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Autore: Enchalott    17/09/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ago della bilancia
 
Il mare cambiò improvvisamente colore, virando dall’indaco scuro al turchese. I cavalloni montanti abbassarono le creste di schiuma e si appiattirono all’unisono, come animali domestici che ricevono un giusto rimbrotto da parte del loro padrone.
Le onde ormai placate si inchinarono morbide davanti alla scia cerulea che si tracciò sotto la murata della Xiomar e sembrò spezzare in due il Pelopi.
Anthos osservò l’insolito fenomeno con aria soddisfatta, come se lo stesse aspettando da un po’ e non fosse per contro una manifestazione straordinaria.
L’oceano ribollì e si attorcigliò, per poi finalmente lasciare libera la figura imponente del dio del Mare, che si erse maestoso sulla superficie di lapislazzuli del suo regno.
“Finalmente ti sei deciso!” esclamò il principe, estremamente allietato “Hai una cosa che mi appartiene, la rivorrei indietro!”.
Manawydan brontolò un epiteto volutamente poco educato all’indirizzo dello spudorato interlocutore e balzò senza sforzo sul galeone, quasi levitando, grondando gocce d’acqua trasparente dalle chiome bianco-celesti intrecciate e dalla pelle bronzea del petto possente.
I bracciali opalini che portava ai polsi e ai bicipiti scintillarono rari alla luce del sole, mentre avanzava in un tintinnio di conchiglie verso il giovane sovrano, trascinando con solennità lo strascico candido del chitone fradicio, che gli definiva le forme scultoree del corpo.
“Chiamala pure cosa, razza di idiota!” rimandò, abbassando gli occhi chiari sul volto esanime della ragazza che reggeva tra le braccia muscolose “Se non fosse stato per me, sarebbe annegata! Non so quant’acqua ha ingoiato, prima del mio intervento!”.
“Ma io contavo proprio sul tuo prezioso aiuto, Mana” disse Anthos, ironico.
“Chi ti credi di essere, sbarbatello!” tuonò la divinità “Il dio del Mare non è certo al tuo servizio! La mia presenza nei paraggi è stata puramente casuale! E, come al solito, ti ho pescato immerso in qualche losco intento. La puzza insopportabile di sangue che ti porti dietro si sente a miglia da qui!”.
“Ne dubito” lo rimbeccò il reggente, tutt’altro che impressionato “Tu ti sei precipitato quaggiù non appena il tuo prezioso braccialetto ha sfiorato l’acqua. Altrimenti avresti mandato qualcun altro a controllare che cosa stessi combinando in casa tua e lei sarebbe stata salva comunque. Non è vero?”.
“A questo proposito” borbottò Manawydan, sganciando delicatamente il prezioso manufatto dal polso di Adara e rinsaldandolo alla cintura decorata che gli stringeva i fianchi “Non pensavo che fossi anche un ladruncolo da strapazzo…”.
“Esagerato!” sghignazzò Anthos “Piuttosto è stato un generoso prestito. Pensavo che te ne fossi accorto in seguito al nostro amichevole duello e che avessi lasciato gentilmente correre, dato che non ne fai mai uso e che serviva più a me, come puoi constatare personalmente”.
Mentre proferiva quella sfacciata giustificazione, le sue iridi dorate e orgogliose percorsero i lineamenti della principessa, ancora priva di sensi.
“Amichevole?!” ruggì il dio “Tu mi hai provocato apposta per prenderti di soppiatto la Chiave Oceanica, sapendo che il suo potere mi avrebbe richiamato ad essa, ovunque fossi! Sono sorpreso dalla tua lungimiranza e parimenti adirato per la tua faccia tosta! Lascia che posi la sventurata donna che ha incrociato il tuo cammino e che sia la mia spada di corallo nero a spiegarti come la penso!”.
Gli occhi ambrati del principe furono attraversati da un’ombra. Tese le braccia.
“Lasciala a me” mormorò, privo di qualsiasi nota di scherno.
Manawydan esitò. Gli scoccò un’occhiata truce e indagatrice.
“E se invece la portassi via con me? Non sono certo di dover affidare una fanciulla inerme alle grinfie sleali di uno come te…”.
