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Autore: Arianna_Zago    08/10/2019    1 recensioni
Luna Riesling è una ragazza intelligente, introversa e di una bellezza innocente. La sua realtà sarà scossa e rivoluzionata da Zoe, sua coetanea, e da Vittore, un giovane uomo alla ricerca di una nuova vita. I tre cresceranno, cambieranno e metteranno in discussione i delicati equilibri che governano le loro fragili esistenze. Insieme conosceranno l'amore, il sacrificio e la tenacia che serve per inseguire i propri sogni.
"Questa vita di cristallo" è il primo racconto che pubblico.
Tutti i diritti riservati©
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vittore non poteva essere più felice di abbandonare finalmente ed una volta per tutte quel bilocale che aveva finito per odiare con tanta foga ed intensità da non riuscire più neanche a dormire, a mangiare, a ricordarsi di doversi fare una doccia almeno due volte a settimana. Nonostante fosse inverno inoltrato, Vittore non si era mai sentito ribollire ed eruttare di rabbia con tanto calore e altrettanta forza. L’impiego come supplente in una scuola pubblica di periferia non lo retribuiva di certo con un’ingente paga, anzi! Il secondo lavoro come bibliotecario durante il pomeriggio si era rivelato necessario. Non si era mai lamentato, non conosceva la pigrizia o la fatica e comunque si ripeteva che doveva valerne la pena. I sacrifici non sono poi tali se li si accetta per amore e Vittore era veramente innamorato di Maddalena. Tuttavia, evidentemente, si era lasciato ingannare dalla castità di quel nome, o dai suoi occhi dolci e compassionevoli, o dalla sua bocca rosea e carnosa come un bocciolo di primavera. Sta di fatto che mai, mai e poi mai Vittore avrebbe potuto immaginare di tornare a casa, quell’infausto giorno di qualche mese prima, con una busta della spesa stretta sotto il braccio, fradicio per l’acquazzone che stava inondando Varese quel giorno, con il cuore ricolmo di gioia per la cena che progettava di cucinare insieme alla sua fidanzata, con una scatola speciale in tasca nella speranza di ricevere il sì che da settimane ormai desiderava poter sentire provenire da quella bocca benedetta e trovare la sua Maddalena là, in ginocchio di fronte al loro letto, scoprendo quanto poco sacre fossero effettivamente quelle labbra. In quell’occasione era divenuto consapevole della sua follia e di come sia paradossale l’attimo prima del dolore: la mente umana non è capace di assimilare subito la verità come tale, non è capace di accettare l’evidenza dei fatti con immediata chiarezza e lucidità, così si avvale della pazzia. Vittore era impazzito tanto che la sua prima reazione, per quanto inspiegabile e priva di buon senso potesse sembrare, fu quella di scoppiare a ridere. Una fragorosa, enorme e sboccata risata, che riecheggiò ovunque nel piccolo appartamento in affitto che il giovane tanto faticava a pagare ad ogni fine del mese, una risata che si tramutò in lacrime amare ed eternamente pesanti quando uscì nuovamente dall’abitazione, restando fermo sotto la pioggia, in piedi sullo zerbino zuppo d’acqua fredda, finché Maddalena non uscì di casa con una borsa, l’amante e la breve affermazione della loro separazione. Non l’aveva più vista da quel dì. Ora detestava la pioggia, le cene e i matrimoni, ma soprattutto detestava quell’appartamento. La proposta di lavoro in un liceo privato di Milano gli era sembrata l’occasione che aspettava da tempo, la possibilità di ricominciare. Aveva trovato un nuovo appartamento in affitto in una casa di ringhiera nel centro città in meno di due settimane e in meno di due giorni aveva liberato la triste e deserta casa da tutte le sue poche cose, tra cui la montagna di libri che aveva completamente riempito il bagagliaio della sua vecchia station wagon blu. Benny, il suo gatto certosino, dormicchiava tranquillo nella portantina mentre lui guidava attraverso la nebbia verso la sua nuova vita. Non era mai stato a Milano prima di quel giorno, nonostante avesse viaggiato in lungo e in largo per tutta l’Italia: non aveva mai sentito la necessità di mimetizzarsi tra la folla di una grande metropoli. Ora però aveva bisogno del caos, aveva bisogno che i suoi pensieri fossero costantemente sedati dal rumore insistente del traffico, dalla frenesia di centinaia di sconosciuti intorno a sé su di un mezzo pubblico, dallo stridio delle rotaie di una metropolitana, dalle risate degli adolescenti in corsa attraverso i corridoi di una scuola mai frequentata prima, dagli occhi di decine di colleghi sconosciuti che sperava non facessero troppe domande riguardo la sua vita personale. L’unico con cui avrebbe continuato a condividere la sua solitudine sarebbe stato Benny, almeno per un po’. Non aveva perso fiducia nell’amore, ma di certo aveva perso interesse. I suoi progetti di stabilità, di famiglia e di serenità erano svaniti come le nuvole d’estate: galleggiavano ancora da qualche parte nel profondo dei suoi pensieri, ma non sarebbe tornati a farsi vedere fino al prossimo autunno. Arrivato al casello autostradale Vittore si concesse un sorriso, deciso a dimenticarsi per un po’ le sue sventure, accese una sigaretta e scelse di godersi le prime luci di Milano che sembrava essere sempre più vicina in quella sera uggiosa.

