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Autore: iron_spider    30/09/2019    3 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 13: I Parker possono fare qualsiasi cosa





 
Peter sa esattamente dove sia Steve, anche in questo nuovo buio. Anche con la tempesta che cresce d’intensità. Ma deve arrivare lì prima che il fuoco attecchisca, prima che si diffonda. Stanno accadendo troppe cose, tutte insieme. Gli sembra impossibile.

Ma tutto è impossibile. Finché non smette di esserlo.

Si sente a un passo dal collassare, dal precipitare nel panico e rovinare tutto, ma continua ad avanzare e salta attaccandosi a una ragnatela proprio quando un fulmine impatta sulla strada sottostante, incenerendo una decina di alieni e abbattendoli al suolo. Peter sapeva che non gli sarebbe stato permesso di volare qua e là coi suoi nuovi poteri ancora per molto. Sapeva che la ritorsione era in arrivo, ma sembra che stia arrivando rapida, e a frotte.

Lo squarcio nel cielo deve solo rimanere aperto. Deve rimanere così. Possono aggirare gli alieni e tutto il resto. Deve solo rimanere aperto.

Corre lungo il lato dell’edificio, balza con una nuova oscillazione e poi li vede. Ancora impegnati in un combattimento contro un gruppo di alieni, proprio vicini al perimetro della torre. Peter sa che deve recuperarli uno ad uno, è l’unica maniera in cui può agire. Il fuoco avanza a rotta di collo lungo la strada, e li sta raggiungendo.

Sente un altro cannone in lontananza, e pensa che potrebbe essere Harry. Harry, che ha lasciato indifeso. Potrebbe essere lui, perché Peter non ha idea di chi sia ancora rimasto, e ci sono stati due cannoni negli ultimi due minuti. Probabilmente a causa del fuoco.

“Dannazione,” impreca a mezza voce, perché si è ripetuto di non voler perdere nessun altro, a prescindere da chi fosse. È stato prima di questa follia, ma adesso dovrebbe essere più forte. Più in grado di salvarli: ne ha la forza, ha queste… queste nuove abilità, e dovrebbe salvare le persone. Non dovrebbero morire mentre lui è in questo stato.

Spara una ragnatela più lunga, che si appiglia in alto sull’edificio, e oscilla basso, arrivando rasoterra e mirando per chiunque sia sulla sua traiettoria. Vede che è Shuri quando si avvicina, e la afferra mentre le passa accanto. Lei lancia un piccolo grido, colpendolo sul lato della testa, e poi strilla di nuovo quando realizza quello che sta accadendo. Si aggrappa a lui e si tiene stretta.

“Ma che diavolo?” urla, col vento che li frusta mentre svoltano l’angolo.

Spara un’altra ragnatela, rattrappendo le gambe e cercando di andare più in alto. Vuole lasciarli tutti al quinto piano, da dove è sceso.

“Adesso voli?” chiede Shuri, aggrappandosi alle sue spalle. “Questo… wow, è impressionante…”

“Già,” dice Peter, serrando i denti. “Ne parliamo dopo!” Questa diventerà la sua nuova frase preferita.

“Dopo?” grida lei, trattenendo di nuovo il fiato quando lui lancia un’altra ragnatela.

“Dopo!” grida lui in risposta. Vede il quinto piano in avvicinamento, e cerca di atterrare come si deve, di mettersi in orizzontale, e oltrepassano in volo la finestra. Cerca di avvolgerla col suo corpo in modo da non farla impattare troppo duramente per terra, e si fermano rotolando.

Gli alieni si avventano immediatamente su di loro, e Peter spara più ragnatele che può, respingendoli. Non vuole sprecarle, sa che gli servono, per tutto, per fuggire, e prega gli dèi di averne fatte abbastanza. Calcia via un alieno e Shuri arriva rapida in suo aiuto, sottraendo una delle loro armi. Non è una di quelle pistole laser che ha visto prima, ma sfrigola da una delle estremità come un taser.

Shuri ne fa buon uso. “Vai!” urla, elettrificandoli e tenendoli a bada. “Prendi gli altri!”

“Okay!” grida lui, sperando che riesca a resistere. Medita se rimuovere le ragnatele dalla porta dove sono chiusi gli altri, ma sta correndo così forte che non si arresta per tempo e sfreccia oltre, balzando fuori dalla finestra prima di poterci ripensare.

Il cielo brontola rabbioso, con fulmini che saettano dappertutto in lontananza.

Ripete lo stesso processo tre volte e osserva il fuoco che sale, cercando di raggiungerli prima di lui. Si posizionano più in alto, arrampicandosi sui camion, sui muri degli edifici circostanti, ma Peter arriva fin lì e li recupera uno ad uno.

Nessuna delle donne si presenta, si aggrappano solo a lui una volta realizzato quello che sta succedendo, e le deposita nel mezzo della battaglia al quinto piano di cui Shuri si sta abilmente occupando.

Peter pensava che sollevare Steve sarebbe stato più difficile, per ovvie ragioni, ma ci riesce comunque senza problemi, come se nulla fosse, questo tizio gigantesco e dalle spalle squadrate, e riesce in qualche modo a trasportarlo con un braccio solo come fosse un sacco di patate.

“Uh,” commenta lui, mentre oscillano verso il quinto piano.

“Ehilà,” replica Peter. Si aspettava di essere completamente sfiancato, dopo aver eseguito la stessa manovra quattro volte, contro un branco di fiamme inferocite e una tempesta tonante che si sta scatenando attorno a loro. Ma inizia a mancargli il fiato solo adesso.

“Come ci riesci?” chiede Steve, tenendosi a lui e fissandolo come se gli fosse spuntata una seconda testa.

Peter spara un’altra ragnatela e si assicura di impostare la traiettoria di oscillazione che gli serve per raggiungere il punto voluto. Steve è più pesante delle ragazze, quindi si muovono in modo diverso.

“Beh, questo l’ho sempre saputo fare,” risponde, strizzando gli occhi quando il rombo di un altro tuono sembra avvicinarsi a loro.

“Uh, questo?” chiede ancora Steve. “Sapevo dello, uh, spostamento via ragnatele, credo che Sam l’abbia chiamato così…”

“Ah, con ‘questo’ intendi il portare te?” realizza Peter, sparando un'altra ragnatela e ondeggiando più in alto a mezz’aria. Sono quasi arrivati.

“Già,” dice Steve, col fiato mozzo per la rapida avanzata, come se qualcuno l’avesse colpito in petto. “Già. Quello.”

“È una storia lunga,” replica Peter, vedendo la finestra in avvicinamento. “Ci siamo…”

“Come sarebbe, ci sia–

Steve sbarra gli occhi quando Peter li slancia entrambi verso la finestra, e ha migliorato il rotolamento d’atterraggio visto che è la quarta volta che lo fa. È comunque più piccolo di Steve, a dispetto dei suoi recenti cambiamenti, quindi non riesce esattamente ad avvolgerlo col proprio corpo come con le ragazze, ma stringe la sua testa al petto quando toccano terra così da non fargliela sbattere.

Non sente i suoni di lotta che c’erano durante i suoi atterraggi precedenti, ed è lieto di aver finito, perché si sente sbatacchiare il cervello qua e là. Si ritrae da Steve, lo aiuta a rimettersi in piedi e lui lo fissa incredulo mentre le tre donne si fanno rapidamente loro incontro.

“Saliamo?” chiede la ragazza più giovane. Peter non ha ancora afferrato il suo nome, ma crede che sia qualcosa tipo Williams. Sembra avere più o meno la sua età. “Nel senso, andiamo su, vero?”

“Gli altri, dove sono?” chiede Steve, prendendo Peter per il braccio.

“Di qua,” dice lui, e scatta via. “Li ho barricati con le ragnatele in uno sgabuzzino, o un qualcosa del genere…”

“Raggruppiamoci!” risponde Steve. “Vai là dentro, riorganizziamoci, prendiamoci un paio di minuti…”

Peter sbuffa un respiro. Vuole solo andarsene. Il fuoco, il buio, la tempesta, i nuovi alieni, sono determinati a prendere lui, e non sa neanche se a questo punto stiano ancora cercando di lasciare in vita uno di loro. Adesso sono tutti riuniti, chiunque fosse là sotto è ormai perduto – lo sa, lo sente – e devono andare, devono andarsene. Devono riuscire a parlare di tutto questo ad alta voce, ma non può sabotare tutto adesso: i tecnici dell’arena capiranno ben presto quello che stanno per fare. Spera che Bruce stia coprendo loro le spalle. Spera che riesca a proteggerli quel tanto che basta per farli evadere. Ma, visto lo stato delle cose… Peter non ne è così sicuro.

“Okay, riorganizziamoci,” dice infine, e si affretta con loro verso lo sgabuzzino. Ci sono molti corpi di alieni in giro, e sente altri brontolii sotto di loro. Stanno arrivando.

