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Autore: KaterinaVipera    02/09/2019    2 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non capisco perché stai tenendo il muso lungo.” mi rimprovera Edoardo, mentre ci stiamo avviando a casa di Garreth.

Ancora non gliel’ho detto da chi siamo diretti, ho solo fatto presente che avevamo ricevuto un invito, ma che non eravamo ASSOLUTAMENTE obbligati ad andarci.

“Anzi,” ho detto, prendendo in mano il telefono e scorrendo la lista dei messaggi per cercare il suo nome e informarlo della decisione presa. “adesso avviso che non possiamo andare.”

Edo mi ha fermata all’istante, prendendomi l’apparecchio e tenendolo sollevato con una mano, in maniera che io non arrivassi a prenderlo, e mi ha costretta a non rimangiare la parola data.
E così, eccoci per la strada verso casa di Garreth, lui super felice di uscire ed io super ansiosa, con due vassoi di dolci, preparati solo per la gentilezza di Ellie e del suo invito.

Spero che l’alfa sia intollerante al latte e allergico ai frutti di bosco. Tiè!

Il mio amico era così entusiasta di uscire, di vedere il paese, anche solo per fare poca strada, di conoscere persone nuove, che si è messo la sua camicia preferita, celeste, che risalta la carnagione olivastra, con un maglioncino blu scuro e dei semplici jeans stropicciati, costringendo me, per di più, a mettere un vestito scollato sulla schiena, nero, che aveva trovato nell’armadio di Anna, quando ancora poteva permettersi certi abiti, perché non era incinta, facendomi quindi patire un freddo micidiale.

“Finalmente conoscerò almeno uno dei tuoi nuovi amici.” trilla esuberante, non perdendo il sorriso.

Sì, wow, che bello.

Mio amico… non direi proprio, siamo più come cane e gatto.

“Se fosse stato per te, mi avresti tenuto segregato in casa per tutto il tempo.” si lamenta, melodrammatico.

“Oooooh, povera principessina.”

Io per colpa sua, prenderò un raffreddore, perché questo abito non ha nemmeno le maniche e lui me lo ha quasi fatto indossare a forza.

“Come siamo acide. Credo che un pezzo di dolce lo avresti dovuto mangiare subito.” mi prende in giro, non perdendo né il sorriso, né lo sguardo canzonatorio.

“Fottiti Edo.” taglio corto, con la pazienza esaurita e infreddolita.

Né la sciarpa né il cappotto che carino, certo, ma non copre come mi aveva assicurato lui, servono a molto quando sotto ti mancano pezzi di vestiti.

Mai fidarsi di un uomo. Anche se si tratta di Edoardo.

“Magari due pezzi.” ridacchia. “Però non mi hai ancora detto da chi stiamo andando.”

Ah! Ora voglio proprio vedere chi riderà per ultimo.

“Da Garreth.” mi limito a dire, guardandolo e godendomi, la sua espressione cambiare drasticamente.

“Momento, momento, momento… per caso ti riferisci a quel Garreth?” mi chiede allarmato, rallentando pure il passo, ed alzando di un tono la voce.

“Non ci sono altri Garreth, nel villaggio.”

Anche perché uno è più che sufficiente per tutto il pianeta.

“Ay la puta madre!1 Cosa aspettavi a dirmelo?!” mi guarda come se lo avessi appena tradito.

“Tu non me lo hai chiesto prima.”

Piccola rivincita.

“E comunque, ci ha invitati sua madre.”

“Non sarà uno di quelli che fa il grosso e poi è attaccato alla gonna della mammina?” “I fatti sono più complicati di così.” bisbiglio, e se anche Edoardo mi ha sentita, evita di fare ulteriori domande.

Saremo quasi arrivati, mancano solo duecento metri circa, quando incrociamo la famosa morettina, Julia.

“E’ una tua amica?” mi viene chiesto, trovando sicuramente strano il suo sguardo omicida ed il mio seriamente preoccupato, dal momento che sta evidentemente venendo verso di noi.

“No, non direi.” bisbiglio, ma so che lei è riuscita a sentire quello che ci siamo detti.

Se solo potessi dire anche a lui quello che so, sarebbe tutto più facile e saprebbe tenere la bocca chiusa, spero solo che lei non capisca l’italiano.

“Fai finta di niente e tira dritto.” dico con un filo di voce, che persino io fatico a sentire.

Fingo di non averla vista, inizio un discorso sul tempo con il mio amico per distrarlo, ma la furia mora ci viene contro con prepotenza, costringendoci a fermare.

“So che stai andando da lui, ma faresti meglio a non andare. Non renderti più ridicola di quello che già sei.” soffia come un gatto inferocito a cui è stata pestata la coda.

I suoi occhi sono bracieri ardenti, carichi di odio smisurato, i lineamenti sono duri, incattiviti, le vene del collo e dei polsi in rilievo, le ciglia aggrottate. È praticamente pronta a combattere. Mi auguro per me non fisicamente, perché perderei ancor prima di iniziare.
Il cuore mi martella furioso nel petto, per l’imminente scontro, sento la gola secca e sto iniziando a sudare nonostante mi stia facendo freddo.

