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Autore: _Agrifoglio_    09/10/2019    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’assedio di Lille
 
Il 1792 non iniziò felicemente per i de Jarjayes e per la Francia.
A febbraio di quell’anno, quando il freddo si era fatto più intenso e pungente e una fitta coltre di neve si era posata sui campi e sui bordi delle strade, Marie Grandier, ormai novantaduenne, ma ancora arzilla e lucida, contrasse un forte raffreddore e, malgrado le preghiere del nipote e di Rosalie, si rifiutò di riguardarsi, continuando a impartire ordini e a lavorare alacremente. L’infreddatura raggiunse, quindi, i polmoni e portò la donna alla tomba nel giro di due giorni. Spirò come era sempre vissuta, dando, fino all’ultimo, disposizioni alle cameriere e quasi rimproverando il medico che le aveva prescritto dei rimedi, secondo lei, tropo costosi. Munita dei conforti religiosi e circondata dall’affetto dei suoi cari, ringraziò Dio per averle concesso di raddrizzare il nipote e di conoscere due bisnipoti e, senza perdere il suo spirito battagliero, chiuse per sempre gli occhi.
Il primo marzo dello stesso anno, tre settimane prima che sopraggiungesse la primavera, anche l’Imperatore Leopoldo II, fratello di Maria Antonietta, morì improvvisamente dopo una brevissima malattia che i medici non seppero diagnosticare. Gli successe il ventiquattrenne figlio Francesco II che non vedeva la zia da quando era un bambino e che non aveva mai sentito il padre parlare con affetto di lei. Superati gli ultimi scrupoli che avevano frenato il genitore, il nuovo Imperatore dichiarò radicalmente nullo il trattato del settembre del 1789 e richiamò in Austria il contingente militare di cinquantamila uomini, chiedendo, per quei due anni e mezzo di stanza in suolo francese, un indennizzo che la Francia non era in grado di corrispondere. Con l’animo colmo di angoscia, Oscar guardò andare via il contingente militare che troppo aveva appreso dei pregi e dei difetti dell’esercito francese, domandandosi quanto sarebbe stata svantaggiata la Francia quando fosse scoppiata la guerra. Questa non tardò ad arrivare, perché fu dichiarata dall’Austria il 20 aprile 1792.
 
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Nei primi giorni di marzo, poco dopo la morte dell’Imperatore Leopoldo II, fu celebrata, nella Cappella Palatina di San Luigi IX, una solenne messa in suffragio dell’anima di Mirabeau, nella ricorrenza dei sei mesi dalla morte di lui.
L’autopsia condotta sul corpo del Conte aveva rivelato la presenza di un potente veleno e, sebbene non fossero stati identificati i responsabili materiali e i mandanti dell’omicidio, gli inquirenti si erano concentrati sul club dei giacobini la cui attività, a tratti, s’intersecava con quella di una rete di agitatori provenienti, quasi tutti, da Nevers che sembravano, invece, maggiormente coinvolti nell’omicidio di Luigi XVI. A lasciare molto perplessi gli investigatori fu la circostanza che gli indizi raccolti erano estremamente confusi e molti dubbi si insinuarono sul fatto che Mirabeau fosse la vittima effettivamente designata.
Nella cappella, avevano preso posto i componenti del Consiglio di Reggenza e vari notabili della corte di Versailles. Da un lato, si notavano Oscar e André, affiancati dal Generale de Jarjayes e dalla moglie mentre, poco più in là, sedevano i coniugi Girodel con accanto il Conte di Fersen e la Principessa di Lamballe. Nel settore riservato alla famiglia reale, c’erano Maria Antonietta, i fratelli e le zie di Luigi XVI e, in un seggio meno importante, il Duca d’Orléans.
Nei banchi sistemati più indietro, avevano preso posto il Duca di Germain e, dall’altro lato, la Contessa di Polignac e la Duchessa de Gramont et de Guiche con i rispettivi mariti. Le due donne erano irritate per la collocazione meno prestigiosa di quella spettante alle famiglie de Jarjayes e de Lille e anche piuttosto annoiate, in quanto a loro ben poco interessava di Mirabeau. Alla Contessa e alla figlia, del resto, importava soltanto di se stesse e, quindi, era tutto nella norma.
D’un tratto, il silenzio fu interrotto dal tintinnio di una campanella e dalla melodia grave e solenne dei canti liturgici mentre nell’aria si espandevano odorose nuvole di incenso, sprigionate dai bracieri che i chierichetti facevano oscillare. I sacerdoti celebranti uscirono dalla sagrestia e si avviarono, in processione, verso l’altare.
– Guardate, Marchese – disse, a voce non troppo bassa, un Conte – Fra i celebranti, c’è anche lui!
– Non vi è da stupirsi – rispose il Marchese – Erano grandi amici oltre che compagni di bagordi.
– Senza contare la menomazione comune!
Il Vescovo zoppo udì questo scambio di frasi, comprese agevolmente che era riferito a lui, ma non si scompose. Continuò a camminare con la fronte spaziosa ben alta e gli intelligenti occhi sereni e imperturbabili mentre le labbra sottili non tradirono alcuna emozione. Raggiunse i banchi dov’erano seduti i due pettegoli e li superò, senza voltare la testa e mantenendo invariato il ritmo della sua andatura. Malgrado la menomazione, salì i gradini dell’altare con l’incedere elegante del grande aristocratico e occupò il posto a lui assegnato con la stessa autorevolezza con la quale un Re siede sul trono.
 