Raggiunge la porta e strappa via le ragnatele, e tutti e cinque si fanno largo all’interno. Chiude la porta, vede M’Baku che si para di fronte a MJ e Natasha che sembra prepararsi a uno scontro. Ma tutti e tre si rilassano quando vedono chi è entrato.

“Grazie a Dio,” dicono Natasha e M’Baku, all’unisono.

“Ci stiamo riorganizzando,” annuncia Peter, appoggiandosi di peso contro la porta per tenerla chiusa. Nota che Shuri ha ancora l’arma aliena che ha sottratto, che ronza tra le sue mani.

“Io sono Misty Knight,” dice la donna più alta, scostandosi i ricci dagli occhi. “Scusate se ci è voluto così tanto per trovarvi tutti. Ho… ho perso Greg quasi all’inizio.” [1]

Fanno solo un cenno verso di lei, sono tutti troppo esausti per dire molto. Peter crede di ricordare Greg. È quello che alcuni fan avevano preso a chiamare Gravity. Continua a fissare MJ, e teme che lei lo stia guardando in modo diverso.

“Uh, io sono Riri. Riri Williams. [2] Scusate, merda, tutto questo è assolutamente ridicolo e sono… sono stufa. Sono veramente stufa.”

“Su quello siamo d’accordo,” commenta Natasha.

“Non ho idea di cosa sia successo a Robbie,” dice Riri. Scuote la testa. “Non l’ho neanche visto.”

Peter deglutisce a fatica. “Beck l’ha ucciso,” rivela. “Il primo giorno. E io ho ucciso Beck.” Quella frase gli lascia un retrogusto amaro in bocca.

“Oh,” esala Riri, guardandolo. “Oh… capisco.” Sembra sul punto di dire altro, ma poi lo tiene per sé.

“Devo sapere cosa ti è successo,” interviene Steve, voltandosi verso Peter. “Mi…” Osserva gli altri, e Peter adesso lo vede davvero, vede i tagli e le escoriazioni su tutte le braccia, la lacerazione che gli segna la guancia. “Mi… mi ha sollevato. Come ha sollevato voi due, ma è stato – insomma – non dovrebbe esserne in grado.”

“Non abbiamo tempo,” mormora Peter, scuotendo la testa e chiudendo gli occhi. “Non ne abbiamo. Dobbiamo… dobbiamo andare avanti.”

“Diccelo in trenta secondi,” chiede MJ, fissandolo. “Perché io ho bisogno di saperlo.”

“Tu lo sai già,” replica lui, ansiosamente, protendendo la mano libera. “Te l’ho detto, mi hai sentito.”

“Condividilo anche col resto della classe,” lo incalza Natasha, fissandolo a sua volta.

Peter sospira, guardando Misty e Riri, che non hanno alcuna idea di cosa diavolo stia succedendo. Si scrocchia le nocche contro il fianco, scuotendo la testa. “Ero… ero con Scott Lang, quando è stato ucciso. Dopodiché ho… sono tornato alla torre il più in fretta possibile. Sono finito in un’imboscata, con questo enorme branco di ragni, e sono riuscito a fuggire… ma uno mi si era attaccato addosso. Mi… mi ha morso e… sapevo che stavo morendo, sentivo il mio corpo che cedeva, e ha fatto malissimo, è stato… è stato terrificante e poi– è diventato tutto buio. Ero… non c’ero più.”

Lo fissano tutti a bocca aperta.

Lui abbassa lo sguardo sul pavimento, vicino alle lacrime, e si sfrega rabbiosamente gli occhi. “Ma dopo mi sono svegliato. Non so quanto tempo fosse passato. Ma ero… diverso. Più forte. Ho scardinato una porta. Correvo in mezzo agli alieni come se nulla fosse. Ho trapassato con un pugno una delle armature di Iron Man. Uso le ragnatele per spostarmi ed è… come se volassi. Non sono più maldestro. Sono veloce, davvero veloce e avevo– prima avevo questa stranezza, era come se riuscissi a capire se stesse per succedere qualcosa di brutto, ma adesso è… dieci volte più potente. Riesco a capire da dove arriva il pericolo, a evitarlo, ad andargli incontro, a capire quanto è grave, sono– non so perché sia successo. Non lo so. Ma è successo. Sono diverso, sono diverso ma sono… sono vivo.”

Lo guardano fisso come se qualcuno li avesse messi in pausa. MJ ha gli occhi pieni di lacrime.

“E cosa… dice questo tuo rilevatore di pericolo, adesso?” chiede M’Baku, lentamente.

Peter butta fuori un respiro. “È impazzito. Ed è ovunque. Siamo… siamo gli unici rimasti.” Il suo senso di colpa è schiacciante. Un grumo viscido nella sua gola.

C’è un profondo silenzio dopo quell’affermazione, come se la stessero tutti metabolizzando. Peter pensa a evadere, al piano, e vorrebbe aver guardato meglio lo squarcio nel cielo, per vedere dove finisse esattamente il campo di forza, quanto fosse vicino alla cima della torre. Non ha idea di come faranno ad arrivare lassù, sembra così dannatamente lontana, e medita se portarli tutti quanti in una sola volta. Probabilmente ci riuscirebbe. Ma c’è di mezzo la questione logistica… rilascia un altro respiro, scuotendo la testa, e sa che la sua ansia ha subito un’impennata da quando è tornato, così come tutto il resto.

Pensa di nuovo che potrebbero sfruttare le armature. Sa che potrebbe probabilmente prenderne il controllo col palmare, e trattiene il fiato: tutti gli scossoni di prima, volare qua e là, cadere a destra e a manca, atterrare ripetutamente… ha fatto tutto, come un idiota, con lo zaino in spalla.

Toglie una spallina, aprendo rapido la zip. Afferra il palmare e per fortuna è mezzo sepolto sotto la coperta termica, intatto.

“Che fai?” chiede Steve.

A Peter tremano le dita e lascia cadere a terra lo zaino, trattenendo in mano il palmare. “Voglio vedere se riesco ad hackerare le armature. “Prenderne il controllo in modo che non ci attacchino. E magari potremmo, uh, usarle.” Alza lo sguardo su Steve, incontra i suoi occhi e non sa se stia dicendo abbastanza, o troppo, e vorrebbe solo poter parlare liberamente. Gli batte forte il cuore, e realizza che non sta più tenendo chiusa la porta, dannazione. Si sporge all’indietro, afferrando la maniglia, e chiude gli occhi cercando di respirare.

“Lascia, faccio io,” dice Shuri, appoggiando la sua arma al muro. “Dallo a me.”

“Sì, prendilo tu,” dice Riri. “Peter, sembra che tu, uh… stia rompendo un po’ l’angolo col pollice.”

Peter apre di scatto gli occhi e quasi si lascia cadere il palmare di mano quando vede la crepa. “Maledizione,” sussurra, e lo porge a Shuri. Lei lo prende, e si mette al lavoro con Riri. Peter le sente presentarsi sottovoce, e poi M’Baku rilascia un sonoro sospiro.

“Bene,” esordisce. “Non saprei dire perché, ma gli credo. E sono disposto a seguire l’unica persona che abbia oltrepassato la soglia della morte qua dentro.”

“Finalmente,” commenta Shuri, scoccandogli un’occhiata.

“Mi dispiace per quello che hai dovuto passare,” dice Steve, mettendogli una mano sulla spalla. “Non posso neanche immaginarlo.”

“Sospettavo che stessero prendendo di mira te,” dice Misty. “Capitol è… molto presente nel Cinque. C’erano molti rumori su di te. Credo che siano spaventati. E adesso lo sono di sicuro.”

Peter sa che il Distretto Cinque ha il compito di fornire energia a tutta Panem. Se riuscissero a prendere il Cinque, potrebbero prendere Capitol, cavolo.

“Lo sono,” interviene Natasha. “Hanno paura di te.”

“E fanno bene,” dice Steve, stringendogli la spalla. Fa una smorfia, come se fosse sorpreso di ciò che sente sotto la mano. “Ragazzo, sei cambiato. E so che dev’essere… dura.”

“Chi se lo sarebbe aspettato?” chiede retorica Natasha, e c’è una punta di dolcezza nella sua voce che prima non c’era. “Ma ci siamo noi con te.”

“Tutti noi,” aggiunge Shuri, alzando gli occhi dal palmare.

“Cavolo, sì,” dice Riri, rivolgendogli un sorriso. “Te la cavi bene, Peter.”

Lui annuisce. Non sa se sappia effettivamente ciò che sta facendo, o se sia in grado controllare ciò che gli è stato donato, qualunque cosa sia, mentre è così sotto pressione. Non vuole che nessuno di loro rimanga ferito all’ultimo momento, quando sono così vicini a uscire. Non vuole ferirli per sbaglio. O rovinare tutto.

“Siamo con te,” dice Steve, lasciandolo andare.