“Se hai qualcosa in contrario, parlane con lui, noi abbiamo un invito da parte dei suoi genitori.” la sfido, ma so che è molto pericoloso, potrebbe essere l’ultima cosa che faccio da viva e, a giudicare da come mi sta guardando – potesse mi ucciderebbe seriamente qui, in questo momento – lei non deve essere mai stata invitata dalla sua famiglia.

“Andiamo Edo” lo dico in inglese, affinché capisca e si roda il fegato un altro po'. “Ellie e Richard ci stanno aspettando.” fingendo disinvoltura, chiamandoli per nome come se avessi confidenza e un rapporto con loro decennale, cosa che, immagino, a lei non sia permesso o non abbia.

Sto per passarle accanto, intenzionata ad andarmene, solo che mi afferra con prepotenza per un braccio, avvicinandomi a sé, e mettendo più forza che può nella stretta.

“Ehi, giù le mani!” le intima Edoardo, ma nessuna delle due gli presta ascolto.

“Il tuo odore mi fa venire il vomito.”

“Forse stai sentendo il tuo!” sibilo a mia volta, le faccio lasciare la presa e ci allontaniamo.

Se non altro sono riuscita a rigirare la situazione dalla mia parte, ma non so se la prossima volta sarò così fortunata.

“Mira, stai bene?” è preoccupato, immagino sopratutto per l’ultimo scambio di frasi.

“Sì, tutto a posto.” mi limito a dire, anche se non è la verità.

Sento le gambe tremarmi un poco, perché un conto era discutere con loro prima di sapere cosa fossero, adesso, per me, la situazione cambia.

“Che voleva dire con ‘il tuo odore’?”

“Niente Edo, lascia perdere che è meglio. Adesso muoviti o faremo tardi.”

Suoniamo il campanello con cinque minuti di anticipo, se non altro, non abbiamo fatto una brutta figura già in partenza.
Ad aprire la porta è Garreth in persona ed è inutile dire che il mio disagio è palese.

“Ciao...” esalo con un filo di voce, troppo nervosa per poter dire una sillaba di più, cercando di sforzarmi per abbozzare un sorriso.

Anche Edoardo si sente fuori luogo e se ne rimane in silenzio, in attesa che sia il padrone di casa a fare la prima mossa, infatti ci lascia entrare non perdendo un nostro movimento.
Non appena varchiamo la soglia veniamo circondati da un intenso e buonissimo profumo di carne stufata, verdure, qualcosa cotto al forno e tante altre cose buone che dalla cucina, si è sparsa per tutta casa. Ed ecco che il mio stomaco inizia a farsi sentire con una certa prepotenza, tanto da far voltare i due ragazzi verso di me, che mi guardano perplessi dal forte rumore emesso.
Mi stringo nelle spalle a discolpa.

“Garreth, tesoro, fai accomodare i nostri ospiti.” dice una Ellie esuberante, raggiungendoci all’ingresso. “Ciao ragazzi, benvenuti! Avanti, toglietevi pure i cappotti.”

La madre ci saluta allegra e pimpante, sgridando bonariamente il figlio perché non ci ha ancora fatto accomodare, guadagnandosi una delle sue tante brutte occhiate di disappunto.

“Questi sono per voi.” mi faccio avanti, con coraggio, mostrando alla signora i due vassoi, per alleggerire l’aria che si sta già caricando di tensione.

“Che cari ragazzi, grazie!” ne prende uno e sbircia il contenuto. “Un dolce! Tu ne vai matto.” si rivolge al figlio, mettendoli una mano sul braccio e sorridendo, che in cambio fulmina la madre, senza essere minimamente considerato; quest’ultima non vi bada e continua per la sua strada. “Li avete fatti voi?”

Sto per annuire, ma Edoardo mi interrompe.

“No, li ha fatti entrambi Amira, io sono una frana ai fornelli.”

Lo guardo, non capendo perché abbia mentito e provo a cercare il suo sguardo in cerca di una qualche spiegazione, ma non ne ho il tempo perché la signora Duvall ci avvisa che la cena è pronta e che possiamo prendere posto a tavola.
Garreth ci prende i cappotti e quando arriva il mio turno, non riesco a mandare via il senso di disagio che provo nel mostrarmi tanto scoperta in sua presenza. Mi guarda per un momento, osservando l’abito e sono sicura che, di profilo, riesca a intravedere anche lo scollo, analizzando di sfuggita i tatuaggi – e non so perché, ma ho come la sensazione che non li piacciano – poi però l’occhio gli cade sul braccio sinistro, che prende in maniera non tanto delicata – deve essere un vizio dei licantropi – analizzandolo con cura.

“Come te lo sei fatto questo?” chiede sospettoso, sfiorando la pelle lesa con il pollice.

Anche io sposto lo sguardo sull’ematoma e per poco non mi viene un colpo, constatando quanto mi stava stringendo forte Julia, così forte che mi è già comparso il segno.

“Probabilmente ieri notte, ho avuto un incubo e mi sono agitata.” mento, non sapendo come ho fatto a trovare una scusa così convincente in meno di un secondo.

Il licantropo non sembra molto convinto di ciò che ho detto, ma non indaga oltre e, con un gesto molto galante, ma freddo, della mano, mi invita a passare per prima nell’altra stanza.
Ci accomodiamo nella sala grande, adiacente alla cucina, dove ero stata solo di passaggio durante il barbecue, ma ora si vede che c’è la mano di una donna evidentemente abituata ad avere ospiti.
Il padre ci raggiunge, salutandoci in maniera decisamente più distaccata della moglie, ma non per questo risulta maleducato.

