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Autore: _Malila_Pevensie    24/09/2019    1 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 10
- LA CORTE DI ERRANIA -



Quella notte, nulla ruppe la calda coltre dei sogni di Freya: parlare con Aran aveva fatto scendere su di lei una tranquillità che non avrebbe mai creduto possibile. Fu una calma risanatrice, che le permise di recuperare del tutto le forze perdute negli ultimi tempi a causa dei suoi ripetuti incubi e del lungo viaggio affrontato.
Il suo sonno era tanto profondo che solo quando avvertì i propri sensi sgusciare fuori dal torpore e riacquistare acutezza aprì lentamente gli occhi. Ciò che trovò la lasciò confusa per qualche attimo: un'intensa luce dorata abbracciava tutto, dal mobilio ai tendaggi, per poi scivolare sulle pareti in pietra grezza. Impiegò un istante a capire che era la luce del sole a inondare tutto a quel modo. Com'era possibile che fosse già così fulgida e luminosa a quell'ora del mattino?
Si mise a sedere delicatamente e comprese il perché non appena osservò il cielo, al di là del vetro colorato che occupava la parete alla sua destra: il Grande Padre aveva già compiuto parte del suo percorso nel cielo; dovevano essere trascorse almeno tre ore, se non di più, dall'alba. La mattina era ancora giovane, ma era comunque passato molto dall'ora in cui si svegliava abitualmente. Gettò le gambe oltre il letto, lieta che non dolessero più come il giorno precedente. Subito si sentì rincuorata nel percepire il calore del pavimento in legno sotto le piante dei piedi: le ricordò quello di casa.
Non appena fu del tutto fuori dalle coperte quasi si lanciò verso la finestra, smaniosa di permettere al sole di riscaldarle il viso. Appoggiò le mani sul davanzale e socchiuse gli occhi, concedendosi un istante di pace, nonostante oramai il sonno l'avesse abbandonata. Poi, volse lo sguardo ai giardini, molto più in basso; la sua vista acuta arrivò a scorgere i colori sgargianti dei fiori, i petali multicolori schiusi a bearsi come lei dell'imperante calore che vegliava sulla terra. Si riscosse solamente quando il pensiero di avere un'intero castello ancora da esplorare la riempì di aspettativa.
Si avviò verso il baule e cercò un abito che potesse fare al caso suo; lo trovò sul fondo, leggero, di un bel color cobalto e si vestì più velocemente che poté. Raccolse alla svelta parte dei capelli sulla nuca, senza curarsi di cercare lo specchio con lo sguardo, e lasciò che il resto le ricadesse sulle spalle. Soddisfatta del risultato prese un lungo respiro, cercando il coraggio necessario per varcare la porta che l'avrebbe catapultata nel mondo di corte. Si era oramai decisa quando, prima che potesse anche solo posare la mano sulla maniglia, qualcuno bussò sul legno massiccio dalla parte opposta.
Freya aprì all'istante e il battente si scostò per lasciarle intravedere Aran, che pareva essersi svegliato decisamente prima di lei. Non poté trattenersi dal sorridere mentre lui la studiava attentamente, come se volesse accertarsi che il suo malessere del giorno prima se ne fosse andato del tutto. Come poteva, dopo così poco tempo, preoccuparsi a quel modo per lei?
«Sto bene, Aran, non devi preoccuparti in alcun modo per me» affermò, lasciando che la propria espressione si addolcisse e anticipando qualsiasi cosa il giovane potesse dire o fare.
Lui rimase ammutolito per qualche istante, sorpreso dalla sua perspicacia, prima di riacquistare la parola. «In realtà, sono qui perché oggi mi piacerebbe farti visitare la nostra corte, se ne hai voglia» disse. Poi, aggiunse: «Se però hai in mente qualcos'altro, oppure desideri stare sola, non c'è alcun problema. Mi potrai venire a cercare tu quando...»
