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Autore: iron_spider    26/09/2019    4 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 12: La fenice risorge




 
Tony vede Peter ovunque. È come se qualcuno avesse hackerato ogni schermo che non sia occupato dai Giochi, perché tutti trasmettono il volto di Peter. Alcune delle immagini sono le loro robacce prefabbricate, ritoccate, con lui in piedi di fronte a un qualche campo di battaglia e con un’espressione che gli hanno appiccicato addosso, affatto naturale. Ma altre… sembrano spontanee. Mentre è in giro per Capitol. Spalla a spalla con Tony stesso. Sorridente. Foto che nessuno dei due sapeva fossero state scattate. Foto di Peter dietro le quinte con MJ, mentre le stringe la mano. Che ammira la ragazza che non vedrà mai più.

Tony riesce a malapena a guardarle. Percepisce ogni parte di sé come una ferita aperta. Continua a toccare il bracciale, per accertarsene. Magari è stato tutto… un trucco.

Ma non c’è più battito. Solo quiete, e silenzio. Quello più rumoroso che esista.

Non ha mai visto Capitol in questo stato. Il sole sta tramontando, brucia come fuoco nel cielo, e non c’è nessuno seduto all’aperto, a bere champagne. Nessuno è chino sui tavoli da scommessa, nessuno esulta, nessuno è più su di giri per i Giochi. Tony non ha davvero preso in considerazione questo esito… non ha preso in considerazione la morte di Peter, non davvero, e di certo non ha pensato alle effettive conseguenze di quel fatto: la gente, questa gente, che si comporta così. Di solito buttano via i loro Tributi morti come uova marce e passano subito a quelli successivi e migliori, al prossimo potenziale Vincitore, ma questo… cazzo, Tony non ha mai visto niente del genere.

Non vuole davvero credere che l’abbiano amato. Non pensa che la maggior parte di loro sia in grado di provare vero amore, ma di sicuro stanno dimostrando… qualcosa, adesso. Tony si chiede quanto di tutto ciò sia il risultato degli infiltrati ribelli di cui parlava Thor. Se abbiano alimentato loro il fuoco per primi. Tony non ha mai saputo nulla di eventuali piani di riserva, nel caso avessero perso Peter prima che riuscisse a scappare. Non ha voluto conoscerli, perché non voleva vivere in quel mondo. Quel mondo non aveva alcun senso.

Passa rasente attorno a un gruppo di gente di Capitol intenta a intonare cori, e si copre la faccia quando sembrano riconoscerlo. Ci sono ancora degli spari in lontananza, ma solo pochi fuggono spaventati. Sono tutti presi dalla foga della folla, determinati, e Tony si chiede quali siano gli ordini dei Pacificatori. Se stiano sparando per uccidere gli stessi cittadini di Capitol, di Stane. Ricorda quella donna, fuori dalla sua residenza. Non si sono fatti problemi a pestarla a sangue, ma qui si tratta di più di una persona. È la quasi totalità della popolazione. È un effetto domino scatenato dall’odio sopito, una cupola di vetro che finalmente va in frantumi. Non sa cosa pensarne. Non sa fino a che punto riusciranno ad arrivare, se tutto ciò porterà all’obbiettivo a cui miravano Thor e gli altri. Rivoluzione. O se verrà soffocata entro l’alba di domani. Tornando tutti al solito programma.

È a circa un chilometro dal Centro Tributi quando sente delle mani tremanti che si aggrappano a lui.

Si volta, pronto a reagire, e si ritrova tra le braccia Justin Hammer. E sta piangendo.

“Tony,” singhiozza, attaccandosi a lui come a un’ancora di salvezza.

“Okay, okay,” bofonchia Tony, assolutamente impreparato.

“Dio, mi dispiace tantissimo,” piange Justin, stringendolo più forte. Si ritrae, e Tony sa di non averlo mai visto piangere prima d’ora. Cerca di decidere se credergli o meno, ma niente di tutto ciò sembra reale, a questo punto. La sua emicrania minaccia di spaccargli in due il cranio, e una parte di lui vorrebbe che ci riuscisse. Justin continua a parlare: “Il ragazzo, era– era così buono, era un bravo ragazzo, era– insomma, lo vedi cosa sta succedendo– tutti sono andati fuori di testa…”

“Già,” dice Tony, con la gola costretta mentre abbassa lo sguardo. “Giusto in tempo, eh?”

Justin gli rivolge un’occhiata guardinga. “Non avrei mai pensato di vedere questo posto… così,” dice.

Tony scuote la testa. “Hammer, devo– devo sbrigarmi, okay?” Deve andare via di lì. Vuole solo vedere Janet, e solo per un momento. Solo per un addio. Le sue ossa anticipano il momento in cui si romperanno. Ha bisogno di farla finita. Potrebbe finalmente guadagnarsi un momento per sé. A loro non importa più nulla di lui. Probabilmente lo vogliono comunque far fuori.

“Tony,” dice Justin, troppo serio. “So che… che volevi bene al ragazzo–”

“Sì,” scatta Tony, riportando lo sguardo su di lui. “Sì, proprio così. E, cazzo, non sono affatto pronto per parlarne.”

Justin annuisce, e sembra sentirsi in colpa, un’emozione che a Tony è sin troppo familiare. “Sai cosa stia succedendo? Con… tutto? Con quello che– insomma, lui non c’è più, ma in un certo senso, intendo, è qualcosa di più grande, non saprei, guarda cosa–”

“Non lo so,” replica Tony. “Non… non ne ho idea.” Non sa cosa diavolo pensare, e si odia, perché non gli interessa. Panem si merita di sfuggire allo stivale di Capitol, ma lui non si sente più in grado di provare nulla. E non è più utile a nessuno. Peter è morto. Era tutto ciò a cui lui poteva servire: tenerlo in vita. E non è riuscito a farlo. Non ci è riuscito. “Hammer, devo…”

Hammer gli si accosta di nuovo e tira su col naso, ancora in lacrime. “Non vorrebbe che ti arrendessi, Tony,” gli dice. “Peter non vorrebbe che–”

“Peter non vuole più niente,” ribatte Tony, spingendolo lontano da sé. “Capito? Non vuole proprio nulla. Non c’è più. Peter non c’è più.” I suoi occhi si fanno di nuovo lucidi e si volta, perché quello stronzo di Hammer l’ha visto piangere anche troppe volte in vita sua.

“Tony,” lo chiama ancora mentre si allontana, in mezzo a una folla di idioti di Capitol che lo assalirebbero, se solo lo riconoscessero, specialmente in una situazione del genere. “Tony, ti prego, non… non fare niente di avventato… lui ti vorrebbe al sicuro…”

Tony deglutisce a forza, senza girarsi a guardarlo.

 
§

 
Non pensa a cosa avrebbe voluto Peter. Perché Peter voleva che lui smettesse di bere. Peter voleva che fosse lucido, felice, sano e salvo. L’ammirazione di Peter proiettava sempre un’aura positiva, così tanto che Tony aveva ritrovato la speranza.

Il che rende la delusione ancor più cocente.

Deve arrivare a piedi fino all’attico, perché gli ascensori sono fuori uso, e quando finalmente ci riesce ha le gambe di gelatina. Ma, in qualche modo, il dolore gli dà forza, smuove la sua rabbia. Non c’è più nessuno qui, e si chiede dove cazzo siano finiti tutti, cosa stiano facendo, e cerca di ricordare quale sia l’ultima cosa che gli hanno detto.

Non ricorda. Tutto quello che riesce a sentire è Tony, aiutami. Tony, ti prego.

Voleva dire addio a Janet, ma lei non è qui. L’unica persona che gli sia rimasta, e non è qui.

I Giochi scorrono ancora in TV, e sa che non può spegnerla. Cerca di romperla, ma riesce solo a distorcere un po’ le immagini che continuano a susseguirsi. Sanno perfettamente quello che stanno facendo. Vede il volto insanguinato di Steve, lo vede mentre cerca di tenere al sicuro le donne. Sembra che a loro non serva molto la sua cavalleria: Shuri decapita di netto un alieno.

Tony crolla di nuovo. Si spacca a metà e si trasforma. Va fuori di sé.

Strappa la carta da parati. Perde il controllo, non riesce quasi a pensare, non riesce a fermarsi. La sua vista si oscura. Spacca il tavolino da caffè. Distrugge i cuscini, fa a pezzi il divano, sbatte le sedie del soggiorno contro le pareti fino a far staccare le gambe. Sradica il frigo dal muro e lo rovescia a terra, smonta tutte le credenze della cucina. Tutto si frantuma, si rompe, si macchia. Ci sono vetri ovunque. Getta a terra tutto ciò che è sul piano del bagno di Peter, perché hanno sempre cercato di cambiarlo, di farlo loro, quando avrebbe dovuto esserlo sin dall’inizio, e non lo era.

La stanza di Peter è ancora sottosopra da quando è partito, quando stava cercando ovunque la sua spilla di Iron Man, e Tony vede il vestito della Mietitura per terra di fianco al letto. Se lo ricorda, quel giorno. Ricorda quanto fosse spaventato. Era diversa dalla paura che ha visto oggi. Era nuova, incerta. Tony si era comportato in modo orribile con lui, aveva cercato di essere distante. Non ci era riuscito a lungo.

Raccoglie la maglietta e la torce tra le mani, sentendo arrivare nuove lacrime.

Non può distruggere nulla qua dentro, il suo cuore non reggerebbe, quindi si sposta nella propria camera da letto e prende a fare a pezzi anche quella. I Giochi vengono trasmessi anche qui, proiettati sul muro, non c’è modo di fuggire. Spacca il proprio armadio, gettando fuori la roba, stracciando i propri vestiti, tira pugni contro lo specchio finché non si scheggia, pieno di sangue e del simulacro distrutto che è un riflesso della sua anima.

