Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ode To Joy    18/09/2019    3 recensioni
[Erwin x Levi]
[Kenny x Uri] [Jean x Eren]
”L’Umanità si divide in due categorie: quelli che vogliono cambiare il mondo e quelli con il potere di farlo.”
Paradis, 850.
Il Muro Maria è stato riconquistato ma a caro prezzo: solo otto soldati hanno fatto ritorno da Shiganshina.
Levi ed Eren non sono tra loro.
Erwin è sopravvissuto a costo della sua umanità e non si ritiene più degno di guidare le Ali della Libertà.
Marley.
Prigioniero sotto la custodia di Zeke Jeager, Levi cerca di tenere in vita se stesso ed Eren con la certezza che Erwin sia morto e che nessuno stia venendo a salvarli. Manipolare il fratello minore per renderlo suo complice, però, è solo una parte del piano di Zeke.
“Ora hai sia la volontà che il potere. Smettila di piangerti addosso, vinci questa guerra e riprenditi ciò che è tuo.”
Mytras, 819.
Catturato dopo aver cercato di uccidere il re, a Kenny Ackerman viene risparmiata la vita e promessa la libertà in cambio di qualcosa che lo legherà a doppio filo al principe Uri Reiss.
[Canon-Divergence] [Omegaverse]
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Jean Kirshtein, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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3
Erwin





Prima delle strategie militari, degli intrighi politici e delle teorie su cosa si nascondesse all’orizzonte, dietro le mura, Erwin Smith si perdeva in qualche sogno a occhi aperti di tanto in tanto.

A quindici anni, il suo amico Nile Dawk lo prendeva in giro sul fatto che fosse nato vecchio perché non era bravo a divertirsi. Non era così.

Erwin si esaltava per cose che non interessavano alla maggior parte dei suoi coetanei e la caparbietà con cui voleva entrare nella Legione Esplorativa era quasi fastidiosa. Che un ragazzino tanto intelligente da poter fare qualsiasi cosa nella vita altro non desiderasse che scendere all’inferno, andava oltre ogni legge del buon senso. 

Questo, però, non gli impedì di avere quindici anni - o di provarci. Con il lusso di un’ingenuità a cui avrebbe detto addio insieme alla sua fanciullezza, Erwin ci provò a essere come tutti gli altri. La figlia del padrone della locanda - Marie - aveva i capelli d’oro e gli occhi grandi. Era bella, era gentile, era tutto quello che era normale piacesse ai ragazzi della sua età.

Erwin non dovette sforzarsi con Marie. Non fu lui a guardarla, ma lei a osservarlo fino a che non si decise a rispondere al suo sguardo. Bastò che Erwin dicesse per averla tutta per sé. Lo fece senza pensare, perché aveva quindici anni e Marie aveva una bella bocca e profumava di buono.

Nile lo odiò, ma era stata Marie a scegliere.

Aveva scelto male.

Erwin perse interesse per lei ancor prima di vedere i suoi compagni di addestramento venir divorati dai Titani. Si sentì in colpa, si sentì sbagliato perché Marie era perfetta... Ma non per lui.

Non fu un codardo, glielo disse che non poteva stare con lei. No, non poteva: non l’amava, non gli bastava. Non era Marie quella da biasimare, ma lui. Quello fu anche il giorno in cui Nile smise di essere suo amico - anche se fu per il dolore che Erwin causò a Marie che lei divenne sua moglie.

La fanciullezza di Erwin Smith finì prima dei vent’anni, quando si rese conto che se all’interno delle mura c’era un’oscurità in grado di uccidere, fuori da esse si trovava l’inferno. Ed Erwin sapeva che su quella strada sarebbe rimasto da solo.

Il suo sogno era la sua maledizione ma lasciarlo andare avrebbe significato uccidere due volte suo padre.

La Legione Esplorativa gli diede delle persone - Hanji, Mike - che ebbero il potere di farlo sentire al suo posto per la prima volta da quando era rimasto orfano. Erwin decise che gli bastava, che non gli serviva altro, che l’inferno non si poteva cambiare ma era meno spaventoso se affrontato con dei compagni.

Poi arrivò Levi…



”Dove hai imparato a leggere?”

Uno sguardo offeso.

“Secondo il tuo metro di misura o uno è un damerino del cazzo o è un’analfabeta?” 

Si sentì un idiota, un superficiale e un presuntuoso. Nessuno dei suoi superiori aveva mai avuto il potere di spingerlo a mettersi in discussione con poche parole.

“Non volevo mancarti di rispetto.”

“Fai silenzio, idiota. Sto leggendo.”

Gli aveva dato il cielo e aveva ottenuto il suo disprezzo.

Gli aveva dato un motivo per cui combattere ed era andata peggio.

La notte in cui trovò quel libro avvenne il miracolo.

“Tutto questo non è legale.” Non era una domanda.

“No.” Rispose comunque.

Lo guardò negli occhi per la prima volta da quel giorno di pioggia. “Ne hai altri?”

Quanti ne vuoi, avrebbe voluto rispondere. “Sì,” disse. Una pausa. “Vuoi vederli?”

Una scrollata di spalle. “Non sarebbe male…”




-2 mesi prima della battaglia di Shiganshina-




Quando Erwin varcò l’ingresso della prigione centrale, le urla di dolore del Capitano Ackerman lo raggiunsero fino all’atrio. Fu Nile a guidarlo alla cella sulla cima della torre - quella riservata a prigionieri politici ancora utili al governo - ma avrebbe potuto facilmente trovare la strada seguendo quella voce agonizzante.

“Non abbiamo ricevuto nessun ordine ufficiale per questo,” si lamentò Nile, precedendolo sulle scale. “È arrivato trascinandosi dietro Ackerman mezzo morto, ha ordinato a uno dei novellini di far chiamare un dottore e ha anche scelto la cella che più gli piaceva!”

Erwin annuì distrattamente. “Come sta?”

Nile lo guardò come se fosse un completo idiota. “Non lo senti?”

“Non Ackerman,” chiarì Erwin. “Levi. Come sta, Levi?”

“Abbastanza bene da essere preso a calci in culo!” 

Erwin sapeva che tra Nile e il suo Capitano non scorreva buon sangue. Nessun evento particolare aveva portato allo scatenarsi di quell’inimicizia. Il suo amico d’infanzia lo aveva giudicato uno stupido per aver portato fuori dalla Città Sotterranea un criminale e Levi lo aveva preso in antipatia di rimando.

Era già capitato che Nile si lamentasse con Erwin di Levi solo perché agiva come un essere senziente, ma introdursi alla prigione centrale e cominciare a dare ordine al posto del responsabile era su tutto un altro livello. Nile aveva le sue ragioni per volere Levi fuori di lì e, suo malgrado, Erwin non poteva dargli torto.

Le azioni di Levi non erano state completamente dettate dall’impulso: aveva consegnato Kenny Ackerman alla giustizia prima di cercare aiuto e questo lo salvava da qualsiasi accusa di complicità con i traditori. Tuttavia, rinchiudendolo come prigioniero politico, Levi aveva avuto l’impertinenza di fare da giudice a un uomo che per quel che sapevano si era macchiato d’innumerevoli crimini.

“Io lì dentro non ci vado!” Esclamò Nile, fermandosi sull’ultimo gradino. “Porta il culo del  tuo Capitano fuori da quella cella e assicurati che impari la lezione!” Non rimase per guardare.” Concluse, facendo la strada a ritroso e lasciando l’amico d’infanzia sul pianerottolo da solo.

Erwin non lo giudicò. Vedere un uomo soffrire in quel modo era un po’ come guardare in faccia l’inferno, nulla a cui un Comandante della Legione Esplorativa non fosse abituato.

Quando aprì la porta della cella, infatti, non fu il dolore atroce che stava sopportando il Capitano Ackerman a turbarlo ma quello impresso sul viso di Levi. Non si accorse nemmeno del suo arrivo, ma il dottore sì. “Comandante,” sembrava sollevato di vederlo lì. “La prego, aiuti il Capitano a tenere fermo il prigioniero. Non riesco a finire di medicare la ferita se continua a dimenarsi.”

Erwin si mosse in fretta, seguendo un istinto che aveva fatto suo in anni e anni di missioni fuori dalle Mura. Il fianco destro di Kenny Ackerman era letteralmente ridotto a brandelli e una grave ustione ricopriva il suo volto dallo stesso lato, raggiungendo la spalla. Levi stava premendo con tutto il peso del suo corpo sul lato sano.

I loro sguardi s’incrociarono lì, sopra quel letto sporco di sangue. Erwin fu attento a non tradire alcun turbamento ma l’ultima volta che aveva visto Levi tanto sconvolto era stato anni prima, quando aveva assistito alla morte dei suoi compagni per la prima volta. 

Erwin vide le sue labbra muoversi e pronunciare il suo nome ma la voce del Capitano non raggiunse mai le sue orecchie. Fece tutto quello che il suo unico braccio gli permetteva di fare. Per loro fortuna, fu sufficiente. 

Non appena il medico ebbe finito di fasciargli l’addome, Kenny Ackerman si fece immobile ma non aveva ancora perso i sensi. Erwin riuscì a spiegarsi tanta resistenza solo ricordandosi che quello era l’uomo che aveva cresciuto Levi.

“Qui non c’è più niente che io possa fare,” disse il dottore, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Non ci resta che aspettare.”

“Quante speranza ha di sopravvivere?” Domandò Levi, le dita ancora strette intorno al braccio di Kenny.

“Difficile dirlo, Capitano,” rispose il medico. “Mi sorprende che sia ancora vivo nello stato in cui è ridotto.”

Levi annuì, ringraziò il medico e gli diede il permesso di andare. Quando la porta si richiuse, Erwin si aspettò qualcosa: una spiegazione da parte del suo Capitano sul perché aveva agito in quel modo. Non ottenne nulla.

Levi portò gli occhi sul viso sofferente di Kenny e si comportò come se lui non fosse nemmeno lì.

“Non hai il permesso di stare qui,” disse Erwin, forse troppo freddamente per le circostanze. 

Nemmeno allora il suo Capitano sollevò gli occhi sui suoi. “Lo so…”

“Quest’uomo deve essere processato e condannato per i suoi crimini.”

Quest’uomo era vicino alla famiglia Reiss più di chiunque altro,” replicò Levi e i suoi occhi di ghiaccio trapassarono il Comandante da parte a parte. “Se vogliamo delle risposte, ci è più utile da vivo che da morto.”

“Se scavalchiamo Historia, non ci dimostreremo migliori del governo che abbiamo appena rovesciato.”

“Lei non ce lo negherà.”

“Levi, non-“

“E non tirare fuori discorsi onorevoli del cazzo, Erwin!” Lo interruppe Levi, esasperato. “L’hai voluta sul trono solo perché era la soluzione più comoda per tutti noi, non perché fosse giusto farlo!”

Erwin si fece indietro, come se una forza invisibile lo avesse colpito. A dispetto di quello che poteva sembrare, non era una novità che perdessero la calma tra di loro. Erano due esseri umani che condividevano la maggior parte del loro tempo e non era improbabile che entrambi fossero di malumore nello stesso giorno. Tuttavia, la rabbia che Levi gli aveva sputato addosso non era figlia dell’irritazione del momento. Gli stava dicendo di farsi da parte, che quella questione non lo riguardava e che se gli piaceva ficcare il naso in faccende di stato, poteva tornare al quartier generale e cominciare a manovrare il nuovo governo ripetendosi che era la cosa giusta da fare.

Erwin non avrebbe dovuto prenderla sul personale, sapeva che la situazione era particolare e che l’uomo che giaceva agonizzante su quel letto non era solo un criminale per Levi. Erwin poteva aver postato la sua stessa vita sul tavolo delle scommesse, ma non aveva idea di cosa avesse significato per il suo Capitano quella rivoluzione. Ritrovare l’uomo che lo aveva cresciuto, ingaggiare in uno scontro mortale contro di lui non doveva essere stato facile per Levi.

Non ne avevano parlato, non ce ne era stato il tempo e ora Erwin si sentiva tagliato fuori dai pensieri di Levi come se fosse uno dei tanti soldati della Legione Esplorativa.

Se Levi si pentì di avergli parlato in quel modo, non fece nulla per dimostrarglielo. Cambiò discorso. “Devo darti una cosa,” disse e lasciò andare il braccio di Kenny. Questi si mosse di colpo e gli afferrò la mano, aggrappandosi febbrilmente. Lo fece con tanta forza che il Capitano fu tirato in avanti ed Erwin si mosse sul lato opposto del letto per paura che gli stesse facendo male.

“Perdonami…” L’unico occhio sano di Kenny Ackerman era fisso sul viso di Levi ma non era lui che stava vedendo. “Perdonami, Uri…”

Il Capitano non aveva idea di chi fosse Uri, Erwin glielo lesse in faccia. 

“Di che diavolo stai parlando, idiota?” Levi afferrò il polso dell’uomo agonizzante ma ottenne solo di farsi stringere con più forza. Erwin intervenne facendo pressione sulla spalla sana di Ackerman.

“Lasciatelo andare, Capitano,” disse, fermo.

Levi lo guardò storto, ordinandogli in silenzio di farsi da parte. A Erwin sembrava di essere tornato indietro di anni, a quando ogni suo tentativo di avvicinarsi al prodigio che aveva scoperto nella Città Sotterranea si concludeva con uno sguardo sprezzante da parte di quest’ultimo e un: “faccio da solo!”