Anthos rise, imperturbabile.
“Sleali? Non ho ti mai mentito in vita mia… e poi non mi avevi concesso carta bianca, Mana?” rimarcò “Pensavo fossi convinto che mi sarei annientato con le mie stesse mani e che fossi in attesa di tale lieto evento. Quindi, perché ora la fai tanto lunga e ti preoccupi per una ragazzina mortale che non conosci nemmeno?”.
“So benissimo chi è!” ringhiò il dio marino “Solo non capisco il motivo di tanta premura da parte tua e la cosa non mi piace! Non dirmi che questa fanciulla è riuscita a sciogliere il blocco di ghiaccio che ti ritrovi al posto del cuore, principe dell’inverno…”.
Lo sguardo del reggente si fece di brace. Avanzò leggermente, privo di timore.
“Per fare un passo indietro e soddisfare la tua prima richiesta” rispose affilato “Se tu non me la consegnassi, coglieresti l’inopportuna occasione di vedere dal balcone di Reshkigal il tuo primogenito sul trono del mare, Mana. Perché questa volta il nostro scontro sarebbe reale e non credo che la tua spada di corallo potrebbe opporsi ai miei effettivi poteri. Perciò non costringermi a usare la forza”.
La divinità si rabbuiò, risentita per le parole sferzanti del giovane che gli stava difronte. Ma trattenne la collera smisurata e scelse di ascoltare quanto gli stava suggerendo l’intelletto. Il futuro del creato era evidentemente sul piatto della bilancia e l’ago che ne indicava la sorte oscillava pericolosamente, senza indicare la direzione precisa che avrebbe preso. Quell’ago era palesemente davanti a lui e solo uno stolto non lo avrebbe compreso.
“Inoltre, ti prego di non essere ridicolo” continuò Anthos “Lei mi interessa perché è la principessa di Elestorya. Serve per portare a compimento il mio progetto. Nient’altro”.
“Tu e la tua folle idea di opporti alla Profezia…” ringhiò Manawydan “Speravo che avessi cambiato idea, ragazzo. Ma vedo che resti cocciutamente sulla tua strada”.
Allungò, tuttavia, le braccia e depositò Adara in quelle del principe. Questi non cambiò espressione neppure quando la ragazza si mosse nella sua stretta.
“Quindi, lei sarebbe il mezzo per passare attraverso la falla che ritieni di avere individuato nel Testo Sacro?” domandò, socchiudendo gli occhi grigio-azzurri.
“Esatto”.
“Attento, principe del Nord…” lo redarguì Manawydan “La donna che credi di poter usare a tuo piacimento porta con sé il Crescente. Le cose non vanno mai esattamente come vogliamo…Credo che tu abbia già compreso che non sei l’unico impegnato nell’azzardato tentativo di piegare a proprio vantaggio la Profezia”.
“Ne sono consapevole” ribatté lui, sprezzante.
“E scorgi una spaccatura…” ripeté la divinità, più fra sé e sé che a lui.
“Hai appena detto che i fatti non scorrono a nostro piacimento o sbaglio?”
Il dio del Mare annuì, meditando sulla piega inconsueta che il corso degli eventi stava effettivamente assumendo. La collana di pietre colorate brillò sul suo petto ormai asciutto, quando si mosse per tornare tra le sue onde.
“A proposito” lo fermò il reggente “Non ti ho ancora ringraziato per lo scherzetto del cappuccio. Non avevo affatto intenzione di mostrarmi a lei, ma la tua simpatica trovata mi ha in qualche modo favorito. Si è fidata di me”.
“È stato per rammentarti che non sei l’unico capace di usare i venti che io ti ho imprestato, insolente! Lungi da me l’intenzione di esserti d’aiuto!”.
“Sei ingiusto, Mana… ti ho appena regalato una nave prestigiosa e svariati pezzi d’oro, ti ho restituito la tua impagabile Chiave e tu risulti tanto antipatico!”.
“Tsk. Tu hai appena commesso una carneficina, dannato arrogante! Poco importa se quella era una masnada di delinquenti! E stai per interferire nella vita di questa ragazza… dovrei spedirti io da Reshkigal senza esitare!”.
