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Autore: foschi    09/10/2019    5 recensioni
[GaaLee]
«Ci vediamo presto, Gaara. Te lo prometto.» e gli regalò un bacio sulla fronte, lì dove c’era il tatuaggio che lui stesso si era disegnato anni addietro, racchiudendo quello che provava per lui: amore. Un amore dolce e paziente, che si era insinuato lentamente fra loro, crescendo finché tutte le difese erano cadute e loro si erano trovati nudi l’uno di fronte all’altro a scoprirsi reciprocamente.
Cap.1 - Sei tu la soluzione
Cap.2 - Fino a quando il sole non c’è
Cap.3 - Ti regalo la mia illusione ("Questo capitolo partecipa alla “Fast Challenge di Fandom Deserti: Occhi” del gruppo Facebook “Il Giardino di Efp”)
Cap.4 - E vorrei fuggire via, vorrei nascondermi
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Rock Lee, Sabaku no Gaara
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

 

 

 

 

Titolo: ~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

Raiting: Arancione

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico

Personaggi: Sabaku no Gaara, Rock Lee

Avvertimenti: OOC

Note dell’autore: La forza della giovinezza è tornata e porta con sé un quarto capitolo che spero sia di vostro gradimento! Esso ritorna alla storia principale con una piega alquanto triste per i nostri protagonisti, ma non vi svelo altro, leggete e scoprirete, ehehe!

Ringrazio di cuore Sato, AryaDream, Nao Yoshikawa, Harriet Strimell ed aivy_demi_ per aver recensito i precedenti capitoli e chiunque legga questa storia! :D

Che la giovinezza sia con voi!

Buona lettura! ~ <3

 

 

 

 

 

 

 

~ Cap.4 – E vorrei fuggire via, vorrei nascondermi

 

 

  


 

E vorrei fuggire via
E nascondermi da tutto questo
Ma resto immobile qui
Senza parlare, non ci riesco a staccarmi da te
E cancellare tutte le pagine con la tua immagine
E vivere
Come se non fosse stato mai amore

{Laura Pausini - Come se non fosse stato mai amore}

 

 

 

 

 

   Il sole lasciava tracce del suo ultimo passaggio sulla Terra colorando di un arancio sgargiante  il cielo terso, nonostante all’orizzonte i suoi occhi acqua marina potessero intravedere il blu avanzare lentamente, come un anziano che si trascina stanco; qualche puntino luminoso sembrava essere gli occhi di quel blu, sembrava essere la guida di quel vecchietto.

Non era una bella sensazione, quella che pervadeva il Kazekage del Villaggio della Sabbia: glielo diceva il vento, che vorticava fra le dune, come le spire di un serpente che, viscide, si stringono attorno alla sua preda – ed era una coincidenza che la prima impressione avuta fosse quella di un serpente? No, sicuramente lui ed il suo – suo e soltanto suo – Rock Lee erano già stati infettati dal letale veleno che gelava la loro anima, faceva male al loro cuore.

Glielo diceva proprio quel buio che si avvicinava: il blu lasciava il posto al nero e, si sapeva, il nero non era portatore di buone notizie. Oh, ma forse stava proprio arrivando, la brutta notizia, visto che la mano grande e callosa di suo fratello Kankuro stava stringendo la sua esile spalla,in una presa salda, come se volesse infondergli calore e sicurezza, come se non volesse farlo crollare.

Si era avvicinato silenziosamente il marionettista, qualcuno non esperto non l’avrebbe nemmeno notato, ma lui sì, riconosceva i passi silenziosi del fratello, riconosceva il suo respiro  pesante e perennemente preoccupato. E riconosceva quando portava con sé cattive novità: abbassava lo sguardo, sospirava, si mordeva il labbro... sì era decisamente prevedibile, ma questo lo aiutava a prepararsi mentalmente a quanto stava per avvenire.

 

    Kankuro odiava quando gli anziani di Suna lo designavano come ambasciatore di cattive novelle, soprattutto quando queste riguardavano suo fratello: avrebbe voluto evitargli ulteriore dolore, avrebbe voluto proteggerlo e preservarlo! Perché di dolore ne aveva già provato troppo, Gaara: non era bastato rinchiudere quel maledetto Tasso nel suo corpo? Non era bastato condannarlo alla solitudine, all’odio dei cittadini? Perché ora dovevano fargli anche quello? In nome di cosa? Della protezione del Villaggio o della sua crescita economica e militare, per diventare il primo tra tutti i Villaggi? La risposta la conosceva e gli faceva ribollire il sangue nelle vene: privarlo dell’unico e vero amore era la cosa più crudele che potessero fargli; per loro, Gaara non era un essere umano, ma uno strumento e come tale andava usato.

