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Autore: CyanideLovers    07/09/2019    4 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
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ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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Aziraphale non era uno sprovveduto. 
Poteva avere l’aspetto e un carattere soffice e dolce, troppo buono e troppo permissivo. 
Ma non era di certo uno sprovveduto. 

Se c’era una cosa che aveva imparato a conoscere, dopo seimila anni di amicizia, era il demone che era rimasto al suo fianco per tutto quel tempo. 
Si definiva, orgogliosamente, un esperto di Crowley. 
Aziraphale conosceva tutte le sue espressioni, quando era contento, felice ed eccitato, curioso o insicuro.

Per esempio: 
Aziraphale aveva imparato che non c’era niente che il demone amasse di più della musica. Lo aveva scoperto molto presto; in un giorno di primavera mentre entrambi stavano seguendo, come erano soliti fare, Adamo ed Eva. 

Caino e Abele erano nati da poco e la donna stava cullando il più piccolo, mormorando una canzone antica come l’universo. Aziraphale non era sicuro di ricordare dove l’avesse già sentita: la canzone era poco più di un mormorio, priva di parole, una ninna nanna dolce e rassicurante, familiare. 
L’angelo era rimasto incantato dalla donna e dai movimenti lenti e calcolati e aveva visto il piccolo, che fino ad allora non aveva smesso di urlare e lamentarsi, soccombere al sonno e addormentarsi tranquillo.
 
Accanto a lui, il demone la guardava come un angelo che guarda Dio: gli occhi brillavano di un giallo potente e caldo, la bocca piegata in un sorriso dolce. 
“Stai bene, Crawly?” Aveva domandato lui, notando le lacrime che scivolavano dagli occhi del demone accanto a lui. Crowley si era portato una mano alla guancia e un’espressione sorpresa si era formata sul suo viso: 

“Questa canzone… mi ricorda qualcosa.” 

Nessuno dei due aveva mai più parlato dell’accaduto. Nessuno dei due aveva mai accennato al fatto che La Canzone era sospettosamente simile a quella che Dio cantava un tempo, quando l’universo era giovane, gli angeli non si erano ribellati e si divertivano a creare il firmamento insieme a lei. 
Quando ancora era tutto bello e non esistevano il dolore, l’angoscia, la disperazione. 
Quando ancora il grande motore dell’universo non era nient’altro che l’amore dell’onnipotente. 

Dopo quell’episodio, nel corso del tempo, aveva sorpreso Crowley più e più volte destreggiarsi con diversi strumenti: il demone suonava con maestria il pianoforte e il violino, l’arpa —Crowley, quando Aziraphale lo aveva sorpreso, si era giustificato sostenendo che fosse ironicamente diabolico che un demone suonasse l’arpaAziraphale aveva riso insieme a lui provando una leggero imbarazzo quando si scoprì a pensare che il demone suonasse in modo angelico— sapeva suonare il basso, il sassofono e la batteria, la balalaica e il sitar, la chitarra e un altro numero indefinito di strumenti. 
Una delle sue più grandi soddisfazioni era stata quella di aver inventato il Jazz.* 
Aveva scritto opere liriche insieme ai più grandi compositori e l’angelo non ricordava più quante volte aveva accompagnato il demone ad assistere a rappresentazioni del Don Giovanni e del Barbiere di Siviglia e del Scorate Immaginario. 
Conosceva tutti i nomi dei più grandi compositori, sapeva nominare ogni sinfonia dopo aver ascoltato una manciata di note. 

“Certo che amo la musica,” aveva detto una volta il demone dopo la loro ottava bottiglia di vino “La musica è qualcosa di assolutamente diabolico. Il diavolo è un ottimo musicista, d’altronde. C’è una ragione se noi abbiamo i migliori compositori: pensa a tutte quelle melodie che ti rimangono in testa per giorni, se non per settimane. Tutte quelle canzoncine fastidiose nelle pubblicità. Dovresti vedere che lavorone ho fatto negli anni ’80 in Italia.** Ci sono canzoni che mi hanno fatto guadagnare encomi e perfino medaglie!” E poi aveva riso di gusto versandosi un’altra bottiglia di vino. 