“Non ci riusciresti mai, te l’ho detto. E poi penso che sia parecchio impegnato con i clienti che gli ho appena procurato”.
Manawydan alzò gli occhi, spazientito, al cielo azzurro e sgombro da nubi.
“Lo sai che cosa accadrà, se sbaglierai, Anthos di Iomhar?”
“Sì. Morirò”.
“Tipico tuo pensare solo a te stesso, eh? Sostieni con odioso vanto che la principessa di Elestorya ti ha concesso la sua fiducia, pur non conoscendoti. Lo sai che avere fede in qualcuno è una forma d’amore, vero? E ciò comporta delle responsabilità. Che sono tutte tue, chiaramente, e che ritengo tu non sia in grado di assumere. A te non importa che cosa le accadrà, a giudicare dal gelido egotismo che emani da ogni singola fibra”.
“Osi forse farmi la predica?” replicò il giovane, ottenebrandosi all’istante.
“Non sono tuo padre. Mi sto solo chiedendo se la ragazza ti concederà ancora il proprio affettuoso affidamento, quando scoprirà che tu non sei Alyecc. Che non sei suo amico, non suo alleato. Che sei Anthos e che nascondi un segreto…”.
“Ora basta!” saettò il principe, emanando un’ondata di collera incontenibile, che fece tremare la Xiomar e sollevò alti spruzzi salati dal fondale del Pelopi.
Manawydan sorrise lievemente, sapendo di aver colto nel segno. Scavalcò il parapetto e scrutò i flutti, che si aprirono davanti a lui come un sentiero semovente.
“A presto, ragazzo!” disse poi con studiata cortesia.
“Vai al diavolo!”.
Il dio del Mare rise fragorosamente e si tuffò negli sconfinati abissi blu del suo regno.
 
Anthos sospirò, come se la visita sovrannaturale lo avesse infastidito più del dovuto, e distolse lo sguardo risentito dall’orizzonte placido del Pelopi.
I pirati erano spariti al suo comando con la rapidità del fulmine e Narsas giaceva immobile dove l’aveva lasciato pocanzi: nessuno aveva assistito al suo incontro con Mana e, in ogni caso, la realtà aveva prodotto una piega inavvertibile per gli esseri umani quando la divinità si era manifestata, scorrendo come al rallentatore. Un vecchio trucco usato dagli immortali per non farsi individuare da eventuali presenze indesiderate, quando si rivelavano in una parte del mondo creato.
Si inginocchiò a terra, reggendo tra le braccia la principessa, che era ancora priva di conoscenza e le scostò i capelli appiccicati al viso, adagiandola sul ponte contro la propria spalla. La sentì tremare incontenibilmente di freddo sotto i vestiti fradici e si accigliò, innervosito dal fatto che la divinità marina gli avesse fatto sprecare tempo prezioso. Non era nelle sue intenzioni consentire che lei si ammalasse.
Sganciò il passante del mantello grigio che le aveva donato giorni prima e la liberò dalla pesante stoffa, ormai zuppa di acqua gelida e rigida di sale rappreso.
Appoggiò una mano sul suo diaframma e un’onda di calore intenso e luminescente li avvolse all’istante, come un tornado, asciugandole addosso gli abiti bagnati e regalando un po’ di colore alle sue guance pallide.
“Adara…” chiamò sottovoce.
Lei si spostò impercettibilmente e prese a respirare con più regolarità, ma non riacquistò ancora piena coscienza.
Anthos la avvolse nel proprio mantello, per evitare che il tepore riguadagnato si disperdesse nuovamente nell’aria fredda dell’oceano. Richiamò il potere dall’interno del sé e replicò l’operazione, generando un’energia più lieve e continuativa. La sentì rispondere con maggiore intenzione e le strinse la mano nella sua, per accertarne le condizioni: non era più fredda ed esangue come la morte.
“Adara…” mormorò.
Lei mosse le labbra e socchiuse gli occhi, senza riuscire a metterlo a fuoco. Ma la sua voce e il suo profumo risultarono inconfondibili persino nel buio che la attorniava e che stava lentamente svanendo.
“Alyecc…” articolò in un sussurro.