E come se non fosse abbastanza, lo faceva infuriare l’atteggiamento remissivo di Gaara: diventare Kazekage non voleva dire sottomettersi a quei vecchi dalle smanie di conquista, voleva dire governare rettamente il paese, farsi amare dalla gente che aveva iniziato ad amarlo timidamente, finendo poi per adorarlo, dato che era ormai il Protettore del Villaggio! Perché allora Gaara non si ribellava? Volevano strappargli via anche chi lo amava incondizionatamente e lo sapeva, allora perché si voleva condannare a tutto quello?

«Gaara.» lo chiamò con la voce più piatta che potesse avere; non voleva spaventarlo, ma dal sospiro che il ninja emise aveva capito che lui sapeva già tutto. «Devi dimenticarlo, Gaara. È impossibile per voi continuare così.» si era appoggiato alla parete di roccia che circondava il terrazzo del palazzo del Kazekage, le braccia dai muscoli allenati incrociate sul petto, il volto, segnato dai tatuaggi, grave: non voleva cadesse di nuovo in quel dolore, non poteva accettarlo.

 

   Le spesse occhiaie – segni indelebili delle lunghe notti insonni, quando il Demone ad una coda continuava a ripetergli parole di odio e scherno, mandando completamente in crisi la sua psiche. Perché quel maledetto lo sapeva che era lui la causa della sua sofferenza e ne godeva, eccome se ne godeva! Rideva fino agli spasimi, mentre Gaara crollava pezzo dopo pezzo – circondarono le palpebre pesanti, una lacrima impigliata all’angolo dell’occhio minacciava crudele di uscire e bagnare il suo volto diafano.

«È per non turbare la pace fra i Paesi, vero?» un sospiro uscì dalle labbra pallide del giovane mentre la lacrima rimaneva lì, minacciosa; gli dava quasi fastidio: invece di minacciare poteva rotolare giù ed infrangersi sul pavimento!

«Mi dispiace, Gaara.» la voce di Kankuro era appena un sussurro, ma che fosse incrinata si sentiva benissimo.

«Gli parlerò e non ci vedremo più.» sospirò il Kazekage, il cuore pesante e ferito piangeva sangue: usciva a fiotti, denso e scuro; scivolava nel suo corpo – e forse era per questo che si sentiva come se gli mancasse l’aria, come se fosse circondato da una bolla che lo avrebbe portato ad una lunga e sofferente agonia.

Si voltò senza incontrare lo sguardo del fratello, non ce l’avrebbe fatta e sarebbe crollato altrimenti. L’armatura che stava tentando di mettere su si sarebbe sgretolata e lui sarebbe rimasto inerme contro il vento che ora ululava più forte, sferzando le cime delle dune come frustate ed accompagnando il suo cuore ora agonizzante. Doveva dirgli addio, doveva cancellare tutte le pagine della vita vissuta fino a quel momento e vivere, come se non fosse stato mai amore.

 

 

*****

 

   

   Le braccia di Rock Lee si piegavano sotto il peso dell’ultima flessione: era l’ultima della serie, poi sarebbe stato libero di andarsene, di raggiungerlo. Odiava doverlo lasciarlo al levar del Sole, mentre ancora dormiva e salutarlo con un dolce e malinconico bacio ed un “ti amo” appena sussurrato; odiava la distanza che li separava, il tempo che li separava: contava le ore, i minuti, i secondi che mancavano per poterlo stringere e baciarlo; per potersi beare del profumo della sua pelle, dei suoi capelli.

Agognava le sue braccia,  i suoi occhi, le sue labbra: le sognava ogni notte, quando il letto singolo della sua stanza era troppo freddo o troppo vuoto. Ogni mattina invece, la frustrazione di trovarsi lì da solo, di averlo potuto vedere solo nei suoi sogni, lo uccideva, spegnendo un po’ alla volta la sua esuberanza: annullava totalmente ogni cosa l’amore?

 

 La prima cosa che vide, quando l’esercizio fu terminato, fu il suo maestro guardarlo seriamente - ma Lee conosceva gli occhi del suo sensei e sapeva scorgere in quella serietà un velo di tristezza e preoccupazione - con le braccia incrociate sul petto: da quanto era lì? Non se ne era accorto, perso com’era nei suoi pensieri – in realtà non si era accorto nemmeno dell’erba fresca della sera che solleticava le sue mani poggiate saldamente a terra, o del vento che portava via le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. Solo l’avanzare della sera era di suo interesse: con essa, sarebbe potuto correre da lui.

«Maestro Gai! Non l’avevo sentita arrivare.» mormorò con un sorriso sorpreso, non riuscendo a decifrare la sua espressione distrutta da un sospiro pesante: sembrava che qualcosa gravasse su di lui.