Indietreggia, inciampa su qualcosa e la prende a calci, qualunque cosa sia, finché non sia accascia a terra. Si aggrappa ai piedi del letto, chiudendo gli occhi contro il dolore, contro l’eco della morte di Peter che gli rimbomba nelle orecchie, al centro del petto. Cerca di ricordare gli anni passati, e di sicuro c’era di mezzo più alcol, ogni volta. Crede di aver distrutto la maggior parte delle loro scorte, lì, durante la sua frenesia. Sa di essersi scollegato un paio di volte nel mentre, e forse sta finalmente morendo di crepacuore. Forse questo è il suo ultimo crollo, quello definitivo.

Singhiozza, immaginandosi di vederli di nuovo, tutti quanti. Chiude gli occhi e affonda la fronte nell’orlo del piumino, e vuole soffocarsi.

Può quasi sentire le mani di Pepper su di sé. Gli accarezza le spalle.

Va tutto bene,” gli dice. “Sei qui, adesso. Dio, amore, mi sei mancato.

Non riesce a sentire suo padre. Non sa se lo accoglierebbe con orgoglio o con delusione. Anche nell’aldilà, Howard sarebbe Howard. Un enigma. Sua madre no, è buona da far male e impaziente di dare sollievo alla sua mente corrosa. Lo stringerebbe e gli ricorderebbe cosa si prova a non essere responsabili di nulla. Quando la vita era semplice. O il loro concetto di semplice.

Rhodey. Affettuoso. Accogliente, forte e deciso. Lui sarebbe felice di vederlo. Il suo sorriso sarebbe ancora lo stesso di tutti quegli anni fa, attraverso la recinzione tra Undici e Dodici.

Ma Peter. Peter sta marcendo. Peter è pieno di fori, si decompone. Peter è per sempre in agonia.

Aiutami,” piange, anche se non può più essere aiutato.

Tony si riscuote da quell’incubo a occhi aperti, con gli occhi che ancora gli bruciano di lacrime. Non ne può più di tutto questo. Janet è l’unica a cui mancherebbe. L’unica. E sa che le farà male, lo sa, le farà perdere qualcun altro. Ha già perso così tanto. Ma lui è debole. C’è un limite a quello che può sopportare, e gli hanno rubato tutto. Ricorda il corpo di Pepper, impiccata. I suoi genitori, disposti ai suoi piedi. Rhodey, che si dissangua tra le sue braccia. E adesso Peter. Intrappolato dietro lo schermo di una TV. Implorante. Agonizzante.

Tony non ha neanche potuto provare a confortarlo. Rhodey è stato l’unico, tra tutti loro, con cui ha potuto avere un momento. Non sa cosa sia peggio. Cosa sia più doloroso. Ha troppo da cui poter scegliere.

Vede infine l’oggetto che ha preso a calci e il suo cuore ha un sussulto. Il pacco della Everhart. Gli sembra che gliel’abbia dato secoli fa. Prima di tutto questo. Si chiede dove sia lei adesso. Come stia gestendo tutto questo. Se il pacco abbia ancora un qualche significato per lei.

Tony lo fissa. I fogli sono sparpagliati sul tappeto, e la scatoletta nera si è aperta. Dentro, c’è una chiavetta per il palmare.

Continua a fissarla, quasi non fosse certo che sia davvero lì. Nulla di tutto ciò fa differenza, il suo ragazzo non c’è più… non importa cosa abbia scoperto la Everhart, non può cambiare quel fatto. Ma Tony sospira strizzando gli occhi e si avvicina, raccogliendola da terra. Si rimette in piedi e gli fa male tutto. Ma vuole che stare peggio di così. Vuole uscire e prendere di mira un Pacificatore. Vuole che lo riducano in poltiglia.

Non riesce a decidere il modo migliore per morire.

Si siede sulla sponda del letto, prende il palmare e cerca di ignorare i Giochi sul muro. Sembra che moriranno tutti tra poco… al diavolo il piano, al diavolo la speranza, e probabilmente sarà lui, quel bambinetto di Osborn che Peter ha inchiodato al muro. Al sicuro dallo scontro. L’ultimo a rimanere in piedi.

Tony scuote la testa. Inserisce la chiavetta al terzo tentativo, e trova dei file criptati che gli sbarrano la strada. Non ha la forza per tutto questo, non adesso, ma imposta il pilota automatico, imbocca delle backdoor, inserisce dei codici, sfonda i firewall. Non sa cosa diavolo sia né perché sia così secretato, e non vorrebbe far altro che metterlo da parte. Ma continua a lavorare, sconfiggendo ogni nuova finestra e schermata blu e, alla fine, scavalca un ultimo blocco di sicurezza.

Un video riempie lo schermo.

La vede immediatamente. La riconosce dalle sue ricerche, quando stava cercando di dare a Peter un po’ di serenità mentale, almeno un po’ di serenità. Mary Parker, seduta di fronte a una telecamera, con una luce irrequieta negli occhi. Sembra essere in un qualche laboratorio, e Tony vede suo marito che si sposta dietro di lei.

“Ben, May, se state guardando questo video, devono essere successe molte cose per– per farvi arrivare al momento in cui… lo state guardando.” Scrolla la testa, e la sua voce trema. “Se lo state guardando, noi non ci siamo più. Se lo state guardando, Peter… Peter–” La sua voce si spezza e distoglie lo sguardo, si rivolge verso Richard. Lui si ferma, brevemente, qualunque cosa stia facendo, e annuisce cercando di trasmetterle un po’ di forza. “Peter è nei Giochi.”

Fa un cenno, guardandosi le mani, e Tony quasi vuole smettere di guardare. Peter non è più nei Giochi. Peter è un corpo nell’arena. Peter è morto. Sta guardando negli occhi una donna che ha deluso, la madre del bambino che non è riuscito a salvare.

Distoglie lo sguardo, mentre lei continua a parlare.

“Mi dispiace se non siamo lì,” dice. “Io… abbiamo sempre– sappiamo che c’è… che c’è una possibilità che noi–”

“Mary,” la richiama Richard, fissandola.

“È difficile parlare così,” replica, voltandosi verso di lui. “Come… come se stessimo per fallire. Come se ci guardassero da un futuro in cui abbiamo fallito, dove lui– dove lui è–”

“È solo per sicurezza,” ribatte lui. “Solo nel caso vada storto qualcosa. Va bene? Dobbiamo essere lungimiranti. E lo siamo stati.”

“Va bene,” dice lei, sfregandosi gli occhi. “Va bene.”

Tony non riesce a guardare, sapendo che non ce l’hanno fatta. Sapendo che in quel momento, niente era ancora inciso nella pietra. Niente era ancora accaduto. In quel momento, loro erano vivi. Peter era al sicuro.

Mary ricomincia. “Sapete quello che abbiamo fatto,” afferma. “Voi non… abbiamo cercato di limitare i dettagli, ma sono sicura che abbiate sentito… le voci. E sapete quello che vi abbiamo detto. È stato un inferno, è stata… una tortura, per entrambi. Ma– Dio, Richard, non so come– non so come dirlo. Così sembra terribile, così sembra che lo stessimo usando per degli esperimenti.”

Tony rialza lo sguardo, le sopracciglia corrugate, e vede Richard che si avvicina, posandole una mano sulla spalla. Si china in modo da entrare nell’inquadratura.

“Abbiamo fatto ciò che dovevamo,” dice. “Qualunque cosa abbiamo liberato là fuori, qualunque cosa incontrerà… l’abbiamo– l’abbiamo reso immune. Non lo ucciderà. Ogni volta che siamo stati lì, con lui, portavamo… portavamo dei campioni, abbiamo… insomma, ce ne siamo assicurati. Non erano esperimenti, noi… sapevamo quello che stavamo facendo. Non possiamo evitargli il dolore o– o di soffrire, ma non morirà. Non permetteremo alle cose che ci hanno costretto a creare di uccidere nostro figlio.”

Tony sente un brivido al cuore. Non sa cosa diavolo stia provando, un miscuglio rosso acceso di shock e rabbia.

“Speriamo che non accada mai,” dice Mary, mentre una luce blu si accende sullo sfondo. “Speriamo che questo video rimanga… semplicemente criptato, che nessuno lo apra mai–”

“Ma se così sarà, se state– se lo state guardando nell’arena adesso, loro… non possono ucciderlo. Non con quello che abbiamo creato noi, non con quello che Capitol usa contro di noi, contro di loro, i… i Tributi,” dice Richard. “Non so che Vincitori avremo, nel vostro tempo, ma sia Janet che Tony… possiamo fidarci di loro. So che lo prepareranno a tutto. Ma i mutanti… abbiamo fatto in modo che nessuno di loro, nulla di ciò che abbiamo creato possa uccidere il nostro Peter.”

Tony si lascia sfuggire un piccolo suono di protesta senza volerlo, nel sentire il padre di Peter che parla di lui e di fiducia nella stessa frase. Dopo quello che ha fatto. Quello che non ha fatto. Quello che ha lasciato accadere.

“E Frank, se sei lì,” aggiunge Mary. “Ti chiedo solo… tienili al sicuro. Proteggili, quando tornerà a casa. Perché tornerà a casa.”

Nel posto in cui sono scatta un allarme, e fissano entrambi freneticamente la telecamera.

“Vi vogliamo bene,” dice Mary.

“Vogliamo bene a tutti e due.”

“E Peter,” chiama Mary. “Peter, ci dispiace così tanto…”

“Ma ti vogliamo–”

Qualcosa si muove dietro di loro, e l’immagine si interrompe. Tony fissa lo schermo nero e scaglia il palmare lontano da sé.