Il reggente le passò la mano sulla fronte. Lo pseudonimo che aveva usato gli rimbombò nelle orecchie come un tuono, rammentandogli che non avrebbe più potuto recitare la parte del mercante straniero e che era giunto il momento di rivelarsi pienamente per ciò che era.
“Guardatemi, Adara… tornate in voi”.
“Siete… siete vivo…” disse la ragazza con sollievo “Mi avete salvata…”.
“Non io” ammise lui, intercettando il suo sguardo ancora annebbiato e affaticato.
“Alyecc…” ripeté lei, causandogli un contraccolpo imprevisto “Narsas… lui, ditemi… sta bene? Lui è…”.
“Vivo” ribatté il principe con durezza, scorgendo le lacrime luccicare sotto le sue lunghe ciglia.
“Ringrazio gli dei” sospirò lei “Per lui… e per voi…”.
Anthos ebbe un moto tragicamente divertito nell’udire quella benedizione sincera e inconsapevolmente veritiera. Aveva reso grazie anche per lui. Nessuno lo aveva mai fatto, probabilmente. Si disse che la gioia che le leggeva sul volto sarebbe durata ancora pochi istanti, fino a quando non lo avesse riconosciuto.
“Dare Yoon…?” continuò lei, sorreggendosi con sforzo alla sua casacca scura.
“Non lo so…”.
“Aiutatemi ad alzarmi, io voglio assicurarmi che lui…”.
“No, Adara. Non muovetevi”.
“Ma io non posso stare qui, mentre…”.
Il reggente del Nord la cinse con decisione, sollevandole il mento e obbligandola ad avvicinarglisi ulteriormente, attirando la sua attenzione con quel gesto che doveva risultarle insolitamente brusco. Riuscì nell’intento.
La ragazza lo fissò interdetta, mentre il suo sguardo si faceva gradualmente più limpido e consapevole. Trattenne il respiro e contrasse con forza le dita sul suo braccio, ma non si ritrasse.
Le iridi d’ambra di lui sfolgorarono impietose alla luce intensa del pomeriggio, rubando al sole il ruolo di protagonista.
“I vostri occhi…” disse lei, sfiorandogli il viso per scostare i capelli biondi che lo ombreggiavano “I vostri occhi sono…”.
Anthos era pronto a incamerare con indifferenza e per la miliardesima volta uno degli aggettivi con cui venivano solitamente definiti: agghiaccianti, terribili, spietati… o forse crudeli e algidi oppure feroci, malvagi nel profondo… inumani… mostruosi… inconfondibili… non gli sarebbe importato nulla in ogni caso.
“… così tristi…” concluse Adara in un soffio colmo di malinconia.
Lui rimase pietrificato. Evidentemente, la principessa non lo aveva riconosciuto. Forse nessuno le aveva mai raccontato di quella sua particolarità… oppure non aveva ancora del tutto recuperato la sensibilità. Non c’era altra spiegazione.
Impiegò un attimo a rispondere, mentre le parole udite gli affondavano nel petto in una scia quasi dolorosa, che si rifiutò di assimilare.
“C-cosa?” gli uscì quasi incontrollato.
Adara si mise a sedere, prendendo fiato e restituendogli il mantello con garbo.
“Voi mi avete mentito” affermò con dispiacere “Perché?”.
“Se avete inteso chi sono in realtà, avete già la vostra risposta” ribatté lui, recuperando rapidamente la disinvoltura fredda che lo contraddistingueva.
“Io desideravo incontrarvi, Anthos. Non avevate bisogno di inscenare una farsa”.
“Dipende dai punti di vista” sentenziò lui, sempre più sorpreso dalla sua reazione inaspettata “Non tutti sono in grado di apprezzare la mia compagnia. Non posso certo rischiare e, trovandomi a bordo di una nave pirata, l’essere ritenuto un semplice commerciante mi ha fornito un discreto vantaggio”.
Adara trasalì, tornando immediatamente alla situazione contingente.
“Siamo ancora sulla Xiomar!?” esclamò, stringendosi a lui e prendendolo nuovamente alla sprovvista “Oh, stelle, che cos’è accaduto? Mi stavo dimenticando di Tsambika e della Agewe e…! Voi avete…”.