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Il grande dolore e l’immenso vuoto lasciati dalla morte di Marie Grandier furono arginati dalla vita che continuava a fluire e che si manifestava, in quella tiepida mattina di maggio, nelle risate argentine di Honoré e di Antigone che giocavano a rincorrersi nei giardini di Palazzo Jarjayes. Lui aveva due anni e due mesi mentre lei quasi un anno e mezzo. La bambina era più lenta e incerta nei movimenti, ma compensava con una maggiore intraprendenza e con alcuni stratagemmi, come quello di nascondersi per tendere degli agguati al fratello. Honoré, forte della sua maggiore velocità, afferrava i propri giocattoli e correva via, per metterli al riparo dai furti della sorella. Antigone, allora, lo inseguiva e spesso inciampava. Lui, cuore di cavaliere e animo generoso, correva a rialzarla e lei lo picchiava.
Ai due fratelli si affiancava, ogni tanto, quando Rosalie lo consentiva, Bernadette, di un mese più anziana di Antigone. La piccola Châtelet aveva il carattere calmo di Honoré, ma già mostrava, rispetto a lui, una minore ingenuità. La madre aveva piacere che Bernadette giocasse insieme ai due bambini de Jarjayes et de Lille, ma, allo stesso tempo, desiderava che la figlia crescesse coi piedi per terra e ben consapevole della sua estrazione borghese e del proprio posto nel mondo.
Oscar guardava i figli giocare senza che quello spettacolo riuscisse a mitigare le sue preoccupazioni. Voltatasi verso il marito, con un sospiro, gli disse:
– Avevi ragione, André, a dubitare della solidità di un trattato internazionale stipulato con un Imperatore moribondo.
– Avrei voluto avere torto – le rispose, con un filo di voce, l’uomo.
– E, invece, ci avevi visto giusto. Quel trattato era talmente solido che, ora, siamo in guerra….
– Non crucciarti, Oscar. La guerra è appena iniziata e nessuno sa come terminerà.
– Il contingente militare austriaco è rimasto in suolo francese per due anni e mezzo e chi ne faceva parte ha imparato molto della struttura del nostro esercito e delle tecniche militari che utilizziamo senza che noi compensiamo con un’analoga e reciproca conoscenza. Il Generale de Bouillé è esperto e fedele alla Corona, ma usa strategie antiquate. Mio padre è prode, valoroso e militare fino al midollo, ma ha quasi settant’anni. Di La Fayette non mi fido. Il resto del panorama, purtroppo, è sconfortante. Qualora le sorti della guerra volgessero al peggio, non vedo alcuno in grado di risollevarle. Mi dispiace, ma è così….
– Dimentichi una persona.
– Chi?
– Tu!
– Io?
– Sì, tu. Come ti hanno definita la Regina e il Delfino Luigi Giuseppe? La leonessa di Francia?
– Sì – confermò Oscar con un sorriso.
– E, allora, lo vedi? La leonessa metterà in fuga gli sciacalli e le iene!
Oscar guardò il marito e, poi, di nuovo i figli, addolcita dalle parole di André, ma per nulla rasserenata.
 