Credo che sia molto riservato.

Prendiamo posto, il padre a capotavola, io alla sua destra e su suggerimento di Ellie, che onestamente non comprendo, lei si siede accanto al marito ma fa sedere Edoardo accanto a sé mentre Garreth accanto a me.
Ellie ha preparato tante cose buone da mangiare, svariati stuzzichini che vengono finiti in poco tempo, con i complimenti del marito e nostri, prima del piatto forte.

“Ho fatto la shepherd’s pie2, spero vi piaccia. C’è anche dello stufato, come alternativa.” dice ritornando in salta con una pirofila dall’aria davvero pesante che mette al centro della tavola, dopo che io e Garreth le abbiamo spostato le brocche dell’acqua e del vino, portandosi con sé un intenso profumo.

La cena prosegue decisamente bene, la signora Duvall riesce a non far morire mai le conversazioni e fortunatamente anche il marito le da man forte, io ed Edoardo, d’altro canto, riusciamo a farci scivolare di dosso le occhiatacce e il silenzio quasi ostinato di Garreth.
Il signor Richard, inizia a concentrare la sua attenzione su di me, ponendomi delle domande conoscitive, cambiando argomento, stravolgendolo, ed io me ne domando il perché, dal momento che la cosa mi sa sentire in imbarazzo.
Sto cercando di rispondere ad una sua domanda, senza farmi sentire dal mio amico, perché non voglio che inizi a raccontare ancora la storia di come ci siamo conosciuti, benché lui sia troppo occupato a parlare con Ellie, che non capisco inizialmente come nasca il loro discorso, ma lo sento chiaramente dire, una delle ultime cose che avrebbe dovuto.

“Mi trovo bene, anche lei si trova benissimo, peccato che prima di venire qui sia stata aggredita da una pazza che diceva cose strane. Non vi offendete, mi duole dirlo,” dice seriamente dispiaciuto, mettendosi una mano sopra il cuore. “perché so che tu,” riferisce a Garreth, senza nessuna nota di cattiveria o rancore nella voce. “sei una sorta di capo in questo villaggio, ma avete della gente strana!” aggiunge quasi esasperato, bevendo poi un sorso di vino.

Ed io, quel bicchiere dall’aria costosa, vorrei solo romperglielo in testa.
Lo guardo attonita, perché grazie a lui, le conversazioni sono morte, adesso regna il silenzio e stano tutti guardando lui.
Tranne Edoardo, lui è troppo impegnato a mangiare, a fare complimenti alla cuoca e a guardarsi intorno come un bambino nel paese delle meraviglie.

“Chi è stato?” domanda Garreth, il tono di voce autoritario e già sul piede di guerra.

“Ness-”

“Non lo so, una tipa strana, mora, occhi di ghiaccio. Miss ‘Sono bella sono io’” dice col tono di voce più acuto del solito, mimando le virgolette, dopo avermi spudoratamente interrotta e messa nei casini.

“Che cosa vi avrebbe detto?” è la domanda del padre, ancora più adirato.

Oh no. No. No. No.

“Niente! Edoardo ha bevuto e come al solito, ha esagerato. Io e lei abbiamo solo parlato.” lo fulmino con lo sguardo, peccato ci stiano guardando tutti e la mia occhiataccia non sia passata inosservata.

“Parlato un accidente, Mira! Sei stata afferrata per un braccio e ti ha detto cose strane sull’odore e che dovevi stare lontana da qualcuno.” dice abbassando la voce, in tono cospiratorio, gesticolando leggermente, parlando al padre, poi ritorna in posizione eretta e si rivolge a me. “Certo che potevi anche dirmelo che ti eri fatta la rivale in amore.” dice fingendo di essersela presa.

Io vorrei solo sotterrarmi.
Per tutto il tempo in cui il mio ex amico ha parlato, l’ho supplicato di tacere con lo sguardo, ma lui come un treno ha continuato, facendomi sprofondare sempre più nei casini.

“Hai intenzione di prendere provvedimenti?” domanda il padre a Garreth.

“Assolutamente.” dice serio lui, indurendo lo sguardo e indirizzandolo proprio verso di me.

Mi faccio piccina, supplicandolo di non fare niente, ma so già che sarà fatica sprecata.
Allungo la mano per prendere la brocca dell’acqua, intenzionata a mandare giù anche questa brutta figura, quando alla luce del lampadario, si vede chiaramente il livido. Cerco di ritirare la mano, ma Garreth è stato più veloce.

“Solo un incubo mentre dormivi, eh?” domanda sarcastico, con un filo di voce tagliente come una lama.

“Non c’entra niente questo con quello che hai sentito.” dico, cercando di mantenermi salda e convinta nella mia bugia, ben sapendo che lui possa fiutare qualsiasi cambiamento del mio corpo.

Magari crederà davvero che Edoardo abbia solo esagerato il racconto per colpa del vino.
Tento ancora di prendere la brocca con l’altra mano, ma sbadata come sono, tiro una botta al bicchiere, facendolo cadere.
Fortunatamente, non solo non si rompe, ma i coniugi fingono che non sia successo niente e continuano a parlare con Edoardo, intrattenendolo, e se da una parte sono grata i due per il loro sforzo, io non mi sono mai vergognata di lui come stasera.
È Garreth a prendere questa benedetta brocca e a riempirmi il bicchiere, per farmi finalmente bere. Un “Grazie.” bisbigliato, senza guardarlo, è tutto ciò che mi esce dalle labbra.
Mando giù l’acqua in un solo sorso, continuando a sentire la gola secca.