«Lee, ragazzo mio, dobbiamo parlare.» 

 

   Gai Maito stimava moltissimo il suo allievo: lo aveva cresciuto insegnandogli a credere in sé stesso, ad eccellere in quello che gli altri appena praticavano; gioiva con lui dei suoi successi, piangeva le sue sofferenze, desiderando assumersele pur di far splendere per sempre il sorriso sul volto del ragazzo.

Ed era felice ed orgoglioso che il suo pupillo avesse qualcuno da amare e per cui mettere a disposizione la propria vita! Era orgoglioso che avesse insegnato a chi aveva cercato di ucciderlo cosa significasse amare! Ma era preoccupato per ciò che significava tutto quello: amare il Kazekage significava minare le basi della pace faticosamente riconquistata. Che ne sarebbe stata della morte di tantissimi Ninja – fra cui soprattutto il suo amato allievo Neji – se si fosse riacceso un conflitto tra i Paesi? Amare un ninja di Konoha avrebbe portato gli altri Villaggi a credere che Sabbia e Foglia si stessero alleando per sottometterli, per questo gli anziani del Villaggio gli avevano ordinato di dissuadere la Bestia Verde da quell’amore: in una nuova guerra, non sarebbero stati al sicuro né loro né le loro ricchezze.

Odiava quegli uomini corrotti, ma soprattutto, odiava che fosse il suo Lee a rimetterci tornando a soffrire! Per questo la sua mano paterna si era appoggiata sulla schiena del ragazzo, in un dolce gesto che sembrava dire: “sono qui".

 

Ed era lì mentre sedevano su un tronco caduto al limitare del campo di allenamento; era lì mentre le lucciole illuminavano l’ombra della sera, ultimo baluardo di luce prima di venire inghiottite dalle tenebre della notte. Era lì mentre il cuore di Lee cessava di battere.

«Mi dispiace, Lee. So quanto lo ami, ma questa storia deve finire qui.»

Gli occhi d’ebano del giovane esperto di arti marziali lo guardarono lucidi, spalancati ed increduli: non poteva credere alle sue orecchie, il suo maestro gli stava dicendo di lasciare Gaara... in nome della ragione di Stato? No, non poteva essere vero, stava sognando, doveva essere  per forza così! Quello era senza dubbio uno dei suoi incubi, uno di quelli in cui Gaara non c’era e non sarebbe più tornato da lui! Doveva essere così! Ora si sarebbe svegliato, madido di sudore, con il cuore che batteva a mille e respirando affannosamente, e si sarebbe accorto che era stato solo un incubo. Sì, era così, vero?

«No, non può...» provò a ribattere, ma la voce non risultava convincente nemmeno a lui.

«Lee, dovete dirvi addio.» La risposta era stata così secca che l’anima di Rock Lee si era divisa in tanti pezzi, come se una fredda lama l’avesse squarciata.

La mano ricoperta di cicatrici del Jonin lo riportò alla realtà – ma quale realtà? Si rifiutava di accettarla ed il suo sguardo stralunato la diceva lunga! 

Si alzò di scatto, lasciando il suo maestro seduto lì, non accorgendosi nemmeno di quelle lacrime che, cristalline, solcavano le guance dell’uomo, bruciando come sale.

Come aveva potuto fare del male a quello che per lui era un figlio? Come avrebbe fatto a dimenticare, se si poteva dimenticare, quell’espressione stralunata, quelle lacrime che uscivano a fiotti ed arrossavano la pelle? Si sarebbe maledetto in eterno, per questo non aveva fatto nulla per fermarlo: sperava che, in qualche modo, ritrovasse la felicità andando da lui. Pregava che Lee ritrovasse la sua felicità, che il dolore non lo portasse di nuovo con sé. Questo si chiedeva Gai ed augurava con tutto il cuore che fosse così.

Alzò lo sguardo ancora bagnato al cielo: quella sarebbe stata una fredda notte.

 

 

*****

 

   

  Il fiato era corto a causa della veloce e folle corsa: si era fermato solo quando era giunto a Suna, alle prime luci dell’alba – un’alba che di meraviglioso non aveva niente, questa volta. Ma quando  mai lo era stata? Aveva sempre sancito un triste saluto fra loro.

Aveva coperto la distanza che separava il Villaggio della Sabbia e quello della Foglia nel giro di una notte. Impresa straordinaria per i più, ma niente di che per lui che era stato solo dalla disperazione – e no, la giovinezza non centrava proprio niente ora, anzi: i muscoli delle gambe che bruciavano, il respiro che a momenti mancava e le perle di lacrime e sudore che gli offuscavano la vista erano stati bellamente ignorati per tutto il tempo, nella mente un solo pensiero: non era vero, tutto quello non era vero.