Crowley canticchiava quando guidava, cantava sotto la doccia, quando ubriaco e, con grande divertimento dell’angelo, aveva cantato la marsigliese completamente ubriaco in piazza della concorda. Il demone, si vergognò per la seconda volta a quel pensiero, cantava come un angelo. 

Poi qualcosa era cambiato. 
Non lo aveva notato subito. Era stato graduale e spalmato nel tempo. Non sapeva dire quando era iniziato: il demone alternava momenti di deliziosa euforia nei confronti della musica a lunghi silenzi e sguardi persi. Erano secoli che non lo aveva più visto prendere in mano un violino. Quando se ne accorse fu come quando scopri che un amico di vecchia data è morto e che lo hai saputo dopo molto tempo. La realizzazione arrivò in una serata solitaria passata a ripescare dalla memoria vecchi aneddoti. 

L’angelo aveva chiesto: Perché non suoni qualcosa, vecchio serpente? 
Un ghigno per nulla angelico era stampato sul suo viso, il tono giocoso. 
Il demone aveva guardato il violino come se da un momento all’altro potesse trasformarsi in un mostro e divorarlo. 

“No, meglio di no.” 
Aziraphale non aveva mai più visto il violino che era rimasto per mezzo secolo nel suo negozio, abbandonato e dimenticato. 

 

 Con il tempo l’angelo aveva imparato a leggere i segni, a vedere oltre la facciata di modi e di parole sempre troppo drammatiche, troppo esagerate, troppo leggere. 
Riusciva a vedere la tristezza negli occhi serpentini del demone, la paranoia e l’ansia che sembravano attanagliare il cuore e la mente del suo più caro amico. 
Aveva imparato che c’erano cose che poteva dire e cose che era meglio far finta di ignorare. Come uno studente diligente aveva appreso quali erano gli argomenti che poteva affrontare con lui, cosa poteva provocare il demone e cosa lo avrebbe allontanato. 

Ma questo era qualcosa di diverso. Per la prima volta non sapeva come comportarsi. 
Era troppo facile vedere che c’era qualcosa di profondamente sbagliato. 
Inizialmente non ci aveva fatto caso; Crowley è un demone, si era giustificato, è normale che faccia cose strane. 
Era sempre stato un tipo nervoso, paranoico, guardingo. 

Negli ultimi secoli, tuttavia, era diventato sempre più silenzioso, distante. In diverse occasioni Aziraphale lo aveva colto a guardare nel vuoto, come se stesse guardando qualcosa che lui non poteva vedere. C’era sempre quello sguardo di profondo terrore nei suoi occhi quando succedeva, il più delle volte mascherato perfettamente dietro lenti scure e un atteggiamento strafottente, finta sicurezza e risposte sarcastiche. 

 

L’angelo non sapeva cosa fosse ma negli anni aveva iniziato a notare un numero sempre crescente di segnali allarmanti: se dormire per un intero secolo non fosse già abbastanza di per Aziraphale aveva avvertito un brivido corrergli lungo la schiena quando il demone gli aveva chiesto, in punta di piedi, di fornirgli dell’Acqua Santa. Non era mai riuscito a scrollarsi di dosso quella sensazione di pericolo a quelle parole perché, anche se Crowley gli aveva assicurato che fosse solo per protezione, il suo sguardo perso nel vuoto lo aveva spaventato, come se a parlare con lui non ci fosse il solito vecchio serpente, l’amico di sempre, il suo compagno di bevute dai commenti sarcastici e intelligenti, ma un guscio vuoto. 
Seduto accanto a lui poteva fiutare tutto l’alcool che aveva bevuto nelle ultime settimane, le droghe e tutto il dolore che sembravano fuoriuscire dalla sua aura come lingue di fuoco nero. 