“Stai cercando di mandare giù la bugia appena detta?” mi sussurra il licantropo all’orecchio.

Non tento nemmeno di ribattere, lui ha ragione ed io non ho più le energie per mettermi in altri guai.
Sono stata tanto concentrata sugli ultimi avvenimenti della serata, immaginandomi a vivere da solitaria su Marte, lontana da tutti, che non mi sono accorta che la signora Duvall aveva sparecchiato gran parte delle cose, lasciando solo da bere, per poi mettere in tavola i nostri dolci, già divisi in porzioni.
Che maleducata! Non mi sono neanche offerta di darle una mano, ma a giudicare da come stanno confabulando, credo che ci abbia appena pensato il mio ex amico.
Fortunatamente, riesco a lasciarmi tutto alle spalle per un po', così da potermi intrattenere ancora con loro e non pensare a cose sgradevoli, cosicché a fine serata, riesco nell’intento di essere un’ospite più gentile ed educata, aiutando Ellie a ripulire, nonostante le sue obiezioni e costringendo Edoardo a rifiutare il bicchiere di brandy fatto in casa che il signor Richard ci vuole offrire.

“Io invece lo prendo volentieri, grazie.” dico sorridendo all’uomo con fare gentile e cortese.

“Amira, questo è bello forte, sicura?” mi domanda, socchiudendo un occhio ed osservandomi bene.

“Ha bevuto roba schifosa da una fiaschetta di un cacciatore, può bere anche il tuo brandy papà.” dice risentito Garreth.

“PUAH! Chissà che robaccia ci avranno messo.” dice schifato, fingendo un brivido di ribrezzo, versando nell’apposito bicchiere il liquido ambrato scuro. “Tieni, bevi questo, è molto meglio.” mi fa l’occhiolino.

Ormai Richard non ha più niente dell’uomo austero e burbero che mi si era presentato questa mattina. Conversare con lui è stato più piacevole del previsto, quasi divertente.
Butto giù un piccolo sorso, sentendo come già sulla lingua il liquido sia aromatizzato alle erbe e caldo, ma è solo quando deglutisco che sento il calore ardermi la gola, raschiarla fino a bruciarmi lo stomaco.
Tossisco un paio di volte, sotto lo sguardo divertito di tutti, tranne di Garreth, ovviamente, mentre il padre mi fa i complimenti perché una cosina piccola come me ha del fegato a berlo.
Sorrido in imbarazzo, pentendomi di averlo voluto assaggiare.

“Lo voglio assaggiare anche io.” dice Edoardo, con voce impastata e bizzosa, ma basta un’occhiataccia micidiale da parte mia, che si rimette buono sulla sedia, senza più fiatare.

Bravo, dopo io e te facciamo i conti.

A fine serata, ormai si è fatto tardi e so che loro si dovranno alzare presto per fare le cose da licantropi, prendiamo congedo e li salutiamo, pronti a tornare a casa.
Rimango sola, Edoardo è andato a salutare, ringraziare ed a fare ancora i complimenti alla sua nuova amica – bravo, fattene un’altra perché con me hai chiuso, traditore – ed io vengo affiancata da Garreth.

“Non voglio che torni a casa con quel coso ubriaco e molesto.” mi si piazza di fronte, con le braccia incrociate al petto, imponendomi la sua autorità e la sua grandezza.

“Quel coso è una persona e si da il caso che sia mio amico, poi credimi, e questa volta fallo per davvero quando ti dico che lui NON mi farebbe mai nulla di male.” gli sorrido intenerita dalla sua eccessiva apprensione, e scollegando la testa – sicuramente colpa del brandy – alzo la mano, accarezzandogli la guancia leggermente ispida di barba, per rincuorarlo che sono al sicuro e che non mi accadrà niente.

Quando ritorno cosciente di me e di quello che sto facendo, vorrei ritirarla ma Garreth è più veloce, la incastra tra la sua e ne bacia il palmo.
Rimango pietrificata dal suo gesto, fatto senza motivo, sentendo il calore delle sue labbra sprigionarsi e diffondersi lungo il polso; le guance stanno andando a fuoco ed io inizio a sentire caldo ovunque, anche in posti poco consoni.
Garreth non smette di guardarmi, interrompendo il contatto visivo solo quando sentiamo le voci degli altri farsi vicine fino a che non ci raggiungono. Dal canto mio, non gli stacco gli occhi di dosso, in cerca di una spiegazione che, so già, non mi darà mai.
Salutiamo un’ultima volta, prima di incamminarci, e solo quando siamo fuori e lontani diversi metri dalla casa, mi prendo il lusso di rilassarmi.

“E’ stata una cena fantastica. Ellie e Richard sono molto simpatici, cosa che non posso dire del figlio. E nemmeno di te, sei stata molto silenziosa e maleducata.” dice severo, guardando avanti a se.

In risposta gli tiro un cazzotto all’altezza della spalla, facendolo lamentare ma senza fargli male seriamente.