Vedendolo tanto agitato, Freya non lo lasciò andare oltre: «Voglio vedere ogni angolo di questo castello fin da quando sono arrivata. Aspettavo solo di averne l'opportunità» lo interruppe, nel tentativo di fargli riprendere fiato.
Aran si fermò, imbarazzato di aver perso il controllo della propria lingua, e con un profondo respiro asserì: «Bene, allora andiamo. Da dove vorresti cominciare?»
«Sei tu la mia guida, perciò affido a te l'ardua decisione» scherzò la ragazza, uscendo dalle sue stanze e fermandosi di fronte a lui con le mani allacciate dietro la schiena, in attesa.
Il giovane si produsse in un mezzo sorriso. «Mi piace che tu riesca a parlare con me in modo tanto semplice e diretto, sai?» commentò.
Solo in quell'istante Freya si rese conto di aver dato sin da subito del tu a un Principe, senza che lui l'avesse mai autorizzata a farlo. «Mi dispiace di essermi presa la libertà di darti tanta confidenza, non mi ero resa conto di essere stata tanto maleducata» disse, arrossendo violentemente.
Aran fece evaporare la sua preoccupazione, scoppiando a ridere e ribattendo: «Non c'è alcun motivo per cui tu ti debba rivolgere a me con deferenza, avrai a mala pena un anno in meno di me.»
«Sì, ma tu sei un Principe» rispose lei, prima di essere interrotta dal fissarsi dello sguardo del ragazzo nel proprio.
«Non ha alcuna importanza. Promettimi che non mi tratterai mai come se ti fossi superiore» soggiunse, come se per lui fosse qualcosa di estremamente importante.
Quell'improvviso contatto visivo fece rimanere Freya senza respiro, ma ugualmente riuscì ad annuire. «Te lo prometto.»
In breve, entrambi si ritrovarono a sorridere, una felicità sincera che li invadeva senza una ragione precisa. Solo passato quel momento Aran iniziò ad avviarsi lungo il corridoio; sembrava non avere esitazioni sulla direzione da prendere.
«Senza alcun dubbio dobbiamo iniziare dalla Galleria dei Ritratti» spiegò, riprendendo il discorso precedente dal punto in cui l'avevano interrotto.
Lasciarono la torre in cui si trovavano gli appartamenti di Freya e attraversarono una serie di sale e corridoi minori che li portarono all'ala est del castello; lì, Aran la condusse al secondo piano, fino a una porta grande il doppio di quelle che s'intervallavano normalmente lungo le pareti. Intarsi d'oro puro ne fregiavano la superficie, facendola sfavillare debolmente alla luce che traspariva dalle finestre smerigliate. Freya non osò fare il primo passo: anche solo la maniglia doveva valere una fortuna. Fu Aran ad aprirla, permettendole di entrare in una sala lunga e stretta di cui quasi non si scorgeva il fondo.
La giovane varcò la soglia e un brivido le percorse la schiena quando lo sguardo le cadde sulla parete alla sua destra: un gigantesco ritratto alto almeno un braccio più di lei era lì appeso e con dovizia di particolari vi era dipinta, sontuosamente vestita, la Regina Mirea. Solo il trono la sovrastava alle sue spalle, mentre tutta la stanza che le faceva da sfondo, sebbene fosse quella del trono e fosse fregiata per tutta la lunghezza delle sue pareti, sembrava convergere su di lei, dandole ancora più importanza e imponenza. I suoi occhi, ghiaccio puro, la osservavano severi e per qualche istante la giovane si sentì schiacciare sotto il peso del quadro e di ciò che raffigurava. Quando Aran le posò una mano sulla spalla, trasalì.
«Lo so» sussurrò lui, quasi come se avesse timore di risvegliare qualcosa di enorme sopito all'interno della cornice, «questo dipinto mette in soggezione. Quand'ero piccolo ne avevo una paura tremenda.. Gli altri ti incanteranno.»