Il modo in cui parlavano di Peter, alla fine. Come se fossero stati così sicuri, così sicuri che le loro azioni l’avrebbero salvato. Tenuto in vita. Che sarebbe riuscito a vedere questo video, di ritorno dai Giochi. Si sente il cuore impazzito e si mette in piedi, iniziando a marciare avanti e indietro.

“Beh, vi sbagliavate,” esala, le mani piantate sui fianchi mentre continua a camminare, con il sottofondo di Steve che cerca di tornare alla torre che risuona alle sue spalle. “Vi sbagliavate. L’hanno ucciso. L’hanno ucciso, non li avete fermati. Nessuno può farlo, non importa… quanto lo vogliano. È morto, è– è–” Tony smette di camminare, portandosi una mano agli occhi mentre un’altra ondata di lacrime lo investe.

Ci hanno provato tutti, con così tanto impegno. Avevano fatto dei progetti. Tony ci ha messo tutto se stesso, tutto quanto, nel salvare Peter Parker. Tutti l’hanno fatto. Eppure.

“Maledizione, ragazzo,” sussurra Tony. Scuote la testa, strozzandosi con un singhiozzo. “Maledizione.” Gli manca, gli manca la sua solarità, nonostante tutto. Quella sua fiducia cieca che lo aveva spaventato a morte, di cui voleva disperatamente mostrarsi degno.

Si asciuga gli occhi, risucchiando un respiro, e si avvicina alla finestra. Scosta bruscamente via le tende e fissa Capitol sotto di lui, in fiamme. È stato Peter. Peter ha vinto i loro cuori, per una volta, per davvero. Gliel’ha fatta vedere. Ha aperto le loro menti, ha fatto comprendere l’inferno che sono veramente gli Hunger Games. Lo amavano. Lo amavano sul serio, a dispetto dei loro difetti, della loro vacuità. E anche i Distretti. Tony può solo immaginare cosa stia accadendo laggiù. Peter era speranza. Era la scintilla di speranza che tutto questo potesse avere fine. E adesso sta cadendo a pezzi. Tony non sa come farà a funzionare, senza Peter, con solo il suo ricordo, il suo martirio. La rabbia è lì, ma la coordinazione è sparita. L’icona è sparita. Il volto. Il collante che teneva insieme tutto.

Sa che la finestra è chiusa a chiave. Ha provato a forzarla in passato, gli anni scorsi. Era sempre riuscito ad assestare sei o sette colpi con una delle robuste sedie della cucina prima che Janet arrivasse a fermarlo. Ma lei adesso non è qui. Non la vedrà mai più.

Sente la voce idiota di Hammer in testa. Non vorrebbe che ti arrendessi, Tony.

Si è sempre immaginato Pepper che lo osservava. Che seguiva ogni sua variazione d’umore, mentre indietreggiava di fronte alla morte o vi si tuffava contro. Riesce a immaginare la sua silenziosa delusione. Ma Peter… Peter sarebbe arrabbiato. Peter sarebbe ferito, da ciò che gli passa in testa ora. Peter lo perseguiterà.

Ma è ciò che Tony vuole. Vuole aggrapparsi a lui in qualunque modo. Anche al senso di colpa che porta con sé… a tutto ciò che non è riuscito a fare. Vederlo è come una ferita rovente, come qualcuno che gli cava gli occhi, ma ne ha bisogno. Non è in grado di andare avanti senza di lui.

Amalo come se fosse tuo. Se è davvero questo che significa, Tony sa che non era destino che avesse dei figli. Perché non riesce a tenerli in vita. Peter era come suo figlio, gliel’ha detto. E cosa ha lasciato che gli accadesse? Cosa ha visto accadere? I genitori non dovrebbero seppellire i propri figli, e a lui non è concesso neanche quel lusso.

Poggia la fronte contro la finestra e guarda il mondo che brucia per Peter Parker.

Il bracciale vibra.

Il mondo quasi si scioglie del tutto a quella sensazione, solo quella, nient’altro che quella. Tony quasi ha un infarto per lo shock, indietreggia e abbassa gli occhi sul congegno. Lo fissa in modo accusatorio, con pura rabbia che gli risale le vene. Non possono togliersi questi affari maledetti fino alla fine, devono portarsi appresso il dolore e la perdita finché non viene incoronato un Vincitore, ma non dovrebbero avere dei malfunzionamenti. Tony sa di non potersi gestire, se questo coso inizia a fare come cazzo gli pare.

Lo fissa in cagnesco. Adesso c’è solo silenzio, di nuovo, e scuote la testa, ma poi… un battito. Debole, lento. Ma è lì.

“Ma che cazzo…” esala Tony, con la gola che si costringe, perché non può farcela. Non ce la fa. Sa che questi Giochi non dureranno ancora a lungo, considerando il pandemonio che hanno scatenato, ma anche solo un secondo di questo, di falsa speranza, è un memento di ciò che ha perso, è troppo per il suo cuore.

Afferra il bracciale, cercando di far scattare la chiusura, ma il battito aumenta solo d’intensità. Tony si sente sul punto di svenire, e si rivolge verso lo schermo senza volerlo. Non c’è più speranza, lo sa. Non c’è speranza. Il suo ragazzo non c’è più. È andato, come tutti quelli prima di lui.

Le riprese in TV impazziscono per un secondo. Si muovono da Steve a Michelle, ancora intrappolata. Mettono a fuoco Hardy, morta. Tornano su Scott, ancora in ombra, ancora immobile. Mostrano Osborn, che lotta per liberarsi dalle ragnatele di Peter. Mostrano Beck, ancora nello stesso punto, molto più deteriorato, pieno di mosche.

Poi mostrano Peter.

E ovviamente pensa di immaginarselo, pensa che lo stia desiderando con così tanta intensità che gli si sta manifestando davanti agli occhi, solo per svanire quando più ne ha bisogno. Ma lo sente: affaticato, rantolante: un respiro, uno che non avrebbe mai più dovuto inalare aria e la trova comunque.

Tony si gira mezzo paralizzato e rimane a guardare mentre Peter, tremante, torna in vita. E Tony è terrorizzato, per un istante, che ci siano dietro loro, che stiano usando il corpo di Peter in qualche modo per torturarlo e soggiogarlo. Poi la mano del ragazzo preme contro il pavimento, con forza, e lui alza lo sguardo, fissando la telecamera.

È lui. I suoi occhi. Peter. È vivo. È vivo, di nuovo, chissà come. Deve essere un sogno. Non può accadere davvero.

“Ragazzo,” sussurra, stringendo ancora strettamente il bracciale.

Gli occhi di Peter sono stralunati e respira a fatica, i battiti del suo cuore troppo veloci, decisamente troppo veloci. Tony è finito in un mondo di fantasia, per forza, ma si muove comunque verso lo schermo, quasi inciampando nei suoi stessi piedi.

“Sto impazzendo,” sussurra ancora. “Cazzo, alla fine sto andando fuori di testa. Non– non può–”

Peter cerca di sollevare la mano, ma è come se fosse incollata lì. Fa forza, e con un po’ di leva riesce a muoversi, e si fissa il palmo come se non l’avesse mai visto prima. Arrotola la manica del giacchetto e il morso… è solo un piccolo segno rosso.

Tony non ci crede. Non può crederci, non può crederci. Non gli è mai stato regalato nulla, mai, ma questo… lo fissa, e lo fissa, e continua a fissarlo, e forse potrebbe– potrebbe davvero– sta accadendo davvero. Sta accadendo davvero, sul serio.

“Cristo santo,” esala, la testa che gli gira per le vertigini. Ripensa al video che ha appena visto, quelle due anime che guardano tutto dall’oltretomba. “Ce l’hanno fatta,” sussurra. “Ce l’hanno fatta.” Deve essere così, sta succedendo.

I genitori di Peter lo hanno salvato.

Il sollievo che prova Tony è più grande di quanto abbia mai provato, e circonda il bracciale con la mano portandolo al petto. Non sa come fare a crederci, non sa se dovrebbe, ma Peter si sta muovendo sullo schermo, mettendosi in piedi tremante e pieno di nuova vita, ed è la cosa più bella che Tony abbia mai visto. È vivo, respira, il suo cuore batte. Anche se sono stati ingabbiati da Capitol per così tanti anni, i genitori di Peter hanno escogitato un piano d’emergenza. Uno che ha funzionato. Come avrebbero potuto rinunciarvi, avendone l’opportunità? Chi non vorrebbe proteggerlo con la propria vita? È tutto quello che vuole fare Tony. È l’unica cosa che importa. Ma ce l’hanno fatta. Ce l’hanno fatta, ce l’hanno fatta.

Peter è vivo. È vivo, è vivo.

La gratitudine di Tony va al di là di qualunque comprensione, e non riesce a pensare lucidamente. Sa che adesso sono ancor più nei guai, proprio a causa di tutto questo, perché è inimmaginabile, non si è mai visto prima… per Capitol, questo è un problema. Questa è una resurrezione. Peter adesso è più potente di quanto non sia mai stato prima. Il suo stesso essere è un’arma. Ma tutto ciò che riesce a pensare Tony è che adesso può ancora farcela. Ha ancora una possibilità. Quell’essere umano fantastico e meraviglioso può ancora tornare a casa. Tony può ancora essere la figura paterna che vuole essere. Da qualche parte, lontano da qui.

Tony è troppo impegnato a fissarlo, a ringraziare la sua buona stella, per sentire la finestra che si rompe nella stanza accanto.

 
§

 
Peter si sveglia con un respiro spezzato.