“Tre giorni fa ci siamo baciati.” sgancio la bomba, senza guardarlo.

Lui inizia a tempestarmi di domande, sul come è accaduto e sul perché, specialmente perché ci abbia messo così tanto a raccontarglielo.

“Non avrebbe avuto senso?!” sbotta incredulo e scandalizzato, alzando il tono di voce, alla mia affermazione. “Mira, tesoro, ti ascolti quando parli?”

Non gli rispondo, le mani in tasca, la testa bassa, tirando in su col naso di tanto in tanto, cercando di non morire congelata. E il mio tacere, gli permette di fare altre congetture.

“Vi siete baciati, quindi vi piacete. Che a te piaceva, era evidente come la luce del sole, ma adesso siamo sicuri che la cosa è reciproca.” cinguetta felice.

“Non siamo sicuri di niente.” ribatto inacidita e piccata. “E comunque, lui mi ha dato buca per andare dall’altra.” gli faccio presente per la seconda volta, dato che non gli è entrato bene in quella zucca vuota.

“Non essere gelosa, Mira. È andato da lei per dirgli di non rompere, di non farsi più vedere...”

“Ma chi sei tu, il suo psicologo?!” rispondo inviperita. “E poi io non sono gelosa.”

Edoardo scoppia a ridere di gusto, con l’intento di canzonarmi come chi non crede a ciò che gli è stato appena raccontato.
Solo dopo diversi attimi, lui passati a ridacchiare ed io a pensare come ucciderlo nel sonno, ritorna il silenzio sopra le nostre teste, reso più inquietante dalla luce aranciata dei lampioni e dalla desolazione della strada.
Mi guardo intorno con circospezione, timorosa di dover affrontare ancora Julia.

“Tranquilla, non c’è nessuno a parte noi.” dice scacciando l’aria con la mano.

Evito di rispondergli perché io comunque non mi sento al sicuro, ho un brutto presentimento.
Infatti, non abbiamo fatto che un centinaio di metri, quando veniamo travolti da un ragazzo sbucato dalla vegetazione che cade e impreca insieme a noi.
Mi sono ritrovata per terra, schiacciata da questo qui, che è anche bello pesante, senza rendermene conto, che ansima e fatica a prendere fiato per parlare.

“Ci stavano dando la caccia… il mio amico è ferito… devo… devo parlare con l’alfa.”

Si rialza dopo un attimo, aiutando me a fare lo stesso, e vorrebbe fare lo stesso con il mio amico, ma lui è già in piedi e si frappone immediatamente tra me e lo sconosciuto.

“Scusa amico, è la tua compagna?” chiede quest altro, non volendo altri guai, non più di quelli che ha già. “Ma voi siete umani!” ci ringhia contro, mettendosi in posizione di difesa, ma pronto ad attaccarci.

“Fermo!” gli intimo, mettendomi tra i due maschi, adesso le situazione tra me ed Edoardo si sono ribaltate.

Che situazione.

Lui verrà a sapere tutto e pensare che mi ero così dannata l’anima per non fargli scoprire niente.

E Garreth… non ci voglio pensare!

“Chi sei? Di quale branco fai parte?” gli domando, volendo delucidazioni da poter riferire poi all’alfa.

Mi comporto come se facessi parte anche io del branco.

“Mi chiamo Patrick, faccio parte del branco di Josh Doyley. Siamo alleati.” precisa, come se avesse notato che pure io, fino a questo momento mi fossi fidata poco di lui.

E faceva bene. Anche se non ho la certezza che stia dicendo la verità, non del tutto, ma non mi rimane altra scelta che fidarmi.

“Io conosco l’al… il capo… sono sua amica.” lo informo ed è grazie a ciò che sembra rilassarsi un poco, rimanendo però sempre sulla difensiva.

“So cosa siete, con me siete al sicuro.” gli dico, abbozzando un sorriso, sapendo di trovarmi in una situazione poco piacevole.

“Anche io lo so cosa sono. Dei pazzi! Sono tutti pazzi qui, Amira!” mi sussurra all’orecchio Edo.

“Lui andrà a chiamare il capo ed io verrò con te dal tuo amico.” cerco di essere calma e gentile, per far sì che si fidi di me.

“Come faccio a fidarmi di te?” ringhia.

Ecco, bene.

“Non hai altra scelta se lo vuoi salvare.” ribatto un pochino inacidita.

Rassegnato dalla mia considerazione più che ovvia, si limita ad annuire, rimanendo poco convinto.

“Amira, che stai...”

“Ascoltami bene Edo.” gli afferro il viso con le mani, faccio in modo che mi guardi dritto negli occhi, per fortuna siamo sotto un lampione e posso vedere se mi sta prestando veramente attenzione, e gli parlo nella maniera più autoritaria, risoluta. “Devi correre il più veloce possibile e avvisare Garreth che c’è un uomo… no! Un membro del clan alleato, di Josh Doyley, ferito. Io e Patrick...” lo guardo in attesa del cognome.

“Donovan.”

“Io e Patrick Donovan andiamo a soccorrerlo. Hai capito tutto?”

“Che vuol dire? Sei uscita di testa? Dobbiamo chiamare la polizia e l’ambulanza, non devi andare in mezzo al bosco. Chi sei, cappuccetto rosso?” domanda sconcertato, incredulo da questa pazza situazione.