Kenny non diede segno di aver udito le parole del giovane Comandante. “Perdonami,” andò avanti nel suo delirio. “Potevo salvarti, Uri… Potevo…”

La stretta sulla mano del giovane Capitano si fece ferrea e Levi lasciò andare un gemito.

“Ti sta rompendo le dita!” Erwin non esitò ad afferrare il polso dell’uomo ferito ma servì a poco.

“Perdonami…” Il respiro di Kenny era affaticato. “Ti prego, perdonami…”

“Ti perdono!” Esclamò Levi, cercando di tirare via la mano. “Ti perdono, maledetto bastardo!”

L’unico occhio del Capitano Ackerman si animò di nuova luce e guardò il giovane come se si fosse accorto solo in quel momento che era lì. “Levi?” Perse i sensi subito dopo e la sua mano ricadde sul letto a peso morto. 

Erwin lasciò andare il polso dell’uomo per afferrare quello del suo Capitano. “Riesci a muovere le dita?” Si premurò.

Levi non lo guardava neppure, gli occhi fissi sul prigioniero ora immobile, come morto. “Kenny?” Gli afferrò il braccio e lo scosse. “Kenny!”

“È ancora vivo,” intervenne Erwin, osservando il petto del Capitano Ackerman che si alzava e abbassava lentamente. 

Levi rilassò le spalle ma quell’espressione sconvolta sul suo viso non se ne andò. Erwin prese un respiro profondo. “Torna al quartier generale. Riposati. Hanji penserà ai ragazzi. Non devi fare nulla fino a nuovo ordine.”

Levi chiuse gli occhi, si umettò le labbra e si ricompose. Quando scosse la testa, era tornato se stesso. “Vai tu. Io resto qui.”

“Levi-“

“È ridotto uno schifo, potrebbe morire durante la notte o avere un’altra crisi. Io resto qui.”

Erwin comprese che era inutile insistere e che ordinare a Levi di andarsene sarebbe servito solo a fargli guadagnare il suo rancore. Acettò la sua decisione con un cenno del capo. “Tornerò domani mattina,” disse. “Se hai bisogno di qualcosa, fammi chiamare.” Quello era un imperativo su cui non aveva alcuna intenzione di trattare.

Levi non gli rispose. Sfilò una scatola di metallo dalla sua cintura e gliela premette contro il petto. “Fanne quello che vuoi,” disse. “Non voglio saperne niente.”

“Che cos’è?” 

“L’ultima volontà di questo bastardo e io non la voglio.”



Solo una volta fuori dalla prigione centrale, Erwin sollevò il coperchio e vide la siringa con all’interno il siero dei Reiss.



Quella notte, nessuno dei cadetti della prigione centrale venne al quartier generale della Legione Esplorativa chiedendo del Comandante. Levi non lo cercò e il governo non chiese spiegazioni per la situazione di Kenny Ackerman.

I ragazzi non nascosero la sorpresa nel vedere tornare Erwin da solo, senza il loro Capitano ma solo Hanji si permise di chiedere qualcosa. Il Comandante le diede una spiegazione sommaria, cercando di nascondere la tensione che sentiva all’altezza dello stomaco. Lei se ne accorse ma fu abbastanza magnanima da non indagare.

“Penso io ai ragazzi, vai a riposare,” gli concesse.

Erwin non chiuse occhio fino al sorgere del sole. Non parlò a nessuno del siero che Kenny Ackerman aveva consegnato a Levi, decise di concedere al suo Capitano ancora un po’ di tempo.



Levi non tornò al quartier generale né il giorno seguente, né quello successivo.

Il terzo, Erwin si diresse da solo al palazzo reale e decise di parlare direttamente con Historia della situazione. Come Levi aveva predetto, lei non gli negò niente.

“Quell’uomo è la sua famiglia, vero?” Chiese conferma la giovanissima Regina.

“È l’unico parente che ha,” disse Erwin, sebbene sapesse che nemmeno Levi era certo se vi fosse o meno un legame di sangue tra lui e il Capitano Ackerman.

Historia abbassò lo sguardo e annuì, comprensiva. “Mi fido di lui,” concluse. “Ha la libertà di agire come ritiene più giusto.”

Erwin s’inchinò con rispetto e tolse il disturbo. Se lei non aveva intenzione d’intervenire, non c’era niente che lui potesse fare. 

Non come Comandante.



“Che cosa ci fai qui?” Domandò Levi con sincera sorpresa.

Erwin scrollò le spalle come se fosse ancora un adolescente che seguiva l’istinto e non si chiedeva il perché delle sue stesse azioni. “Volevo vedere come stavi.”

“Nel cuore della notte, Erwin?” Il Capitano sedeva accanto al prigioniero privo di sensi. Sotto la finestra, posata al centro della scrivania polverosa, la luce fioca di una singola candela faceva quel che poteva per combattere le tenebre della cella.

Erano passati cinque albe dalla cattura di Kenny Ackerman ed Erwin non aveva avuto intenzione di aspettarne una sesta. Notò che Levi non aveva gli stessi vestiti dell’ultima volta che si erano visti. “Sei tornato al quartier generale mentre non c’ero?”

Levi scosse la testa. “La Quattrocchi. È passata un paio di giorni fa a valutare la situazione.”

Erwin inarcò le sopracciglia. “Hanji non mi ha detto nulla.”

“Non è stata una visita formale.”

“Avrebbe dovuto dirmi qualcosa.”

“Da quando Hanji ha bisogno d’informarti se ha voglia di vedermi?”

Erwin strinse le labbra e, sapendo di essere in torto, non replicò. Quando Hanji gli aveva chiesto di Levi, non aveva ottenuto una risposta soddisfacente e lei aveva ben pensato di andare a controllare di persona. Tipico della loro Capo Squadra. Erwin la conosceva da quando erano poco più che bambini, ma Levi era il suo favorito. 

“Come sta?” Cambiò discorso il Comandante, lanciando un’occhiata alla figura immobile sul letto. La parte ustionata del viso si era sgonfiata ma le cicatrici sarebbero rimaste per sempre.

“L’occhio non è andato,” rispose Levi. “Oggi è riuscito a essere lucido a fasi alterne. La febbre è scesa. Il dottore dice che se riuscirà a passare questa notte senza crisi, potremo considerarlo fuori pericolo.”

Erwin registrò quelle informazioni annuendo distrattamente, ma fu il viso di Levi quello che osservò con attenzione per tutto il tempo. Si decise a esaurire la distanza tra loro e posò la mano sulla nuca del suo Capitano.

Gli occhi di ghiaccio di Levi trovarono immediatamente i suoi. Quando la luce era così poca, assumevano una sfumatura blu ancor più intensa dei suoi. “Ne sono lieto,” disse Erwin.

“Che questo pezzo di merda sia vivo?”

“Che tu sia più sereno,” chiarì il Comandante, muovendo appena le dita contro i capelli corvini. Avvertì nitidamente la tensione di Levi scemare sotto la sua mano e notò le sue palpebre farsi più pesanti dopo ogni carezza. Quando si ritrovò con la tempia appoggiata al ventre dell’altro, Levi si ridestò di scatto e allontanò da sé la mano del Comandante. “Erwin…” Mormorò, irritato.

Il Comandante sorrise, paziente. “Da quanto tempo non dormi?”

“Dormo quanto basta.”

“In questo posto?”

Levi scrollò le spalle. “Qui c’è solo lui con i suoi incubi,” disse. “A casa c’è Eren che urla a fasi alterne contro Jean o Mikasa, la Quattrocchi che fa la Quattrocchi e tu che pretendi attenzioni quando tutti gli altri sono andati a dormire.”

Pretendo attenzioni…” Ripeté Erwin, divertito. 

Levi appoggiò la nuca allo schienale della sedia in un invito che solo il Comandante poteva interpretare. Erwin aveva aspettato quel bacio per giorni e Kenny Ackerman aveva rimandando il momento anche troppo. “Torna a casa con me questa notte,” disse, facendo aderire il palmo alla guancia fredda di Levi. “Anche tu hai il diritto di riprendere fiato.”

Levi gli afferrò il polso e si fece indietro. “Non questa notte,” disse. “Voglio assicurarmi che questo bastardo non sfugga alle sue responsabilità.”

Erwin sapeva che insistere sarebbe stato inutile. “Un giorno, poi prenderò il tuo posto e tu andrai a casa a riposare.”

Levi annuì, le dita ancora salde sul polso di Erwin.

“È accaduto qualcosa?” Domandò il Comandante.

“Ha detto di essere il fratello di mia madre,” disse Levi, si riferiva al Capitano Ackerman.

Erwin lanciò un’occhiata veloce al prigioniero. Se fosse morto senza concedere a Levi nemmeno quella verità, il quieto tormento che si portava dentro fin dall’infanzia non sarebbe mai finito. Erwin, però, non era tanto ingenuo da credere che il capitolo più difficile della vita di Levi si potesse chiudere così.

“Come stai?” Domandò con premura.

“Non lo so,” ammise il Capitano. “Sapevo che l’amava. L’ho sempre saputo, ma ho frainteso il modo e il motivo.”

“Sei deluso?”

Levi scosse la testa. “Era peggio non sapere.”

Uno sguardo ed Erwin seppe che nessuno dei due avrebbe chiuso occhio quella notte. C’era un’altra sedia accanto alla scrivania, la prese e la spostò vicino a quella del Capitano.

“Che cosa fai?” Domandò Levi.

“Resto qui con te,” rispose Erwin con un sorriso gentile dei suoi.

Levi alzò gli occhi al cielo. “Non sono un bambino che ha paura del buio, Erwin.”

“Forse ne ho paura io. Ho rischiato l’impiccagione, avere incubi è di prassi.”

Gli occhi di ghiaccio lo guardarono storto. “Mi prendi per il culo?”

Erwin ridacchiò. “Sì.” Si accomodò accanto al suo Capitano. “Voglio restare qui con te. Abbiamo parecchie cose di cui parlare e abbiamo perso già abbastanza tempo.”

L’angolo destro della bocca di Levi si sollevò appena ma solo chi lo conosceva bene lo avrebbe notato. 

Parlarono fino al sorgere del sole.



-2 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




La prima volta che Erwin e Levi rimasero da soli fu per caso, in occasione di qualche ricorrenza per cui tutto il quartier generale si svuotò. Era inverno. Levi vide la neve per la prima volta ed Erwin scoprì il giorno del suo compleanno.

La seconda volta, fu perché lo desideravano. Accadde prima di tutto, anche del Comandante e del suo Capitano. Levi lo avrebbe seguito ovunque volesse ed Erwin scelse la casa della sua infanzia. Vi restarono nove giorni e vi vissero come se fosse loro

Col senno di poi, Erwin avrebbe etichettato quei momenti con Levi come gli ultimi frammenti di spensieratezza della sua giovinezza.

Levi era sempre il primo a svegliarsi. Sempre. E quando non aveva fretta, Erwin lo sorprendeva a guardarlo, con le dita tra i suoi capelli o intento esaminare una parte del suo corpo che aveva attirato la sua attenzione. Quella mattina era la linea del suo naso che disegnava e ridisegnava con la punta dell’indice.

Erwin sorrise, gli occhi ancora chiusi. “A cosa stai pensando?” 

Nulla di lusinghiero, lo sapeva.

“Quelle che ti muoiono dietro come gatte in calore ti hanno mai guardato di profilo?” Domandò Levi, continuando la sua ispezione, per nulla disturbato dall’essere stato sorpreso. 

Erwin ridacchiò, ancora intontito dal sonno. Aprì gli occhi e lo trovò accanto a sé, seduto a gambe incrociate tra le lenzuola in disordine. “Che ore sono?” La camera era inondata dalla luce dorata del sole.

“Troppo tardi per essere nel letto di un amante clandestino,” replicò Levi.

Erwin piegò un braccio dietro la testa. “Chi lo ha detto che sei un amante clandestino?” Domandò, portando la mano destra sul fianco scoperto dell’altro per sottolineare un concetto già chiarito a fatti.

Levi scrollò le spalle. “Tu quante volte sei stato un amante clandestino?”

Eccolo che provava di nuovo a fargli dire qualcosa che non voleva chiedere direttamente per troppo orgoglio. Erwin chiuse di nuovo gli occhi, ridendo stancamente. “Vuoi sapere con quante persone sono stato a letto?”

Levi si spostò e quando Erwin sentì il peso del suo corpo su di lui, sorrise ancor di più. “Voglio sapere se posso fidarmi di te,” replicò quella creatura unica dai capelli corvini. “Sai cosa dicono le donne di te quando pensano che nessuno le ascolti?”

Erwin sollevò di nuovo le palpebre. Levi lo fissava come se volesse pugnalarlo al cuore e non sapeva come dirgli che c’era già riuscito. 

“Non m’interessa,” rispose. “Io guardo e ascolto solo te.”

Aveva vinto al primo colpo: una fortuna che con Levi non gli sarebbe capitata spesso. Tuttavia, non si poteva convincere una creatura orgogliosa come quella a fare le fusa con una smanceria. Levi si spostò da lui e fece per scivolare giù dal letto. Erwin lo afferrò per un braccio prima che potesse riuscirci. “Dove vai?” Tirò. 

Levi perse l’equilibrio e ricadde tra le lenzuola. “Cosa vuoi, stronzo?”

