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Autore: Maru_Tsubaki    02/09/2019    1 recensioni
Uno di quei momenti che ti lasciano sulle labbra il gusto amaro della buccia dello yuzu...
Nel moderno Giappone, sulla dimenticata isola di Okinawa, l'incontro bizzarro tra un ragazzo di Tokyo e una forestiera milanese.
L'intreccio di culture e incomprensioni che alimentano la matassa del filo rosso del destino.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 3
Quello che non si può fare


“Touma-kun, mi spiace chiedertelo, ma non riesco a tagliare la zucca. Puoi farlo tu?” chiesi un po' in imbarazzo.

Lui, senza fare una piega, entrò e si mise a tagliare.

Mettemmo la pentola a bollire sul fuoco e andammo ad aspettare in camera da letto, l’unica stanza con l’aria condizionata.

Confesso di essere una di quelle persone che ha il vizio di girare senza vestiti per casa e in quel momento mi sarei volentieri spogliata, ma con un ragazzo giapponese in casa avrei rischiato di farlo ricoverare d'urgenza.

“Quindi ti sei trasferito adesso da Tokyo?”, domandai per rompere il silenzio imbarazzante che era calato da quando avevamo chiuso la porta.

“Sì, sono venuto a Okinawa in gita scolastica e me ne sono innamorato. Così ho deciso di venire a vivere qui".

"Amore a prima vista, giusto?" chiese Bibi. 

Lui annuì.

“Stai cercando casa?”.

“Non ancora, per adesso sono in guest house. Posso chiederti quanto pagate voi di affitto?” chiese il ragazzo.

“Circa 25000 yen al mese, tutto compreso, però come vedi siamo in quattro ragazze in una stanza e a volte la convivenza è difficile” risposi. 

Ah, se solo avessero potuto vivere con noi anche i ragazzi…

“Anche le altre ragazze sono occidentali?”.

“No, una è coreana e l'altra è giapponese. Non fanno niente in casa e sono asociali” intervenne Bibi.

Touma ci guardò con aria interrogativa. 

Avrà pensato che fossimo le solite gaijin che credono di essere migliori degli altri.

“La ragazza coreana non parla molto con nessuna delle coinquiline e anche quando proviamo ad invitarla fuori lei rifiuta. La giapponese è anche carina, ma ha 18 anni, è ancora molto giovane e sta ancora imparando a vivere da sola con qualche difficoltà nel rispettare le regole” spiegai meglio.

“Anche io ho 18 anni” sussurrò lui.

“Si può capire, insomma… scusa, come?” ero sovrappensiero e non colsi subito il significato delle sue parole.

Non potevo crederci. Doveva esserci un'alleanza divina volta a distruggere ogni barlume di speranza per me di avere nuovamente una vita sentimentale. 

Ma che cavolo, 18 anni? Davvero? Cioè voleva farmi credere di avere cinque anni in meno di me?! Impossible!

“Ho 18 anni” ripeté lui.

Io e Bibi restammo attonite.

Per me fu come una sentenza di morte: mi passò davanti agli occhi l'immagine della mia vita futura circondata da gatti.

Non potevo andare dietro ad un ragazzo così tanto più piccolo. Tralasciando il fatto che in Giappone si è minorenni fino ai 20 anni, in Italia mi avrebbero deriso tutti: non si può fare! 

Potevo già sentire le mie amiche: ‘Ci starà perché sei straniera, ma è solo una botta e via per potersene vantare con gli amici’, 

‘Ma è un bambino!’, 

‘Martina va' che finisce come l'ultima volta’.

Mandai giù questo boccone amaro e pensai 'Maru, puoi farcela! Ignora quella parte di te che pensa che lui sia il giapponese più figo che tu abbia incontrato'. 

Bibi, interrompendo il mio monologo interiore, finalmente ci avvisò che era pronto, così potei concentrarmi su altro.

Mettemmo in tavola l'enorme pentola e cominciammo a mangiare. 

Avendo cucinato la stanza si era scaldata trasformandosi in una sauna.

“Maru-chan apriamo il muro della stanza almeno arriva un po' di aria condizionata” propose la mia coinquilina.

Annuii e feci scivolare il muro tradizionale giapponese Shoji, ma faceva così caldo che quel poco di aria che arrivava dalla stanza affianco sembrava il respiro di un gatto.

Mi legai i capelli, Bibi aprì la finestra e mangiò lì in piedi, mentre Touma si tolse la camicia.

C'è da sapere una cosa sui giapponesi: con qualsiasi temperatura, umiditá, che siano nel deserto o sul Sole, LORO NON SUDANO, ma nemmeno un po'. Quindi non mi sorprese che, con l'inferno in terra, il ragazzo sotto la camicia portasse anche una canottiera e che, sebbene io e Bibi ci stessimo squagliando, lui non avesse manco una goccia di sudore.

“Allora Touma domani sei libero?” disse Bibi porgendogli un gelato.

“Domani lavoro dalla mattina alla sera”.

“Ah, giusto sei quello che si è rubato i miei turni".

Adesso capivo perché l'altro giorno Bibi fosse così arrabbiata con Touma. 

“Noi stiamo organizzando una colazione in spiaggia. Se ti va puoi venire prima del turno, tanto viene anche un'altra mia amica che lavora” proseguì la mia coinquilina.

“Beh, se riesco vengo. Ma da che ora?”.

“Pensavamo verso le 8, così chi deve poi andare sta almeno due ore ” risposi.

Ci pensò un po' su, “Se mi sveglio vengo!”.

 

Poco dopo fu l'ora per la mia coinquilina e il ragazzo di andare. Touma cercò di darmi dei soldi per la spesa.

“Touma, figurati. Sei stato nostro ospite e gli ospiti non pagano”. 

Non ho mai capito la relazione dei giapponesi con i soldi:

1) non si parla di soldi, se no qualcuno poi te li chiede,

2) non si chiede in prestito niente nemmeno tra amici, 

3) di tutto si fa a metà oppure si calcola con precisione la propria parte,

4) se esci con dei ragazzi pagano loro, tu non devi manco averlo il portafogli.

Sta di fatto che per me era inaccettabile il gesto del ragazzo, ma sapendo che avevamo culture diverse mi limitai a dirgli che avrebbe offerto un caffè la prossima volta.

Touma probabilmente sarà stato in imbarazzo anche lui a dover accettare una cosa così, ma d'altro canto le culture in ballo erano due e sebbene io abbia sempre anteposto la loro alla mia per non risultare sgarbata, c'erano aspetti che reputavo importanti e non potevo fare a meno di impormi a riguardo.

 
   
 
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