(Tutte quelle volte che si era presentato nel cuore della notte nella libreria, i segni delle violenza, lividi e tagli, gli occhi sgranati e l’aura che emanava solo terrore e disperazione. Quei silenzi così carichi di significato, quelle lacrime, quella sensazione di impotenza e qualcosa che non riusciva mai ad identificare. 
Il desiderio di evocare la sua spada di fuoco, di brillare come una stella nella notte, come il sole ed eliminare dalla faccia della terra chiunque avesse osato toccare con le sue mani luride l’unica persona che avesse mai amato.  

L’impotenza. 
Aziraphale dimenticava sempre di essere un angelo e un servo di Dio in quei momenti.) 

 

Terrorizzato, ecco cos’era Crowley. 
E Aziraphale avrebbe voluto gridare a pieni polmoni: 
Cosa ti succede, amico mio? Parlami, ti prego parlami 
Il dolore di perderti sarebbe troppo grande. Non farmi questo, dimmi cosa ti spaventa così tanto. 

Non lo faceva mai. 
Perché all’epoca pensava che fosse meglio non attraversare certi confini. 
Aziraphale capì, una notte trascorsa nella sua libreria, circondato da libri, mentre beveva l’ennesimo bicchiere di vino da solo, di essere l’essere più stupido dell’universo. 

 

 

 

 

 

 

Londra, Inghilterra, 30 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata

 

“Da quanto tempo non dormi?” Chiese un giorno Aziraphale, guardando l’amico seduto sul divano, mentre sorseggiava un bicchiere di vino. 

“Non saprei, qualche decennio?” 

“È molto strano da parte tua.” 

“Non abbiamo davvero bisogno di dormire, Aziraphale.” Rispose Crowley con tono vagamente seccato. 

“No, certo.” Commentò l’angelo. “Ma, per esempio, io ho l’abitudine di mangiare, è un mio hobby come ben sai.” 

“Chi non lo sa?” 

L’angelo ignorò il tono sarcastico. 

 

Ma da molto tempo mi sono abituato talmente tanto al cibo che, se non mangio, dopo uno o due giorni, ho una fame terribile e mi sento un po' debole.” 

“Pensi che io sia debole?” Chiese Crowley con un sorrisetto malevolo. 

“Assolutamente no, mio caro.” Commentò l’altro con un sorriso dolce. “Penso che tu sia esausto. Voglio dire, perfino io che non amo dormire — una vera perdita di tempo se vuoi la mia opinione — dopo tutta la faccenda della scampata apocalisse ho dormito per qualche giorno, giusto per ricaricarmi. E tu hai fatto ancora di più, insomma, tenere insieme una macchina in fiamme, fermare il tempo, spostare tre persone su un piano diverso, tutta la noiosa faccenda dello scambio di corpi… non so come tu possa —“ 

Aziraphale” lo interruppe Crowley. “Smettila, sto bene.” 
Il suo viso rivelava la menzogna che si celava dietro le sue parole; occhiaie profonde, di una terribile tonalità di viola e nero, avevano messo le tende da mesi sotto gli occhi gialli e lucidi dell’amico, lo sguardo febbricitante, il volto così magro che gli zigomi sembravano pronti a bucargli la faccia. 

Crowley non stava affatto bene. 
Poteva vedere le mani tremolanti, lo sguardo perso nel vuoto, lunghi fasci di paura che attraversavano la stanza come lampi, il corpo di Crowley era sempre più magro, sciupato, sembrava malato. 

Ma soprattutto, il suo corpo era incredibilmente freddo. 
Lo era sempre stato, davvero, Crowley era un animale a sangue freddo d’altronde. Ma ultimamente, ogni volta che gli capitava di sfiorargli la pelle, Crowley sembrava una statua scolpita nel ghiaccio. 
La cosa più sconcertante era l’odore però: dolce, come miele, come fiori di campo marci. L’odore delle droghe, del sesso e dell’alcool, troppo forte per essere una cosa di una sera, troppo forte per essere un semplice passatempo. Sembravano più una dipendenza ormai. 