Gli occhi di Peter scattano verso MJ. Non ha detto molto, e ciò lo preoccupa. Teme che lo veda in modo diverso, che ne sia troppo spaventata. Si guarda i piedi, e la intravede alzarsi. Gli passa le mani sulle spalle e lo attira a lei, abbracciandolo saldamente. È un gesto stranamente intimo, abbastanza da farlo arrossire per il fatto che lo stia stringendo così di fronte a tutti gli altri, ma la vita e la morte accelerano le cose. Ricambia la stretta, affondando le mani nei suoi capelli, e cerca di essere delicato, perché adesso nelle sue vene non scorre ciò che scorreva prima. E non vorrebbe mai farle male. Mai e poi mai.

Sente che gli posa un lungo bacio sulla guancia.

“Sono con te,” sussurra, con le labbra che gli sfiorano il lobo dell’orecchio. “Sono con te fino alla fine.”

Sente dei brividi che gli percorrono la spina dorsale e annuisce, tracciando la curva della sua schiena con una mano. Si scosta da lui e incontra i suoi occhi, ancora aggrappata alle sue spalle.

“Bene,” annuncia Riri. “Credo che abbiamo… concluso qualcosa, qui.”

MJ sorride, e si sposta al suo fianco.

“Ce le abbiamo,” dice Riri. “Insomma, ci aspettano.

“Ci aspettano?” chiede Natasha, avvicinandosi per guardare il palmare.

“Non riesco a farle venire fin qui,” dice Shuri, alzando lo sguardo e aggrottando le sopracciglia nell’incontrare lo sguardo guardingo di M’Baku. “È tutto bloccato, se proviamo a spingerci sotto al secondo livello di sicurezza. Ma ci aspettano. Sul tetto. Sono tre.”

“Basteranno,” dice Peter, e sa che, se non ci sono già arrivati, Capitol capirà che stanno cercando di fare qualcosa. Spera che Bruce li stia proteggendo.

C’è lo schianto sonoro di un fulmine all’esterno e, chissà perché, ne dubita.

“Tieni tu il palmare,” dice Peter, guardando Shuri. “Non vorrei romperlo.”

“Perfetto,” replica lei, e lo fa scivolare nella tasca del giacchetto.

“Quando sei pronto tu, Spider-Man,” dice Steve, rivolgendogli un cenno.

Ti voglio bene, tesoro. Ma non morirai. Non morirai.
Sii sempre te stesso, figliolo. A tutti i costi. Che tu sia qui sotto, o là sopra. Sii sempre te stesso.
Faccio il tifo per te, amico. Lo facciamo tutti. Ogni singolo giorno.
Avrebbero fatto di tutto per impedire che ti accadesse qualcosa. Eri la luce della loro vita.
Ma tu… Peter, tu per me sei come un figlio. So che lo sei. Ti amo come amerei un figlio, ragazzo, davvero, e mi dispiace. Mi dispiace così tanto.

E poi il modo in cui MJ lo sta guardando adesso, il suo respiro sul volto, il modo in cui lo stava stringendo solo un momento fa. Non sa cosa sia la pace, non l’ha mai veramente vissuta, neanche nei suoi primi giorni di vita. Ma queste persone, alcune perdute, alcune ancora qui, sono la ragione per cui deve andare avanti. È per loro. Non vuole che il loro affetto scompaia. Ha provato la morte, ha cercato di sfuggirle, di implorare pietà quando era nelle sue grinfie, e non vuole che quell’affetto si spenga assieme a lui. Non di nuovo. Non può trasformarlo in dolore. Non più. Deve vivere per loro.

“Va bene,” esala. “Andiamo.”

 
§

 
Il fuoco sta salendo.

Devono seminarlo, così come le nuove legioni di alieni, e le vedono mentre conquistano piano dopo piano, selvagge e inferocite e divorando tutto sul loro cammino. La tempesta continua a imperversare all’esterno nel buio pesto, e i fulmini illuminano tutto ogni volta che cadono lì vicino. Quando succede, Peter crede di sentir tremare la torre. La tempesta e il fuoco spazzano via tutti gli alieni sul loro percorso, erompono dalle finestre e li fanno fuori a mucchi interi, e non capisce se siano espedienti di Bruce o tentativi maldestri, disperati, di uccidere i Tributi rimanenti. È quasi certo che ormai non stiano più puntando ad avere un Vincitore, e siano solo impazienti di farla finita. Con una morte orribile.

Salgono inciampando ogni rampa di scale, sparando e pugnalando e spingendo gli alieni finché non gli fanno male le ossa. A volte corre in mezzo a loro, sbaragliandoli, e non riesce quasi a fermarsi quando comincia ad andare troppo veloce. Non trattiene i suoi colpi, non sa come farlo, e disintegra le loro facce, li trapassa a calci, sente le loro ossa che si spezzano. Cerca di ricordarsi che non sono reali, che sono stati creati per i Giochi, privi di pensieri o sentimenti, ma non gli piace quella sensazione, il poterli sopraffare così facilmente. Ha paura di come possa sembrare dall’esterno, per la sua famiglia. Non vuole che abbiano paura di lui allo stesso modo in cui lui ha paura di se stesso.

È la stessa routine, ripetuta all’infinito su ogni piano, e Peter continua a guardare in alto, oltre le ringhiere, per vedere quanto lontano debbano ancora andare. Potrebbe portarsi lassù con una ragnatela, senza sforzo, lo sa, ma non può lasciare indietro gli altri. Si assicura solo che MJ rimanga al suo fianco. Si assicura che gli stia vicino, e continua a contare.

Al diciottesimo piano il pavimento inizia a sbriciolarsi sotto i loro piedi mentre corrono, e Peter afferra MJ per il braccio, spingendola avanti. Il suo cuore salta dei battiti, perché, se dovessero cadere, cadrebbero tra le fiamme.

“Merda, merda,” impreca Riri, dietro di lui.

Sono vicinissimi alla rampa, così vicini, ma non abbastanza, e il pavimento continua a collassare mentre avanzano. Peter spinge MJ sopra le scale, sentendo gli schianti e gli alieni che strillano mentre il pavimento crolla su di loro e il fuoco li consuma vivi.

Ce la fanno tutti, e saltano sulla rampa di scale proprio quando il pavimento scompare… tranne Shuri. È rimasta un po’ troppo indietro, e Peter sente M’Baku esclamare alle sue spalle mentre cade, col suolo che si sbriciola sotto i suoi ultimi passi. Il fuoco continua a salire e sta arrivando, sta arrivando a ghermirla.

Peter si sta per sentire male, si sta per sentire male, cazzo, e deve fare qualcosa.

Si getta dal bordo delle scale, mezzo appeso nel vuoto, e spara una ragnatela col cuore in gola.

Si aggancia al suo polso e ne arresta bruscamente la caduta, e Peter vede il fuoco che divampa, inghiottendo l’orda di alieni sottostante mentre diventa più alto, sempre più alto. Lei sta ancora tenendo l’arma aliena con la mano libera, e lancia un’occhiata sotto di lei, respirando affannata.

“Tenetegli il piede!” grida Steve, e Peter sente tutti che gli saltano addosso, piantandolo saldamente sul posto.

Stringe i denti e strattona la ragnatela, issandola su più velocemente che può. Sente tutti che pregano silenziosamente dietro di lui, dei forza, forza sussurrati, e Shuri emette un lamento e alza lo sguardo, fissandolo con occhi folli di paura mentre lui continua a tirare e tirare. Finalmente lei arriva con le mani alle sue spalle, quasi colpendolo in testa con l’arma, e gli altri lo strattonano di peso all’indietro. Lui quasi cade mentre cerca di ritrovare l’equilibrio sulle scale, e le mani di tutti loro sono su loro due, a tenerli fermi sul posto.

Shuri si scosta, sembra che stia per dire qualcosa, ma M’Baku la tira verso di sé.

“Mai più, ragazzina,” dice, incalzandola verso le scale di fronte a lui. “Mai più.”

“Okay, okay,” mormora lei. “Grazie, Peter!”

“Uh-huh, uh-huh,” borbotta lui, facendo loro cenno di continuare ad avanzare. Il fuoco sta arrivando. È troppo vicino, maledizione. Non sa se si fermerà una volta arrivato al tetto. Lo spera, lo spera davvero. Deve aggrapparsi alla speranza.

Rimangono serratamente in gruppo dopo quell’incidente, e ci sono altri alieni ad aspettarli al piano successivo.

“Quanti diavolo di piani ha questo posto?” grida MJ, accucciandosi quando uno degli esseri tenta di colpirla.

Peter lo calcia via, buttandone giù altri tre nell’impeto.

“Troppi,” dice Misty. “Decisamente troppi.”

Peter sente il calore del fuoco che risale attraverso il pavimento, ed è preoccupato di sentirlo collassare di nuovo. Arrivano alla rampa successiva e alza lo sguardo e sembra che… sembra che ci sia solo un altro piano. “Ne manca uno!” grida, con voce acuta e tendente al panico, ma tinta da nuovo entusiasmo e nervosismo. “Ne manca uno, ne manca uno!”