Erwin si sollevò su di un gomito e prese a passare la punta delle dita sul grembo dell’altro. “Facciamo l’amore e poi dici che non ti fidi di me? Potresti ferirmi…”

“È una colpa con cui posso vivere.”

Erwin sorrise, tirando indietro i capelli corvini con una carezza. Levi chiuse gli occhi, lasciò andare un sospiro e si rilassò di nuovo, accanto a lui. Lo guardò. “Pensi che ti permetterei di toccarmi se non mi fidassi di te?”

Glielo aveva detto anche prima, mentre facevano l’amore. ”Mi fido di te,” aveva mormorato contro la sua bocca ed era stato più potente di un ti amo.

Erwin gli prese la mano, se la portò alle labbra. 

”Grazie, Levi.”



La luce dorata del sole sparì lasciando il posto a un cielo scuro, trapunto di stelle.

Era in ginocchio su di un terreno sabbioso. Non conosceva quel luogo, eppure gli era familiare. 

Udì un rumore di passi.

Si voltò.

Un giovane uomo dai lunghi capelli scuri lo guardava dall’alto come se lo conoscesse, ma lui non aveva idea di chi fosse. Solo il colore dei suoi occhi gli ricordava qualcuno, ma non sapeva chi.

“Che cosa ci fai qui?” Domandò.

Non aveva una risposta da dargli.



E si svegliò.



Erwin riprese i sensi con la sensazione che il proprio corpo stesse andando a fuoco. Spalancò gli occhi e prese a ingoiare aria come se lo avessero costretto sott’acqua fino a farlo quasi annegare. Il soffitto di pietra sopra la sua testa gli era familiare ma non era quello che si aspettava di vedere. Si mosse: era su di un letto e gli abiti aderivano come una seconda pelle a causa del sudore. L’ambiente era buio, non completamente ma troppo. Non sapeva da dove arrivasse l’unica luce tremula che gli permetteva di distinguere se stesso nella semi-oscurità. Non gli importava.

Nella confusione, mosse il braccio destro, poi ricordò che non doveva essere lì.

Spostò gli occhi e vide le cinque dita della sua mano destra tremare nella penombra. Non sentiva dolore. Non avvertiva nulla di strano. Il solo dettaglio che stonava era che la cicatrice inflitta da Levi anni prima non attraversava più il palmo da parte a parte. La sua mente lo riportò indietro ma non a Shiganshina, a mesi prima, a quando si era preparato a morire per salvare Eren ed era sopravvissuto al prezzo del suo braccio dominante. Ricordava ancora il dolore, l’odore del sangue e l’adrenalina che aveva fatto pulsare il suo cuore a tanta velocità che aveva creduto sarebbe esploso.

Il tremore divenne più violento e respirare più difficile. 

Una mano emerse dal buio e afferrò la sua prima che il panico lo inghiottisse.

“Erwin…” Hanji comparve nel suo campo visivo con un occhio bendato e il viso segnato dalla stanchezza. “Va tutto bene, Erwin. Sono qui, respira. Da bravo, respira.” Si sedette sul bordo del letto e gli tirò la frangia umida all’indietro.

“Sei bollente,” commentò, allarmata. Fece per lasciargli la mano ma lui la strinse con più forza.

“Ehi, sei cosciente?” Domandò Hanji, usando la mancina per fare quello che doveva e non turbare ancor di più il Comandante. “Mi riconosci?”

Erwin annuì. “Hanji…” Chiamò debolmente.

“E bravo il mio Erwin,” disse lei, posando un panno umido sulla sua fronte.

Il respiro del Comandante si fece più regolare, il tremore scomparve e la testa smise di girare. Hanji rimase lì a tenergli la mano - quella che Levi aveva segnato con la sua lama e che un Titano si era divorato - in attesa che fosse lui a spezzare il silenzio.

“È la mia stanza,” disse Erwin. Sua e di Levi. “Siamo tornati,” aggiunse, incredulo.

Hanji gli sorrise. “Ce l’abbiamo fatta, Erwin,” disse con voce tremante, quasi stesse per piangere. “Il Muro Maria è di nuovo integro.”

Erwin dischiuse le labbra, poi le strinse per ingoiare a vuoto. “Io ero all’esterno.”

Hanji annuì. “Uno dei novellini, il suo nome è Floch, ti ha trascinato a peso morto fino a dentro i cancelli.”

Erwin abbassò lo sguardo su di sé, usò la mancina per tastarsi l’addome. 

“No, non c’è più nulla,” disse Hanji. “Floch ti aveva bendato alla male e peggio e i tuoi organi fuoriuscivano dalla ferita. Non è stato un bello spettacolo.”

“Mi dispiace…”

Hanji scosse la testa. Erwin guardò la mano destra stretta in quella di lei e mosse appena le dita, come per assicurarsi che fossero reali. 

“Chi ho divorato?” Domandò.

“Shhh…” Hanji posò un’altra carezza tra i capelli biondi, umidi di sudore. “Non ha importanza adesso.”

Erwin la guardò in faccia. “Chi ho divorato?” Ripeté.

Hanji seppe di non avere altra scelta che rispondere. “Berthold…” Rispose. “Ora hai il potere del Gigante Colossale.”

Erwin abbondò la testa sul cuscino e i suoi occhi tornarono a fissare il soffitto. “E la cantina?” 

“Ho raccolto tutto quello che c’era,” lo rassicurò Hanji. “Volevo che lo esaminassi tu ma non era sicuro restare lì. Ho preso ogni cosa e ho portato via i ragazzi. Quando starai meglio, troverai tutto nel tuo studio.”

Erwin ingoiò a vuoto una seconda volta. “Da quanto tempo siamo tornati?”

“Due giorni.”

“In quanti?” 

Il Comandante ricordava bene di aver guidato una carica di centinaia di soldati verso morte certa. Nonostante si fosse portato in prima fila, non era stato il primo a cadere. Li aveva sentiti urlare, piangere. Aveva udito i lamenti dei cavalli che finivano a pezzi sotto quella pioggia di pietra. Lui non era morto sul colpo e uno di quei soldati era tornato all’interno del Muro Maria sulle sue gambe. 

In quanti erano rimasti ad agonizzare sul campo e per quanto tempo? 

Chi aveva avuto la fortuna di rialzarsi?

“Otto…” Disse Hanji con tono grave. “Siamo tornati in otto.”

Era stato un massacro paragonabile a quello che si era consumato durante il primo tentativo di recupero del Muro Maria. 

Erwin si portò la mano di lei al petto. “Abbiamo vinto?”

Hanji annuì. “Sì, Comandante,” disse. “Questa vittoria è nostra.”

Erwin inspirò profondamente dal naso. Con la mente ora sgombra ma incapace di riflettere su quanto gli era successo, si rese conto che mancava qualcuno. “Dov’è Levi?” Domandò, lasciando andare la mano della Capo Squadra per sollevarsi a fatica sui gomiti. Chiuse gli occhi per combattere una fitta di dolore che gli attraversò tutto il corpo. “Voglio vederlo, dov’è?”

Ci sarebbe stato tempo per i rapporti, per esaminare tutto ciò che Grisha Jeager aveva lasciato indietro e per prendere consapevolezza di cosa era diventato. L’Umanità aveva vinto. La Legione Esplorativa aveva riconsegnato al popolo il Muro Maria. Erwin aveva inseguito quella vittoria per tutta la vita, ma ora aveva bisogno di fermarsi, riprendere fiato e liberarsi del fetore che la morte gli aveva lasciato addosso. Aveva bisogno di rendersi conto che era vivo anche se aveva cavalcato a testa alta incontro alla morte. Aveva bisogno di Levi, di restare da solo con lui e tornare umano tra le sue braccia - anche se la sua umanità era morta a Shiganshina.

“Hanji, per favore, chiama Levi, voglio…” Nel momento in cui Erwin incontrò lo sguardo di lei, seppe che morire agonizzando fuori dal Muro Maria non avrebbe fatto tanto male quanto quello che stava per accadere. “Hanji, dov’è Levi?” 

Hanji dischiuse le labbra, tremava da capo a piedi e ci mise un po’ per riuscire a parlare: “non è tornato.”

Erwin la fissò. “Spiegati meglio…”

“Non c’è nulla da spiegare, Erw-“

“Come è morto Levi?” Domandò il Comandante con gelida fermezza. “Questo ti sto chiedendo di spiegarmi, Hanji. Era fuori dai cancelli con me. Se è caduto, lo ha fatto insieme a me.” Erwin ingoiò aria dalla bocca, come se qualcuno gli stesse stringendo le dita intorno alla gola a poco a poco. “Ma io sono vivo. Il siero mi ha salvato. Come può Levi essere stato ucciso dal Titano Bestia se aveva-“

“Lo ha dato a me!” Esclamò Hanji, gli occhi ricolmi di lacrime. “Lo ha dato a me la notte prima che raggiungessimo Shiganshina.”

Erwin gelò. “Non mi ha detto ni-“

“Perché tu non dovevi saperlo,” spiegò Hanji e tirò su col naso. “Non so cosa è successo tra voi, ma lui… Levi ha detto che non poteva fidarsi di se stesso, che lui considerava quel siero per te ancor prima che ti accadesse qualcosa, che la sua capacità di giudizio era inquinata dal vostro legame. Io ti ho fatto l’iniezione, Erwin. Io ti ho trasformato in un Titano, non lui.”

Erwin aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Non mi ha detto niente,” ripeté. “Non si è fidato di me.”

“Smettila di prenderla così!” Hanji si alzò dal letto e si allontanò di un paio di passi. “Che cosa gli hai detto per renderlo tanto insicuro?” Domandò, voltandosi a guardarlo dall’alto in basso. “Che cosa hai fatto per farlo dubitare di te in quel modo?”

Erwin fece per mormorare un non lo so, ma l’eco dell’ultimo tentativo di Levi di tenerlo lontano dalla prima linea rimbalzò contro le pareti della sua memoria. Quel giorno non gli aveva fatto nemmeno la cortesia di fingere di credere alle sue nobili ragioni. Levi non aveva voluto sentire scuse, si era limitato a misurare la portata del suo egoismo ed Erwin lo aveva accontentato.

Il Comandante chiuse gli occhi e dovette concentrarsi molto per continuare a respirare. “E il Titano Bestia?”

Quando tornò a guardarla, Hanji lo fissava con l’unico occhio sgranato, orripilato. “Che cosa hai detto?”

“Che ne è stato del Titano Bestia?”

Nel corso degli anni, Hanji era stata arrabbiata, irritata e in disaccordo con lui in più di un’occasione ma nessuno di quegli episodi aveva messo in discussione la loro amicizia e la fiducia reciproca che li univa. Quel giorno, a quarantotto ore di distanza dalla caduta di Levi, Hanji lo odiò e non ebbe paura di dimostrarlo.

“Erwin, hai capito che cosa è successo?” Chiese con voce tremante.

Il Comandante annuì. “Rispondi e basta, Hanji.”

“Erwin, Levi è morto!”

Erwin artigliò la coperta del suo letto. “Ho bisogno di sapere che non è stato invano.”

“Invano?” Ripeté lei. “Invano? Erwin, Levi non tornerà mai più! Ce lo hanno portato via per sempre! Lo capisci questo o-“

“Ho capito!” Urlò il Comandante, esasperato. “Smettila di ripeterlo!”

Fu il turno di Hanji di gelare. Non le aveva mai parlato così. Mai. 

“Ha rapito Eren,” raccontò, senza preoccuparsi di suonare crudele. “Eren e Armin hanno abbattuto Berthold. Se Eren fosse arrivato solo un secondo più tardi, di Armin non sarebbe rimasta che cenere. Aveva i capelli e i vestiti e bruciacchiati quando li ho raggiunti. Eren era lì. Berthold era privo di sensi, poi è spuntato quella specie di Titano-Carro e un uomo con i capelli biondi lo ha portato via.”

“Un uomo?” Erwin non era certo di capire.

“Hanno salvato Reiner. Hanno rapito Eren e sono spariti oltre il Muro Maria,” concluse Hanji. “Per quel che ne sappiamo non c’erano altri Titani senzienti a Shiganshina. Quell’uomo doveva essere il Titano Bestia.”

“Hanno rapito Eren,” ripeté Erwin, incredulo.

“Entrambi sappiamo che è inutile sperare che sia ancora vivo,” aggiunse la Capo Squadra.

Erwin si prese la testa tra le mani: si sentiva come se stesse per scoppiare da un momento all’altro, non riusciva a pensare. “Levi…” Mormorò. “Eren…” Anni a inseguire quella vittoria e ora gli sembrava tanto piccola in confronto al prezzo che avevano dovuto pagare per ottenerla.

“Ci sei rimasto solo tu, Erwin,” disse Hanji, piangeva. “L’ultima speranza che abbiamo ora sei tu.”



-8 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-



”Non dovremmo usare il 3DMG per gioco. Richiedono continua manutenzione e i pezzi di ricambio pesano sul bilan-“

“Vuoi stare zitto?” Uno sguardo annoiato. “Quando hai imparato a camminare ti hanno dato poche ore al giorno per imparare a farlo?”

Non rispose. Non capiva la domanda.

“Gli uomini non sono nati per volare. Queste sono ali artificiali e l’unico modo per sentirle proprie è avere la libertà di farlo.”

Quel ragionamento non faceva una piega. Lui non ci aveva mai pensato.