Con fatica immane, Freya distolse lo sguardo dalla figura inflessibile della Regina e l'aura di paura che l'aveva avvolta si dissipò non appena passarono oltre. Si trattava certamente di suggestione, doveva esserlo. Quando riuscì a volgere la propria attenzione agli altri quadri, la colpì come fossero tutti più piccoli di quello di Mirea, tanto imponente da sembrar usurpare spazio a chi era venuto prima di lei e a coloro che sarebbero giunti in futuro. Solo sulla parete di fondo, ancora troppo lontano per essere ben visibile, sembrava esserci un dipinto in grado di rivaleggiare con quello che la Regina aveva commissionato per sé stessa; la ragazza immaginò di dover attendere la fine della visita per scoprire di cosa si trattasse.
Prima che potesse anche solo rischiare di restare intrappolata nel pantano dei propri pensieri, Aran la salvò proseguendo lungo la sala, sempre attento a non lasciarla indietro. Trascorsero più di un'ora fra quelle mura cariche di storia del Regno di Riagàn, seguendone il corso attraverso i moltissimi quadri disposti in file che arrivavano quasi a toccare il soffitto. Innumerevoli furono i Re e le Regine degni di essere ricordati per le gesta che avevano compiuto o per particolari avvenimenti che si erano ritrovati costretti ad affrontare durante i loro regni.
Freya ascoltò rapita la voce di Aran che narrava storia e leggenda, fondendole in un unico racconto che le fece comprendere molto sulla natura degli uomini. Erano impulsivi, spesso si lasciavano trascinare dalle proprie passioni e dai propri sentimenti, come se gli anni di vita che gli venivano concessi fossero troppo pochi per poter fare tutto ciò che avrebbero voluto; erano però anche capaci di compassione e altruismo, di saggezza e diplomazia, di equità.
Anche i sovrani considerati meno noti avevano un posto d'onore in mezzo ai volti e ai nomi più conosciuti e lei ascoltò i vari aneddoti su di loro con lo stesso identico interesse. Alla giovane fu presto chiaro come il potere e la ricchezza non preservassero dalla sofferenza: molti di quei regnanti, apprese dalle parole di Aran, erano rimasti soli dopo aver perso consorti e figli per le cause più disparate, da lunghe e atroci epidemie a battaglie e aggressioni sanguinarie.
Parola dopo parola raggiunsero la parete di fondo, che a Freya, la quale aveva i piedi doloranti e la memoria satura di informazioni, era parsa fino a quel momento irraggiungibile. Lì, accuratamente bordato da un'immensa cornice intagliata nella pietra a formare un ricco intarsio, c'era il ritratto che già in lontananza aveva catturato la sua attenzione, più di qualunque altro.
Raffigurava una coppia, regale e solenne, la quale trasmetteva un profondo senso di unione che le fece formare uno stretto groppo in gola. L'uomo era alto, aveva capelli biondo miele lunghi fino alle spalle e i suoi occhi blu profondo sembravano guardare il resto della sala, come per vegliare su tutti gli altri sovrani che la condividevano con lui e la sua consorte; aveva spalle larghe coperte da un mantello scuro e una corona d'oro tempestata sul capo. Dalla sua cintura pendeva una grande spada, mentre il braccio destro teneva stretto quello della moglie.
Lei era di una bellezza pura e splendente: i lunghi capelli rossi le scendevano sciolti lungo le spalle, coronati da una tiara d'oro di finissima fattura, mentre gli occhi, di una particolare sfumatura indaco, trasmettevano dolcezza e forza al tempo stesso; il suo vestito era azzurro cielo, finemente ricamato, mentre una cintura scintillante di turchesi le cingeva la vita.