“Vinto” la interruppe lui con un sogghigno scaltro “Ovviamente. Non temete, siamo al sicuro. Il controllo del galeone è mio”.
“Allora è vero” sospirò lei, quasi con sollievo, sollevando lo sguardo nel suo.
“Che cosa?”
“Che possedete doti straordinarie”.
Il giovane sorrise con l’espressione di un felino che avvista la preda.
La ragazza annuì e fu scossa da un brivido immane di freddo. O di paura. Anthos le appoggiò nuovamente il mantello sulle spalle e lei lo accettò senza discutere.
“Avanti, domandatemelo” la sfidò poi “Chiedetemi pure se li ho uccisi tutti”.
“Conosco già la risposta”.
Il principe inarcò un sopracciglio, messo a disagio da quell’atteggiamento composto e cortese. Cercò di liberarsi dalla sensazione sgradevole di insincerità che lei gli stava involontariamente procurando, aggiungendo qualche dettaglio personale.
“Non ho subito compreso che l’Amara era un inganno. Il piano originario era quello di viaggiare con voi fino a Neirstrin, per conoscervi al di là del vostro ruolo formale. Non sopporto il protocollo artefatto delle corti. Essere capitato mio malgrado su un vascello pirata ha bruscamente deviato le mie intenzioni. Mi sarei rivelato solo una volta giunti alla capitale, altrimenti”.
“Non era necessario, anche se la vostra presenza qui mi ha salvato la vita. Come principessa di Erinna, come campionessa di Elestorya o come semplice donna sono sempre così come mi vedete. Io non fingo mai, a differenza vostra”.
“Jarlath non vi consentirebbe una simile libertà” rispose lui, sinceramente colpito, pur simulando indifferenza totale.
“Davvero? Credevo che foste voi a comandare”.
Anthos sgranò gli occhi, esterrefatto. Lei era quanto di più inspiegabile gli fosse mai capitato. Non sembrava affatto spaventata in sua presenza e non gli aveva rivolto alcuna patetica richiesta relativa alla propria sorte, facilmente intuibile a prescindere dalle sue intime intenzioni. Non aveva timore di rispondergli placidamente per le rime e si mostrava sincera in ogni affermazione, persino in quelle che avrebbero potuto risultare scomode, controproducenti o offensive. Sorrise beffardo.
“Lo faccio a mio modo” rimandò ironico “Ne avrete sentito parlare, ritengo”.
“Sì. Ma preferirei costruire da sola la mia opinione su di voi. Un po’ come avete pensato di fare con me, intercettandomi in incognito lungo la strada. Perciò da una parte vi comprendo. Dall’altra, invece, gradirei porvi una domanda”.
“Quale?”.
“Quanto di Alyecc c’è in voi, Anthos?”.
Il giovane esitò, pur aspettandosi prima o poi una questione del genere. Dopotutto, aveva abilmente recitato una parte comprensiva di momenti non programmati. Non avrebbe mai creduto, tuttavia, di provare tanta difficoltà nel rispondere correttamente. E non si sarebbe mai aspettato di volerlo fare per qualche recondito motivo. Scacciò quei pensieri fastidiosi e assurdi.
“Nulla” sentenziò freddo “Alyecc non esiste”.
“Capisco”.
“Sembra che vi dispiaccia”.
“Immensamente” ammise Adara, con gli occhi lucidi di nostalgia e commozione.
Il reggente rimase incolore e si rialzò, aiutandola a mettersi in piedi. Cercò un qualsiasi spunto per allontanare da sé l’attenzione di lei e per recuperare il dominio delle proprie sensazioni inconsultamente vaganti.
Era pronto a fronteggiare il terrore e la resilienza altrui. Non quell’insolita gentilezza.
“Il vostro amico si sta riprendendo” disse, indicando l’arciere Aethalas, che si stava faticosamente sollevando da terra dopo l’urto subito.
“Narsas!” gridò lei, realizzando solo in quel momento la sua presenza.
Corse verso di lui prima che Anthos riuscisse a fermarla e gli si inginocchiò accanto, abbracciandolo con impeto e felicità incontenibili.