Che tenerezza, reagisce nell’esatto modo in cui avrei fatto io.

“No, devi fare esattamente come dico io. E non ti devi voltare. Devi solo correre.”

“Mira, è pericoloso...” bisbiglia, vicino al mio viso, tanto da sentire il suo fiato caldo e alcolico, lo sguardo preoccupato, intenzionato a non lasciarmi andare.

“Non ti devi preoccupare, fai come ho detto e vedrai che noi ci vedremo tra poco.” gli sorrido accarezzandoli una guancia per farlo stare tranquillo.

Non serve a molto, perché lui non è ancora convinto, ma gli basta un’occhiata decisa da parte mia che si fa andar bene ciò che ho detto.

“Stai attenta.” mi bacia la fronte e inizia a correre così veloce che in pochissimo tempo non lo vediamo più.

“Adesso,” dico all’altro “portami dal tuo amico.”

Iniziamo a correre verso il bosco e le sue insidie, con la speranza che coloro che gli stavano dando la caccia se ne siano andati e che non ci stiano aspettando per completare il lavoro.
Mi chiedo, ma quanti ce ne sono?!

“Perché ci sono due umani nel branco?” domanda incuriosito, non trovando nessuna difficoltà nel parlare e correre.

“Storia lunga. Io so, lui no e così deve rimanere.” dico già a corto di fiato, cercando di non inciampare sulle radici, sui sassi e rimanendo spaventosamente indietro.

Il licantropo si accorge della mia difficoltà, io dopotutto non ho i loro sensi sviluppati e non riesco a vedere di notte, e dopo avermi presa per mano, infondendomi anche un po' di calore oltre al coraggio, mi aiuta ad andare avanti e più veloce senza il pericolo di cadere.

“Sembra una storia avvincente. Me la racconterai appena saremo al sicuro?” si volta verso di me, e lo chiede con una tale sconsideratezza che mi stupisce, dato che ci siamo conosciuti meno di dieci minuti fa.

“Sarebbe meglio di no.” sussurro, ma il vento che ha iniziato a ululare ha portato via le mie parole e dopo una breve corsa – breve, si fa per dire – giungiamo nel punto dove giace nascosto il suo amico.

“Ehi, Cooper...” bisbiglia la mia nuova conoscenza. “Coop, sono io.”

Io non riesco a vedere niente, solo tanta vegetazione fitta immersa nel buio e devo dire che mi ritrovo ad invidiarli per le loro capacità, così continuo a tenermi saldamente ancorata alla mano di Patrick, che mi porta nel punto esatto dove ha lasciato l’altro licantropo, nascosto volontariamente da rami e cespugli.

“Ho portato i rinforzi.” mi fa andare avanti, per mostrarmi a lui. “E’ un’amica.” dice in tono gentile.

Non appena l’altro mi vede, mi fiuta, capendo quindi la mia natura umana, nonostante le sue condizioni, trova la forza per ringhiarmi contro e mostrarmi i denti.
Muovo un passo indietro, spaventata.
Bella riconoscenza tra tutti quanti; io cerco di aiutarli e questi mi vogliono solo sbranare. Se non fosse per il fatto che non sono una stronza – e rischierei pure di perdermi – girerei sui tacchi e tornerei a casa mia, dato che sto congelando.

“Un’umana?” domanda retorico e schifato, tossendo per il troppo sforzo.

Ben ti sta. Tiè!

“Mi dispiace ma all’associazione SOS Aiuto Licantropo avevano solo me. Se non ti va bene, puoi fare reclamo e aspettare che si liberi un altro lupacchiotto.” ironizzo per nulla divertita dalla sua ostilità, rimanendo ferma dove sono.

“Lei sa?” la sua voce esce spezzata dal dolore e dalla stanchezza, mentre Patrick si avvicina per nulla spaventato dalle sue scenate, senza aggravare la ferita.

“Sì, so tutto e ho già aiutato altri di voi. Quindi, adesso fatti aiutare e non rompere.” ribatto, sempre un poco risentita; poi guardo Patrick che con un cenno della testa, che a malapena riesco a intravedere, mi fa segno di avvicinarmi ed aiutarlo.

“Te l’ho detto, lei è un’amica.” non ne sono sicura, ma credo che abbia appena sorriso.

Ci incamminiamo a rilento, io sorreggo Cooper a sinistra, dalla parte sana, mentre Patrick a destra, dove ha una ferita di striscio sul fianco e una più seria alla gamba che non gli permette di camminare e che gli fa perdere tanto sangue, nonostante il bendaggio improvvisato che gli abbiamo fatto con la maglietta di Patrick e la mia sciarpa.
E a me, questa, pare una scena già vissuta.
Cooper è pesante, e lo è ancora di più dal momento che si affida quasi totalmente a noi per sorreggersi e spostarsi.
L’altro licantropo mi fa sapere che i cacciatori si sono attrezzati e stanno usando pallottole d’argento, metallo al quale sono allergici mortalmente se non estratto in tempo, e ciò li indebolisce inevitabilmente ad ogni minuto che passa.
Siamo a metà strada, anche io fatico a tenerlo in piedi ed a tenermi in piedi, sempre più affaticata dal suo peso, ma evito di lamentarmi, stringo i denti e cerco di essere un aiuto e non un ingombro, quando sentiamo altre voci e dei passi poco distanti da noi.