Freya impiegò un istante per riconoscere la Sala del Trono, alle loro spalle, perché era molto differente da come appariva attualmente: i due scranni dei sovrani erano di legno massiccio, rivestiti su schienale e seduta di bianco candido, e le pareti erano decorate semplicemente da stendardi e intagli molto più semplici di quelli ora presenti. Provò a chiedere ad Aran di quel dipinto, ma la voce le morì in gola per ben tre volte e alla fine fu lui a intervenire.
«Quelli sono Re Hamlan e la sua sposa, la Regina Mirana. Loro sono i primi sovrani che Riagàn abbia mai avuto: il loro casato ha risolto tutti i conflitti che imperversavano nelle nostre terre e ci ha finalmente uniti in un solo regno; fu il popolo stesso a sceglierli all'unanimità. Sono anche i più amati e ricordati dalla nostra gente, uno di quegli affetti che vengono tramandati attraverso i secoli» le disse osservando la sua espressione stupita e, al contempo, rapita da quella coppia che sembrava tanto unita e presente da essere lì, in carne ed ossa.
Freya rimase immobile a guardare i due sovrani per un tempo che parve infinito, mentre cercava di scorgere qualcosa prima negli occhi del Re e poi, più alacremente, in quelli della Regina. Si ritrovò a desiderare che prendessero vita, che si trovassero di fronte a lei per spiegarle cosa avesse portato a quel loro presente, così confuso come lo era stato il loro passato. Poi, la mano di Aran la riscosse dai suoi pensieri, poggiandosi sul suo avambraccio. La giovane scosse la testa come per scrollarsi qualcosa di dosso e si voltò a guardarlo.
Fu strana l'impressione che la colse: improvvisamente le parve, in modo tanto vivido da sembrare reale, di essere divenuti loro i soggetti di un dipinto. Forse, fu per gli occhi dei sovrani fissi su di loro, attenti e penetranti, mentre sembravano chiedersi come due ragazzi così giovani potessero essere finiti in quella sala, ritratti fra re e regine. Era come se il tempo si fosse cristallizzato lì e non in quelle nicchie, uguali a sé stesse da secoli. Durò solo un secondo. L'aria immota riprese presto a scorrere nei polmoni di Freya, che bruciarono come se fosse rimasta in apnea troppo a lungo.
«Stai... stai bene?» mormorò Aran, visibilmente preoccupato per la momentanea assenza di lei.
La ragazza sorrise. «Sì, sto bene. È solo che... questo quadro mi ha colpita. Sarà perché è così antico e imponente» ribatté, riacquistando fermezza nel tono man mano che parlava.
Aran annuì. «Talmente antico che non è rimasto più nulla del suo autore, solo un piccolo scarabocchio all'angolo della tela» sussurrò, puntando lo sguardo sul minuscolo ghirigoro, quasi invisibile.
«Sarà meglio andare, ci sono ancora moltissime cose che vorrei mostrarti» disse infine, recuperando la sua normale sicurezza.
Uscirono così dalla Galleria dei Ritratti, diretti verso la moltitudine di sale ancora da visitare, dislocate in tutto il castello. Camminarono a lungo e chiacchierarono di molte cose: della loro infanzia, dei luoghi in cui l'avevano vissuta e delle vicissitudini che si erano trovati ad affrontare. Freya si rese presto conto che, nonostante vivesse in un castello, Aran ne aveva viste molte, soprattutto se si parlava dei soldati d'istanza al palazzo. Il giovane Principe le spiegò che sua madre lasciava intendere sempre molto poco degli affari del Regno, ma nascondere un'intera compagnia di cavalieri sanguinanti che ritornavano dopo misteriosi periodi di assenza, o addirittura la sparizione di alcuni di essi, era impossibile perfino per lei.
D'altro canto, nemmeno la ragazza era stata sempre tranquilla nella foresta. Raccontò ad Aran delle battute di caccia e delle lunghe ore passate a raccogliere i frutti della natura per procurarsi il sostentamento, di sua madre che le insegnava a difendersi e a orientarsi nel fitto sottobosco.