Il terrore di sapere che la morte lo stava consumando ancora lo attanaglia, e riesce a muoversi a stento. La sua paura è smisurata, e lo paralizza, perché era morto. Sa che lo era. L’ha sentito in ogni dettaglio: il dolore straziante, l’impotenza più pura e completa, tutto l’amore e i ricordi che lo inondavano, cercando di tenerlo lì. Si è sentito un bambino, e tutto ciò che voleva era che Tony atterrasse lì per salvarlo, portarlo al sicuro, e Peter sapeva che stava guardando. E sapeva che anche May e Ned erano lì, e ciò l’ha solo spaventato di più. Gli si stava rompendo il cuore, e poteva sentire anche i loro, come se fossero connessi assieme dall’affetto che li unisce.

Peter ha sentito anche Stane. Quello che voleva fare, che avrebbe fatto, perché Peter stava morendo, perché Peter stava per morire da un momento all’altro. E Peter era intontito da quell’immagine che lo divorava, e tutto ciò che voleva era che finisse, fermare tutto, sopravvivere. Ma ha sentito lo stesso il proprio cuore che rallentava. Ha sentito l’aria che gli mancava. Tutto si era fatto silenzioso.

Ma adesso è sveglio. E le cose… non sono come prima.

Si sente più concentrato. Come se riuscisse a sentire tutto a chilometri di distanza. La sua vista è più nitida, il suo udito è fino, e, quando preme una mano contro il pavimento, rimane incollata lì. Come se avesse della colla sulla pelle. La tira via dopo un lungo momento e si guarda il palmo: tutto sembra uguale a prima, ma sa che non è così.

Riesce a sentire la nuova forza che si fa largo in lui. È come se il suo corpo fosse mutato, come se qualcuno l’avesse allungato, infondendogli nuova forza, scattante e pronta all’uso. La sua mente è un disastro peggiore del solito… tutto si ammassa impilandosi sul resto, le voci si intrecciano con altre voci, sente il modo in cui si muove il terreno, in cui il vento soffia fuori, il modo in cui i veicoli alieni scuotono l’edificio. Riesce a sentire tutto, ogni cosa, non riesce neanche a classificare o identificare tutto ciò che riesce a sentire adesso, tutto ciò che sa e non dovrebbe sapere. Quel sistema d’allarme che gli stringe il cuore sembra potenziato, adesso, come se sapesse ciò che sta arrivando, da dove, perché, che intenzioni ha.

Si sente folle.

Non sa chi sia, cosa sia, che cervello ci sia nella sua testa. Non sa cosa diavolo gli sia successo, e sa che non rientrava nei loro piani, che non volevano trasformarlo in… qualunque cosa sia adesso. Una parte di lui si sente sul punto di crollare sotto il peso di quelle nuove responsabilità. Il resto vuole fare a brandelli il loro mondo. Perché, adesso, crede di esserne in grado. Non è testata, qualunque cosa sia quella che gli scorre nelle vene, qualunque cosa gli abbia fatto quel ragno. Ma se lo sente. Lo sa.

Guarda la telecamera e respira a fondo. Sa che tutti l’hanno visto. Ma sa chi è importante tra loro.

Adesso c’è un orologio che ticchetta. Perché questo non è normale, e saranno assetati di sangue. Stane lo sarà.

Peter sa che là fuori il pericolo è ovunque, e se ascolta abbastanza attentamente può sentirla. Sente MJ che grida aiuto. Percepisce ciò che la intrappola, qualunque cosa sia, che si sgretola, si smuove, ma non abbastanza per farla liberare, e neanche per schiacciarla. Non ancora. Sente anche altri richiami e lo sa: sa che non c’è molto tempo.

È stato un disastro per tutta la sua vita. E adesso la sua testa è un guazzabuglio di molto più di quanto abbia mai avuto là dento, ma in qualche modo… scopre di riuscire a concentrarsi.

Niente di tutto questo sembra più impossibile.

Deglutisce a fatica, e quando afferra la maniglia scardina l’intera porta dagli stipiti.

“Porca troia,” esclama, fissandola. La getta da parte, con le mani che rischiano di appiccicarsi anche lì. Riesce a sentire MJ, può localizzarla con precisione, sa che è al quinto piano. Ma c’è un gruppo di alieni ad aspettarlo a metà strada.

Recupera il suo zaino, attento a non stritolarlo tra le mani, e si mette in marcia. Corre sospinto dall’adrenalina più pura, perché potrebbe rimanere fermo a languire in un punto, lamentandosi e piangendo e cercando di dare un senso a ciò che è successo. A tutte queste sensazioni orribili e contrastanti. Ma sa, sa che hanno bisogno di lui. Si ricorda di aver pensato a casa sua, subito prima di vedere l’ultimo ragno. Deve tornare a casa. Devono tornare tutti a casa.

Gli alieni gli si avventano contro non appena lascia la stanza.

Spara una ragnatela e scavalca il corrimano portante, sparandone altre mentre avanza. Atterra sul soffitto e rimane incollato lassù, con suo enorme shock, e salta giù, di nuovo in mezzo alla mischia. Lo caricano, ma Peter schiva ogni colpo, ogni pugno, e si scansa con una capriola quando uno di loro gli spara con una pistola laser.

Fa. Effettivamente. Una capriola. Senza nemmeno pensarci. Ogni capriola che ha fatto in vita sua è stata frutto di preparazione e panico e un’intera vita di pratica, ma qui, nel bel mezzo di una zona di guerra, riesce a farne una senza nemmeno pensarci.

Si scansa di nuovo dalla traiettoria e sferra un pugno. L’alieno in questione viene sbalzato alla indietro come se l’avesse colpito un autotreno. Peter si ritrae mentre il prossimo cerca di aggredirlo, e lo scaglia via da parte, sollevandolo come se non pesasse nulla. Cercano di metterlo all’angolo tutti insieme e lui spara un’altra ragnatela, correndo e facendo un salto oscillante, diretto verso la tromba delle scale.

Le oscillazioni non sono più goffe e pesanti, e anche se ancora respira e si fa prendere dall’ansia come ha sempre fatto, riesce a mettere a segno colpi che non avrebbe mai pensato di poter fare, riesce ad aggirare ostacoli in cui prima sarebbe inciampato. Il suo cervello, anche se più in grado di concentrarsi rispetto a prima, continua a ripetergli no, no, no, non ce la farai. Ma ce la fa. Quasi sempre.

Sente nuova potenza nei propri pugni, in ogni parte del suo corpo, durante gli scontri che affronta lungo la strada verso MJ. Scaglia da parte gli alieni come fossero incorporei, può seminarli, e quando una delle armature si unisce a loro al terzo piano, spara una ragnatela, la supera con una capriola e le atterra sopra. Quella cerca di scrollarselo di dosso, sollevandosi, ma lui sferra un pugno dritto attraverso la corazza, trapassandola e mandando scintille ovunque. Riesce a balzar via prima che precipiti, schiantandosi sulla rampa che conduce al quarto piano.

Stanno succedendo troppe cose.

Si fa largo attraverso altri alieni, facendoli a pezzi a mani nude, e li immobilizza con le ragnatele, oscillando attorno a loro finché non sono ben legati in un mucchio. Si getta da un muro all’altro, col fiatone, e inizia ad appiccicarsi anche attraverso le scarpe, adesso. Riesce a muoversi come un cavolo di ragno. È stato quel mutante. Quel ragno. L’ha ucciso, l’ha riportato indietro e l’ha reso diverso. Gli ha dato… dei poteri.

Sono stati i suoi genitori? È stato per causa loro? Non ha tempo di rimuginarci su, ma sente il cuore fare un balzo a quella prospettiva.

Arriva oscillando fino al quinto piano, e tutti i suoi segnali d’allarme scattano. Tutto se stesso lo sta conducendo da lei.

Riesce a vedere che il tetto in questo punto è collassato, e un paio di segni di esplosioni ora estinte anneriscono i muri e hanno infuocato le macerie. Vede una mano che ne sporge, ma sa che non è lei, ormai conosce abbastanza bene le sue mani da saperlo… ma sa che è qui, qua sotto, da qualche parte. Afferra la mano, e non trova alcun polso. Potrebbe essere Hardy. Pensa che possa essere lei. Chiunque sia, è già andato. Non può aiutarlo.

“MJ!” grida, guardandosi attorno. Il punto è questo, è questo, e inizia a smuovere i calcinacci, cercandola.

“Peter!” esclama lei in un lamento.

A soli pochi metri da lui. Sotto uno dei blocchi di macerie più grandi.

È cemento solido, quasi un pezzo singolo sepolto da frammenti di statue e colonne dal piano superiore. Peter si affretta sin lì, sente il suo respiro.

“Aspetta,” le dice. “Aspetta, aspetta.”

Fa presa sui bordi del blocco di cemento, flettendo le ginocchia. Serra i denti e spinge, spinge con tutte le sue nuove forze mosso dal puro bisogno di salvarla. Le sue braccia e le sue gambe protestano per la sua urgenza, ma fa leva in avanti, continuando a sollevarlo e abbattendo ogni nuovo dolore nelle proprie ossa. Questa roba deve pesare due o tre tonnellate, forse più, con tutto quello che c’è sopra, ma la sta muovendo. La sta spostando da lei.

Al di sotto c’era un piccolo pezzo di colonna che ha impedito al tutto di schiacciarla, grazie a Dio, e quando ha abbastanza spazio per muoversi la vede schizzar via, più in fretta che può. Lascia cadere la lastra di cemento, che si abbatte al suolo sollevando nuvole di polvere. Scrolla le braccia, e dovrebbero essere distrutte, cazzo, dopo quello che ha fatto ma è come se avesse… tagliato della legna. Sollevato dei libri. Non tonnellate di cemento.