Doveva vederlo, doveva parlargli! Voleva sentirsi dire che era solo uno stupido scherzo, che loro avrebbero continuato a stare insieme!

 

«Gaara...» sussurrò con un sorriso sul volto, avvicinandoglisi non appena gli occhi avevano messo a fuoco la figura longilinea del giovane ninja della Sabbia che rimaneva inerte lì, davanti a lui, le braccia raccolte sul petto e gli occhi chiusi – si illudeva che, non guardandolo, mantenendo la sua espressione impassibile, quell’addio sarebbe stato meno doloroso; nelle sue orecchie, invece, il vento ululava ancora e sembrava ridere di quella sua convinzione: come aveva fatto quella relazione segreta ad essere scoperta?

«Va’ via.» ordinò seccamente mentre qualcosa dentro di lui si rompeva, esplodendo e sommergendolo con il freddo che portava con sé, era il suo cuore ad essere esploso? La sabbia che lui comandava si erse come un muro fra loro, rispondendo agli ordini del suo padrone.

«Va’ via, Lee.» ordinò una seconda volta, quando lo vide avanzare testardo verso di lui, l’espressione assente nei suoi grandi occhi d’ebano.

«Gaara...» sussurrò il ninja trascinandosi stancamente, come un assetato che aveva trovato un’oasi nel deserto, come un moribondo che attendeva la morte, ignorando la sua barriera; ignorando i dardi di sabbia che lo ferivano – in realtà nemmeno si rendeva conto del sangue che imbrattava il suo volto, delle maniche della tunica strappate; voleva solo stringerlo a sé e lo fece, quando le braccia circondarono il corpo tremante di Gaara, vittima di singhiozzi irrefrenabili. Sentiva in quell’abbraccio, nella presa ferrea delle sue mani, il suo stesso dolore, quello dato dalla loro divisione.

«Ti amo, Gaara.» sussurrò tra i singhiozzi, stringendo il suo uomo che era crollato in ginocchio a terra, sollevando una nuvola di sabbia che li abbracciò teneramente,  il corpo scosso dai tremori e le lacrime che deturpavano il volto che amava da morire.

Ed a quelle parole sussurrate dolcemente e disperatamente al suo orecchio Gaara si sentì esplodere, sentì di nuovo il mondo – faticosamente creato – crollare, diventare oscuro; l’unico appiglio, l’unico suo faro nella notte, gli era stato sottratto e lui si trovava a brancolare, come un cieco, seguendo quella voce ormai lontana.

Per questo avrebbe voluto che quell’addio fosse il meno doloroso possibile, per questo aveva cercato di allontanarlo anche fisicamente, facendogli male. Avrebbe voluto che Rock Lee non fosse così testardo da continuare ad avanzare; avrebbe voluto che le lacrime non uscissero come un fiume in piena, che i singhiozzi non scuotessero il suo corpo; avrebbe voluto allontanarlo a suon di pugni sul petto ampio, dove tante volte si era rifugiato; avrebbe voluto tante cose, ma non era in grado di compierne nessuna. Avrebbe voluto fuggire via, nascondersi da tutto quello, ma rimaneva immobile lì, non riuscendo a staccarsi da lui e cancellare l’immagine del ninja di Konoha dalla sua vita; doveva vivere, come se non fosse stato mai amore.

 «Ti amo, Lee.»

 

   Il vento sollevava la sabbia che copriva le loro figure, unite in un’una sola; un bacio suggellava quelle parole, l’ultimo: da quel momento le loro strade sarebbero state divise e, forse, non si sarebbero mai più riviste; avrebbero ripreso a vivere come se non fosse stato mai amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice

 

 

Buon pomeriggio a tutti!

Ecco a voi il quarto il capitolo, spero sia stato di vostro gradimento! A me è piaciuto tanto scriverlo: mi passavano in mente come se fossero parte di un episodio tutte le immagini della loro separazione, di chi avrebbe voluto risparmiare loro quel dolore (Kankuro ed il maestro Gai) e del loro stato d’animo.

Ho cercato di rendere i sentimenti/pensieri di tutti, incatenando nell’ultima parte quelli dei protagonisti, ora scoperti e costretti a dirsi addio.

Guest star sono, appunto, Kankuro e Gai, le figure più vicine ai due personaggi e che forse soffrono di più per loro. Spero di essere riuscita a trasmettere al meglio anche il loro stato d’animo.

Dal punto di vista stilistico, volevo solo chiarire che alcune ripetizioni sono decisamente volute, per conferire un tono più triste alla storia.

Bene, io vi saluto qui.

Alla prossima,

foschi

 

 

   
 
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