“Li senti anche tu?” si domandano tra di loro, mettendosi ad annusare l’aria e ad ascoltare attentamente.

Anche io ascolto le voci che si fanno sempre più vicine, tirando un enorme sospiro di sollievo, riconoscendo i proprietari e facendo sapere ai due forestieri che stanno arrivando i rinforzi.

Ci fermiamo e adagiamo Cooper seduto ad un tronco, per farlo riposare e riprendere fiato anche noi, mentre scorgiamo venire dalla nostra parte Garreth, Eric e Jack tra i primi, e al loro seguito il gruppo dei ragazzi, di cui fanno parte Judy e Giulian.
Eric chiede se oltre a lui, ci sono altri feriti, ricevendo una risposta negativa, si ferma dal licantropo per esaminare al volo le sue condizioni e facendosi aiutare da Jack, si incamminano verso il villaggio, seguiti da Patrick.
Garreth da ordini ben precisi agli altri: in gruppi di due ispezioneranno il perimetro del villaggio, arrivando fino al punto dove si sono fermati quei due e torneranno indietro. Niente attacchi e niente mosse azzardate.

Obbediscono e in un attimo spariscono nel buio della foresta.

Sto per andarmene, sperando di non perdermi, ma non voglio rimanere da sola con lui.

“Sei ferita?” e non riesce a nascondere bene la preoccupazione.

“No, io sto bene.” rabbrividisco a causa di una folata di vento.

“Torniamo a casa, stai congelando.” mi fa segno di procedere per prima ed io non me lo faccio ripetere due volte.

“Sicura di star...”

“Perché ci odiate tanto?” lo guardo in tralice, per vedere la sua reazione, benché al buio possa solo intuire qualcosa.

“Non mi sembra che Eric, Judy, i suoi genitori o Giulian ti odino.” dice, leggermente risentito e inacidito quando pronuncia l’ultimo nome. “I miei genitori ti adorano.”

“Tu però odi me e i miei simili.” affermo, guardando in terra.

“In parte hai ragione.”

Sento il cuore sprofondare nell’abisso.

“Non odio te, ma gran parte dei tuoi simili.” dice sincero, il tono di voce neutro. “E poi non capisco come ti saltino in testa idee tanto sciocche.” è davvero stupito.

In lontananza intravediamo le luci del villaggio, quindi anche il momento della nostra separazione. Posso permettermi di essere onesta fino in fondo.

“Io lo volevo solo aiutare e per poco non mi sbrana.” non c’è bisogno che specifichi di chi sto parlando, ha già capito che mi riferisco ai nuovi arrivati. “E tu, poi. Mi hai guardato male fin dal primo giorno che sono arrivata e ancora non ci conoscevamo.” dico mesta, continuando a guardare in terra e non è solo per la paura di cadere.

Le luci, nel frattempo, si fanno più intense, il sottobosco sparisce pian piano e lascia spazio ad un terreno pianeggiante e meno accidentato.

“Se uno di noi ti avesse ferita quasi alla morte, anche tu ci odieresti.”

“No, non lo farei, perché so che non siete tutti uguali; così come non lo siamo noi umani. Anche tu sei stato ferito da un cacciatore?” chiedo stupita.

Nell’alto della mia stupidità, da quando sono a conoscenza della loro natura, non ho mai pensato che Garreth potesse essere stato ferito in passato o che lo potrebbe essere in futuro.
L’ultima volta che abbiamo avuto un incontro faccia a faccia con i cacciatori, mi ci sono messa di mezzo io, ma sono convinta che se la sarebbe cavata egregiamente, senza troppi problemi.

“In un certo modo.” dice glaciale, troncando palesemente il discorso.

Mi pento di aver provato a fargli delle domande sul suo passato e sulla sua vita privata; fortunatamente siamo sulla strada principale e qui, le nostre strade, si divideranno.
Mi fermo sotto il lampione, lo stesso che mi ha vista coinvolta in questo ennesimo salvataggio, stupendo l’alfa del mio comportamento, non comprendendone il motivo.

“Perché ti sei fermata?” alza un sopracciglio, guardandomi stranito.

“Da qui torno a casa. Buonanotte.” lo saluto con un gesto stanco della mano. Stanca fisicamente, e ancora più stremata di provare a conoscerlo, di non farmi odiare e fargli capire che non sono il pericolo che lui crede.

“Non ci pensare. Tu dormirai da me stanotte.” autoritario come sempre, mi ferma prima che riesca a muovere un singolo passo.

“E’ fuori questione.” ribatto, sorpassandolo di lato, volendo procedere per la mia strada. “Lo sai che non posso, è meglio di no.”

“Devi andare a far compagnia al tuo amico?” è la domanda sarcastica e acida che mi sputa addosso. “Ha paura a dormire da solo?” è arrabbiato mentre parla e quasi mi ringhia.

Peggio di una donna col ciclo.

“Lo sai benissimo che non è per lui.” vediamo se così ci arriva, il grande uomo lupo.

“Ecco, allora non vedo perché tu non possa rimanere.” detto ciò, mi prende per mano e mi costringe a seguirlo.

“Ehi, ma che ti prende?” non riesco neppure a smuovere la mano, tanto ha la presa salda.

“Mi prende che potrebbe essere pericoloso e hai bisogno di farti una doccia. Sei sporca di sangue.”