 Qualcosa che aveva già visto e che ancora lo tormentava. 

 

(L’immagine di Crowley fuori di sé, devastato, patetico, riverso contro un materasso lurido, i capelli lunghi e rossi stesi sul cuscino come un ventaglio o una macchia di sangue, completamente nudo, mentre un uomo lo sfiora e lui piange disperato. Lo chiama, pronuncia il suo nome con talmente tanto dolore nella voce che, come una preghiera, raggiunge immediatamente Aziraphale. E lui in un attimo si ritrova dall’altra parte della città, in una catapecchia sporca e angusta, l’aura divina lo circonda e brilla come il sole. Scaraventa l’uomo lontano, senza curarsi se sia ferito o meno. Non gli importa, l’uomo non merita la sua pietà. Si preoccupa solo del suo più vecchio e caro amico, avvolge coperte calde e pulite intorno al suo corpo troppo magro.  
Le sue braccia sono ricoperte di vene nere, gli occhi segnati da profonde occhiaie nere, la pelle è febbricitante e sudata, gli occhi sembrano non vederlo neanche. 
E quando si ritrovano di nuovo nella libreria, più precisamente sull’appartamento sopra di essa, Aziraphale lo stringe al petto come se fosse qualcosa di assolutamente fragile e preziosissimo, qualcosa di così effimero che potrebbe sparire da un momento all’altro. 

E questo non va bene, si dice. 
Crowley, per sua natura, non dovrebbe essere Effimero. 
Lui, per definizione, dovrebbe essere Eterno. 

Così lo prende tra le braccia, con la delicatezza di una madre, reverenziale e dolce, lo fa sedere nella vasca da bagno, gli lava il corpo, il più delicatamente possibile, gli bacia le nocche delle dita. 
Per tutto il tempo lui continua a mormorare: 
Vai via, ti prego, vai via, vattene. 

Ma non sembra parlare con Aziraphale, quindi lui continua a lavargli via lo sporco dai capelli e le lacrime dal viso, lo istruisce con comandi semplici con tono dolce e rassicurante, “Alza il braccio, mio caro, ecco così, inclina un po’ la testa, chiudi gli occhi, alzati.” Crowley non risponde, non sembra essere lì con lui, ma fa quello che gli dice, si fida ciecamente. È terrificante quando gli mostra il suo lato più vulnerabile, quando è così fragile e aperto, quando non parla e il suo corpo e tutto quello che rimane di lui. 

Aziraphale lo avvolge piano in asciugamani puliti, lo porta a letto e aspetta finché non è sicuro che il demone si sia addormentato. 
Finché il suo corpo non ha smesso di tremare. 
Finché non è sicuro che abbia smesso di ripetere: Lasciami solo, fa male, non ce la faccio, non posso… 

Ma anche dopo, Aziraphale si stupisce nello scoprire che non riesce ad allontanarsi da lui. Quindi rimane lì, prende un libro e cerca di distrarsi con un romanzo, anche se alla fine si rende conto che sta ignorando il libro perché è troppo concentrato nello sfiorare i capelli di quella bellissima creatura, la quintessenza del peccato e del desiderio, che una volta sembrava l’essere più divino del paradiso quando dormiva ma che adesso sembra perennemente tormentato tanto nella veglia quanto nel sonno. Aziraphale gli sfiora una guancia troppo magra e sussurra: 

Quando ti sveglierai, lo farai dopo aver sognato ciò che ami di più al mondo). 

Crowley spostò il suo sguardo dal viso dell’angelo a un punto non ben identificato nel vuoto e la sensazione di paura per un attimo sembrò aumentare. 
Aziraphale si girò, come faceva sempre quando il suo amico aveva questi momenti. 
Ma non c’era niente. Non c’era mai niente. 