“Adara…” sussurrò il ragazzo, ricambiando la stretta con veemenza, ricacciando le lacrime di gioia nel profondo e accarezzandole i capelli ancora umidi “Adara, sei viva… dimmi che non sei una visione dettata dal mio desiderio di riaverti…”.
“Le mani!” ansimò lei a sua volta, toccandolo come se non fosse reale “Mostrami le mani e giurami che non ti hanno fatto del male!”.
L’arciere sollevò le dita e le accarezzò dolcemente il viso, a garanzia di salute fisica e mentale. Socchiuse gli occhi e si approssimò, sfiorandole la fronte con un bacio, imponendosi di smettere di desiderare così tanto le sue labbra, perché si era giurato di non cedere più ai sentimenti. Sebbene respirasse ancora, lo faceva senza sapere per quanto.
“Chi ti ha tirato fuori dal mare?” domandò angosciato.
Era terribilmente certo dell’identità del soccorritore. Certo che fosse stato lui. Che avesse un fine personale. Che avrebbe chiesto qualcosa di inestimabile in cambio.
“Non lo so…Non ricordo…” rispose la ragazza commossa, appoggiandosi alla sua spalla “Oh, stelle, sei ferito! Stai sanguinando!”.
“Sto bene, ma come…”.
Lei sciolse la fascia che le circondava la vita e ne stracciò una spessa fettuccia, avvolgendola poi con foga intorno al bicipite del ragazzo, senza lasciarlo parlare. Strinse così forte da strappargli un gemito soffocato.
“L’oceano non ha diritto di pretendere il sacrificio di un’esistenza tanto preziosa” affermò Anthos, fissandoli dall’alto in basso a braccia conserte.
Si era avvicinato senza che loro se ne fossero accorti, mentre erano impegnati in quell’abbraccio carico di sollievo, che aveva escluso il mondo circostante: sul suo volto affascinante c’era un’espressione imbronciata e severa.
“Non avvicinatevi a lei!” intimò Narsas, ponendosi davanti alla principessa.
“Placa i tuoi timori, arciere!” sbuffò il reggente “E’ stata con me fino a un attimo fa e come puoi vedere non le è stato torto un capello”.
“Dichiarate le vostre intenzioni, principe del Nord! Siamo vostri prigionieri?”.
Lui rise, sciogliendo le braccia dal petto. Il Medaglione brillò di tre sfumature di luce azzurrata, ondeggiando nell’incavo della sua scollatura.
“Beh… non la metterei proprio su questo piano” asserì.
Adara fissò il gioiello pendente con ammirazione. Le Pietre erano identiche a quelle del Diadema del Sud, eccezion fatta per i colori e per l’oro bianco in cui erano incastonate. Anthos captò il suo sguardo e prese il manufatto nel palmo della mano, porgendoglielo con cavalleria.
“Volete prenderlo?” domandò sarcastico “E’ caldo come il mio cuore”.
“State indietro!” minacciò l’arciere furioso, sguainando il pugnale ricurvo.
“No, Narsas! Non sfidarlo, ti supplico!” pregò la ragazza, angosciata “È vero, non mi ha fatto del male! Ha solo impedito che morissi di freddo!”.
“Non permetterò che ti tocchi!” ribadì il guerriero del deserto “Ho visto che cos’è in grado di compiere… ha preferito fare a pezzi gli uomini di Tsambika, piuttosto che affrettarsi a prestarti soccorso! Li ha dati in pasto ai suoi lupi uno dopo l’altro, senza battere ciglio! È riuscito ad affondare l’Agewe con un dito! Possiede solo l’aspetto di un essere umano… l’anima è quella di un demonio! O forse peggiore!”.
“Lupi?” esalò Adara intimorita, guardandosi intorno.
La Xiomar appariva vuota e silenziosa, ma aveva spiegato le sue vele rosse e si era mossa. Karadocc si stava gradualmente rimpicciolendo all’orizzonte.
“Pensi di essere migliore di me per permetterti di parlarmi così, ragazzino?” obiettò il principe, tra l’annoiato e l’irritato.