Affretta subito il passo, ma cerca di non lasciarli troppo indietro. Va troppo veloce adesso, fin troppo veloce, e riesce a stento a porsi un freno. Salgono le scale pestando forte i piedi, rumorosi, e Peter scatta in avanti aggrappandosi al corrimano, pronto al combattimento.

Non c’è niente. Niente.

Una volta che tutti hanno superato le scale Peter si affaccia dalla balaustra e vede gli alieni che tentavano di inseguirli venire avvolti e consumati dalle fiamme. Indietreggia, barcollando, il cuore in gola, ma il fuoco… si ferma. Divampa furioso, proprio vicino alla cima delle scale. Ma non sale più in alto di così.

Le intere scale sprofondano del tutto, e il fuoco scompare alla vista mentre il pavimento collassa su se stesso, come se non ci fosse mai neanche stata una tromba delle scale. Peter respira affannato, fissando il punto ora vuoto, e non sa cosa diavolo significhi tutto questo.

“Spero che non ci servisse più nulla, là sotto,” commenta M’Baku.

“Ci siamo, guardate,” dice Steve. Peter si volta verso di lui e segue i suoi occhi. Vede una porta alla fine del pianerottolo. È etichettata ACCESSO AL TETTO. Le pareti sono composte da vetrate per tutto il perimetro, e al posto di piccole nicchie e corridoi, stanze a vetri e tutto ciò che simulava un posto reale, un edificio funzionale da qualche parte in un qualche mondo, l’ultimo piano è vuoto, come una delle tante, grosse fabbriche echeggianti e abbandonate alla periferia del Dodici. Gli ricorda tutto il tempo passato là dentro con Ned da bambino, accoccolati in una tenda di fortuna, a lanciare ululati e cinguettii per ascoltare il modo in cui quei versi rimbalzavano sulle pareti.

È così vicino a riunirsi alla sua famiglia. Così vicino che riesce a sentirlo.

Vede la tempesta che infuria all’esterno, coi fulmini che cadono tutt’intorno a loro, seguiti da tuoni. Peter pensa ancora di sentir ondeggiare la torre, e si chiede se, proprio alla fine, l’intero edificio non possa venir giù.

“Okay, proseguiamo… con più calma,” dice MJ, affannata, e stanno tutti ansimando e sbuffando allo stesso modo, quindi annuiscono in assenso. Anche Peter annuisce, anche se non è affatto a corto di fiato. Gli sembra quasi ingiusto.

È a quel punto che lo sente.

Piano, all’inizio. Lontano.

Il suo cuore accelera, e si sente allo scoperto. Solo. “Qualcun altro lo sente?” sussurra.

Pensa che dovrebbe correre. Qui c’è troppo pericolo perché il suo nuovo sistema d’allarme connesso a corpo e cervello possa funzionare a dovere, ma da quando si è risvegliato è sempre riuscito a localizzarlo… lo faceva muovere da un posto all’altro. Verso qualcuno in cerca d’aiuto, o lontano da un potenziale pericolo.

Qui sembra ovunque.

“Sentire cosa?” chiede MJ, al suo fianco.

“Non sento nulla…” Steve si interrompe. “Hai anche il super-udito, adesso? Oltre a tutto il resto.”

Peter non gli risponde, perché sta iniziando a distinguere le parole. La voce.

Peter!” grida May. “Peter… oddio, aiutami!” piange, ed è straziante.

Peter fa un piccolo, esitante passo in avanti, col cuore stretto in una morsa. Sa che non è reale, sa che non lo è. Non può esserlo.

“Lo sento,” dice MJ, prendendogli la mano. “Peter, non è–”

MJ, TI PREGO! TI PREGO, FERMALI–

MJ si ferma di colpo, col volto che si distorce. Era la voce di una bambina, e suppone sia sua sorella. La voce si mescola a quella di May, a mezz’aria, e aumentano entrambe di volume.

“Cercano di fermarci,” dice Natasha. “Di distrarci..:”

Tasha, ti prego, fermali. Ti prego, amore, ti prego, fa troppo male…

Anche Natasha sembra scossa, e scambia una rapida occhiata con Steve.

“Andiamo,” dice Peter. Le voci si fanno più forti, e altre iniziano a parlare, tutte intrise di dolore e sofferenza. Sembra che li stiano torturando. Stanno implorando aiuto. “Andiamo, andiamo.”

Non appena spiccano in una corsa, le voci esplodono: uomini, donne, bambini, che urlano, chiamano il nome dei loro cari, piangono in agonia.

Shuri, stai indietro, non toccarla…
M’Baku, ti prego, ti prego…
Misty, non respiro, non… riesco a muovermi…
Steve, aiutami. Dio, fa male.

Ogni voce è un coltello che gli scorre addosso, e anche il loro gruppo sta urlando, si contorce nel sentirle. C’è qualcosa di viscerale, in quelle voci, come se ogni volta che loro battono le palpebre vedessero ciò che accade dietro ai loro occhi, la tortura dei loro cari, con qualcosa che li fa a pezzi, qualcosa che invia loro scosse elettriche, qualcosa, un qualcosa di avvolto nell’ombra che li strangola a morte.

Le urla non fanno che aumentare di volume mentre corrono, e Peter sente la voce di May, quella di Ned, quella di Tony, ed è straziante, è un dolore straziante. Si tappa le orecchie, premendo con forza la base dei palmi per cercare di soffocarle, e grida a pieni polmoni, tutto, tutto pur di fermarle, di fermare le voci, la loro sofferenza, e sembra così maledettamente reale. Peter sta per vomitare, per collassare, perché stanno facendo loro del male, li stanno torturando, cazzo, lo sa, lo intuisce, lo sente, in ogni momento lancinante…

Aveva intenzione di staccare le mani dalle orecchie una volta raggiunta la porta, ne aveva davvero intenzione, invece si getta in avanti e le sfonda d’impeto, inciampando in una stanza più piccola con una tortuosa scala a chiocciola.

Impatta contro il muro, con la porta che cade a terra dietro di lui, ammaccata al centro nel punto in cui l’ha caricata. Le urla minacciano di seguirli, e Peter fa cenno a tutti di avvicinarsi a lui, raggruppandosi contro il muro, scossi da sussulti. Tony grida in preda all’agonia, e Peter si precipita su per le scale dietro Steve, sperando di fuggire via. Deve solo andare via.

Salgono tutti pesantemente le scale, che sono brevi, arrugginite e scivolose: tutto cerca di ferirli proprio qui, alla fine. Natasha esce per prima dalla porta sul tetto, e la seguono tutti rapidamente. Una volta fuori, nell’oscurità, nella notte, Peter sbatte la porta dietro di sé tagliando fuori le voci.

Finalmente riesce a respirare. Si china in avanti, con le mani sulle ginocchia.

“Cristo,” dice Riri. “Non riuscirò… mai a smettere di sentirle.”

La sente ansimare, e poi trattenere il fiato. Alza lo sguardo, e la vede fissare le tre armature: fluttuano lì, in loro attesa.

Peter realizza. Realizza dov’è. Dove sono tutti loro. Guarda in alto e vede il campo di forza da dove gli alieni continuano a uscire, ma non più a schiere, solo in gruppi sparuti. Il campo di forza stesso si estende dallo squarcio nel cielo, terminando proprio sopra le loro teste. Forse a una decina di metri da loro. Osserva gli alieni che seguono quella linea verde e tremolante, per lui così ovvia perché sa dove trovarla, e si distaccano da essa nel punto in cui finisce, allontanandosi poi in volo. È come se fosse evidenziata a colori sgargianti. È larga quanto lo squarcio, con campi di forza a delimitarne la circonferenza [3]. Eccola. Ecco la loro via d’uscita.

Peter si guarda intorno. Non c’è nessuno di quegli esseri qua sopra; ci sono poche luci di segnalazioni blu e lampeggianti all’estremità del tetto, che sono davvero d’aiuto nel buio. Si sposta verso il bordo e si sporge dalla balaustra: il fuoco è alto, arriva esattamente fino al punto in cui si era fermato all’interno. Sta bruciando il mondo intero. Non ci sono stelle sopra di loro, solo fulmini ramificati, nuvole minacciose e il crepuscolo grigio-violaceo dello squarcio che lo distingue dal cielo stesso.

Un fulmine cade poco lontano, e il tuono rimbomba nefasto.

L’inno di Capitol risuona, facendolo sobbalzare, e il loro simbolo appare nel cielo.

“Aspetta un attimo,” dice MJ, avvicinandosi a lui e intrecciando le dita alle sue. “Aspetta. Aspetta. Sarai… sarai lassù?” chiede, con la voce che trema. “Perché non ce la faccio. Non ce la faccio a vederti.”

“Sono qui,” sussurra lui, stringendole la mano. “Okay? Non importa.”

MJ scuote la testa, respirando più forte, e il gruppo si avvicina quando un’altra saetta cade, stavolta più vicina alla torre. Peter si prepara al peggio; non sa se vedrà o meno il proprio volto, e ricorda com’è stato vedere la propria tomba nell’illusione di Beck. Forse sarà la stessa cosa.