Si volta, aiutandola a rimettersi in piedi. Respira a fatica e la prende per le braccia, gli occhi che esaminano rapidi il suo volto per assicurarsi che non vi siano tagli o ferite gravi.

“Stai bene?” sussurra.

“Come diavolo hai fatto?” chiede lei, con la voce spezzata e roca per le urla. “Quello era… quello… è atterrato addosso a Hardy e l’ha uccisa, ha quasi ucciso me, non l’ha fatto solo perché ero sotto quella colonna, e si stava… si stava spezzando, stava per spazzarsi… come diavolo hai fatto?” Ha il fiatone, scuote la testa verso di lui. “Non avresti dovuto riuscirci.”

“Uh,” riesce a dire Peter. Sono cambiate molte cose, ma la sua capacità di mantenere la calma di fronte a lei non è tra queste. Sa che l’orologio sta ancora ticchettando, che le cose si stanno facendo molto, molto pericolose, adesso. Ma se ne sta lì impalato con la bocca aperta, come un idiota.

“Peter.”

“Ero morto,” dice, rapido. “E adesso sono qui. E, non so come, sono più forte. Non lo so. Non ne ho idea. Sul serio. Ma dobbiamo… so che Nat ha bisogno di aiuto, laggiù, là…” Indica in modo vago alla sua destra, “… là, da qualche parte, lo so, e M’Baku è vicino, e– e Steve, e Shuri, e un paio d’altri, sono… là fuori, da qualche parte sul lato della torre, hanno– hanno bisogno d’aiuto anche loro, dobbiamo andare…”

Le prende la mano e comincia a correre, e lei mantiene saldamente la stretta. Gli tasta il bicipite, la spalla, e sa che sta sentendo le differenze. Perché è diverso. E lui è imbarazzato. Sa che non dovrebbe esserlo, perché è un bene, e non è nemmeno colpa sua, ma il suo volto diventa comunque scarlatto. Vorrebbe che fosse successo in un momento in cui avesse avuto il tempo di metabolizzare il tutto, perché deve sedersi per un istante, deve solo… ha bisogno di un momento di pausa. Ma non ne avrà uno adesso.

“Cosa… cosa? Cosa. Che cosa– no, no…” trattiene il fiato MJ, aggrappata a lui. “Cosa? Peter.”

“Ne parliamo dopo!” risponde lui, scattando in avanti, con quella sensazione che diventa più forte, campanelli d’allarme e sudore e panico che lo guidano verso un punto preciso. Natasha ha bisogno di lui. Sa che è lei. Riesce a sentirla.

“Sei morto?” grida MJ. “Sei morto? Come hai fatto a– no, aspetta. No. Eri morto?”

“Sì, sì, ne sono abbastanza sicuro!” dice lui, con i brividi che gli corrono lungo la schiena al pensiero, e non vuole pensarci. “Sembrava, uh, sembrava proprio di sì!”

Si fermano con uno stridio di scarpe di fronte alla finestra rotta, e sa che Natasha è proprio là fuori da qualche parte. È come se avesse una mappa invisibile in testa, con dei puntini rossi e lampeggianti che indicano le persone che hanno bisogno di aiuto. È come quel presentimento che aveva prima, da sempre, ma più potente, più forte, più preciso, più certo di ciò che gli comunica.

Sta impazzendo.

“Peter,” balbetta MJ, reggendosi forte al suo braccio, accostandosi a lui. “Ero… Dio, ero così preoccupata, da quando tu… e ho sentito troppi cannoni, e ho avuto così paura che uno di loro fosse… ma adesso mi dici che– adesso sei…”

Si volta verso di lei, col cuore che è impazzito per troppi motivi diversi. C’è troppo, c’è davvero troppo, veramente troppo. Non ha tempo per fare tutto ciò per cui gli servirebbe tempo. “Posso baciarti?” chiede. “Solo… al volo…”

Lei gli si accosta e lo fa per lui, senza esitare un secondo. Le posa una mano sulla guancia e non avrebbe mai pensato che il suo primo bacio sarebbe stato così, qui, con qualcuno di incredibile come lei, e non si aspettava nemmeno di avere il suo stesso sangue e quello di qualcun altro addosso quando sarebbe successo, ma questo mondo gli ha insegnato che non tutto può essere perfetto. Le sue labbra sono morbide e quel bacio è colmo d’urgenza, non riesce ad assaporarlo perché sa che deve recuperare gli altri. Il suo senso di responsabilità è troppo pesante, troppo forte, lo indirizza esattamente dove dovrebbe andare.

Si ritrae, scostandole i capelli dal volto senza pensare. “Sì, uno dei cannoni è stato per me. Lo so, sono… sicuro al cento per cento. Mi dispiace, mi dispiace che sia successo e mi dispiace che stia succedendo tutto così in fretta, ma un ragno mi ha morso e credo dovesse uccidermi, ma mi– mi ha cambiato. Mi sento fuori di testa, tipo, in ogni modo in cui si può essere fuori di testa. E adesso sarà tutto più difficile, ma ho– sono molto più abile di prima. Non so perché. Non lo so.”

“Peter,” dice lei, gli occhi pieni di tristezza e confusione. “Non sto… non sto capendo…”

“Mi dispiace,” dice di nuovo, e sente di doverlo dire un milione di volte. Sa come suonerebbe tutto questo se lui fosse nei suoi panni, se fossero a ruoli invertiti. Si china a baciarla sulla guancia, e lei si appoggia contro di lui. Lo fa rabbrividire, e cerca di concentrarsi. Si scosta da lei, guardandola negli occhi. “Dammi solo un secondo. Il piano è ancora in corso, è ancora in corso, devo solo… riportare tutti indietro.” Si allontana, facendole un cenno, e prende a camminare all’indietro. “Dammi solo un secondo, okay? Torno subito, devo recuperare Natasha.”

MJ scuote la testa. “Cosa? Dove…”

Non può spiegarle altro, e scuote la testa nella sua direzione, sperando che possa aspettare, solo per un momento. Le volta le spalle e salta fuori dalla finestra.

 
§

 
Tony continua a fissare la TV mentre Peter si alza barcollando, ancora in quella stanza buia dove aveva smesso di muoversi, dove sembrava sarebbe rimasto finché Stane in persona non fosse arrivato a compiere il suo sporco lavoro. Ma adesso… adesso è di nuovo in piedi, e sono passati solo pochi secondi da quando il mondo di Tony è cambiato di nuovo, ma lui sta già pregando. L’unica persona per la quale abbia davvero pregato negli ultimi vent’anni è questo ragazzo, e lo sta facendo di nuovo, prega che sopravviva. Prega che non sia un trucco, o qualche storia dell’orrore fabbricata da Capitol.

Peter si muove lentamente verso la porta, e con un solo, esitante movimento, la scardina dagli stipiti.

Tony aggrotta le sopracciglia. “Porca troia,” esala, nell’esatto momento in cui lo dice Peter.

Poi, la porta della sua camera da letto sia apre con uno schianto, sbattendo contro il muro. Tony si volta di scatto, vedendo una figura mascherata, e la sua prima associazione è un Pacificatore, il suo primo pensiero è lottare, perché non vuole più morire, non più, non mentre il ragazzo ancora respira. Non farà tornare Peter in un mondo in cui lui non c’è più, non dopo tutto quello che ha passato.

Si scaglia contro la figura e la spinge all’indietro, in corridoio. Impattano violentemente contro il muro, che si crepa all’altezza dei gomiti dell’uomo in maschera; spinge rapidamente all’indietro Tony, alzando le mani.

“Non sono dell’umore, stronzo,” dice Tony, offrendo i pugni e preparandosi allo scontro. Non sa se sia qualcuno di Capitol inviato a farlo fuori in segreto, senza l’ausilio dei Pacificatori, o se sia qualche idiota che ha fatto irruzione qua dentro per una storia, per un momento con Tony Stark dopo la morte del suo Tributo. Con tutto quello che sta succedendo, si aspetta che diventino così audaci. “Ti spedisco tre volte all’inferno se–”

“Facciamo di no,” dice una voce familiare, e Tony indietreggia barcollando contro il muro quando niente meno che Bucky Barnes si toglie la maschera e fa un passo nella luce. “Sono un po’ arrugginito nel corpo a corpo. Mi sto ancora abituando alla mano nuova. Al… braccio nuovo.”

Tony lo fissa. Il suo cuore inciampa, si ferma, si rimette in moto. Tra Peter e questo, inizia a pensare che qualcuno gli abbia messo qualcosa nel bicchiere. E chissà quando è stato il suo ultimo bicchiere. Con Lensher? Erik sta cercando di fregarlo? Di farlo allucinare? Sta funzionando. Il suo intero mondo sta tremando. È un casino. Non sta accadendo. Un’altra cosa che non sta accadendo.

“Sì, vecchio, sono davvero qui,” dice Bucky. Si avvicina a lui come se fosse un cavallo che non vuole spaventare, e posa una mano esitante sul suo avambraccio. Non la mano metallica, ma quella di carne e ossa. Quella che Tony ha stretto tra le sue prima che Bucky entrasse nel tubo. Abbassa lo sguardo, e vede le stesse cicatrici.

Risucchia un enorme respiro, rilasciandolo di colpo. Ha brividi ovunque, e sta tremando in modo incontrollato. C’è un uomo morto davanti a lui.

“Sei lì?” chiede Bucky, in modo amichevole. Non era sempre amichevole, nel periodo in cui si sono conosciuti. Era arrabbiato, una rabbia che Tony conosceva e capiva. Che aveva alimentato quando non avrebbe dovuto. Che forse ha portato Bucky ad essere ucciso.