“È così che hai imparato tu?” Domandò. “Per gioco?”

Scosse la testa. “Qualcuno mi ha insegnato che per sopravvivere lì sotto dovevo imparare a volare più in alto di ogni altro. Era una metafora, io l’ho fatto alla lettera.”

“E ora sei la nostra unica speranza.”

Quegli occhi di ghiaccio lo trafissero nel buio. “Non sono l’ultima speranza di nessuno.”



Erwin non disse una parola mentre la carrozza correva lungo le strade di Mytras. Se ne stava abbandonato contro lo schienale di velluto rosso, lo sguardo rivolto verso il finestrino. 

Nile lo fissava, duellando con la possibilità di spezzare il silenzio o di resistere fino al ritorno al quartier generale della Legione Esplorativa. Alla fine, optò per la prima opzione. “Erwin?” Chiamò.

L’amico d’infanzia si voltò subito ma lentamente.

“Che cosa ti ha detto Ackerman?” Domandò Nile.

Erwin non ebbe difficoltà a reggere il suo sguardo, ma erano vuoti e spettrali i suoi occhi azzurri. “Mi ha detto che ho ucciso Levi,” rispose onestamente.

Nile lasciò andare uno sbuffo. “Pezzo di merda…” Sibilò.

Erwin fissò la punta dei suoi stivali. “Ha ragione.”

“Suvvia, Erwi-“

“Ho ordinato a Levi di abbattere il nemico che lo ha ucciso,” raccontò il Comandante della Legione Esplorativa. “Alla fine è andata come doveva andare: l’ho guidato tra le braccia della morte.”

Nile rimase pietrificato, incapace di trovare qualsiasi parola che potesse essere di conforto. “Che cosa è successo laggiù, Erwin?” Conosceva già i fatti. Jean li aveva raccontati a Historia e la giovane Regina glieli aveva riferiti. Quello che voleva sapere era qualcosa di più di una semplice cronaca degli eventi.

“Non lo so,” ammise Erwin. “Ero già morto quando è accaduto tutto.”

Lo sguardo di Nile cadde sul braccio destro dell’amico e dovette voltarsi per tenere a bada un conato di vomito. “Hanji non sta bene,” cambiò discorso. “Non l’ho mai vista così. Mi ha spaventato.” Mai quanto l’uomo che gli era seduto accanto ma non lo disse.

“Me lo ha detto lei,” disse Erwin. “Quando mi sono svegliato, era al mio fianco e me lo ha detto. Penso che anche lei mi biasimi per quello che è successo a Levi.”

“Non dire assurdità, Erwin.”

“Lo amava più di chiunque altro.” Non era un segreto che Levi fosse speciale per Hanji e che lui, a modo suo, ricambiasse quel sentimento. “Era suo fratello, Nile. Ho ucciso suo fratello. Come può non odiarmi?”

Nile prese un respiro profondo, combattendo con l’istinto di buttarsi da quella carrozza anche in corsa. “Tu e lei siete tutto quello che è rimasto delle Ali della Libertà. Sono morti tutti, Erwin. I ragazzi che si sono diplomati con noi, i soldati che hanno servito sotto Shadis. Non c’è più nessuno, solo tu e lei. Hanji non è indifferente a questo, non ci credo. E… Historia, il giovane Jean, quegli altri quattro ragazzi che sono rimasti hanno bisogno di qualcuno che li guidi. Hanno bisogno del loro Comandante.”

Erwin poteva solo immaginare lo sforzo che Nile stava facendo nel pronunciare quelle parole. Si stava rimangiando tutte le volte che lo aveva additato come un folle visionario, gli stava riconoscendo un valore che lui stesso non gli riconosceva. Erwin comprese che in quel momento drammatico, Nile aveva messo da parte i loro ruoli per tornare ad essere il compagno di avventura della sua adolescenza.

Erwin Smith, però, era caduto a Shingashina e non aveva mai fatto ritorno da quell’inferno. 

“Non sono più un Comandante,” mormorò.



Armin non poteva credere alle sue orecchie. “Il Comandante è uscito dalla sua stanza?”

Jean alzò gli occhi al cielo. “Cazzo, Armin, è la terza volta che lo ripeti.”

“Non me lo aspettavo, tutto qui.”

“Ha preso di sorpresa anche noi,” ammise Mikasa.

“Oh, sì!” Esclamò Hanji con pungente sarcasmo. “Figurati che io stavo meditando di organizzargli il funerale!”

I tre ragazzi erano seduti al tavolo della cucina, mentre la Capo Squadra, incapace di stare ferma, puliva ossessivamente ogni angolo della stanza da almeno un’ora. Jean pensò che se avesse continuato a spazzare quel pavimento sarebbe finita col scavare un solco nella pietra.

“Capo Squadra,” tentò, “perché non ti-?”

“Avete visto tutti come è arrivato, no?” Hanji agitò pericolosamente la scopa in aria. “L’eroe tragico! Riesce a essere perfetto anche in versione cadavere, che spreco!” Guardò i tre adolescenti come se si fosse ricordata solo in quel momento che erano lì. “Oh, ragazzi… Volete qualcosa per colazione?”

Jean si alzò prima che la Capo Squadra potesse avvicinarsi ai fornelli. “Faccio io.” Era ancora vestito dei suoi abiti da notte e così Mikasa e Armin. Nessuno aveva osato mettere piede fuori della cucina e rischiare di perdere il ritorno del Comandante dalla prigione centrale.

“Come avrà reagito il Capitano Ackerman?” Armin pose ad alta voce la domanda che si stavano ponendo tutti.

“Spero che s’impicchi!” Esclamò Hanji.

“Capo Squadra…” Mormorò Jean, mettendo sul fornello acceso il pentolino pieno d’acqua - l’avrebbe divisa in quattro tazze e ci sarebbe stato del té per tutti.

“Cosa?” Hanji lo trafisse con l’unico occhio che gli era rimasto. “A meno che non esprima affetto abbandonando bambini e sparandogli addosso quando sono cresciuti, non si è dimostrato uno zio molto amorevole!”

Jean non aveva avuto modo di confrontarsi con Kenny Ackerman. Di lui conosceva solo i nomi delle vittime che si era lasciato alle spalle durante il loro colpo di stato. Rod Reiss aveva rischiato di essere l’ultima, ma gli era sfuggito il modo in cui il Capitano della Squadra Anti-Uomo era passato dall’essere un alleato della famiglia reale a un loro nemico. Eren era stato testimone di tutta la vicenda, ma non c’era stato tempo di parlarne e Jean non glielo avrebbe chiesto comunque: non era uscito emotivamente illeso da quella caverna di cristallo e lui, codardo, non si era azzardato ad avvicinarsi per valutare i danni.

Perché si biasimava? Non erano compagni. Erano nulla l’uno per l’altro. Solo un Alpha e un Omega adolescenti che giocavano coi desideri carnali della loro età. Eppure, di fronte a Mikasa, si era comportato come un uomo dal cuore spezzato.

La porta sul retro che si apriva lo salvò da quella scomoda riflessione.

Erwin Smith entrò nella cucina e tutto divenne immobile.

Quegli occhi azzurri che avevano messo in soggezione Jean tante volte, squadrarono tutti i presenti nella stanza. “Non siamo tutti,” notò.

Hanji prese la palla al balzo per essere sgradevole. “Sì, mancano giusto qualche centinaio di soldati.” Continuò a spazzare.

Jean decise d’intervenire. “Connie e Sasha sono andati al villaggio di lei per qualche giorno,” disse, sentì la fermezza abbandonarlo quando quegli occhi vitrei si sposarono su di lui. “Floch se ne è andato… Andato, andato.” Non era propriamente il modo migliore per rivolgersi al suo Comandante ma il messaggio fu chiaro.

“Floch è il soldato che mi ha riportato all’interno dei cancelli, giusto?” Domandò Erwin. “Mi piacerebbe ringra-“

“Risparmiatelo!” Esclamò Hanji. “Non ha detto cose lusinghiere su di te, né su tutti noi. Mentre eri lì fuori ad agonizzare, ha pensato di finirti, lo sai? Poi ha concluso che un mostro della tua portata dovesse vivere in questo inferno ancora per molto tempo. Queste sono le nobili intenzioni che lo hanno spinto a salvarti, Erwin, e ti proibisco di sentirti in debito nei suoi confronti.”

L’espressione del Comandante non cambiò di una virgola. Prese atto dei fatti con un cenno del capo, poi si rivolse ai tre soldati più giovani. “Riposate per oggi,” disse. “So che vi sono molte faccende da sbrigare ma voi avete fatto fin troppo.”

Era un invito a togliersi dai piedi. 

Mikasa lo colse per prima e Armin si alzò insieme a lei. Jean spense il fornello con un sospiro e fu l’ultimo a uscire dalla cucina.

Hanji continuò ad agitare la scopa sul pavimento come se non si fosse accorta di niente.

“Sei fai così,” esordì Erwin, “finisci solo per spargere lo sporco ovunque.” Non erano parole di cui aveva esperienza, ma vivere con Levi lo aveva inevitabilmente reso un esperto delle faccende domestiche.

Hanji lo guardò con astio. “Ti conviene non giudicare il mio lavoro o ti ritroverai questa scopa in un posto molto spiacevole.”

Erwin si appoggiò stancamente al muro di pietra. “Chi sta firmando le lettere di condoglianze?”

“Io,” rispose Hanji, rinunciando all’impresa e abbandonando la scopa in un angolo. “Col tuo nome. Ho falsificato la tua firma, me lo ha insegnato Levi.”

Erwin ingoiò a vuoto e finse che sentir pronunciare quel nome non faceccesse male come una pugnalata in pieno petto. “Tu e Levi falsificavate la mia firma?”

Hanji scrollò le spalle, fermandosi al centro della stanza e incrociando le braccia sotto al seno. “Io non l’ho mai fatto, ma lui sapeva imitare alla perfezione tutta la tua calligrafia. Una volta, ha scritto una lettera fingendosi te e non lo hai mai scoperto.”

Erwin annuì distrattamente, come se non l’avesse davvero ascoltata. “Ha lavato tutti i suoi vestiti.”

Hanji inarcò le sopracciglia. “Cosa?”

“Le lenzuola. La federa del suo cuscino. Ha eliminato ogni traccia del suo odore.” Erwin aveva aperto quell’armadio due giorni dopo aver saputo della morte del suo Capitano. Aveva premuto il viso contro ogni camicia ma non aveva percepito nemmeno il fantasma dell’odore di Levi. Per la frustrazione, aveva dato un pugno contro il muro e si era rotto quattro dita su cinque. In meno di dieci minuti avevano smesso di fare male.

“Non ho mai visto in luce negativa quella sua fissa di vivere in un ambiente perfettamente pulito,” aggiunse Erwin, “ma in quel momento l’ho detestato. Non c’è più traccia di lui. Levi non è da nessuna parte.” Nemmeno in un cimitero, sotto terra, non lo disse.

Hanji si morse il labbro inferiore e si voltò per non mostrare l’unico occhio pieno di lacrime. “La gente dovrà sapere, Erwin.”

“Lo so.”

“Dobbiamo prepararci alla possibilità che il governo ci biasimi per la perdita delle sue due armi migliori.”

“Ne sono consapevole.”

Hanji inspirò profondamente dal naso. “Kenny Ackerman?”

“Mi considera l’unico colpevole della morte di Levi,” rispose Erwin e fissò la nuca di lei con insistenza, come se si aspettasse un segno di approvazione. “Lo credi anche tu, non è vero?”

“Stai zitto!” Tuonò Hanji, tornando a guardarlo. “Quando ti ho detto che Levi era caduto in battaglia, la prima cosa che mi hai chiesto è stata se era accaduto invano. Hai dato un prezzo alla sua vita, Erwin. Se avesse abbattuto il Titano Bestia, saresti riuscito ad accettare di buon grado la sua morte? Dimmelo!”

Erwin strinse i pugni. “Ci dicevamo addio ogni volta che uscivamo dai cancelli di Trost,” disse. “Ogni volta poteva essere l’ultima.”

“Smettila…” Hanji si prese la testa tra le mani. “Smettila con queste stronzate ragionate.” Si lasciò cadere sulla sedia a capotavola. “Pensi che io non sapessi che Moblit poteva morire in ogni momento là fuori? E credi che questo mi abbia preparato a quel che è successo a Shiganshina? Sono solo parole, Erwin. Possiamo esserci scelti questa vita liberamente ma non c’è nulla… Nulla che possa prepararci al giorno in cui perdiamo chi amiamo di più al mondo.” Piangeva ma non le importava.

Erwin era immobile contro la parete, gli occhi azzurri due pozzi di oscurità senza fine. “Dovevo morire io…”

Hanji non lo contraddisse. “Vieni con me,” disse, alzandosi in piedi. “Ci sono delle cose che devi vedere.”



-5 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




Erwin aveva impiegato due giorni ad alzarsi dal letto. Hanji lo aveva aiutato preparando un bagno caldo e dei vestiti puliti, poi lo aveva lasciato solo per cambiare le lenzuola del letto. 

Quando il giovane Comandante uscì dall’acqua, era fredda. S’infilò i pantaloni svogliatamente e non si preoccupò dei capelli biondi che ancora gocciolavano. 

“Erwin, per favore, ho appena cambiato le lenzuola,” obiettò Hanji, prendendo un asciugamano e costringendolo a sedersi sul letto. Erwin la lasciò fare, anche quando fece scivolare la mano sotto il suo mento e lo invitò a sollevare il viso.