Invece dei volti dei Tributi caduti, quello di Stane viene proiettato nel cielo.

Peter si sente strappare l’aria dai polmoni.

“Ma salve, miei ultimi Tributi,” dice Stane, sorridendo ampiamente e inclinando la testa verso di loro. “Siete arrivati fin qui e ne avete passate tante. Alcuni più di altri.”

Sembra guardare direttamente Peter, e ha negli occhi quello stesso brillio che aveva nell’ufficio. Peter si sente trasportare a quel momento, solo che stavolta non è protetto. Non ha Tony a fargli da scudo.

“Le alleanze di solito non durano così a lungo,” dice Stane, scuotendo la testa, e dallo sfondo sembra essere ancora nella sua residenza. Non nei quartier generali dell’arena. Quindi dovrebbero essere al sicuro. Potrebbe non sapere ancora nulla. Potrebbe non saperlo. “Ma il fuoco sta lentamente crescendo,” continua Stane. “Molto più lentamente, adesso, rispetto a poco fa. È straziante, vero? Potrebbe uccidere tutti. Tutti possono bruciare vivi.”

Peter sposta lo sguardo e incontra quello di Steve. Sembra guardingo. Tutto questo non ha precedenti, lo sanno entrambi. Ma molte cose in questi Giochi non hanno precedenti.

“Io l’ho visto da vicino,” dice Stane, annuendo tra sé. “Di recente. Appena pochi minuti fa, in effetti. I vostri cari Mentori. Sì, li abbiamo radunati tutti, abbiamo liberato le fiamme, ed è stato… beh, il fetore, è stato… particolarmente sgradevole. Particolarmente sgradevole.”

Peter sente freddo e barcolla, col cuore che gli schizza in gola. Si deconcentra, non– non riesce più a guardarlo. Non può ascoltare ciò che sta dicendo. Non se dice queste cose.

“Tony ha urlato più di tutti, signor Parker,” continua Stane. “Pensavo che dovessi saperlo. Ha sofferto più di tutti, di tutti loro. Janet, lei ha quasi… ha quasi accolto la cosa di buon grado, ma Thor e Carol hanno lottato a lungo. C’era da aspettarselo.”

Peter quasi ha un conato e sta tremando, battendo le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Il suo cervello imposta il pilota automatico, e non può sentire un’altra parola, non una di più. Si sposta deciso verso Shuri, incontra i suoi occhi e vede il dolore che li rende lucidi.

“Shuri,” gracida. “Posso avere quell’affare? Quella specie di arma aliena?”

Lei apre la bocca ma non dice nulla, e abbassa lo sguardo su di essa come se si fosse dimenticata di stringerla così forte. Gliela porge e lui la prende, rivolgendole un cenno. Ronza, pulsante di energia.

Un’altra serie di fulmini manda scintille, saettando attraverso il volto di Stane.

“Quindi, per chiunque di voi tornerà indietro,” dice Stane. “Sarà in un mondo nuovo. Una nuova generazione di Vincitori…”

Continua a parlare, ma Peter non lo sente. La propria rabbia gli urla contro, assordandogli le orecchie con scariche statiche. Si posiziona sul bordo del tetto, e riesce a vedere il fuoco. Sente le fiamme, e immagina ciò che ha detto Stane. Sta mentendo per forza. Sta mentendo per forza.

Cade un altro fulmine.

Peter prende la mira con l’arma, e osserva le scintille e l’energia che emana dall’estremità appuntita. Carica il braccio all’indietro, mettendoci tutto se stesso, tutta la sua nuova forza e volontà, e scaglia l’arma verso il cielo. Non sa fino a dove arrivi la cupola dal punto in cui sono, ma sono molto in alto, quindi dovrebbero essere abbastanza vicini.

Un istante dopo la colpisce, proprio mentre un’altra nuvola si sprigiona in mezzo a due fasci di fulmini. L’arma è carica di elettricità, e quando fa contatto con la cupola esplode, un ordigno potente, rumoroso e troppo accecante che li fa tutti indietreggiare, schermandosi gli occhi. Il volto di Stane si oscura e Peter sente il suono di quello che sembra un calo di potenza, ovunque, dappertutto. Riporta gli occhi allo squarcio e quello rimane aperto, ma il campo di forza sussulta. Non arrivano altri alieni. Quelli che stavano ancora volando qua e là puntano verso il basso, rimbalzando tra loro ed esplodendo poi nel fuoco sottostante. La cupola ronza d’elettricità nel punto in cui l’ha colpita, rivelando una griglia incurvata che si mostra per un istante prima di essere di nuovo velata dal cielo.

“Cristo santo,” esclama Steve. “Credo che tu gli abbia messo fuori uso la rete.”

“Non pensavo l’avresti colpita,” dice M’Baku, fissando il cielo a bocca aperta. “Non… beh, avrei dovuto saperlo. Sei Spider-Man.”

Peter respira forte, scacciando via le lacrime.

“Abbiamo ancora le armature,” dice Riri, indicandole. “Ci sono ancora, volano ancora.”

“Peter, stava mentendo,” dice Steve. “Stava mentendo.”

“Credo che le telecamere siano fuori gioco,” osserva Natasha. “Non penso possano vederci.”

“Come fai a saperlo?” chiede Misty.

La loro conversazione scema nelle orecchie di Peter come il monologo di Stane poco fa, e ha le vertigini, si sente sul punto di svenire. Continua a figurarsi Tony che brucia. Colto da un dolore orribile. Si piega di nuovo in due, puntando le mani sulle ginocchia.

“Peter,” lo chiama MJ. È vicino a lui, al suo fianco, e Steve è dal lato opposto, una mano sulla sua spalla.

“Sta mentendo,” dice di nuovo Steve. “Sta cercando di spezzarci, proprio alla fine. Non sapeva del nostro piano, pensa che ci rivolteremo l’uno contro l’altro adesso. Sta cercando di farci impazzire. Ma noi non cederemo, giusto? Non glielo permetteremo.”

“Non parlare… del piano ad alta voce,” esala Peter, strizzando con forza gli occhi.

“La rete è fuori uso, Peter,” lo richiama Shuri. “Lo vedo dal palmare. Tutte le telecamere sono spente. La cupola è debole, dobbiamo– dobbiamo andare adesso, finché ne abbiamo la possibilità.”

“Non è morto,” sussurra MJ. “Non è morto. Nessuno di loro lo è. Vuole solo spaventarci, ma non può spaventarci, giusto?”

Peter deglutisce a forza, cercando di rimettersi in moto. Continua a cadere in quei brutti momenti: la Mietitura, l’ufficio di Stane, quella stanza coi ragni. Il panico tenta di piazzarlo là dentro, cerca di paralizzarlo. Ma cerca di ascoltare MJ e Steve. Tony non è morto. Non è morto.

C’è un brontolio che non ha nulla a che fare con la tempesta. Guardano tutti verso l’alto: sembra uno schianto, dall’alto. Schianti, schianti, schianti.

“Credo siano loro,” dice Natasha. “Noi. I nostri. Dobbiamo andare. Dobbiamo arrivare lassù.”

MJ sfrega la mano sulla schiena di Peter, rapida, e lui annuisce tra sé. Non è morto, non è morto, non è morto.

“Va bene,” dice, raddrizzandosi e ignorando il modo forsennato in cui batte il proprio cuore. “Uh, Shuri, Riri, potete… fornire alle armature delle rotte? Potete dire loro di dirigersi lassù?”

“Penso di sì,” dice Riri, e lei e Shuri si chinano di nuovo sul palmare. “Sì, ecco… ci siamo. Bene, bene. Ce l’abbiamo fatta.”

Peter guarda in alto. I campi di forza sono ancora potenti, e Peter ne segue il profilo fino allo squarcio. Non ha idea di cosa ci sia lassù, una volta che lo attraverseranno. Ma Bruce sa quello che sta facendo. Peter deve crederci.

 C’è un altro schianto che scuote l’intera cupola.

“Io vado per primo, con le ragnatele, e porto MJ,” dice Peter. “Voi mi seguite una volta che sarò in mezzo ai campi di forza.

Non sa come prepararsi a tutto questo. Non sa come compiere questi passi finali, ai quali hanno agognato sin dal momento in cui sono usciti da quei tubi.

Pensa a Ben. Tutti quegli anni in cui c’è stato. Era incrollabile, lo supportava, non aveva mai, mai smesso di credere in lui. Non importa cosa stesse cercando di fare. Non importa chi stesse cercando di essere.

Chi sei tu, figliolo? Chi sei tu?! Sei Peter Parker, ecco chi sei! I Parker possono fare qualsiasi cosa. Tu puoi fare tutto ciò che ti metti in testa di fare.

Tocca la sua spilla di Iron Man e cerca di trovare un po’ di forza.

“Va bene,” sussurra, cercando di placare il proprio cuore. “Okay, okay. MJ?”