“Dovresti provare a riposare, mio caro.” 

 

Londra, Inghilterra, 500 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata 

 

Lei era sempre lì con lui. 
Riflessa in ogni superficie lucida che incontrava. 
La vedeva sempre e ne sentiva la presenza quando si sforzava di non guardare. Cercò di non farci caso, cercò di ignorarla ma Crowley sapeva che era sempre dietro di lui. 
E avrebbe voluto dimenticare, avrebbe voluto cancellarla, incenerirla, ma uscendo dalla libreria, dopo aver suonato per tutta la notte, si sentiva così tanto stanco che non riusciva più a trattenersi. 
Quindi si voltò di scatto verso una vetrina e gridò: 
LASCIAMI IN PACE. 

Ma l’unica reazione che ottenne fu solo quella di spaventare solo una manciata di pedoni e qualche turista. 
Non era come se non avesse mai provato a parlarle, lo aveva fatto spesso in realtà. 
Non erano mai conversazioni piacevoli. 

 

(Aziraphale dice: Tu vai troppo veloce per me, Crowley. 
E lei gli sussurra: Non ti amerà mai. Lui è un essere puro, tu sei disgustoso. Un uomo che prova piacere nel distruggere ogni cosa bella in questo mondo. 

Warlock la abbraccia per una gamba, le sue belle forme femminili lo svolgono e se lo porta in grembo. Delicatamente, perché lui è un bambino solitario e Crowley sa cosa significa sentirsi soli. 
E lei sorride: Ho sempre desiderato diventare madre, tu mi hai tolto la possibilità di sentire crescere la vita dentro di me. 
E dice: Sei un demone, non saprai mai cosa significa amare.  

La libreria brucia, fogli e vecchi libri prendono fuoco come niente, e lui non respira, si sente soffocare, e grida, grida: 
Bastardi, hanno ucciso il mio migliore amico. 

E lei ride sguaiatamente: Saresti dovuto morire tu tra le fiamme, non lui. 
E ride: Adesso sei solo al mondo. 
Ride: Cosa ti fermerà adesso dal distruggerti? 

Ed è una tortura costante, la pelle brucia, è troppo calda, il cuore esplode e fa troppo male e lei per la prima volta lo tocca, lo abbraccia da dietro e lui è così scosso che neanche si stupisce del contatto, non lo registra. 
E lei allunga la bocca in un sorriso maligno e dice: Non sentirai più le sue tenere braccia accoglierti in un abbraccio. 
E lei stringe la presa: Non ti bagnerai mai più nella sua luce divina. 
E dice ancora: Sei solo. 

Ancora: Solo. 
Ancora: Lui è morto, morto, morto). 

 

Si svegliò con un grido che perforò l’aria della notte. 
Perché, con sua grande sorpresa, stava cadendo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Nel libro, si fa riferimento al fatto che Crowley potrebbe aver inventato il jazz. Non è proprio un riferimento così esplicito ma visto che il Jazz era considerata “la musica del diavolo” è sempre stata una mia headcanon.
**Io qui mi sto ovviamente riferendo alla canzone “Kobra” della Rettore. Quella canzone urla CROLWEY ad ogni parola, ancora non ho conosciuto nessuno che non abbia iniziato a cantarla nei primi cinque minuti del primo episodio. Se dite di no, state solo mentendo.

In realtà Crowley ama la musica, questo è un fatto, ma come già detto nel capitolo precedente non posso togliermi dalla testa che sia sempre stato sia appassionato di musica che un ottimo musicista/cantante.

Mi dispiace del ritardo, ho avuto davvero tanta difficoltà a scrivere questo capitolo e potrebbero esserci diversi errori perché l’ho scritto sull’aereo e penso di essere troppo stanca al momento per correggerlo.
Ciao <3

 

   
 
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