“Devi mangiare, Erwin,” disse Hanji con voce ferma, come se gli stesse impartendo un ordine. “Stasera ti porterò la cena e non voglio tornare per trovare un vassoio intoccato.”

Lui era troppo stanco per risponderle. Hanji gli liberò gli occhi dalla frangia di capelli biondi. “Cominciano a essere troppo lunghi,” commentò, allontanandosi dal letto. Lasciò cadere l’asciugamano umido a terra: lo avrebbe raccolto più tardi. “Ci diamo un taglio veloce, va bene?”

Erwin la guardò stancamente. “Che cosa stai cercando?” Domandò con voce roca. Non aveva aperto bocca per tre giorni e aveva la gola secca.

“Le forbici,” rispose Hanji distrattamente, scomparendo in bagno e tornando un istante dopo con l’utensile in mano. “Spuntiamo un po’ quei capelli.”

Era sempre stato Levi a tagliargli i capelli. 

Erwin scosse la testa. “Non è necessario.”

“Faccio subito,” insistette Hanji. “Spazzerò anche per terra. Non devi preoccuparti di niente.” Prese la frangia bionda tra le dita ma il Comandante le afferrò il polso prima che potesse impugnare le forbici correttamente.

“Ho detto che non è necessario,” replicò Erwin con la fermezza che usava sul campo di battaglia.

Hanji lo guardò dall’alto, pietrificata. “Mi stai facendo male.”

Erwin guardò la sua mano come se non la riconoscesse e la lasciò andare. “Scusami…” Abbassò lo sguardo con vergogna.

La sua Capo Squadra, però, non aveva alcuna intenzione di gettare la spugna con lui. “Erwin…” Hanji si sedette a sua volta sul letto. “Sei riuscito a piangere?”

Erwin tenne gli occhi azzurri fissi sul pavimento. “Non me lo posso permettere.”

Hanji sorrise tristemente. “Erwin-”

“Non ho pianto per Mike, o per Nanaba,” disse il Comandante. “Non ho pianto per nessuno dei soldati che ho condannato a morte. Non mi sento in colpa per aver messo una fanciulla di appena quindici anni sul trono di questo inferno e nemmeno per aver considerato un ragazzino della stessa età la nostra arma più potente.” Inspirò profondamente dal naso. “Tutto quello che ho perso, tutti i peccati di cui mi sono macchiato… Ogni cosa è stata una diretta conseguenza delle mie scelte. Sono io l’unico carnefice qui. Non ho il diritto di versare neanche una lacrima per Levi, Hanji.”

Lei strinse le labbra imponendosi di non soccombere alla tristezza per l’ennesima volta in pochi giorni. “Te lo dirò questa volta e non lo ripeterò mai più: non sei stato tu a uccidere Levi, Erwin,” disse con voce tremante ma non insicura. “Quindi piangi per lui. Soffri per lui. Tira fuori tutto, Erwin, perché se non lo fai perderò anche te e non posso… Non posso farcela da sola, lo capisci?” Non era il suo Comandante che stava pregando, ma l’amico che l’aveva salvata dalla solitudine, il ragazzino con cui era cresciuta in quell’inferno di grandi sogni e morti atroci.

Hanji allungò la mano per afferrare quella di Erwin, ma lui non ricambiò il suo affetto e non accettò di dividere con lei il suo dolore. 

“Sei sola,” disse. “Lo siamo tutti.”

La tradì. Nell’ora più buia che avessero mai vissuto insieme, Erwin abbandonò Hanji nel momento in cui aveva più bisogno di lui.

Non aveva guardato in faccia Levi quando, a Shiganshina, si era lasciato prendere dal suo delirio infantile, ma era certo che avesse fatto un’espressione simile a quella di Hanji adesso. 

Erwin non sollevò lo sguardo per vederla uscire dalla sua camera. 

Si prese la testa tra le mani. 

Il desiderio di sparire lo aveva investito per la prima volta a dieci anni, dopo che aveva realizzato di essere il diretto responsabile della morte di suo padre. Col tempo aveva imparato a mitigarlo, a renderlo l’ennesimo brusio in sottofondo nella sua mente. Ora era come un ritornello petulante che batteva contro le pareti del suo cranio e Levi non era lì per mettere a tacere le voci dei suoi demoni.

“La Quattrocchi ha ragione.”

No, era diventato uno di loro.

“Hai bisogno di dare un taglio allo schifo che hai in testa.”

Le dita che s’infilarono tra i suoi capelli ancora umidi e scesero per accarezzare la linea della sua mandibola non erano reali. Erwin sapeva che era così, ma questo non lo dissuase dall’alzare lo sguardo e guardare in faccia il fantasma della persona che prima lo aveva salvato da se stesso e poi lo aveva condannato con la sua morte. 

Gli occhi di ghiaccio di Levi erano sereni. Taglienti, certo, ma Erwin aveva imparato che il colore di quelle pallide iridi cambiava drasticamente dal modo in cui la luce vi si rifletteva. In quel momento erano di un azzurro chiaro.

“Adesso stai fermo, damerino di merda,” disse Levi, afferrando le forbici che Hanji aveva lasciato sopra la coperta. Erwin abbassò le palpebre come le due lame si chiusero e alcuni ciuffi biondi caddero sul pavimento.

“E poi vai a tagliare via questa barbetta di merda,” aggiunse il suo Capitano. “Esiste già un Comandante con gusti estetici del cazzo.”

Si riferiva a Nile.

Erwin lasciò che la ragione lo abbandonasse a poco a poco, con ogni taglio di forbici. Afferrò Levi per i fianchi e se lo tirò addosso mentre si lasciava ricadere sul letto. 

“Che cazzo fai, idiota!” Esclamò, sollevandosi sulle braccia. “Ho delle forbici in mano, vuoi che ti cavi un occhio?”

No, non le aveva più: erano volate da qualche parte, vicino al cuscino. Erwin sorrise perché, nonostante le obiezioni, Levi non fece niente per allontanarsi da lui.

“Ti piace quando mi lascio crescere la barba,” disse.

Levi storse la bocca in una smorfia disgustata. “E questa stronzata chi te l’ha detta?”

“Non c’è bisogno che tu lo dica.”

“Ti lasci crescere la barba solo quando te ne stai chiuso in quello studio di merda per più di due giorni e solo perché non hai voglia di alzare il culo per fartela. Qualche volta vai a pisciare? Sono certo che ti lasceresti morire di fame se qualcuno non ti portasse di che sfamarti.”

“Sono un uomo fortunato…” 

La mano di Erwin scivolò dal fianco alla coscia e poi un po’ più indietro. Levi gli afferrò il polso. “Porco…” Sibilò. Provò a tirarsi indietro ma il Comandante lo tenne fermo, drizzando la schiena. Le loro labbra si sfiorarono. Se il Capitano fosse stato un po’ più lento, Erwin lo avrebbe baciato.

“Tecnicamente se faccio il porco mentre siamo da soli non è un atto riprovevole. Al contrario, sto dimostrando di provare desiderio per te e dovrebbe-“

“Lusingarmi?” Concluse Levi, sarcastico. Premette le mani contro il petto del Comandante e lo spinse. “Erwin, se vuoi scopare, chiedimelo a basta,” aggiunse annoiato, spostandosi da lui.

Erwin fissò il soffitto, sorridendo divertito. “Ma se ogni volta che ti chiedo di fare l’amore, t’imbarazzi e te ne vai.”

Si mise a sedere e gli angoli della sua bocca si abbassarono lentamente. Le forbici erano ancora sulla coperta, dove le aveva lasciate Hanji e i capelli gli ricadevano di nuovo davanti agli occhi. Anche la luce che illuminava la stanza era diversa, più cupa.

Fuori pioveva da un po’, ma Erwin se ne rese conto solo in quel momento. Per la prima volta da quando aveva ripreso conoscenza, si guardò intorno e la sua stanza gli parve estranea, troppo grande, nonostante vi fossero pile di libri sparsi in ogni dove. Levi minacciava di buttarli tutti dalla finestra almeno una volta a settimana, nella giornata dedicata allo spolverare. Erwin sapeva che non lo avrebbe mai fatto: gli piacevano i libri, detestava il modo in cui il Comandante gestiva lo spazio in cui erano disposti. 

In un giorno d’estate di qualche anno prima, quando Erwin era stato fatto Comandante, Levi aveva esplorato anche gli angoli più remoti dei vecchi magazzini del castello e ne aveva tirato fuori un paio di librerie che erano state prontamente poste contro le pareti del suo studio. 

“Se vedo colonne di libri anche qui, do fuoco a tutto con te dentro.” Era stati il suo ultimatum. 

Erwin si voltò verso l’armadio a due ante accanto al letto. Sì alzò e le aprì: il suo lato era un caos di vestiti piegati alla male e peggio - Levi non aveva dormito con lui negli ultimi giorni e non lo aveva salvato dal suo disordine - quello del suo Capitano, invece, era organizzato meticolosamente. Le camicie erano appese insieme alle tre giacche di scorta della divisa. Le magliette erano piegate sul ripiano di mezzo, insieme a due o tre pantaloni scuri. Quelli bianchi erano posti più in alto, accanto alle cinghie di ricambio del 3DMG. 

Mancavano un completo, il mantello e la cravatta bianca. 

Levi era morto indossandoli.

Erwin prese una delle magliette, quella più consumata, e se la portò al viso. Inspirò il suo odore a pieni polmoni, ma l’unica cosa che percepì fu il sapone in cui era stata lavata. La lasciò cadere a terra e fece un secondo tentativo con una delle camicie. 

Niente.

Andò avanti così per altre tre, quattro, cinque volte. Alla fine, i vestiti di Levi giacevano tutti sul pavimento di pietra.

Del suo odore non c’era più traccia.

Erwin strinse gli occhi, affondando il viso nella giacca con il simbolo delle Ali della Libertà. Prima di andarsene, Levi aveva lavato via ogni traccia del suo passaggio e ora era come se non fosse mai esistito. Non c’era niente su quei vestiti che potesse provare che erano appartenuti a lui, al Capitano della Legione Esplorativa, e non a qualunque altro soldato caduto.

Erwin lasciò che anche quella giacca gli scivolasse via dalle dita. Si guardò il palmo destro e non vi trovò la cicatrice che Levi gli aveva inferto alla fine della loro prima missione insieme. Nemmeno quello poteva più provare che era esistito, che Erwin lo aveva avuto addosso in più di un modo - il più dolce era avvenuto solo per ultimo. 

Strinse il pugno e lo scagliò contro la parete con tanta forza che le dita si ruppero.

Il dolore fu improvviso, fulminante. Per pochi istanti, ebbe il potere di mettere a tacere tutti i pensieri di Erwin.

In pochi minuti, le ossa tornarono integre.




-8 giorni dopo la battaglia da Shiganshina-




“Ecco qui,” Hanji impilò tutti i suoi diari degli ultimi mesi sul tavolo al centro del laboratorio. Erwin notò che la stanza era più in ordine del normale e si chiese se Levi era passato da quelle parti prima di partire. Era una cosa che faceva sempre, diceva che non gli piaceva tornare da una missione e ritrovarsi faccia a faccia col loro disordine. Erwin non era certo che si fosse comportato allo stesso modo prima di Shiganshina. Molte cose non erano andate secondo le loro abitudini quella volta. Prima tra tutte, non erano stati insieme nemmeno la metà del tempo.

“Qui ci sono tutte le nozioni che riguardo Eren, i Titani senzienti e altre mie teorie non ancora confermate. I dati più importanti te li ho già forniti in via ufficiale ma immagino che ora ti faranno comodo anche gli appunti più piccoli, quindi…” Fece un vago gesto con la mano.

Erwin tirò la pila di diari verso di sé. “Grazie.”

“Non è vero quello che ha detto Ackerman, Erwin,” disse Hanji, senza preavviso. “Non è colpa tua.”

Il Comandante rispose al suo sguardo ma cambiò immediatamente discorso. “Che cosa è successo mentre…” Esitò. “Non c’ero,” concluse.

Hanji scrollò le spalle. “Niente di cui valga la pena parlare,” rispose, grattandosi il retro del collo. “Ho mandato Jean a consegnare le prime lettere di condoglianze. Nessuno ha saputo cosa era successo di preciso a Shiganshina fino a ieri. Immagino che ora si stia spargendo la voce.”

“Sanno che abbiamo riconquistato il Muro Maria.”

“Non esistono ancora rapporti ufficiali. Non so cosa è successo fuori dai cancelli e non potevo farlo io senza aver prima aver parlato con te.”

Erwin annuì distrattamente, abbassando gli occhi sulla copertina marrone del primo diario della pila. “Non so come scriverlo un rapporto ufficiale di quello che è successo,” ammise.

Hanji fece il giro del tavolo e gli arrivò accanto. “Non devi dire tutto,” disse. “Non c’è alcun bisogno che parli del modo in cui hai guidato quell’ultima carica. Il governo conosceva quanto erano alti i rischi. Il Titano Bestia ci ha scagliato addosso una pioggia di pietra e molti sono morti. I dettagli non servono, non cambiano il finale.”

Molti...” Ripeté Erwin come se fosse una parola da poco per descrivere la carneficina che si era consumata a Shiganshina. 