“Notizia flash, genio, ho la doccia anche io. E poi pericoloso!? Ma se sono circondata da licantropi, non potrei essere più al sicuro di così!” gesticolo ed alzo il tono di voce, dando credito al tanto famoso stereotipo italiano, ma lui sembra tutto assorto nei suoi pensieri.

Intanto, tra il menefreghismo suo e qualche atto di ribellione mio, siamo giunti davanti a casa sua, fermandoci prima della porta d’ingresso.
Garreth si è bloccato di colpo, così all’improvviso che per poco non gli vado a sbattere contro.
Si gira verso di me, chinando il viso alla mia altezza e prendendomi il mento tra le dita, per guardarmi intensamente negli occhi.

“Hai l’odore di altri maschi e la cosa non mi piace.” sussurra serio.

L’attimo dopo, mi lascia andare e dopo aver aperto la porta, mi lascia entrare per prima, seguendomi e richiudendo immediatamente a chiave, come per timore che scappi.
Non mi sforzo neppure di fare congetture su quanto mi è stato detto, né provo a fargli domande, rischierei di farlo arrabbiare o, nei migliore dei casi, ricevere mugolii e versi strani incomprensibili e adesso voglio solo andare a dormire.
Entro in casa, ed è solo quando la luce del lampadario mi illumina e mi specchio nel riflesso della vetrata della porta, che mi rendo conto di essere veramente sporca di sangue e terriccio.
Senza accorgermene, mi devo essere toccata il viso e adesso sembro pronta per andare in guerra, con le macchie rosse sulle guance.
Per tale motivo rimango ferma in mezzo all’ingresso, senza sapere cosa fare per non lasciare le mie impronte sulla moquette e non essere d’intralcio.

“Oh Dea Luna!” Ellie si è appena affacciata dalla porta, spalancando gli occhi non appena mi ha vista. “Amira, cara, stai bene?” mi viene incontro, trafelata, visitandomi con occhio attento e preoccupato.

“Sì sì, sto bene, grazie.” le sorrido debolmente, lasciandomi però cullare dalle sue attenzioni.

“E’ abituata.” è la battuta pungente di Garreth mentre ritorna da noi.

Ed io, non so perché, ci rimango male del tono usato.

“Non è un buon motivo per lasciarla qui, da sola, sporca e infreddolita.” lo rimprovera la madre, mentre mi fa togliere le scarpe ed il cappotto, lasciando tutto da una parte. “Perché non rimani a dormire qui? Solo per stanotte e poi domani torni a casa.”

“Veramente, io dovrei...” indico la porta, ma nessuno bada a me.

“E’ quello che farà. Almeno fino alla parte di dormire da noi.” dice glaciale Garreth, poi con un cenno della testa mi fa segno di seguirlo.

Saluto Ellie, ringraziandola ancora per la sua gentilezza ed ospitalità, augurando a lei e al marito una buonanotte, e mi affretto a seguire il figlio che si è già avviato per le scale.
Salgo i gratini morbidi, ricoperti di moquette di un beige chiaro, in punta di piedi, vecchia abitudine che avevo fin da bambina, ricordandomi solo vagamente dove si trovano le stanze.
Preme un interruttore sulla parete e apre una porta, mostrandomi il bagno e facendomi passare per prima.
Continuo a rimanere ferma, osservarlo muoversi con scioltezza nell’ambiente, mentre prende alcuni asciugamani e li pone sopra un cesto.

“Userai la vasca, ti sentirai meglio. E non ti preoccupare di quanto ci metterai.” si affretta ad aggiungere dopo avermi vista aprire bocca per obiettare. “Lascia i vestiti fuori della porta, così potrò metterli a lavare.”

“Sissignore.” dico con un fil di ironia, seppur stanca, sapendo che lui non riesce a fare a meno di dare ordini e dettare legge.

Garreth sta per uscire ma proprio quando è quasi fuori dal bagno, ci ripensa e ritornando dentro, mi si avvicina con un’espressione totalmente diversa, molto più ammorbidita e gentile.

“Vorrei che lo prendessi non come un ordine che mi devi, ma come un favore nei miei confronti.” la sua voce è calma, sembra che ci sia una leggera sfumatura di supplica.

Esce, lasciandomi sola con un grande punto interrogativo in testa.








*Angolino mio piccolo personale*

Buon salve a tutti, cari lettori e lettrici!
Eccomi di nuovo qui... Non sono andata in ferie, macchè... MAGARI!!!
Solo piccola pausa estiva causa lavoro... wao, che bello... Ma, bando alle ciance. Spero che il capitolo vi paiccia, è corto, lo so, ma è solo di transizione, ci saranno di altre avventure che colpiranno (nel bene o nel male, chissà) i nostri cari amati protagonisti.
Intanto ce l'ho fatta a pubblicare questo, yeah!
Fatemi sapere se è stato di vostro gradimento.
Grazie a tutti per la pazienza, le recensioni, commenti e per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite.

NOTE:
1 . tipica espressione latino-americana di sorpresa, stupore. Lo usano praticamente sempre e ovunque. Non viene offesa nessuna madre;
2. tradizionale piatto inglese, a base di carne di pecora (se non ricordo male) cotto nel forno, con una quantità industriale di patate e spezie. Esiste anche la versione di mare, con merluzzo e salmone... da leccarsi i baffi!

 

  
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