Ma, apparentemente, il concetto di morto non vuol più dire quello che ha sempre significato.

“Che succede?” chiede Tony, preferendo la logica alle emozioni, anche se tutti i suoi muri portanti minacciano di venir giù. Ha bisogno di rassicurazioni, ne ha bisogno, ma non se ne concede mai, come se non se le meritasse. No, decisamente non se le merita. “Che diavolo sta succedendo? Come fai ad essere qui? Come faccio a sapere che non è–”

“Gelato alla fragola,” dice Bucky, e Tony sente un sussulto nel petto. “Già. Non lo sa nessun altro. Nessuno ha i video. Quindi sai che sono io. Non è un trucco.”

Tony non potrebbe mai dimenticarselo. Mai. Janet non c’era, quella volta. Ed era finito ovunque, dappertutto, per tutta la stanza. Era stata una delle prime volte in cui aveva sentito ridere Bucky. Di cuore. Sente il suo volto che diventa bollente e scuote la testa, sente che sta per svenire. Non sembra ancora reale, è come qualcosa che si è creato lui in testa, e fa dei passetti minuscoli in avanti, avvolgendo Bucky tra le braccia e stringendolo a sé. Solo emozioni, adesso. Niente più logica. Ce n’è mai stata?

“Porca puttana,” impreca sottovoce Tony. “Porca puttana.”

“È bello rivederti, finalmente,” replica lui, dandogli delle pacche sulla schiena.

Tony non ha mai rivisto i Tributi. Non dopo che venivano mandati via, non dopo averli guardati combattere per sopravvivere. Non dopo averli visti morire. La morte di Bucky è diventata famosa: un colpo secco nell’ora finale, quando ne erano rimasti solo quattro. Wagner [1] gli si era avvicinato di soppiatto, l’aveva colpito con un dardo velenoso. Fine partita. Non gli era mai sembrato giusto, non ci era mai venuto a patti, e Tony era diventato catatonico per le ore successive, con la confusione e l’orrore che continuavano a respingerlo dentro la propria testa.

Ma il concetto è chiaro. I Tributi non tornano. Non i suoi, almeno. È stato l’unico a tornare al Dodici, dopo Janet. E anche per lei era stata una grossa sorpresa. Ha pregato, per Peter, e appena pochi istanti fa la sua speranza si è riaccesa. Ma è passato più di un anno, da quando ha visto Bucky. Da quando l’ha guardato morire. Ha visto il braccio di Bucky nell’ufficio, dove Stane si ergeva a loro signore e padrone. Bucky era speciale, vero? Ma adesso Bucky è qui. Il cervello di Tony non riesce a concepirlo, ma è qui… lo sta abbracciando, è qui.

È troppo per comprenderlo.

“Sul serio, come diavolo è possibile?” chiede Tony, mentre ancora lo stringe. Ha bisogno di fatti. Magari un po’ di logica. Perché il mondo non ha più senso. Ha bisogno di parole, di spiegazioni. Poi probabilmente avrà bisogno di svenire. Tutto – tutto – gli fa male. Gli pulsa la testa.

“Te lo dico mentre andiamo–”

“Mentre andiamo dove?” chiede Tony. “Che sta succedendo? Seriamente. Seriamente. Mentre andiamo al piano? Siamo ancora nel piano? Li portiamo fuori? Ne hai sempre fatto parte? Cristo…”

“Andiamo,” dice Bucky, e quando Tony si ritrae lo vede fissare la TV in camera da letto. “Cristo, okay… è successo, è…”

Tony guarda oltre la sua spalla, vedendo Peter che si fa strada attraverso la torre e gli alieni come se non gli causassero il minimo ostacolo, come se stesse giocando a un qualche gioco.

“Andiamo, bene,” dice Bucky, prendendolo per la spalla. “È un bene. Siamo sulla giusta rotta, ma lui è, uh… Cristo, ma che gli è preso?”

“Oh, sai, è appena risorto, scommetto che puoi capirlo,” dice Tony, gesticolando verso la TV. Poi riesce a vedere davvero ciò che sta guardando. Peter li sta abbattendo con un singolo colpo. Peter si… attacca alle pareti e ai soffitti. Peter si muove come non si è mai mosso. Tony respira a fondo, inclinando la testa, e si sente sul punto di svegliarsi da un momento all’altro. Non sa quando si sveglierà, ma spera che sia dopo tutto questo. Quando Peter sarà di nuovo sano e salvo e saranno nel Tredici. Dovunque sia il Tredici adesso. Sempre meglio che qui. Questo posto è un bordello.

“Andiamo,” dice Bucky. “Sul serio. Capisco le, uh, domande, ma abbiamo una tabella di marcia. Andiamo.” Lo prende di nuovo per la spalla.

“Aspetta, aspetta,” lo ferma Tony. Si affretta a prendere il suo palmare, con la chiavetta ancora inserita, e lo ficca in una delle sue borse. Deve tenere d’occhio il ragazzo, ovunque andranno.

Ovunque andrà lui. Con Bucky. Che è morto. Deve tenere d’occhio Peter. Che è morto, anche lui. Stanno seguendo il piano? Anche il piano è morto? Non ha idea di cosa diavolo stia succedendo.

“Prendi,” dice Bucky, tendendogli una maschera simile alla propria. “E, uh, questo. Non so quanta gente incontreremo.” Una giacca scura. Tony indossa entrambi e si sente pazzo. È pazzo. Non gli hanno detto di nessun Tributo morto quando hanno parlato del piano, di far uscire Peter e gli altri. Magari avrebbero dovuto menzionare la cosa. Sembrava che volessero prepararlo al fallimento.

Segue Bucky all’esterno, lo osserva mentre tira fuori il proprio palmare, impartendo comandi che sono più complicati di qualunque cosa gli sia mai venuta in mente, e si è dedicato a un bel po’ di lavoretti coi palmari negli ultimi dodici anni. Un muro acquoso si erge attorno a loro mentre camminano, e si muovono in mezzo al pandemonio generale dei corridoi come fantasmi.

“Le maschere e le giacche sono solo una precauzione,” dice Bucky. “Saliamo.”

Tony ancora non riesce a smettere di guardarlo. Non sa cosa gli provochi – paura, gratitudine, affetto, shock – ma più di tutto, speranza. Speranza di riuscire a farcela. Se ce l’ha fatta Bucky – dopo la morte – quella che sembrava una morte – allora perché loro non dovrebbero?

Prendono le scale sul retro e si dirigono verso il tetto. Ci sono ancora degli spari costanti quando sbucano all’aria aperta, e Tony si chiede se Stane non stia veramente facendo uccidere dei cittadini di Capitol. Li farebbe infuriare solo di più. Gli si rivolterebbero contro ancor più rapidamente. Non sa se correrebbe quel rischio. Quell’uomo è completamente fottuto di cervello, ma farebbe di tutto per mantenersi al potere. Deve. Sanno tutti dei suoi trascorsi, dei suoi rivali avvelenati, spediti in viaggi dai quali non sono più tornati. È spietato.

“Di qua,” dice Bucky, tirandolo per i vestiti. È buio pesto là fuori, e Tony riesce a malapena a vedere dove mette i piedi, con tutto il caos che c’è attorno a lui. “Qui. Sali.”

Tony lo fissa, assottigliando gli occhi. Sono vicini al cornicione del tetto, e non c’è letteralmente nulla su cui salire. Sta parlando a una visione, ne è ancora piuttosto certo, e magari sta comunque per buttarsi da quel cazzo di Centro Tributi. Magari è questo, che sta succedendo. Gli ultimi spasmi delle sue terminazioni nervose, nei momenti che precedono la morte. Sta rivivendo i propri errori.

“Siamo schermati,” dice Bucky. “Dai, smettila di fare quella faccia, non farmi ridere di te in un momento così serio. Cerco sempre di essere rispettoso.”

Tony fa un verso scettico. “Tu? Certo. E non mi vedi neanche la faccia, ho una maschera.”

“So che stai facendo quella faccia. Lo so, lo sento.”

Tony sente un pugno nello stomaco. “Cristo, sei davvero tu.”

Bucky sale nel nulla. “Visto?”

Tony lo osserva, annuendo tra sé.” Okay,” dice. “Anche se sono sicuro che sto per precipitare verso la morte…”

“No, non te lo permetto,” dice Bucky, tendendo la mano. “Anche il nostro nuovo e apparentemente potenziato Spider-Man non farebbe i salti di gioia, ci scommetto.”

Tony scuote la testa, ma afferra la sua mano. Bucky lo issa su, e camminano nel cielo vuoto.

L’elivelivolo si rivela lentamente mentre si muovono al suo interno, finché non è completamente visibile e la rampa si chiude. È più grande di quello che li ha portati nell’arena, ma vede la cabina di pilotaggio con un solo uomo a fare da pilota, che si gira quando entrano. Ci sono alcuni altri compartimenti, una piccola porta che li costringerebbe a piegarsi per passarci, appena oltre la rampa di scale a sinistra, e un’altra sopra di loro, che conduce a un’area che non riesce a scorgere. Ci sono due uomini che li attendono in piedi, e hanno entrambi un’espressione grave.

“Aspettate, un momento,” dice Tony, fermandosi nei suoi passi. “Un momento. Janet. Non posso andarmene senza Janet.”

“Tutti sono in posizione,” dice Bucky. “Tutti i Vincitori. Janet l’abbiamo presa, è impegnata a radunare le famiglie con Nebula.”

“Neb- Nebula?” tartaglia Tony. Il suo cuore fa un altro salto mortale. “È… è viva?”

“Sì,” risponde Bucky, guidandolo verso gli altri due uomini. Si toglie la maschera, e Tony lo imita.