«Non hai mai fatto domande su tutti questi misteri?» chiese Freya dopo un silenzio particolarmente lungo. Stavano attraversando la Sala del Consiglio, in cui imperava un'onnipresente luce dovuta a un'immensa vetrata locata alle spalle dello scranno, dove la Regina sedeva durante le sessioni.
«Certamente. Una notte mi sono anche intrufolato negli alloggi delle guardie, immaginando di trovare chissà che cosa. Alla fine mi hanno ritrovato su una torretta di guardia col naso all'insù, mentre cercavo di individuare alcune costellazioni che il mio precettore mi aveva mostrato. Ricordo ancora che spavento tremendo ho fatto prendere a mia madre» rispose lui, sorridendo.
Quando ebbero fame raggiunsero le cucine e consumarono lì un pasto frugale; Freya intuì che Aran si recava spesso a mangiare con le cuoche dal modo in cui si rivolgevano a lui, rispettoso, certo, ma con una nota di familiarità che non mancò di strapparle un sorriso. Poi, Aran le mostrò i giardini alla luce del giorno; per quasi tutto il pomeriggio vagarono nei viali lastricati, facendo a gara per riconoscere piante e fiori che spandevano il loro fragrante profumo nell'aria. Infine, quando il sole si stava già avviando verso il lontano orizzonte, rientrarono.
Aran la condusse in una camera del corpo centrale, non lontana dalla Sala del Trono: era rivestita esclusivamente di lunghi arazzi multicolori, che parevano avere qualcosa di diverso da quelli decorativi visti fino a quel momento. Erano davvero di tutte le forme e fogge, ma a spiccare erano quelli più grandi ed elaborati, appesi lungo tutta la parete di fronte alla porta: sette in tutto, fra di essi quello centrale la faceva certamente da padrone; era grande il doppio, se non di più, degli altri sei. Si trattava di uno stendardo purpureo, bordato di nero, e recante uno stemma sapientemente intrecciato, attorno a cui si snodava l'effige "Città di Errania". Il simbolo in questione era composto da uno scettro nero incrociato con una spada, a cui faceva da sfondo uno scudo dal bordo dorato; attorno a quest'ultimo si avvolgeva un rampicante irto di spine e foglie frastagliate, anch'esso nero, terminante in un fiore; dall'interno di quest'ultimo fuoriuscivano saettanti lampi. Freya lo riconobbe all'istante: come avrebbe potuto non farlo, dopo le tante volte che lo aveva visto campeggiare sulle casacche dei soldati di Mirea?
«Questi sono gli stendardi delle principali città del Regno. Questo, invece, è quello della capitale» spiegò Aran.
La giovane passò in rassegna tutti gli stendardi, uno a uno. Gli unici due che potessero esserle in qualche modo familiari erano quello dorato di Concivis e quello color grigio argento di Plametia, posti in fondo alla lunga fila. Ancora una volta, la sua curiosità di saperne qualcosa in più prese presto il sopravvento, e Aran si ritrovò tempestato da una miriade di domande. Con un gran sorriso in volto, il Principe non esitò a spiegarle brevemente dove fosse situata ognuna delle grandi città di Riagàn che lei ancora non aveva visto, quali fossero le sue caratteristiche e il suo preciso ruolo nel funzionamento del Regno.
«Quando ne avremo l'occasione te le indicherò tutte su una cartina» promise il ragazzo, mentre i loro passi li conducevano fuori anche da quell'ultima sala.
Nell'uscire, Aran fece per aggiungere qualcosa, con un tono che a Freya parve quasi dispiaciuto: «Sembra che la nostra visita guidata si sia conclusa. Hai visto tutte...» Improvvisamente, però, si fermò a metà frase, un'idea che sembrava andarsi a formare nella sua mente.
«Che succede?» gli domandò Freya, cercando di capire a cosa stesse pensando.