Hanji posò la mano sul braccio che non sarebbe dovuto essere lì. Un gesto d’affetto per dirgli che era ancora arrabbiata ma non troppo. 

Erwin sapeva che non se la meritava, proprio come non si era mai meritato Levi.

“Come hai fatto?” Domandò Hanji. “Come hai fatto a cavalcare a testa alta sapendo che saresti morto?”

Il giovane Comandante fece di no con la testa. “Non ho guidato quegli uomini come un eroe impavido,” raccontò. “Ho urlato incoraggiamenti fino all’ultimo ma l’unico che stavo cercando d’incoraggiare era me stesso. Ho avuto paura… Ho avuto una paura terribile. E quando la prima scarica di pietre non mi hai colpito, ne ho avuta ancora di più. Volevo solo che accadesse in fretta. Ho sentito il colpo, ma il dolore è stato veloce. Non ricordo di essere finito a terra.”

Hanji prese un respiro profondo. “Hai perso molto sangue in pochissimo tempo. Penso che tu abbia perso il polmone destro al momento del colpo, insieme a un rene, parte dell’intestino e tutto quello che c’è nei paraggi,” spiegò, premendo la mano dove Erwin aveva sentito la pietra trapassarlo. “Respiravi appena e il cuore non riusciva a pompare abbastanza sangue al cervello. Per questo non ti lamentavi anche se eri ancora vivo. Per la cronaca, non so come tu abbia fatto a resistere.”

“Chi sa di Levi ed Eren?” Domandò Erwin.

“A parte noi della Legione, solo Nile e Historia.”

“E il Capitano Ackerman.”

Hanji alzò gli occhi al cielo. “Non chiamarlo Capitano. Non lo è. Gli hai detto anche di Eren?”

“Non sono rimasto abbastanza. Non credo gli interessi. Come stanno Mikasa e Armin?”

Hanji scrollò le spalle. “Ti sorprenderò: mi preoccupa più Jean.”

Erwin la guardò. “Jean?”

“Ha avuto delle remore a fare del male a Reiner. Adesso, dopo che ha assistito impotente al rapimento di Eren e ti ha visto divorare Berthold, non fa una piega.” Hanji fissò il giovane Comandante con severità. “E mi chiedo quando comincerai a cedere tu.”

“Ti ho lasciato sola per otto giorni,” le ricordò Erwin.

“E non sono ancora sicura di avertelo perdonato,” replicò la Capo Squadra. “Ma non mi riferisco a questo.”

Erwin portò lo sguardo verso la porta: era rimasta socchiusa e poteva vedere quella del suo ufficio dalla parte opposta del corridoio. “Quando avremo deciso cosa fare con il governo, metterò mano al resto.”

“E quando hai intenzione di piangerlo?” 

“Non lo farò,” rispose Erwin, senza guardarla. “Lui non vorrebbe.”

“Lui non mi avrebbe nemmeno lasciata sola a gestire cinque ragazzini traumatizzati e infinite lettere di condoglianze,” replicò Hanji, gelida. “Non trovare giustificazioni del cazzo, Erwin. Non con me. Se ti importasse veramente qualcosa di scoprire la verità sui Titani e su questo mondo, saresti già nel tuo studio a perdere ore di sonno e a saltare i pasti.” Fece scivolare il palmo lungo il braccio del Comandante, fino ad afferrargli la mano. “Non ha più senso senza di lui, vero?”

Erwin tenne gli occhi azzurri fissi sull’ingresso del suo studio. La storia si ripeteva: tutte le risposta di cui aveva bisogno erano dietro una comune porta chiusa, ma non aveva più bisogno di una chiave o di combattere una battaglia mortale per raggiungerla. Eppure…

“Levi mi ha chiesto che cosa avrei fatto una volta scoperta la verità,” raccontò. “Non ho saputo come rispondergli. Volevo solo provare che mio padre avesse ragione.”

Hanji si umettò le labbra. Quello era un argomento su cui lei e Mike avevano dibattuto un paio di volte, ma Erwin non si era mai confidato con loro, non completamente. Quella parte della storia del Comandante Smith l’aveva avuta solo Levi. “Adesso puoi,” gli disse. “Tutto ciò che devi fare è entrare in quella stanza…”

Erwin riportò gli occhi sul suo viso. “E dopo?” Chiese con una nota di tristezza. “Entro lì dentro, scopro che mio padre aveva ragione, oppure no e cosa cambia? Lui è morto, non potrà mai saperlo. Io non potrò mai chiedergli perdono.”

E nemmeno a Levi.

“E questo mio disinteresse è la cosa peggiore,” aggiunse.

“Perché?” Domandò Hanji.

“Perché gli ho fatto credere che scoprire quella verità fosse la cosa più importante per me, anche più della mia vita,” rispose Erwin. “Levi è morto pensando questo.”

Hanji aprì e chiuse la bocca un paio di volte. Le sue labbra tremavano. “Ha tentato di farti restare, vero?”

Erwin annuì.

“Ti ha chiesto di farlo per lui?”

“No.” Erwin scosse la testa. “Non lo avrebbe mai fatto. Sapeva cosa significava per me, non mi avrebbe mai chiesto di scegliere tra lui e mio padre.”

“Tuo padre non centra nulla, Erwin,” replicò Hanji, lasciando andare la mano del suo Comandante. Uscì dal laboratorio senza preavviso.

“Hanji?” Erwin la seguì in corridoio. “Eravamo onesti l’uno con l’altro. Era questo che ci permetteva di essere quelli che eravamo.”

Hanji si fermò. “Onesti?” Si voltò lentamente. “Mi ha chiesto di non dirti niente prima di darmi il siero. Tecnicamente mi ha a spinto tradire te, il mio Comandante, e Levi non lo avrebbe mai fatto in circostanze normali. Che cosa ha detto per cercare di fermarti? Ti ha fatto credere che ridotto come eri saresti stato solo un peso morto?”

“Sì.”

“E tu gli hai creduto?”

“No, Hanji. Sapevo quello che stava facendo.”

“No, non lo sai,” insistette lei. “Si è tirato fuori dall’equazione. Non ti ha chiesto di restare per lui e questo lo rende tutto meno che onesto!” Esclamò. “E se fosse stato sincero, Erwin?” Domandò. “In quel caso che cosa gli avresti risposto?”

Erwin dischiuse le labbra, ma quello che stava per dire era frutto di una consapevolezza a posteriori. Ora che era tutto detto e fatto era facile per il Comandante tirare le somme, identificare gli errori e dare alla sua Capo Squadra la risposta più semplice. Tuttavia, otto giorni prima, quando Levi si era arreso di fronte alla sua ottusità e aveva deciso di fidarsi di lui un’ultima volta, Erwin non gli aveva parlato né da Comandate né da compagno.

“Non lo so.” Fu la sua risposta e provò astio per se stesso come non era mai accaduto, nemmeno quando si era reso conto di aver ucciso suo padre.

La delusione e la tristezza che oscurarono l’unico occhio di Hanji gli fecero male. “Lo hai mandato a morire con il cuore spezzato.”

Erwin se ne rese conto solo in quel momento. “Non l’ho mandato a morire. Lui non doveva morire. Ero io che-“

“Sì!” Sbottò Hanji. “Sì, Erwin, dovevi essere tu!” 

Quelle parole non lo presero di sorpresa. Se li avesse avuti entrambi morenti con una sola fiala di siero a disposizione, Erwin non dubitava che Hanji avrebbe scelto Levi. Questo, però, non gli impedì di provare dolore.

“Non te lo meritavi,” aggiunse Hanji con voce tremante. “Nessuno di noi se lo meritava.”

Erwin strinse le labbra e annuì. “Lo so.”



”Potrei rinchiuderti per quello che hai fatto, lo sai?”

“Allora fallo.” Era un’istigazione. “Rinchiudimi. Fai di me un esempio per dimostrare a tutti che leader di merda sei!”

Era arrabbiato. Lo erano entrambi.

“La tua è insubordinazione.”

“Non chiederò scusa per aver cercato di salvare i miei compagni.”

Gelido. Caparbio. Bellissimo.

“Ti avevo dato un ordine e lo hai ignorato.”

“Ho solo fatto una scelta.”

“Pensavo ti fidassi di me.”

“Questo non significa che tu sia infallibile!” Aveva ragione. “Se pensi di vincere questa guerra senza nessuno, fai come cazzo ti pare, ma sappi che morirai da solo!”

Si era dimostrato migliore di lui fin dal principio.




-15 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




Se Hanji si pentì di quello che aveva detto, non tornò indietro per chiedergli scusa.

Erwin sapeva che non lo voleva morto, desiderava solo riavere indietro Levi. 

Non poteva biasimarla.

Levi era quello bravo a prendersi cura degli altri. Il suo Capitano non avrebbe mai permesso al nemico di rapire Eren e non avrebbe lasciato gli altri ragazzi a brancolare nel buio dell’incertezza come stava facendo lui. Hanji ci stava provando con le unghie e con i denti, ma Erwin non poteva ignorare che anche Moblit era caduto a Shiganshina. La sua Capo Squadra non si era azzardata a fare paragoni, ma se non stava piangendo un amante, non c’erano dubbi sul fatto che Hanji avesse perso un braccio destro, un amico fidato e un compagno di vita. 

“Lui l’amava…”

Dal centro del letto dove si trovava, Erwin sollevò lo sguardo: un’anta dell’armadio era rimasta aperta e lo specchio al suo interno rifletteva la sua immagine e quella del fantasma di Levi, alle sue spalle.

“Te lo ha detto lei?” Domandò Erwin, fingendo che quella non fosse una conversazione solo con la sua testa.

Levi appoggiò la nuca alla testiera del letto. “Non gliel’ho mai chiesto,” rispose. “Chissà quanto cazzo parlerebbe per rispondere. È pericoloso farle domande.”

Erwin sorrise stancamente. “Allora come fai a sapere che lui l’amava?”

“Dal modo in cui la guardava.”

Sì, anche lui si era accorto del modo in cui gli occhi di Moblit si posavano su Hanji a ogni occasione, anche quella meno propizia. Lei non si era mai accorta di niente: troppo presa dalla scoperta o teoria del momento.

“È un cazzo di casino essere un Beta innamorato di una donna Alpha,” disse Levi, fissando un punto qualunque di fronte a sé. “Specie che l’Alpha in questione è così distratta dalle sue stronzate.”

“Io non ero distratto,” disse Erwin di colpo. Una giustificazione fuori luogo rispetto a quello di cui stavano parlando.

Gli occhi gelidi del fantasma si fissarono sulla sua nuca. “Hai paura di esserlo stato?”

Non si poteva dire che la guerra, il destino dell’Umanità e un sacco di altre questioni non avessero influenzato la loro relazione. Ma erano battaglie che avevano combattuto insieme. Il periodo di scontri iniziale era stato necessario per portarli più vicini l’uno all’altro, per indurli a gettare le armi e a guardarsi senza maschere. 

“Perché non mi hai chiesto di restare per te?”

“Se lo avessi fatto, saresti rimasto?”

“Non lo so…”

“E allora perché parlarne?” Domandò il fantasma, facendo scivolare le dita tra i capelli biondi del Comandante. “Avevi un sogno fin da bambino e lo hai seguito fino alla fine.”

“Non c’è stata una fine,” ribatté Erwin. “Io sono ancora qui.”

“E la verità è solo a una porta di distanza.”

“E tu dove sei?”

Il fantasma rimase in silenzio.

“Ho ottenuto ciò che desideravo al costo di ciò che amavo e ora quel sogno non ha più significato per me, Levi.”

Quegli occhi di ghiaccio si sollevarono sullo specchio e risposero allo sguardo di Erwin attraverso la superficie riflettente. “Sei stato chiamato a fare una scelta, Erwin,” disse. “E ora che conosci le conseguenze, ti penti della decisione che hai preso. I bambini fanno così, non gli uomini, né tantomeno i soldati.”

“Se Erwin Smith è mai stato un uomo, è morto a Shiganshina con te,” disse Erwin, portandosi il palmo destro di fronte al viso. Non aveva importanza quante volte controllasse: la cicatrice che una volta lo attraversava era sparita per sempre.

“Patetico…” Commentò la voce di Levi.

Quando Erwin tornò a guardare dentro lo specchio, non c’era più nessuno alle sue spalle.

Bussarono alla porta. Si alzò in piedi in fretta. “Hanji,” chiamò abbassando la maniglia.

No, era Jean.

“Mi dispiace disturbarvi, Comandante,” disse il ragazzo. “Nile Dawk è di sotto e chiede di voi. Si tratta del Capitano Ackerman.”



“Non so come sia successo!” Nile era fuori di sé. “Deve aver convinto una delle guardie. Come fa un uomo con un piede nella fossa a convincere qualcuno?”

Erwin scese dalla carrozza dietro di lui. “Quell’uomo non ha fatto altro che combattere per sopravvivere da tutta la vita. Non mi sorprende che non sia del tutto indifeso anche nella posizione in cui si trova.”

Mentre varcava i cancelli della prigione centrale, Nile gli lanciò un’occhiataccia. “Lo stimi pure, adesso?”

Erwin non gli rispose. Non aveva ancora deciso cosa provava per Kenneth Ackerman, sapeva solo che gli doveva Levi ed era un debito che non sarebbe mai stato in grado di ripagare.