“Posso decollare?” chiede il pilota. “Pensavo avessimo una tabella di marcia.”

“Sam e Hammer,” sbotta Tony, perché nulla ha senso, e deve aggrapparsi a tutti quei fatti appesi nel mezzo della sua testa prima che scompaiano del tutto.

“Sono a posto,” dice uno degli uomini, burbero. “Sono anche loro in posizione. Abbiamo recuperato Hammer poco dopo che l’hai incontrato. Piangeva ancora.”

Tutti e due gli uomini indossano vesti da combattimento. Anche Bucky.

“Okay,” dice Tony, scuotendo la testa e deglutendo a fatica. “Okay, va bene, uh… sì, andiamo.”

Il pilota decolla, ma Tony lo percepisce appena, e rimangono tutti saldamente in piedi. Continua a chiedersi se questa non sia una trappola, ma il modo in cui Bucky lo guarda… è esattamente quello che ricorda. Sempre lo stesso. Non pensa che loro ci riuscirebbero, a ricreare quello sguardo che non ha mai mostrato in pubblico. Ci voleva molto, per far aprire Bucky. Non tutti ci riuscivano.

Tony estrae il palmare dalla borsa e controlla Peter. Sta spostando parte di quel cavolo di muro da Michelle. E non è… non è un qualcosa che qualcuno di loro riuscirebbe a fare senza sforzo. Neanche Bucky, col suo braccio metallico. Quei muri sono di cemento solido. Tonnellate e tonnellate.

“Bene, ho bisogno di qualche risposta che avrei già dovuto ricevere,” dice Tony, alzando lo sguardo verso di loro. “Chiunque voi siate, qualunque cosa stia succedendo… perché Bucky e Nebula sono vivi, che diavolo è successo al mio ragazzo–”

“Io sono Happy Hogan, Tony!” grida il pilota, salutandolo da sopra la spalla. “Sono un tuo grandissimo fan.”

“Matt Murdock,” si presenta l’uomo più magro. Indossa delle lenti scure, e Tony si chiede perché diamine ci sia un uomo cieco nella loro missione segreta.

“Frank Castle,” dice l’uomo più corpulento. [2]

Tony ricorda quel nome pronunciato da Mary nel video.

“La Dottoressa Helen Cho è al livello superiore, si sta preparando a trattare qualunque ferita dovessero aver riportato,” continua l’uomo.

“Stanno organizzando tutto da anni, Tony,” dice Bucky, girandosi verso di lui. “Non ci crederai, ma ci sono altri Tributi nel Tredici.”

“Molti di loro erano stati programmati, intenzionali,” dice Murdock. “Noi… non potevamo salvarli tutti. E a volte con certi assetti potevano essere salvate solo determinate persone. Volevamo salvarle tutte… ma semplicemente, non potevamo. Non eravamo ancora abbastanza forti, per rischiare così tanto.”

“Tu vieni dal Tredici?” chiedi Tony, con l’ansia che gli torce le ossa.

“Sì,” risponde Murdock. “Anche Happy.”

“Io sono cresciuto nel Sette,” dice Frank. “Ma ero sotto contratto con Capitol. “Quindi ho passato la maggior parte del tempo qui.”

Tony annuisce con un movimento rigido. “Quindi… ti hanno salvato,” conclude, fissando Bucky. “Quel dardo era…”

“L’hanno escogitato loro,” dice Bucky. “Per farmi sembrare morto.”

“E Stane ti ha preso il braccio?” chiede ancora Tony. “Eri sveglio quando è successo?”

“No,” dice Bucky, distogliendo lo sguardo. “Mi sono svegliato dopo.”

“Io aiutavo a ‘occuparsi’ dei corpi,” dice Murdock. “Ma Stane, lui… a volte si presentava prima che riuscissimo a sbarazzarcene, almeno ufficialmente. Prima che svegliassimo quelli che non erano davvero morti.”

“Cristo,” impreca Tony, abbassando gli occhi. Lancia uno sguardo al palmare, ancora tra le sue mani, e vede Peter che libera Natasha da dove era rimasta bloccata all’esterno. È appiccicato all’edificio, cazzo. Con mani e piedi.

“Potevamo salvarli solo in certi modi,” dice Murdock. “Modi come il dardo che si è beccato Bucky. Se un mutante era troppo ferale, non… codificato a una certa maniera, non potevamo impedire che li facesse a pezzi. È stato… è stato un viaggio duro.”

“Già, scegliere e decidere chi vive e chi muore,” dice Tony, con un retrogusto amaro in bocca.

“Stavano salvando persone che altrimenti sarebbero morte,” dice Bucky. “Hanno rischiato la vita per farlo.”

“Già,” replica lui, asciutto.

“Il tuo ragazzino,” interviene Frank. “Conoscevo i suoi genitori. Lavoravo con loro. Io… si fidavano abbastanza di me per mettermi a parte di chi fossero veramente. Di come non volessero fare assolutamente nulla di ciò che li obbligava a fare. Li stava uccidendo. Ed ero l’unico a sapere cosa hanno fatto. A Peter.”

A Tony si gela il sangue.

“Dopo che sono morti, io sono scomparso. Mi sono trovato con Murdock, qui, ho raggiunto il Tredici. Non avrei mai rintracciato il ragazzo. Mai. Non ho mai progettato di farlo. Volevo evitargli tutte queste brutture, a tutti i costi, e se mai ce l’avessimo fatto, se mai avessimo… ideato un piano abbastanza solido, per far crollare tutto il sistema, avevo pensato che avremmo semplicemente… potuto recuperarlo. Portare anche lui nel Tredici, con tutti i rifugiati.”

Tony alza lo sguardo. Incontra i suoi occhi.

“E poi si è offerto volontario,” continua Frank. “E io ero in contatto con Bruce. Ho sentito voci di quello che stavano pianificando, di come fossero finalmente pronti per tentare qualcosa, usando Rogers come volto, ma io avevo tenuto d’occhio Peter… era un bravo ragazzo, c’è… c’è qualcosa in lui. Credo che tu mi capisca, no? Quindi l’ho detto a Bruce. Gli ho detto quello che avevano fatto, come l’avevano protetto. E Stane se la stava facendo sotto dalla gioia, voleva scatenare tutto contro il ragazzo, ed è stato abbastanza stupido da usare i ragni fabbricati dagli stessi Parker. Pensava che sarebbe stato un perfetto colpo basso, rivoltargli contro le creazioni dei suoi genitori. E invece si è fregato con le sue mani.”

Tony lo fissa. “Sapevate… sapevate che l’avrebbero ucciso? Tu e Bruce… lo sapevate?”

“Non era morto,” ribatte Frank. “Non per davvero. Era… praticamente morto. Ma non del tutto. Sapevamo che sarebbe parso così, a tutti. Merda, tutto quello che ha dovuto fare il ragazzo è stato essere se stesso, e sono caduti tutti ai suoi piedi. La sua morte ha messo in moto la rivoluzione. Era esattamente ciò che ci serviva. Sapevamo che sarebbe tornato. Quello che non sapevamo era, uh…” Allunga una mano, picchietta sul palmare di Tony. Peter sta oscillando a mezz’aria con Natasha, e atterra con una capriola dentro l’edificio. Solleva una statua gigantesca come se pesasse niente e la scaglia contro gli alieni contro cui sta combattendo Michelle.

Frank ridacchia. “Non sapevamo che sarebbe tornato come un dannato supereroe. Non so nemmeno se loro lo sapevano. I suoi genitori. Ciò rende le cose… rende le cose più difficili nel senso che dobbiamo arrivare lì, rapidamente. Si vendicheranno, non sapranno cosa cazzo fare. Ma con lui, in questo stato… una fenice che risorge, una fenice che risorge con dei poteri… è la nostra icona, in tutto e per tutto. La morte l’ha reso più potente, l’ha reso ancor più potente.”

Tony si sente il volto accaldato. Mette via il palmare lentamente, con calma, ancora in funzione, mentre mostra quello che Peter può fare. Sta tremando violentemente, con la rabbia che gorgoglia dentro di lui.

“Tony…” comincia Bucky.

“Quindi il primo ragno è stata opera vostra?” chiede Tony, cercando di mantenere una voce moderata. “Con… con la Everhart?”

Frank lancia un’occhiata a Murdock. “Nah,” risponde. “Quello è stato solo un evento giusto al momento giusto. Coincidenza, immagino. E alla fine ha significato tutto, eh?”

Tony scatta in avanti, agguanta Frank per il bavero e lo sbatte contro la parete dell’elivelivolo. Li sente esclamare in coro, si ritrova Murdock e Bucky ai lati, ma gli occhi di Frank sono puntati nei suoi. “Quindi l’avete usato,” ringhia Tony, tra i denti. “Sapevate che avrebbe sofferto così, cazzo, e l’avete comunque lasciato accadere? Tu e Bruce, avreste potuto impedirlo, avreste potuto… fargli cambiare strada, tenerlo lontano dai ragni, qualunque cazzo di alternativa, ma l’avete permesso? L’avete lasciato morire? Perché avrebbe funzionato meglio per la vostra storia?”

“Non era morto, Stark…”

“Di sicuro lo sembrava,” ribatte Tony. “Di sicuro a sentirlo sembrava di sì. A vederlo. Perché io ho addosso uno di questi stramaledetti bracciali e ho sentito il suo cuore fermarsi.”

“Era debole,” replica Frank. “Il bracciale non poteva registrarlo. Il tuo non ha neanche un localizzatore dentro, Bruce te l’ha dato apposta, non è come gli altri…”

“E ci serviva una reazione spontanea da parte tua,” aggiunge Murdock. “Diciamolo e basta. A loro importa anche del vostro legame, ti avrebbero imitato. Tutti ti hanno visto reagire. L’hanno trasmesso ovunque.”