“Sono qui,” risponde lei, vicina a lui.

Lui le cinge la vita col braccio e la attira a sé, sperando contro ogni buonsenso di riuscire a mantenere la presa mentre salgono. “Reggiti a me,” dice, facendole un cenno. “Più forte che puoi.”

“Va bene,” dice lei, gli occhi enormi, comprimendo le labbra in una linea sottile.

Lancia un’occhiata verso gli altri, e Riri impartisce dei comandi alle armature tramite il palmare per farle scendere più vicine.

“Sono davvero contenta che la rete sia fuori uso e che Tony non stia guardando,” commenta, entrando in una delle armature più snelle, che si chiude attorno a lei. “Non è esattamente il modo in cui volevo farmi notare da lui.”

Parla di lui come se fosse vivo. Perché lo è. Perché lo è.

Peter sente il proprio cuore pulsare e alza lo sguardo, posizionandosi proprio sotto lo squarcio nel cielo, in linea coi campi di forza. Estende la mano destra, gettandosi una breve occhiata alle spalle per vedere gli altri che si aggrappano alle armature, con Riri e Shuri che si passano il palmare avanti e indietro, impartendo gli ultimi comandi.

Peter si concentra. Prende la mira. Spara una ragnatela, salta in corsa e issa lui e MJ verso l’alto, e per un momento terrificante pensa che non ce la farà, che non siano abbastanza vicini, che la ragnatela si spezzerà, che cadranno e cadranno finché il fuoco non li azzannerà. Poi sente la voce di Ben nelle orecchie, e di Tony, di May, di Ned, sente la stretta colma di fiducia di MJ sulle sue spalle, e si spinge più lontano di quanto avrebbe mai creduto possibile. Ritrae le gambe e trascina entrambi lassù, finché non fa presa direttamente su una delle pareti interne del campo di forza. Respira a fatica, e temeva di ricevere una scossa, non ha avuto davvero il tempo di prenderlo in considerazione, ma non succede nulla: è solo come toccare uno strano muro invisibile. Ci ha pensato Bruce.

È sospeso in mezzo al cielo. La notte lo circonda.

“Oddio,” esala MJ, aggrappandosi a lui.

“Va tutto bene, va tutto bene,” dice lui, cercando di calmare lei e se stesso. “Ti tengo, ti tengo.”

Spara un’altra ragnatela, stavolta un po’ più in alto e sull’altro lato, e supera il vuoto, issandosi più in alto. Si attacca anche lì. Guarda oltre la propria spalla, col fiato corto, e vede gli altri avvicinarsi con le armature, lenti ma costanti: Nat e Steve sono sorretti dalle braccia di quella più massiccia, M’Baku; Shuri ha addosso quella rosso-oro che lo stava inseguendo prima, e Misty e Riry ne hanno una dorata, con le braccia allungate.

Peter cerca di concentrarsi e si sente folle, fuori posto, come se non fosse davvero dentro al proprio corpo in questo momento, come se non fosse lui, se non fosse qui. Guarda verso le fauci spalancate nel cielo e il loro interno è profondo e buio. Ha paura. Ha paura di fendere quell’oscurità, di permetterle di toccarlo, perché questo potrebbe ancora essere un trucco. Potrebbero ancora fallire.

Ma è tutto ciò che hanno. E quegli schianti… li sente ancora. Forti, ripetuti, sopra di loro. Si stanno avvicinando. Sono loro. Le persone che li tireranno fuori.

Aumenta la stretta sulla vita di MJ e si arrampica carponi sulla parete del campo di forza più agilmente che più. È snervante, tutto quel buio attorno a lui, il modo in cui è praticamente appeso a mezz’aria. Si concentra sulle increspature, sulle chiazze verdi, ricorda Tony che gli insegnava tutto sui campi di forza e cerca di tornare a quel momento, cerca di alimentarlo.

Spara un’altra ragnatela verso il lato opposto e prosegue là sopra. Ha così tanta paura, è così spaventato, e riesce a malapena a respirare. Deve essere forte per MJ. Non può mostrarsi così. Si chiede cosa succederebbe se scagliasse una ragnatela direttamente nello squarcio nel cielo, dove andrebbe a finire, su cosa si attaccherebbe. Gli sembra di proseguire all’infinito, e cerca di prendere un ritmo, ondeggiando avanti e indietro, avanti e indietro, finché non sente le mani di MJ che gli affondano con più forza nelle spalle.

“Stai bene?” le chiede, fermandosi un istante sul campo di forza di sinistra. Si guarda di nuovo indietro, e gli altri sei li stanno ancora seguendo.

“Siamo vicini?” chiede lei, premendo la fronte contro la sua tempia.

Lui alza ancora lo sguardo, e ogni volta che lo fa la gravità sembra colpirlo, lo distrae, gli fa quasi mollare la presa. Nuvole temporalesche li circondano, e i bordi dello squarcio nel cielo brillano violacei, con dei viticci che si agitano dentro e fuori dalla sua circonferenza. Peter ha un brivido.

“Sì,” dice, anche se non può davvero dirlo. Non vuole spaventarla.

Il suo cuore trema, salta dei battiti, e spara altre ragnatele sul lato su cui sono ora, arrampicandosi come fosse su una scala. Il suo stivale sinistro scivola e lui sobbalza appena, scivolando; MJ lancia uno strillo, affondando il volto nella sua spalla.

“Merda, merda,” bofonchia Peter, riprendendo la presa. “Scusa, scusa. Posso attaccarmi attraverso le scarpe, ma ogni tanto è difettoso.”

“Non fa niente,” dice lei, ma non alza lo sguardo. “Sali e basta.”

“Penso che ci siamo quasi!” grida Shuri, vicina dietro di loro. “Continuate.”

Gli schianti scuotono tutto il mondo, adesso, e lo squarcio diventa sempre più grande man mano che si avvicinano. Peter è più forte, più veloce, diverso, ma le gambe e le braccia sono sotto sforzo, e non è abituato ad attaccarsi a questa roba, quindi continua a farsi venire dubbi. Sono a circa una decina di metri dallo squarcio, adesso, e sente le armature che fluttuano vicine dietro di loro.


Peter?” lo chiama Steve.

Peter non risponde. Punta solo uno spara-ragnatele verso lo squarcio e lascia partire la ragnatela. Espira forte dalla bocca mentre la segue con lo sguardo, poi la sente tendersi. Fare presa.

“Reggiti,” sussurra. “Devo lasciarti andare. Tieniti con braccia e gambe. Non lasciarmi.”

“Oddio,” geme MJ.

Aumenta la presa, allacciando le gambe al suo busto. Peter si dà la spinta contro il campo di forza, portandoli a fluttuare là a mezz’aria, sorretti solo dalla singola ragnatela alla quale è aggrappato. Lascia andare MJ esitando, quando è sicuro che non cadrà, si tende con l’altra mano e inizia a issarsi verso l’alto. Non ha abbastanza spazio per prendere lo slancio verso l’alto, col campo di forza così strutturato, e tira e tira, come faceva con quelle funi a educazione fisica, troppo tempo fa. Una mano dopo l’altra, una mano dopo l’altra.

L’oscurità dello squarcio si chiude su di loro, e ha l’impressione di sentire uno scroscio, a tempo coi costanti schianti sopra di loro. Risucchia un respiro mentre si avvicinano, sempre più, e chiude gli occhi quando si addentrano nello squarcio, avanzando proprio attraverso esso. Non sa cosa si fosse aspettato, se un vuoto denso, o di vedere il mondo capovolgersi, ma li inghiotte, e poi… sale su qualcosa di diverso.

Apre gli occhi e se ne pente subito per via di tutta quella luce, tutto quel bianco. Sembra il sottotetto di un grosso magazzino, e la ragnatela in sé è attaccata alla cima incurvata della cupola. C’è un altro forte colpo da sopra che li scuote attraverso la fune, così li fa salire un altro po’, oscillando in avanti così da poggiare i piedi su un pavimento di linoleum solido.

“Cavolo,” commenta, stringendo di nuovo MJ, che è ancora in posizione fetale, abbracciata a lui.

“Siamo a terra?” chiede. “Siamo–”

C’è un altro forte schianto da sopra, e quando guarda in alto vede che la cupola si sta spaccando. Spera davvero che Natasha abbia ragione, e che quelli lassù siano i buoni. “Ci siamo,” mormora, sfiorandole il fianco. Lei si stacca rapida, strofinandosi gli occhi, e lui non ha il tempo di assicurarsi che stia bene come vorrebbe fare. Muove un paio di passi verso il bordo dello squarcio, giusto in tempo per vedere l’armatura che trasporta Misty e Riri sfrecciare attraverso l’apertura.

Vola verso l’alto e impatta contro la cima della cupola, ed entrambe cadono atterrando duramente. Peter e MJ si affrettano verso di loro, ed entrambe le donne alzano incredule lo sguardo, stordite dal bagliore improvviso.

“Ma che diavolo?” dice Misty, guardandosi intorno.