«Mi stavo sbagliando, non ti ho mostrato tutte le sale. Ce n'è ancora una che voglio che tu veda. Ti riguarda in prima persona, io credo, ed è la mia preferita» ribatté lui, trascinandola con sé verso il corridoio e poi su per lunghe rampe di scale che li portarono all'ultimo piano del palazzo, in una camera che pareva essere esattamente sopra quella del trono.
Freya ebbe la netta sensazione che non avrebbero dovuto trovarsi lì. Si voltò verso Aran per esprimere il proprio dubbio e ne ebbe la conferma quando incontrò i suoi occhi.
«Mia madre ha interdetto questa sala moltissimo tempo fa, perciò non avrei mai dovuto nemmeno metterci piede. Sono riuscito a entrare in possesso di una copia della chiave per caso e, nonostante il divieto, non posso più fare a meno di entrare qui, di tanto in tanto» le spiegò, prima di aprire la porta con cautela e permetterle di entrare in un salone ampio, circolare.
La visione di quel luogo la lasciò senza fiato e cancellò il timore delle conseguenze che quella visita avrebbe potuto avere. Non furono le colonne di pietra che si alternavano alle pareti e culminavano in elaborati capitelli a sorprenderla, né il soffitto a cupola. Fu piuttosto ciò che conteneva. All'esatto centro, un tavolo rotondo in massiccio legno di ciliegio occupava un'enorme porzione di pavimento, circondato da dodici sedie dagli alti schienali; nonostante questa fosse una visione più che normale, meno lo era la fontanella in marmo che spuntava dal pavimento per poi bucare il tavolo. Non sgorgava acqua dalle conchiglie rette in mano dalle esili figure di due fate dalle ali perfettamente scolpite, ma era comunque qualcosa di estremamente inusuale.
Tuttavia, quando la sua vista spaziò sul resto, anche quella fontana divenne all'insegna della normalità. Lungo le pareti si allineavano teche di vetro, in cui erano racchiusi un sacco di oggetti molto strani. Freya vide bacchette magiche intagliate e con incastonate un'infinità di pietre, vasi multicolori di tutte le fogge e dimensioni che sembravano pulsare a intervalli regolari, boccette che racchiudevano liquidi cangianti di luce propria, bauli in legno e madreperla e altri oggetti a cui non seppe dare un nome e che, probabilmente, solo un Incantatore ben istruito avrebbe saputo come utilizzare.
Poi, vide i ritratti che occhieggiavano al di là delle teche e il cuore le si fermò. I volti dipinti sulle tele dovevano essere quelli degli Incantatori che avevano servito Mirea; al contrario dei re e delle regine della galleria, tutti immortalati, forse per tradizione, all'interno della Sala del Trono, essi avevano alle spalle gli fondi più diversi. Ne ignorò la maggior parte, fino a soffermarsi sulla fila più in basso, l'ultima. Quando ebbe individuato ciò che cercava si precipitò a osservarlo. Sì, anche sua madre era lì, e quando si ritrovò a guardare quegli occhi a lei così familiari non poté che cercare di ricacciare indietro le lacrime con tutte le sue forze, sorridendo nonostante tutto.
Eleana era sola, seduta su una panchina in pietra del giardino, con un passerotto posato sulle dita affusolate. Portava un vestito color acquamarina dalle maniche ampie, i capelli sciolti ed era felice come non l'aveva mai vista. Poteva percepirlo attraverso la sottile membrana della tela, come se il pittore fosse riuscito a catturare le emozioni e i sentimenti con i suoi colpi di pennello, fissandoli nei pigmenti.
In quel momento la colse la consapevolezza che quel giorno aveva visto un'infinità di cose che sua madre aveva conosciuto prima di lei, attraversato luoghi dove lei stessa aveva camminato. Le lacrime che aveva trattenuto fino ad allora lasciarono i suoi occhi e le caddero lungo le guance. I ricordi del passato, quelli che gelosamente conservava nel più profondo del suo cuore, si stavano lentamente fondendo con quelli che stava acquisendo, dandole una più ampia consapevolezza della persona che era stata sua madre.