La situazione era semplice e drammatica: Kenny era riuscito a farsi recapitare una cassa di birra direttamente nella sua cella, si era tracannato le bottiglie una dopo l’altra e ora, in preda ai deliri dell’alcol, stava scatenando un putiferio. Aveva rotto i contenitori di vetro uno a uno ricavandone armi rudimentali potenzialmente utili per fare del male a se stesso e a chiunque avesse deciso di entrare.

Nel caos generale, Kenny aveva più volte urlato di voler vedere il damerino del cazzo, il Comandante-Moccioso, il biondino di merda. Nile aveva colto la palla al balzo per passare quella questione isterica a Erwin.

“Nessuno di quei mocciosi di merda vuole entrare!” Si lamentò Nile, salendo le scale due a due. “Si lagnano: ha ucciso centinaia di soldati esperti. Vaglielo a spiegare che nessun soldato che si avventura nella Città Sotterranea può considerarsi esperto!”

“Ha minacciato di farsi del male?” Domandò Erwin.

“Ma che si tagliasse la gola, se proprio vuole!” Esclamò Nile esasperato, alzando entrambe le braccia al cielo. Poco prima di arrivare sulla cima della torre, si voltò a guardare il suo amico d’infanzia. “Ora come ora puoi gestire la minaccia di qualche collo di bottiglia rotto, vero?” Domandò a bassa voce.

Erwin annuì senza pensarci.

“Molto bene…” Nile lo accompagnò per i pochi gradini che erano rimasti. Di fronte alla cella, cinque giovani soldati li attendevano tremanti. “Via di qui, esseri inutili!” Sbottò il loro Comandante.

Non se lo fecero ripetere due volte.

Da dietro la porta della cella, il Capitano Ackerman cantava e urlava. 

“Lo stronzo è allegro,” commentò Nile, poi si voltò verso Erwin. “Ho un fucile. Se le cose si mettono male-“

“Andrà tutto bene,” lo rassicurò Erwin.

“Perdonami se sono scettico, Erwin, ma fino a ora non è andato bene niente!” Esclamò Nile, poi aprì la porta della cella.



L’aria all’interno di quella stanza circolare era irrespirabile.

“Ehi, Barbetta, sei tu?” Kenny Ackerman se ne stava disteso scompostamente sul letto, con le gambe appoggiate al muro e la testa a ciondoloni oltre il bordo del materasso. Quando lo vide, sgranò gli occhi. “Oh! Comandante-Moccioso!” Cercò di alzarsi dal letto e cadde a terra.

Istintivamente, Erwin fece un passo in avanti per aiutarlo e calpestò un frammento di vetro. Ve ne erano su tutto il pavimento. Kenny ridacchiò e si rimise in piedi facendo leva sul letto. “Perdonami, biondino, non sono mai stato un granché ospitale.”

“Siete ubriaco,” disse Erwin con voce incolore.

“Oh, sei un genio!” Kenny rise di nuovo con più fragore. “Vuoi una birra? Oh, scusa, credo di averle finite tutte.” Si attaccò alla bottiglia che stringeva nel pugno e quando si rese conto che era vuota, la gettò a terra con rabbia. “Maledizione…” Sibilò, pulendosi la bocca con la manica della camicia.

“Mi avete fatto chiamare, Capitano.” Erwin dubitava che se ne ricordasse, ma era giunto fino a lì e non se ne sarebbe andato senza aver prima fatto qualcosa per riportare la situazione sotto controllo.

“Ti ho fatto chiamare,” ripeté Kenny. Attraversò la stanza strisciando i piedi sul pavimento e si lasciò cadere sulla sedia accanto alla scrivania. Solo allora si disturbò a studiare il giovane Comandante. “Cazzo, ma la Legione Esplorativa è messa così male ma non potersi permettere un rasoio? Stai di merda, ragazzo mio.”

Erwin non si radeva da quindici giorni. Non era andato così oltre nemmeno quando aveva perso il braccio destro e si era quasi tagliato la gola per non chiedere aiuto a Levi. Aveva pagato quel colpo d’orgoglio con un bel ceffone.

“Nemmeno voi versate in ottimo stato,” replicò Erwin. Se conoscere Levi poteva aiutarlo ad avere una conversazione con Kenny, allora era inutile essere cortese. Meglio un approccio diretto.

Funzionò. Kenny storse la bocca nella parodia di un sorriso compiaciuto. “Allora stai provando e risollevarti, eh?” 

Erwin non era certo che parlare col fantasma di Levi equivalesse a risollevarsi. Era il senso di colpa nei confronti di Hanji che lo teneva in piedi. “Come avete convinto una guardia a portarvi un’intera cassa di birra?” Era curioso di udire la risposta.

“Questi ragazzi amano i loro genitori,” rispose Kenny. “Anche se sei il peggior pezzo di merda della storia delle mura, puoi smuovere chiunque se hai un moccioso da piangere.”

“Avete usato Levi per avere della birra?”

Kenny picchiò il pugno sulla scrivania. “Non pronunciare il suo nome,” sibilò. “Non ti devi permettere…”

Erwin strinse i pugni e si costrinse a non replicare: non aveva senso discutere con un uomo ridotto in quello stato.

“No, Comandante-Moccioso, non ho usato il nostro adorato nanerottolo per prendermi una sbronza. È colpa dello stronzetto se verso in questo stato di merda!”

Erwin doveva credere che il dolore di quell’uomo fosse paragonabile se non superiore al suo? Non lo accettava, non quando sapeva quanto quella persona aveva ferito Levi, influenzando per sempre il suo modo di porsi con il mondo.

“Meno di tre mesi fa avete tentato di ucciderlo almeno un paio di volte,” disse, gelido. “È difficile dare valore alle vostre parole, Capitano.”

Kenny non rispose violentemente, lo fissò e basta. “Siediti,” ordinò, indicando il letto sfatto.

Erwin non si mosse.

Il Capitano scagliò il pugno contro la scrivania una seconda volta. “Poggia quel cazzo di culo, moccioso di merda!”

Il giovane inspirò profondamente dal naso e fece come gli era stato detto solo perché contraddirlo non avrebbe portato nessuno dei due da nessuna parte e se Kenny Ackerman voleva qualcosa da lui, Erwin sapeva di non essere corso in aiuto di Nile senza una ragione personale.

Il Capitano gli puntò l’indice contro. “Così ci si comporta con gli adulti, damerino.”

“Perché mi avete fatto chiamare?” Domandò Erwin, secco.

Kenny sghignazzò di nuovo. I suoi occhi erano sospettosamente lucidi per un uomo che si era tracannato una cassa di birra in meno di un’ora. “L’ha mai visto ubriaco?”

Si riferiva a Levi.

“No.”

“Lo sapevo!” Esclamò Kenny con entusiasmo. “Era troppo piccolo per bere quando l’ho lasciato e non l’ho mai incoraggiato perché non è saggio essere sbronzi quando si è alti così,” sollevò la mano a poco meno di un metro da terra, “e si ha un faccino che non fa completamente schifo.”

“Faccio fatica a credere che Levi abbia mai fatto schifo, Capitano.”

“Che cosa ti ho detto riguardo al pronunciare il suo nome?”

“Non m’interessa quello che avete detto. Levi era il mio compagno, ripeto il suo nome quanto mi pare e piace.” Erwin lo disse con calma, come se stesse presentando una nuova strategia di attacco a un suo soldato.

Kenny sgranò gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata. “Allora ce le hai le palle, ragazzino.”

Erwin non ne era tanto sicuro. Era solo arrabbiato. Lo era stato per gran parte della sua vita, dal giorno in cui suo padre era morto per colpa sua. Era solo riuscito a incanalare quella rabbia in un obiettivo da raggiungere, ma aveva perso il suo potere inibitorio ora che Levi era morto

“Mi avete fatto chiamare per questo?” Domandò. “Volete parlare di lui?”

“Non presentarla come una questione sentimentale del cazzo, moccioso.”

“Ma lo è,” ribadì Erwin. “Lo vorreste indietro, ma l’unica cosa che potete ottenere sono i ricordi di quella parte della sua vita che non vi appartiene.” Era una teoria azzardata. Non credeva realmente che Kenny si sentisse così, ma lui sì. 

L’uomo che Erwin aveva di fronte era il solo al mondo che poteva dire di aver avuto Levi, a parte lui. 

“Alpha…” Mormorò Kenny distrattamente, tenendo lo sguardo fisso sulla finestra coperta di sbarre. “Mi mandava fuori di testa il pensiero che potesse finire con uno come te.”

Questo non gli aveva impedito di abbandonarlo, ma Erwin tenne quel pensiero per sé.

“Cazzo, doveva assomigliare proprio a Kuchel?” Si lamentò Kenny, massaggiandosi la fronte.

Kuchel. La sorella di Kenny. La madre di Levi.

“Doveva essere bella,” mormorò Erwin.

“Se proprio vuoi saperlo, vedevi il suo viso ogni volta che guardavi Levi.”

“Allora era bella davvero.”

Kenny si voltò nella sua direzione. “Cos’è la prima cosa che hai notato?” Domandò sprezzante. “Il suo viso, oppure il culo?”

“Le sue ali,” rispose Erwin. Non avrebbe ceduto a una provocazione tanto volgare, non quando c’era di mezzo Levi. “Ci faceva illudere tutti che l’uomo fosse nato per volare.”

“Quante stronzate…”

“Se pensate che Levi sia arrivato dov’era per qualcosa che non fosse il suo talento, allora siete il primo a insultare la sua memoria, Capitano.”

Kenny lo guardò di traverso. “Ragazzino, sono contento che tu abbia gli attributi ma non facciamo quel giochino da Alpha in cui ci ringhiamo contro fino a che uno dei due non se la fa sotto!”

“Ha scelto di restare con me.”

Kenny alzò gli occhi al cielo. “Sì gli hai permesso di scegliere tra il tuo inferno e quello in cui è nato. Più di lui avevi solo il cielo. Ha scelto quello, non te.”

Erwin annuì. “Sì, il cielo è venuto per primo,” concordò. “Ma toglietevi dalla testa l’idea che lo abbia sedotto, perché Levi era più di questo e voi dovreste saperlo bene.”

“Io sapevo che il contatto fisico con le altre persone gli faceva schifo,” ribatté Kenny. “Odiava essere un Omega. Detestava il modo in cui la gente lo guardava e sarebbe morto prima di essere come gli altri si aspettavano che fosse: una bella bambolina per far giocare un Alpha.”

“Non ho mai giocato con lui,” disse Erwin, deciso. “Mai.”

“Quello che non capisco, Erwin,” disse Kenny, alzandosi in piedi, “il pensiero che non mi lascia dormire la notte e per cui sto diventando completamente pazzo è questo: perché Levi, il bambino che ho forgiato io, ha perso completamente la testa e si è fatto ammazzare per te.”

Erwin non osò muoversi da dove era. “È per questo che sono qui?” Domandò. “Per dimostrarvi che ero degno di Levi?”

“No, non lo eri.” Kenny scosse la testa. “So cosa ho messo al mondo e nessuno ne era degno. Nessuno.”

Erwin accettò quella verità abbassando lo sguardo: aveva passato tutta la vita a sentirsi indegno del suo titolo, dei compagni che il destino gli aveva dato e di Levi. L’unica ragione per cui aveva ingoiato tutto era per quel sogno infantile di cui ora non gli importava più.

“Volevo solo che Levi divenisse più forte di me,” andò avanti Kenny. “E lo è diventato. La ragione per cui sei qui, Erwin Smith, è perché non mi spiego come quella creatura… Quella caparbia, orgogliosa e indomabile creatura sia morta per te.” Mimò una pistola con le dita, premendo l’indice contro la fronte del giovane Comandante.

Erwin era certo che se avesse avuto una vera arma, non avrebbe esitato a fare la medesima cosa. Se lui si odiava per aver messo insieme la strategia che aveva ucciso Levi, Kenny lo considerava l’unico responsabile della sua morte. Per quell’uomo non faceva differenza se a farlo a pezzi era stato un Titano o la sua lama. 

Per Erwin era lo stesso.

“Niente di quello che vi dirò, vi aiuterà, Capitano,” disse il giovane Comandante, portando gli occhi alle spalle di Kenny, dove il fantasma di Levi li stava osservando entrambi. “Appartenere a Levi non era nei miei piani, eppure sono stato suo completamente. Lui ha avuto l’uomo, quello fragile, tormentato dal senso di colpa e perseguitato dai demoni della sua infanzia; così come il Comandante, quello che non si è mai guardato indietro, che non ha mai piegato la testa, nemmeno di fronte alla gente che lo additava come mostro…” Sorrise tristemente. “Mostro. Stringere Levi tra le braccia è l’unica cosa che ha tenuto insieme la mia umanità per tutto questo tempo.”

Non si accorse che Kenny aveva riadagiato il braccio lungo il fianco e si era voltato per non doverlo guardare in faccia mentre continuava a parlare.

“Io non so come facesse,” ammise Erwin. “Quella personalità abrasiva non era una menzogna, era lui ma era solo una parte. La crudeltà e la violenza non gli erano estranee e sapeva usarle, ma non ho mai visto nessuno dare tanto valore alla vita dei propri compagni. Era facile invidiarlo, lo era ancor di più guadagnarsi la sua antipatia, ma possedeva un magnetismo che non riesco a descrivere. Levi riusciva a lasciare un segno indelebile in chiunque ed era...” Lo sguardo di cadde sul palmo destro, dove la cicatrice non c’era più. “Levi ha… Ha…” Non appena si accorse di star perdendo il controllo della voce, si fermò e cercò di ricomporsi. Quando sollevò di nuovo lo sguardo, il fantasma di Levi era sparito.