Sollevò pollice e indice divaricati e Narsas sussultò, mollando la presa sull’arma, che era diventata incandescente. Il pugnale cadde a terra con un tonfo, producendo un alone nerastro e bruciacchiato sul legno del ponte.
La principessa osservò con angoscia il sottile filo di fumo che saliva dal metallo rovente e la mano arrossata dell’arciere. Se avesse voluto, Anthos avrebbe potuto imporgli la stessa sorte, ma aveva scelto di limitarsi ad un avvertimento.
Il Crescente era immobile e quieto, come se davanti a lei non ci fosse la belva disumana di cui tutti parlavano con immane terrore.
“Ti prego, Narsas” sussurrò “Non provocarlo… Sarebbe inutile opporsi al suo potere e io non voglio che tu ti metta ulteriormente a rischio. Non abbiamo scelta e per giunta siamo in mezzo al mare, senza via di scampo. Desidero sapere che cosa intende fare di noi e perché ha salvato sia me sia te…”.
“Non hai ancora capito, Adara?” mormorò l’arciere, ansimando spossato, continuando tuttavia a proteggerla con il proprio corpo “Lui vuole te! Tutto il resto, per lui, non ha significato!”.
“Ottima deduzione” commentò il reggente con un sogghigno “Però amerei anche sapere se la tua ostilità è dettata dal senso del dovere o dalla gelosia pura”.
Narsas iniziò a fremere di rabbia, ma riuscì a riprendere l’autocontrollo nel percepire le mani della principessa che lo frenavano, trattenendolo saldamente per i vestiti.
“Che cosa vi aspettate da me, Anthos?” domandò lei “Sapete già che vi seguirò a Jarlath e che ho portato con me la Profezia custodita dal Sud. Suppongo che l’abbiate sottratta a Tsambika e che sia ormai in vostro possesso, dunque siete in grado di accedervi liberamente, quali che siano le vostre intenzioni. Non mi avete uccisa, anzi, mi avete salvaguardata in più di un’occasione su questa nave. Desiderate forse ricattare Elestorya prendendomi in ostaggio?”
Il giovane sovrano ascoltò la richiesta con attenzione e scosse il capo.
“Avete molto intuito e poca fantasia…” rispose sarcastico “Il Testo è al sicuro, ma non intendo tenermelo. Lo confronterò con il mio, soltanto perché non apprezzo le sorprese… non vi terrò all’oscuro, se vi interessano le pagine conservate al mio palazzo. Dubito che dal raffronto che vi hanno chiesto di condurre possa uscire qualcosa di diverso dal cumulo di sciocchezze che tutti conosciamo a menadito. Comunque, a vostra discrezione comunicare a chi di dovere il risultato”.
Adara spalancò gli occhi nell’udire un tale disprezzo nei confronti della Profezia. Proprio ora che si era quasi convinta della sua fondatezza e dell’assoluta necessità di ottenere l’aiuto del reggente di Iomhar per scongiurare la fine.
“Quanto all’idea del ricatto” proseguì lui con un moto divertito “Potrebbe essere valida, se io fossi come i pirati che ho restituito al mare. Siete fuori strada”.
“Ma allora… allora che cosa desiderate da me?”.
Lo sguardo di Anthos divenne intenso e adamantino. Si scostò dal viso i capelli biondi, fluttuanti a causa della brezza di navigazione e le piantò addosso quelle iridi dorate e gelide che non promettevano rifugio alcuno.
Il silenzio sarebbe stato innaturale, se non si fosse udito in sottofondo il ritmico cigolio dei tiranti di rida e lo schiocco leggero delle griselle legate alle sartie. I mantigli tesi del pennone di maestra facevano eco alle drizze, intonando all’oceano un lamento antico quanto il cosmo.
“La vostra mano” rispose.
La principessa avvertì che Narsas si irrigidiva all’istante, ribollendo di sdegno.
“C-come?” domandò, incredula.
Il reggente sorrise accondiscendente, privo tuttavia di qualsiasi calore.
“Vi sto domandando in sposa” riaffermò con durezza “Accettate la mia proposta?”.
Adara percepì il Crescente sussultare.
Qualcosa nell’aria vibrò, facendole serpeggiare un brivido lungo la spina dorsale.
   
 
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