“Le aiuto io,” dice MJ, toccandogli il braccio.” “Vai là e assicurati che gli altri stiano arrivando.”

“Va bene,” esala Peter, lanciando un’occhiata all’armatura di Iron Man che ancora fluttua sopra di loro.

Da sopra arriva un altro schianto e una trave cede, abbattendosi a pochi metri da loro. Peter barcolla sotto l’onda d’urto, e quasi ricade all’indietro in quel maledetto buco. Shuri e M’Baku arrivano subito dopo, e il loro atterraggio va un po’ meglio: solo M’Baku cade, e Shuri riesce ad atterrare aggraziatamente mentre la seconda armatura si unisce alla prima. Peter le osserva, temendo che si rivoltino di nuovo contro di loro.

Steve e Nat sono più indietro e Peter rimane in attesa, respirando agitato dalla bocca. Un altro forte schianto, e altre tre travi cadono, con la frattura nella cupola che si espande.

Non appena fanno capolino, Peter vede con orrore le luci sull’armatura di Steve e Nat che si spengono, mentre l’intero congegno perde potenza. Iniziano a cadere mentre quella sbanda verso il basso, lontano da loro, e Peter si getta verso il bordo dello squarcio, lanciando una ragnatela da ciascuna mano. Nat afferra la propria, ma la seconda sfugge alle dita di Steve e Peter ne lancia rapido un’altra, col cuore che sprofonda. C’è un altro colpo contro la cupola e identifica il suono: un elivelivolo. E degli spari.

La seconda ragnatela si aggancia al petto di Steve, arrestando bruscamente la sua caduta.

“Tenetelo per il piede, come prima!” grida MJ.

“Tiriamolo indietro,” dice M’Baku, e Peter digrigna i denti, tirando e tirando per trascinare su Steve e Natasha. Sente M’Baku, MJ, Misty e Riri attaccati addosso, e lo issano in piedi, lanciando sbuffi e imprecazioni come un sol uomo. A Peter tremano le braccia mentre lo sollevano e lo traggono all’indietro, sempre più lontano mentre lui continua a tirare.

Finalmente, finalmente Steve e Natasha sbucano fuori, aggrappandosi al bordo dello squarcio proprio mentre c’è un altro violento schianto da sopra.

Quelli sono decisamente degli spari, e il rumore del motore di un elivelivolo.

Tutti si affrettano verso Steve e Natasha, strattonandoli lontano dal buco.

“Scusaci,” dice Steve, col fiatone.

“Fa niente,” replica Peter, strappando la ragnatela dal suo petto.

È a quel punto che la cima della cupola va in frantumi, spaccandosi in due. Cercano tutti riparo raggruppandosi assieme mentre le travi rimanenti si abbattono a terra, con parte della cupola stessa che viene tirata giù e atterra con rumore sordo. Là fuori c’è un elivelivolo, e la porta della rampa d’accesso si apre di scatto. Qualcun altro sta senza dubbio sparando contro l’elivelivolo, e loro stanno rispondendo al fuoco, mentre entrano a fatica nell’apertura che hanno creato.

Peter sa che sono qui per salvarli. Se non lo fossero lo percepirebbe, e poi li avrebbero già spediti all’inferno. Batte le palpebre guardando in alto, chiedendosi quanto siano lontani: non molto, sa che potrebbe coprire la distanza con un balzo, ma non il resto di loro.

Smette totalmente di pensare quando, cazzo, Bucky Barnes sporge la testa dall’apertura e lancia giù una corda.

Pensa di stare avendo le allucinazioni, e tutti rimangono con lo sguardo fisso nel vuoto. Bucky è morto. Bucky è morto, l’hanno tutti visto morire. L’intero paese l’ha visto morire. Lui grida qualcosa ma non riescono a sentirlo oltre il rumore dei rotori e degli spari. Ha ancora il braccio di metallo e fa loro dei cenni con esso, intimando loro di avvicinarsi, e Peter crede di svenire. Ha visto quel braccio nell’ufficio di Stane, ma–  lui– è proprio qui…

Peter era morto. Sa di esserlo stato. Quindi qualcosa… sta accadendo. C’è una ragione per tutto questo. Per tutto.

Cerca di tornare in sé.

“Andate!” grida, spingendo avanti il gruppo. Farà salire prima loro. Poi andrà lui, quando saranno tutti al sicuro.

Gli spari rimbombano nel sottotetto, con l’elivelivolo che spara di rimando, da un punto che non riescono a vedere. L’intera struttura trema. L’elivelivolo carica a tutta a forza l’apertura che ha creato nella cupola, cercando di allargarla, e il loro gruppo avanza. Shuri va per prima, attaccandosi alla corda, e Bucky la porta in salvo, rapido ed efficiente. Riri è la successiva, poi Misty, e ripetono il processo finché non rimangono solo MJ e Peter.

“Vai,” dice lui, una mano alla base della sua schiena, spingendola in avanti. È infastidito dal fatto che abbia aspettato così tanto, anche se per rimanere con lui.

Lei increspa le sopracciglia nel guardarlo, con occhi preoccupati, e le dà un’altra leggera spinta. Si aggrappa alla corda ora di nuovo abbassata e Peter rimane a guardare mentre Bucky la tira su come tutti gli altri.

Peter sta per lanciare una ragnatela e salire lassù per conto suo, quando qualcosa colpisce violentemente l’elivelivolo, spingendolo più a fondo nella frattura e scuotendo l’intera cupola. Peter barcolla all’indietro, due passi di troppo, e prima di rendersene conto sta cadendo all’indietro, dritto nello squarcio nel cielo.

Non ha ancora mai provato una tale paura prima d’ora, e il terrore ha la meglio per un istante di troppo: si lascia cadere, precipitando a peso morto attraverso l’oscurità, diretto verso quel mondo in tempesta da cui sta cercando così disperatamente di fuggire. Poi ritrova il proprio centro, espirando forte dalla bocca, e lancia una ragnatela, mirando alla rampa dell’elivelivolo, che si allontana di secondo in secondo. La guarda fendere l’aria al rallentatore, non è sicuro che farà presa, non ha mirato bene, non ce la farà…

Tony esce di corsa dal velivolo, si getta in avanti e afferra la ragnatela prima che manchi il bersaglio. Quella si tende e Peter vi si aggrappa con tutte le sue forze, con puro sollievo ed esaltazione che lo attraversano perché Tony è qui, Tony è vivo, e tutti gli altri si aggrappano a lui mentre tira Peter verso la salvezza. Lui chiude gli occhi per un solo istante, lasciandosi sopraffare, con due lacrime gli solcano le guance mentre risucchia un respiro tremante, e quando li riapre Tony è davvero lì. È lì, è lì, è ancora lì. Lo sta salvando.

Peter si issa verso l’alto per aiutarli, scalando la ragnatela mentre lo tirano su, e Tony allunga la mano libera verso di lui quando si avvicina. Peter fa lo stesso, e c’è quasi, c’è quasi, è a pochi centimetri dal bordo della rampa…

Un’esplosione li colpisce, fuoco, calcinacci e parti di cupola cadono ovunque e l’elivelivolo si inclina, virando pericolosamente.

Peter cerca di mantenere la presa e riesce appena a sfiorare le dita di Tony con le proprie prima che qualcosa lo colpisca in testa. L’oscurità lo avvolge.

 
§

 
Si sveglia nel silenzio. Qualcuno parla sottovoce. Una mano stringe la sua. Non vuole ancora aprire gli occhi, perché gli pulsa la testa e anche il più piccolo barlume di luce è troppo, è un fuoco accecante. Ha visto abbastanza fuoco per una vita intera. Non vuole mai più vederlo.

Geme, sussultando. Gli fa male tutto, cazzo, specialmente la testa e il braccio. E non ha idea di dove sia.

“Peter,” dice MJ, e gli stringe più forte la mano. La sente mentre gli tocca il volto, facendo aderire il palmo alla guancia. È bello. Non ha mai davvero vissuto momenti come questo, e si chiede cosa arriverà a rovinarlo adesso.

“Bucky è davvero vivo?” gracchia, arricciando il naso. “O sono di nuovo morto?”

“È vivo,” dice lei. “Siamo con lui e con, uh, altri tre uomini, dal Distretto Tredici. Stiamo andando lì, ma abbiamo dovuto fare il giro lungo, così Capitol non può… mettere fuori uso il sistema di schermatura dai suoi avamposti nei Distretti. Siamo sull’oceano adesso, non so… non so quanto ci metteremo. Ci hanno tolto i localizzatori dal braccio. Siamo scappati, Peter. Siamo scappati dall’arena.”

Lui apre gli occhi.

Sono… sono sull’elivelivolo. È tutto di metallo solido, senza finestre, come il primo che ha visto, ma sembra un modello più avanzato, più spazioso di quello che l’ha portato nell’arena.

