spalle i battenti della porta, per poi affrettarsi a rompere il sigillo di famiglia che assicurava l’integrità della missiva. Riuscì a dare solo un inquieto sguardo d’insieme a quelle righe in cui riconosceva chiaramente la grafia rigorosa del padre, mentre lo sguardo veniva attratto inspiegabilmente da un nome quasi nascosto tra le fitte righe e il respiro si spezzava, portando tumulto al centro del petto e una improvvisa instabilità alle sue ginocchia.


Angolo dell'autrice: colgo l'occasione per fare gli auguri di buon compleanno ad André... che pur non comparendo, in questo capitolo si fa sentire.
Vi lascio la seconda parte del racconto e non posso che ringraziare tutte le lettrici che si sono coraggiosamente avventurate nel seguire questa nuova storia che so essere un po' sopra le righe.
Grazie a tutte, devvero, di cuore,
Maddy

 
  
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