A Tony non importa che Murdock sia cieco. Vuole spaccare loro la testa, una contro l’altra. Dà uno spintone a Frank e fa un passo indietro, riavvicinandosi a Bucky.

“Capisco come ti senti, okay, Stark?” dice Frank, dietro di lui. “Lo capisco. Abbiamo visto tutti la morte. Vogliamo tenere in vita i nostri, e tu sei rimasto invischiato con quegli stronzi di Capitol per anni. So cosa vuol dire. Hanno ucciso la tua ragazza, i tuoi genitori… e all’inizio… non ero sicuro, perché io– io conoscevo i genitori di Peter, quindi mi sentivo… dalla loro parte, credo. E quindi non ero sicuro se tu fossi sincero con lui. O se stessi solo recitando il tuo ruolo. Ma adesso so chi sei. So com’è un padre. Anch’io lo ero.”

Tony si volta a guardarlo, con la gola costretta.

“Ha sofferto, sì. È vero. Ma sapevamo che sarebbe tornato. Ne eravamo certi. Prima era forte. E grazie a un qualche… miracolo, adesso è ancora più forte. E dobbiamo raggiungerlo. Sei pronto, vero? Sei con noi? Perché ci hanno detto che sei con noi. Ci hanno detto che avresti fatto di tutto per riprenderti il ragazzo.”

“Certo che sono con voi,” replica lui. “E certo che lo farei.”

“Allora siamo a posto,” dice Frank. Si siede su uno dei sedili, liberando un sospiro, e Tony pensa che potrebbe essersi aspettato il suo livore. Murdock si siede accanto a lui.

Tony guarda Bucky. Ancora sotto shock nel vederlo qui. Ha menzionato altri Tributi, e Tony deve sapere. “Uh, prima stavi dicendo degli… altri Tributi, uh… Hank, o… Hope? Rhodey?” Gli trema la voce, preannunciando la risposta.

Bucky scuote la testa. “Mi dispiace,” risponde. “È cominciato tutto dopo di te. Bruce non stava scherzando, quando ha detto che l’hai ispirato. Sei stato la scintilla, Tony. E Peter… la sta facendo divampare.”

Tony si strofina gli occhi. Si sente male. Si sente stanco, così stanco che sa di non essere abbastanza in forma per tutto questo. Deve essere migliore di così. “Qual è il piano?” chiede.

“In teoria è semplice,” risponde Bucky. “Voliamo sopra l’arena, e quando escono dal portale sfondiamo la cima della cupola e li tiriamo fuori. Nel peggiore dei casi dovremo entrare. Ma quello è il peggiore dei casi. Rimarremo schermati finché non saremo proprio sopra di loro, quindi speriamo di coordinarci bene. Dobbiamo rimanere in osservazione.”

“E nessuno ci sta alle costole?” chiede Tony, guardandolo.

“No,” replica Bucky. “Per ora no.”

Per ora no potrebbe significare da un momento all’altro. Tony sospira, mordendosi l’interno della guancia, e tira di nuovo fuori il suo palmare, controllando Peter. Sta lanciando alieni a destra e a manca, li prende a pugni spedendoli contro le pareti. Schiva tutto come se niente fosse. Fa acrobazie con Michelle in braccio.

Scuote la testa e alza di nuovo lo sguardo verso Bucky. “Sono, uh. Sono davvero contento che tu sia vivo.” Cerca di impedire alla propria voce di incrinarsi. Non è sembrato abbastanza emotivo. Non sa come dirlo in modo che significhi qualcosa. Semplicemente non… riesce ancora a crederci.

“Anch’io,” replica Bucky, con un cenno. “Sono… sono davvero felice di vederti.”

 
§

 
Peter corre. È riuscito a recuperare Natasha, è riuscito a svegliare M’Baku, e adesso stanno scappando a rotta di collo dagli alieni, che sembrano moltiplicarsi ad ogni secondo che passa. Sono al sesto piano, e sa che deve tornare giù a prendere Steve e gli altri.

“Di qua,” grida, incitando MJ, M’Baku e Natasha a destra, verso una porta aperta. Ricorda cos’è successo l’ultima volta che ha imboccato la prima porta aperta in vista, e stringe i denti quando corrono all’interno, sparando ragnatele ovunque. Ma è solo uno sgabuzzino. Nessun mutante in vista. Un breve attimo di respiro. Peter si sente sul punto di esplodere.

Chiude rapidamente la porta una volta dentro, e lascia la mano sulla maniglia, pregando di non romperla. Ma può tenerla con fermezza, impedendo loro di entrare.

Gli altri tre lo fissano guardinghi, raggruppati contro il muro.

“Che diavolo ti è successo?” chiede Natasha, a occhi sbarrati.

“Uh…” comincia Peter, con la porta che trema dietro di lui. “Non lo so. Sono abbastanza sicuro di essere morto.” Odia dirlo. Suona così stupido. Non esprime la paura che ha scatenato quel momento. Il dolore che ha sentito allora.

Cosa?” esclama M’Baku, reclinandosi di peso contro il muro accanto alla spalla di Natasha. “Come, scusa?”

“Sì, non saprei,” dice Peter, scuotendo la testa. “Non– non–” Quasi gli fa male la testa per tutto il concentrato di panico riguardo a Steve, e sa che deve uscire di qui, andare a recuperare lui e gli altri per continuare a scalare la torre. Non hanno molto tempo. Non sa come fa a saperlo, lo sa e basta. “Sentite, ne parliamo dopo, okay?”

“Dopo?” ripete Natasha, scambiando un’occhiata con MJ. “Dopo quando? Tipo, a pranzo?”

“Dopo!” sbotta Peter. “Perché ci sarà sicuramente un dopo, perché ce la stiamo cavando benissimo!”

“Peter, non puoi andare là fuori,” dice MJ, scuotendo freneticamente la testa. “È troppo, troppo pericoloso.”

“Devo,” replica Peter. “Vado solo a prenderli, lui e uh, chiunque sia con lui, e poi torno di corsa qui e continuiamo a salire. Dobbiamo… andare avanti.” Non vuole pensare al fatto che potrebbero chiudere lo squarcio nel cielo. Non vuole pensare a loro che inviano altri mutanti. Ormai sapranno che lui è diverso, lo sanno, e proveranno a fermarlo.

“Peter!” grida MJ. “Non puoi–”

“Torno subito,” dice lui. “Promesso, promesso. Chiudo la porta con le ragnatele così non possono entrare. Sarete al sicuro.”

Si sposta rapidamente all’esterno prima che possano chiedergli altro, e si butta di nuovo in mezzo agli alieni, sigillando la porta con le ragnatele.

Svicola via saltando dal gruppo di alieni che allungano verso di lui unghie e artigli, sparando ragnatele anche contro di loro, e vorrebbe avere un’arma, dannazione. Avrebbe dovuto chiedere a M’Baku se aveva ancora il coltello. Non ha visto Natasha coi tirapugni d’ottone. Scappa via dagli alieni, scattando, muovendosi più veloce che può, e li semina. È davvero veloce, adesso, e quasi si spaventa a morte. Salta fuori dalla finestra.

Spara una ragnatela, centrando l’edificio, e non appena comincia a oscillare il sole tramonta, come se qualcuno avesse chiuso un sipario. Oscurità completa, buio pesto.

Poi, un tuono. Rimbomba attraverso l’intera arena, e il cielo trema di fulmini. Una nuova schiera di alieni esce dallo squarcio nel cielo, e poi altri, e altri, e altri ancora, e quando Peter abbassa lo sguardo, lo vede. Fuoco, che si sprigiona dal terreno. E c’è un cannone.

“Merda,” mormora Peter. “Steve, sto arrivando! Sto arrivando!”





 
*



 
 
 
 Tradotto da: ever in your favor: phoenix rising, di iron_spider da _Lightning_


Note: 

[1] Kurt Wagner, aka Nightcrawler
[2] Matt Murdock, aka DareDevil; Frank Castle, aka The Punisher.


Note della traduttrice:

Cari Lettori,
suvvia, il ritorno del nostro Peter era un po' telefonato, a partire dal titolo... ma ammetto che il mio momento di panico l'ho avuto, soprattutto perché siamo quasi alla fine della storia (sono 14 capitoli) e l'autrice ha già dimostrato una vena di sadismo lunga un miglio :')
Come mi è già stato consigliato da più persone, inizierò a fornire farmaci cardiaci e reattori arc in omaggio con le mie storie/traduzioni, che a quanto pare sono un attentato vagante... ma spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, e che abbiate apprezzato la traduzione!

Ringrazio
Eevaa, Paola Malfoy, ericaron che hanno recensito lo scorso capitolo, e tutti coloro che hanno commentato i precedenti <3 Arriverò il prima possibile a rispondervi (per me è una questione di principio farlo), ma questa settimana è stata serrata e ho dato precedenza all'aggiornamento per non tenervi sulle spine. Un grazie speciale a T612 che ha fatto un mega-lavoro di recupero, rendendomi felicissima (e facendomi sentire in colpa per i danni fisici che ho causato a lei e agli altri con questa traduzione).

Sono io stessa in attesa del capitolo successivo, che uscirà lunedì prossimo, quindi immagino di riuscire ad aggiornare entro mercoledì/giovedì, se non vengo oberata di impegni accademici :)
Alla prossima,

-Light-

P.S. No, neanche io so cosa diavolo sia successo con quel cavolo di gelato alla fragola, e una parte di me non vuole scoprirlo :'D



 
 
 
 
 
 
   
 
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