Dietro di lei, Aran rimase in rispettoso silenzio finché lei non si voltò. Il ragazzo parve trattenere il respiro, come temendo la sua reazione, ma nel suo viso qualcosa cambiò quando Freya sorrise nuovamente. Era un sorriso sincero e lo furono anche le sue parole: «Grazie, Aran. Grazie. Non avrei mai potuto sperare in così tanto.»
Per un attimo il giovane non seppe cosa rispondere, poi non poté fare a meno di sorriderle di rimando: «Non hai nulla di cui ringraziarmi, avevi il diritto di capire ciò che ha visto e vissuto lei» le disse in tono sommesso.
Quella seconda frase la lasciò basita. Era come se avesse espresso ciò che lei aveva solamente pensato pochi istanti prima.
Solo allora Aran fece un passo in avanti e osservò anche lui il ritratto di Eleana, assorto. «Doveva essere davvero l'Incantatrice più potente che Mirea abbia mai avuto, così come una delle sue più preziose alleate. Ho sempre saputo che per mia madre la magia è un argomento delicato, ma solo ora mi rendo conto che deve essere stata una conseguenza della vostra scomparsa» aggiunse, quasi tra sé e sé.
«La Regina non ha mai più avuto altri Incantatori a suo servizio?» domandò la ragazza.
Aran scosse il capo. «Fatta eccezione per Gorman, non c'è più nessun Incantatore qui a corte.»
Freya non disse nulla, ma quelle parole aprirono una nuova serie di interrogativi. Non conosceva la storia di come Mirea fosse salita al trono, ma una delle cose di cui aveva sempre avuto la certezza era che per arrivare dov'era avesse usato un potere immenso. Non si spiegava altrimenti la sconcertante longevità del suo Regno, così come quella di Mirea stessa. Che davvero tenesse a sua madre e a lei al punto da bandire quasi completamente la magia dalla propria corte, alla loro scomparsa? Conosceva troppo poco della Regina e del suo carattere per avere la risposta.
Uscirono dalla sala in silenzio. Freya camminava con le mani giunte dietro la schiena, mentre Aran cercava di cogliere squarci di paesaggio oltre le vetrate delle finestre che gli scorrevano accanto. Era oramai ora di cena, le ombre si allungavano quasi impercettibilmente lungo le mura, i viali e la campagna circostante. Quando giunsero al corridoio che si diramava fra la torre nord-ovest e quella nord-est, i due ragazzi si separarono.
«Ti ringrazio ancora» disse a mo' di congedo Freya. «Con tutto il cuore. Hai rischiato molto per mostrarmi quella sala e non lo dimenticherò.»
Lui indirizzò lo sguardo, che fino a quell'istante aveva tenuto ben saldo sul panorama all'esterno, in quello di lei e sorrise. «Non ho rischiato nulla, non ti devi preoccupare, e non avrei potuto trovare modo migliore per trascorrere la giornata. Sono io che ringrazio te. L'unica cosa di cui mi rammarico è di non poterti accompagnare, nei prossimi giorni; sarò impegnato con i miei studi. Non appena avrò un attimo di libertà, verrò a cercarti» le disse e come la sera precedente, lei capì che quella era una promessa e lui l'avrebbe mantenuta.
«Non temere, i tuoi studi sono sicuramente importanti e l'ultima cosa che voglio è distoglierti dai tuoi doveri. Troverò molte altre cose da fare. Aspetterò» rispose la ragazza.
Rimasero immobili ancora per un istante, come a voler trattenere quel giorno che oramai volgeva al termine. Poi, si rivolsero un cenno a vicenda, si voltarono e ognuno si diresse verso le proprie stanze. Il cuore di entrambi era pieno di una gioia che raramente avevano assaporato.
   
 
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