Kenny approfittò di quel tentennamento per riprendere la parola. “Di che colore erano i suoi occhi?”

Il Comandante inarcò le sopracciglia, sollevando lo sguardo da terra. Il Capitano Ackerman gli dava le spalle. “Il colore dei suoi occhi?” 

“Sì.”

Sebbene l’altro non lo stesso guardando, Erwin scosse appena la testa, perplesso. “Perché una domanda simile?”

“Perché non me lo ricordo,” mentì Kenny Ackerman, annoiato.

“Avete gli stessi occhi, lo sapete bene.”

Per la terza volta, la scrivania subì l’ira del Capitano. “Rispondimi e basta, moccioso di merda!”

La mente di Erwin scelse proprio quel momento per giocargli un brutto scherzo. Gli sbatté davanti agli occhi un’immagine che non seppe ricollocare temporalmente. Lui e Levi erano a letto e la camera era illuminata dalla luce dorata del mattino. Doveva essere estate perché la finestra era aperta. Erwin non ricordava cosa lo aveva svegliato, ma trovare Levi ancora sopito accanto a sé lo aveva sorpreso. 

Lo aveva guardato fino a che il desiderio di toccarlo non aveva avuto la meglio. Aveva posato una carezza tra quei capelli corvini e Levi aveva arricciato il naso. Non appena la mano di Erwin era scivolata sulla sua guancia, quella creatura indomabile - come l’aveva chiamato Kenny - aveva sollevato le palpebre e lo aveva guardato dritto negli occhi. Poi aveva allontanato la sua mano con uno schiaffo e si era girato dall’altra parte lamentandosi per la troppa luce.

“A una prima occhiata sembravano grigi,” rispose Erwin, focalizzandosi su quell’immagine. “Invece erano di un azzurro invernale.”

“Invernale?” 

Erwin avvertì tutto il disgusto di Kenny nel tono della sua voce. 

“Mi ricordavano il cielo in quelle gelide mattine d’inverno, prima che cada la neve,” spiegò il Comandante. “In realtà, penso che il tempo influenzasse il loro colore. Hanji mi ha detto che succede con gli occhi chiari e quelli di Levi lo erano parecchio. In alcuni giorni d’estate sembravano blu.” Si umettò le labbra e sollevò lo sguardo sulla schiena del Capitano. “Ho risposto alla vostra domanda, signore?”

Kenny non si voltò, il pugno chiuso poggiato sulla scrivania. “Sai, Erwin, ho fatto un sacco di cose nella mia vita: omicidio, spionaggio, sono stato perseguitato, poi sono divenuto l’amante di un Re. Una vita complicata,” guardò il giovane negli occhi. “Anche io avevo un obiettivo e ho passato quasi trent’anni a inseguirlo. Praticamente tutta la vita di Levi. A differenza tua, non lo raggiungerò mai a causa della famigliola del cazzo in cui sono nato. Sono praticamente morto, mi manca giusto una tomba per rendere la cosa ufficiale e se faccio un bilancio veloce della mia vita, sai l’unica cosa giusta che ho fatto qual è?”

Erwin conosceva la risposta e Kenny non aveva bisogno di udirla da lui.

“Lo hai usato o lo amavi… Non m’interessa, Erwin,” disse il Capitano, gelido come lo era stato Levi nei giorni precedenti Shiganshina. “Lo hai ucciso tu. Sei il suo assassino e spero che fosse il fottuto amore della tua vita così che il senso di colpa possa trascinarti all'inferno ancor prima che la morte arrivi a prenderti. Non dimenticarlo mai, Erwin: tu hai ucciso Levi. Non i Titani, non la guerra. Tu.”

Kenny si lasciò cadere sulla sedia una seconda volta. “Quando esci manda qualcuno a pulire questo schifo,” disse, indicando il pavimento con un vago gesto della mano.



Erwin era entrato in quella cella agonizzante.

Ne uscì completamente distrutto.



Nile si accorse che qualcosa non andava e provò ad attirare l’attenzione dell’amico, a farlo parlare. Fu tutto inutile: Erwin si era chiuso dietro il suo muro impenetrabile e l’unica persona in grado di abbattere le sue difese non faceva più parte di quel mondo.

“Sicuro di stare bene?” Domandò Nile per l’ennesima volta, mentre l’altro Comandante scendeva dalla carrozza. “È tardi, Hanji e i ragazzi saranno a dormire. Andiamo a berci qualcosa e parliamo un po’.” Non voleva lasciare il suo amico d’infanzia da solo: aveva una brutta sensazione.

Erwin non si voltò a guardarlo. “Non preoccuparti, Nile. Sto bene.”

“No che non stai bene, Erwin.” Nile allungò il braccio, tentò di afferrarlo ma l’amico era già fuori portata. Lasciò andare un sospiro. “Passerò tra qualche giorno a vedere come stai. Historia non chiede nulla, ma il governo comincia a pretendere risposte ufficiali.”

Erwin alzò in braccio in segno di saluto e scomparve oltre il portone d’entrata del castello.



Nile aveva ragione: Hanji e i ragazzi erano andati a dormire. 

Erwin ne fu sollevato: non aveva voglia di parlare con nessuno, né di raccontare alla Capo Squadra del suo secondo incontro con Kenny Ackerman.

Si era grattato il palmo destro per tutto il viaggio dalla prigione centrale a lì e continuò a farlo mentre saliva le scale che portavano alla camera che aveva condiviso con Levi per anni. Una volta richiusa la porta, appoggiò la schiena alla scrivania sotto la finestra e guardò in che stato versava la sua mano: i segni rossi lasciati dalle unghie sparirono a vista d’occhio.

Erwin strinse le labbra e poi il pugno. Affondò le unghie nella carne, senza preoccuparsi delle conseguenze che quel gesto avrebbe potuto portare. Non si trasformò, non accadde nulla di caotico: il lato psicologico della sua metamorfosi stava avendo la meglio sulla parte meccanica.

Fece male ma mai quanto perdere un braccio nel bel mezzo di una battaglia. Una goccia di sangue scivolò lungo il polso ma continuò a stringere, fino a che il liquido purpureo non arrivo a sporcargli la manica della divisa. Lasciò andare quando non ce la fece più. Tempo pochi istanti e un sottile colonna di fumo si alzò dalla sua mano, mentre il dolore spariva e le ferite si rimarginavano. 

La rabbia che lo investì ebbe la meglio sul raziocinio. Aprì il primo cassetto della scrivania e ne tirò fuori il tagliacarte. Non esitò neanche un istante prima d’incidersi la pelle, disegnando una linea obliqua, simile il più possibile alla cicatrice che la lama di Levi gli aveva lasciato.

Quando ebbe finito, il dolore non durò che pochi istanti e i lembi di pelle tornarono insieme come se non fossero mai stati tagliati. 

Erwin tentò di nuovo solo per ottenere lo stesso risultato. La terza volta, chiuse il pugno intorno alla lama e tirò l’impugnatura. Non cambiò nulla.

Le mani di Levi lo fermarono prima che potesse fare un quarto tentativo. 

Un fulmine illuminò a giorno la camera ed Erwin vide con chiarezza gli occhi invernali del suo Capitano. 

“Che cosa stai facendo, idiota?” Domandò. 

Erwin lasciò andare il tagliacarte, che cadde a terra con un rumore metallico, e afferrò le mani di Levi. Erano calde, vive, reali.

“Sei qui?” Sussurrò, tremante. “Sei davvero qui?”

Certo che non poteva essere vero, ma Erwin era stanco, sfiancato dall’odio che provava per se stesso. Kenneth Ackerman lo considerava l’assassino di Levi, Hanji lo odiava per avergli spezzato il cuore prima di lasciarlo andare tra le braccia della morte e centinaia di famiglie piangevano i loro figli perché si erano lanciati in un’azione suicida da cui lui era tornato e loro no. Non aveva neanche la forza di considerare la parte in cui divorava un ragazzino di quindici anni e diveniva il mostro che aveva sempre temuto di diventare.

Levi non rispose alle sue domande disperate, gli prese la mano destra e si assicurò che la ferita si fosse rimarginata del tutto. “Ti serve questa mano, idiota.”

“Non è la mia mano,” replicò Erwin, mostrandogli il palmo. “La cicatrice, Levi. La cicatrice non c’è più.”

“E perché questo dovrebbe essere un problema?” Domandò Levi con indifferenza.

Erwin sbatté le palpebre un paio di volte. “È iniziato tutto con quella cicatrice.” Era lì che Levi aveva posato le labbra su di lui per la prima volta.

“No, ti sbagli,” replicò il fantasma. “È cominciato tutto quando hai tradito la fiducia di tua padre e lo hai condannato a morte.”

Erwin gelò. 

“Oppure, no, è successo dopo, quando hai deciso che sacrificare centinaia di vite era un prezzo accettabile per il nobile scopo per cui combattevi.”

L’aria nella stanza si era fatta improvvisamente più fredda.

“Entrambi sappiamo con certezza quando è finita: il momento in cui hai reso chiaro che il tuo infantile sogno del cazzo valeva più di me.” 

Erwin sapeva che quella era sola la proiezione del suo senso di colpa e parlava con la voce di Levi perché, in cuor suo, voleva solo farsi male, punirsi per ogni azione che aveva commesso dalla morte di suo padre in poi. 

Eppure, c’erano cose che Erwin non era riuscito a dire ma che non poteva più tenere per sé. “Ti ho dato per scontato,” disse. “Le mie probabilità di sopravvivere erano basse anche in condizioni ottimali. Nella situazione disperata in cui ci trovavamo, la mia morte era una certezza. Nella mia testa non esisteva un ipotetico finale in cui tornavo senza di te.”

“Certo, da morto non avresti sofferto di una mia eventuale dipartita.”

“Non è quello che-“

“Sì, che lo intendevi,” lo interruppe Levi. “Vuoi farmi credere che ti sei sacrificato per dare una possibilità a me, con la speranza che avrei vinto per tutti noi.”

“Sì.” Erwin non aveva alcuna intenzione di transigere su quel punto. “È stato il mio ultimo pensiero prima di morire.”

“Tu non sei morto, Erwin.”

“Se fossi un cadavere, lo sarei meno di adesso.”

“È solo poesia, Erwin. Un’altra delle tue stronzate come: dedicate i vostri cuori alla causa. Quando ti ho chiesto che cosa avresti fatto dopo Shiganshina, mi hai detto di non saperlo. Io ero proprio lì davanti a te, ma nemmeno allora avevo alcun valore per il tuo futuro, vero?”

Erwin scosse la testa. “Non ce l’avevo un futuro, Levi. Non potevo prometterti niente.”

“Mi hai usato per coprire il rumore assordante della tua solitudine.”

“Questo è quello che crede tuo zio, non quello che credi tu.”

“E che cosa credo io, Erwin? Anni con me non sono serviti a farti desiderare qualcosa di più. Io ero vivo e non potevo competere con i fantasmi del tuo passato.”

“Non è così, Levi. Non è così.” Erwin cercò di afferrarlo ma il fantasma fu più veloce, si fece indietro.

“Morire per il tuo desiderio era più importante che vivere per me,” concluse Levi, voltandosi, nascondendo il viso all’uomo che lo aveva salvato solo per condannarlo.

Era troppo tardi per rimediare. Non si poteva aggiustare qualcosa di morto, ma c’erano parole che Erwin non poteva più soffocare. “Ti amo, Levi.”

Gli occhi di ghiaccio del fantasma tornarono a guardarlo.

“Ti amo,” ripeté il Comandante. “Sei l’unica cosa che mi ha tenuto in vita fino alla fine. Sei il custode della mia umanità. Ho pensato a un futuro con te innumerevoli volte, ma ho soffocato ogni cosa per non inquinare la mia capacità di giudizio. La speranza è un’arma pericolosa e se tu potevi brandirla, io non ci riuscivo. Sono indegno di ogni istante che abbiamo condiviso, ma sono stati i più belli della mia vita. Ti amo, ma lasciarmi indietro per combattere da solo era una cosa che non potevi chiedermi. Non ti avrei mai abbandonato, Levi, nemmeno se me lo avessi ordinato.”

Sul viso del fantasma comparve un’espressione triste, stanca. “Perché non me lo hai detto quando ero vivo, Erwin?” 

Il Comandante non aveva una risposta, solo una lunga lista di rimpianti.

Un tuono cadde vicino al castello e trasalì. Quando tornò a guardare di fronte a sé, Levi non era più lì.

Levi non era più da nessuna parte.

Ed Erwin non aveva ragione di restare.



Quando il sole tagliò l’orizzonte, di Erwin Smith non c’era più traccia in nessuna delle terre dell’Umanità.



”Perché sei così nervoso?”

“Non sono nervoso.”

Lo era. A quindici anni era stato meno impacciato.

“Hai avuto altri amanti.”

“Nessuno era te.”

Quando gli occhi invernali lo guardarono, si sentì nudo nonostante avesse ancora tutti i vestiti addosso.

“Tu sai di essere il primo per me.” 

Lo disse come se fosse una cosa da poco.

“Ma per te, sono la prima volta di cosa?”

Di qualcosa di spaventoso e bellissimo. 

Evitò di rispondere con un bacio.
   
 
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