Il suo cuore si fa freddo e si guarda intorno. MJ, accanto a lui, che gli stringe la mano pettinandogli gentilmente indietro i capelli. Natasha, Misty e Riri, su una brandina a qualche metro da loro. Steve e M’Baku, seduti su due sedili attaccati alla parete. Shuri, con un palmare, seduta vicino alla porta sulla parete di fronte.

Manca qualcuno.

“Dov’è Tony?” chiede Peter, facendo una smorfia nel tirarsi su.

MJ sembra nervosa.

“MJ, dov’è Tony?” chiede di nuovo, alzando troppo la voce. Sa che era qui. Sa che c’era. Lo stava salvando, era lì per portarlo fuori.

Peter si guarda intorno quando MJ non risponde, e si mette di scatto in piedi. C’è un bendaggio bianco attorno al suo braccio, e lo strofina sovrappensiero. Il suo localizzatore. L’hanno estratto. Bucky è vivo. Dov’è Tony?

“Peter,” lo chiama Shuri, mettendo da parte il palmare e alzandosi in piedi. “Lui… nell’esplosione…”

Gli occhi di Peter si riempiono istantaneamente di lacrime e scuote la testa. “Dov’è?” chiede. “Dov’è?”

“È vivo,” dice Steve, alzandosi a sua volta. “È vivo, solo che…”

“Solo che cosa?” chiede Peter, a malapena in grado di aggrapparsi a quel è vivo se c’è qualche riserva in merito, e si guarda intorno forsennato, mentre loro lo scrutano con incomprensibile compassione.

MJ lo sfiora di nuovo e lui sobbalza, ma lei gli prende comunque la mano. “Qui dentro,” dice, piano, e lo guida verso la porta più lontana. Sente il cuore che gli martella contro le costole, puro panico, e deve chinarsi un poco per entrare. MJ non lo segue, e il mondo si restringe attorno a lui quando vede cos’ha davanti.

Tony è steso su una brandina, gli occhi chiusi, e ha qualcosa… nel petto. Piccolo, circolare, collegato a quella che sembra una grossa batteria poggiata su un tavolino accanto a lui. Ci sono stracci su stracci intrisi di sangue in un cestino lì accanto, quasi straripante. C’è un medico, lì, una donna alta e dall’aria elegante che si gira sentendolo entrare, e il suo volto si ammorbidisce subito quando vede chi è, come se l’avessero avvertita della reazione che avrebbe avuto.

“Peter,” dice, pacata.

“Cosa– cosa è successo?” chiede lui, e suona come un bambino. Ha paura ad avvicinarsi, ma gli si accosta comunque. C’è un vero e proprio buco nel petto di Tony, dove è infisso quell’aggeggio rotondo. Un buco. Nel suo petto. Peter si sente avvizzire. Come se si fosse rotto dentro. Non può accadere. Non a Tony. Non può sopportarlo.

“Nell’esplosione,” esordisce la donna, “Tony è stato colpito. C’erano molte schegge, ne ho rimosse il più possibile, ma ce ne sono ancora molte, e puntano al suo setto atriale. Quello che ho fatto qui… questo è un elettromagnete, collegato a una batteria per auto. Impedisce alle schegge di perforargli il cuore. È tutto ciò che ho potuto approntare in così poco tempo, ma quando saremo nel Tredici riusciremo a gestire meglio la situazione. Te lo prometto.”

Peter risucchia un respiro tremolante e annuisce, con la gola stretta e dolorante. Ha l’impressione che ci sia troppo buio ai margini della sua visuale, che cerca di affondare gli artigli dentro di lui. C’è una sedia accanto alla brandina e la avvicina, ascoltando il modo in cui si trascina sul pavimento di metallo. Si siede, prende una mano di Tony tra le sue e desidera con tutto se stesso che si svegli. Vuole che si metta a sedere, adesso. Che dica qualcosa. Che lo stringa a sé. Che gli urli contro, che lo sgridi, qualunque cosa. Qualunque cosa piuttosto che vederlo disteso lì, come è adesso.

Peter chiude gli occhi, poggiando la fronte sulle sue nocche.

Sa che Tony è rimasto ferito mentre lo traeva in salvo sull’elivelivolo. Lo sa. Questo è colpa sua. Loro due sono stati investiti dall’esplosione – dalle esplosioni, perché probabilmente ce ne sono state altre – ma Peter adesso ha dei poteri. È… diverso. Si è fatto a malapena un graffio. Tony deve esserne stato consapevole. Deve averlo visto, nell’arena. Eppure, in ogni caso, ha comunque messo a rischio la propria vita per lui. Si è messo in pericolo. E adesso è qui.

La sua mente si sta muovendo alla velocità della luce, ha troppe cose a cui pensare, troppe da risolvere.

Tony è ferito, è gravemente ferito, cazzo, e non è sveglio. Non si sveglia.

Se loro sono fuggiti, sono tutti in pericolo.

Tutti.

I Distretti… le loro famiglie. May, Ned. Tutti quelli nel Dodici.

Cosa farà Stane? Chiaramente sa che sono evasi, considerando quelle maledette esplosioni e quel contrattacco. Sarà in grado di rintracciarli? Riuscirà a sopraffare di nuovo il Tredici? Cosa farà quando metterà le mani su di loro? Gli taglierà la testa mentre è ancora vivo? Torturerà prima gli altri, costringendolo a guardare?

La paura lo annega.

Sente qualcuno avvicinarsi alle sue spalle, e sa che non è il medico. Sa che è MJ, lo sa dal modo in cui si muove. Gli accarezza il profilo delle spalle, e ciò gli fa di nuovo salire le lacrime agli occhi. Qualunque cosa potrebbe farlo crollare.

“Ehi,” dice, con voce sul punto di rompersi, e non la guarda. “Uh, sai se… le nostre famiglie, uh… sai se– qualcuno, uh…”

“Janet è partita con una squadra diretta al Dodici,” risponde MJ. “Alcuni sono andati negli altri Distretti, ma Bucky ha detto che hanno… che hanno perso contatto con loro prima di recuperarci. Quindi dovremo… aspettare, e sapremo tutto al nostro arrivo nel Tredici.” Si schiarisce la voce, e lui sa che è consapevole che queste sono solo altre brutte notizie compattate in cima a tutto il resto.

May potrebbe non esserci più. Anche Ned. Potrebbe averli già persi e non saperlo nemmeno. Sono fuggiti dall’arena, tutti e otto, e visto il momento… Peter pensava che avrebbero festeggiato. Pensava che avrebbero stappato bottiglie di champagne, urlando a squarciagola in cima a un tetto. Ce l’hanno fatta, sono fuori, ma è tutto in bilico, al contrario di quello che si era aspettato.

Non ci aveva riflettuto abbastanza, prima. È stato ingenuo, stupido. Si meritava di rimanere morto in quella maledetta arena.

China il capo, premendo la fronte sul dorso della mano di Tony. Ha bisogno della sua guida, adesso. Ha bisogno di lui.

“Svegliati, ti prego,” sussurra. “Ti prego, svegliati.”
 



 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Tradotto da: ever in your favor: parkers can do anything, di iron_spider da _Lightning_

Note:

[1] Greg Willis aka Gravity. Come dice il nome, controlla la gravità e ha poteri pseudo-telecinetici.
[2] Riri Williams aka Ironheart, erede spirituale di Iron Man nei fumetti e grande ammiratrice di Tony Stark.
[3] In questo punto mi sono presa un po’ di libertà nel tradurre, perché in tutta onestà nell'originale, per come era descritto, ho fatto un po' di fatica a capire come fosse strutturato il campo di forza. Ho preferito la chiarezza alla fedeltà al testo, senza per questo alterarlo in modo incisivo.



Note della traduttrice:

Cari Lettori, se vi è scappata una parolaccia/blasfemia a fine capitolo, sappiate che sono con voi <3 Per chi mi consigliava di allegare un reattore arc ai capitoli: ECCO, CONTENTI? :'D
Comunque, ormai ci siamo: manca un'unica altra parte alla conclusione e sinceramente non credo riuscirò ad arrivare viva a domenica/lunedì prossimo, con o senza reattori.
Nel frattempo, vi terrò compagnia a metà settimana con un'altra piccola traduzione, di una shot molto, molto fluff sempre dalla penna della bravissima
iron_spider :)

Un grazie enorme va a Eevaa, ericaron, Manulalala (grazie anche per il messaggio!), Paola Malfoy, Miryel e T612 che hanno commentato la storia finora, aggiungendola alle loro liste e dandomi feedback anche sulla traduzione <3 Un grazie estemporaneo ad _Atlas_ che funge da mia beta-reader sopportando i miei scleri notturni <3
A prestissimo,

-Light-

 
 
EDIT: chiedo scusa, ma nella fretta di aggiornare ho commesso un errore amatoriale, traducendo "anything" con "tutto"- invece del più corretto "qualsiasi cosa". Ho corretto solo ora, perdonate la svista! Ho comunque avviato una micro-revisione dei capitoli precedenti, giusto per accertarmi che non vi siano altri errori :)  
 
 
 
 
 
   
 
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