Questione
di
Sangue
Appena
Sindy apprese la notizia corse di fretta fuori dal dipartimento di
polizia,
raggiungendo il marciapiede sconnesso nel tentativo di evitare i
passanti. Li
poteva udire protestare animatamente alle sue spalle, ma poco le
importava in
quel momento. Il proprio corpo era ormai così leggero da
poter librarsi nel
cielo, ma quando le gambe cedettero a causa della stanchezza,
capì subito di
non essere in grado di raggiungere l’ospedale a piedi. Ci
mise qualche minuto a
chiamare un taxi, ma ne valse la pena: l’ospedale distava
solamente un quarto
d’ora dall’angolo della strada in cui si trovava.
Era
seduta alla sua scrivania quando Derek le si avvicinò quel
pomeriggio,
offrendole un pacchetto di gallette che lei gentilmente
rifiutò.
«Da
quant’è che non mangi qualcosa?» le
chiese preoccupato il collega, quasi
rimproverandola.
«Non
ho fame» rispose Sindy di rimando, allontanandosi e
raggiungendo il corridoio
ormai vuoto.
«Ho
delle faccende da sbrigare» mormorò, come
giustificandosi.
«Ho
sentito i genitori di Rickard questa mattina» la
fermò l’uomo appena in tempo,
«l’ospedale
dice che forse il sangue non basta». La vide bloccarsi e
impallidire improvvisamente.
Il collega le spiegò che probabilmente i medici dovevano
richiederne altro, ma
non si sapeva quanto tempo ci avrebbe impiegato ad arrivare.
«Non
sopravvivrebbe senza altro sangue» dichiarò Derek
sconsolato, appoggiandosi a
uno degli ampi tavoli dell’ufficio. Poi la vide fuggire via e
riuscì chiaramente
a immaginare quale fosse il suo obiettivo.
Quando
la giovane vide il medico sfilarsi il camice, spalancò la
porta del piccolo
studio come uno squilibrato che ha tutt’altro che buone
intenzioni. L’uomo fece
in tempo a vederla inginocchiarsi ai suoi piedi con le mani giunte,
supplicandolo
di prendere il proprio sangue. Comprese immediatamente di chi si
trattasse: la
vedeva tutti i giorni da una settimana, ripetendo ogni volta la stessa
routine.
Si accovacciava accanto al letto di uno dei pazienti che aveva in cura,
stringendogli la mano portandosela a una guancia, disperandosi.
Tentò
di spiegarle che non sarebbe stato semplice, bisognava assicurarsi che
fosse in
salute e che i gruppi sanguigni fossero compatibili.
«La
prego, sono una donatrice universale» rantolò
Sindy e solo in quel momento il
medico si accorse che stava piangendo. «Devo salvarlo, la
prego» lo supplicò
ancora in un singhiozzo.
Le
lacrime sembravano tracciare una scia di fuoco sulle sue guance.
«Lei
è chiaramente sotto peso, signorina»
asserì l’uomo, «non posso accettarlo, mi
dispiace» terminò duramente. Fece per
allontanarsi, quando sentì due tenaglie
stringergli forte le caviglie, rischiando di farlo ruzzolare
all’indietro.
«Per
favore!» gridò la donna con voce tremante. Il suo
petto si alzava e abbassava
aritmicamente.
«Non
posso infrangere le regole» sbraitò il medico con
aria stanca, «e ora esca dal
mio ufficio!».
La
vide alzarsi lentamente a testa bassa, per poi lanciargli
un’occhiata
infuocata: «Se Rickard morirà sarà
soltanto colpa sua!» sibilò la ragazza, i
capelli arruffati e gli occhi arrossati dal pianto.
L’uomo
ebbe l’impressione di aver appena sfidato Lucifero in persona.