Milano era follemente viva, incredibilmente luminosa e terribilmente chiassosa, proprio come l’aveva pitturata nei suoi pensieri. Non riusciva proprio a capacitarsi del fatto che gli fosse servita un’altra ora abbondante di viaggio attraverso la città per riuscire a raggiungere il condominio. Aveva guidato lungo la circonvallazione fino alla zona sud della metropoli, per poi continuare la tratta fino alla darsena: qui confluiva la rete intricata di navigli che attraversa la città, dandole un sapore poetico e romantico in quella notte d’inverno. Pioveva, ma lì la pioggia non aveva quel suono orrendo e osceno che sembrava risuonare nelle sue orecchie ogni qual volta ci fosse stato brutto tempo a Varese. I lampioni erano come miliardi di stelle allineate, illuminavano la via con una calda brillantezza della quale difficilmente si sarebbe abituato. I locali erano tutti aperti, il temporale sembrava non aver fermato niente e nessuno. “Bene” pensò tra sé e sé mentre guidava di fianco a Porta Ticinese, ammirandone la maestosità e l’eleganza in quella rete di movimento incessante “proprio quello che mi serve”. Una manciata di minuti dopo riuscì miracolosamente a parcheggiare nel garage che il proprietario di casa gli aveva gentilmente concesso di occupare: l’entusiasmo del giovane e la sua imminente volontà di trasferirsi avevano travolto anche lui, a quanto pare. Era sembrato entusiasta di liberarsi finalmente di quel monolocale, troppo piccolo per ospitare più di una persona, ma troppo centrale per essere ceduto ad un inquilino con un esiguo affitto mensile. Vittore non aveva stabilito prezzi, non aveva fatto troppe domande, non si era lamentato delle dimensioni deprimenti del locale, nemmeno del fatto che probabilmente sarebbe stato troppo alto per la doccia striminzita del bagno. Aveva annuito, sorriso e chiesto dove avesse dovuto firmare per averlo. Vittore era stato felice della sua decisione, euforico. Scese dall’automobile e si diresse verso l’appartamento coprendosi la testa con un giornale e tenendo la portantina del gatto con l’altra mano. Si fece notare cercando di allargare goffamente le braccia quando vide il proprietario di casa di fronte all’imponente portone di mogano scuro. -Buonasera!- urlò, e l’altro uomo annuì facendogli segno di avvicinarsi. Quando Vittore riuscì a ripararsi al di là della soglia aperta allungò la mano e l’altro la strinse con vigore. -Mi dispiace averla disturbata in questa sera piovosa- disse il giovane uomo, che era in realtà impaziente di entrare e di mettersi a dormire su un caldo letto. -Si figuri signor Padovano, anzi! Mi rammarico del fatto che si debba trasferire in questo periodo dell’anno, fa parecchio freddo quest’inverno- rispose l’anziano uomo, allungandogli un magro mazzo di chiavi. -Tutto ciò di cui ha bisogno lo troverà nell’appartamento- continuò -il riscaldamento è già acceso ovviamente, ma troverà una stufa elettrica nel caso dovesse avere freddo e mi sono premurato di fornirle una cuccia per questo bel gattone- concluse, battendo dolcemente la mano sulla portantina impermeabile. Vittore gli strinse nuovamente la mano e lo ringraziò immensamente prima di vederlo allontanarsi e salire su un taxi poco più in là. Corse su per un piano di scale e quando chiuse finalmente la porta di casa sua alle sue spalle si sentì sereno per la prima volta da mesi: non gli interessavano le dimensioni estremamente ridotte dell’unica stanza, la cucina minuscola e poco funzionale dimenticata in un angolo buio e la sua poca previdenza. Non aveva pensato a comprare niente, né per la cena, né per la colazione della mattina successiva. Era a digiuno, ma la stanchezza sembrava voler prevalere. Liberò l’insofferente Benny, che aveva cominciato a miagolare incessantemente da quando aveva spento la macchina e fortunatamente si ricordò di quell’unica scatoletta di pesce che aveva portato con sé per il viaggio. Era deciso a sedersi solo per una manciata di minuti sul divano, per riposare le gambe rigide e le palpebre stanche. Continuava a ripetersi che presto si sarebbe alzato per recuperare almeno dei vestiti puliti per il giorno successivo, ma la luce era fievole e tiepida, il materasso del divano era caldo, morbido e accogliente, Benny era finalmente tranquillo e il ticchettio della pioggia si era fatto ritmico e piacevole. Vittore non avrebbe aperto gli occhi fino all’alba del giorno seguente.

   
 
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