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Nel settembre del 1792, Oscar e André si trovavano a Lille.
Vi si erano recati a fine agosto per presenziare alle nozze del Conte di Canterbury con la Marchesina de Saint Quentin e, in occasione dei festeggiamenti, Oscar aveva ottenuto dal lontano cugino ulteriori rassicurazioni sulla neutralità dell’Inghilterra nelle questioni riguardanti la Francia. Questa circostanza fu particolarmente tranquillizzante, perché, subito dopo la dichiarazione di guerra, la Prussia si era alleata con l’Austria e un terzo nemico sarebbe stato una vera iattura.
Dopo la partenza degli sposi per l’Inghilterra, Oscar e André decisero di prolungare il loro soggiorno a Lille, perché i servizi segreti avevano riferito alla Corona che, con molta probabilità, un duro attacco alla Francia sarebbe stato sferrato proprio dai Paesi Bassi Austriaci e che l’esercito prussiano sarebbe entrato in suolo francese e si sarebbe spinto fino a Parigi. Sempre i servizi segreti avevano riscontrato una probabile attività spionistica messa in atto dal Duca di Germain, finalizzata ad agevolare la disfatta della Francia, a costringere all’abdicazione Luigi XVII e a mettere al posto di lui il Duca d’Orléans.
Rispediti Honoré e Antigone, con le rispettive balie, a Palazzo Jarjayes, Oscar e André, in attesa dell’avvicinamento delle truppe nemiche, iniziarono a indagare sul Duca di Germain e si accorsero che, effettivamente, degli strani movimenti si registravano fra le terre del nobiluomo e il confine con i Paesi Bassi Austriaci. Appresero pure che il Duca, travolto dalla sua notoria megalomania, aveva commissionato, nella piazza principale di Roubaix, una cittadina vicina a Lille dove aveva un palazzo e delle terre, una colossale statua che lo avrebbe effigiato nelle vesti di salvatore della patria, della quale aveva già fatto gettare un enorme basamento.
Il 20 settembre 1792, un’armata prussiana diretta a Parigi, comandata dal Duca di Brunswick, fu fermata dall’esercito francese nella battaglia di Valmy. Il 23 settembre, un’armata imperiale composta da tredicimila uomini, comandata dal Duca Alberto di Sassonia Teschen, marito dell’Arciduchessa Maria Cristina, giunse davanti a Lille e la cinse d’assedio. Gli assedianti scavarono delle trincee a novecento metri dalla città e invasero i borghi vicini, finché, il 29 settembre, il Duca di Sassonia Teschen inviò un’ambasceria a parlamentare coi notabili di Lille, offrendo la salvezza della città in cambio della resa incondizionata. I notabili, fra i quali c’era André, respinsero all’unanimità la richiesta di resa e il relativo rifiuto fu formalizzato dal Generale Ruault de la Bonnerie e dal Sindaco André Bonte.
Conosciuta la risposta, l’Arciduchessa Maria Cristina di Sassonia Teschen, Governatrice dei Paesi Bassi Austriaci, avviò i bombardamenti il giorno successivo, azionando ella stessa il primo mortaio.
 
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Ormai da tre giorni, il cielo di Lille era attraversato dalle bombe che deflagravano al contatto col suolo o con le case e dai proiettili rossi, particolari palle da mortaio arroventate che non esplodevano, ma provocavano decine di incendi. Gli assedianti azionavano i mortai a ritmo costante e la stessa Arciduchessa Maria Cristina ne puntò più d’uno contro la città. Il cielo era striato dalle molteplici scie di fumo dei proiettili rossi che si abbattevano sulle case, aprendo voragini nei tetti e brecce nei muri. I sibili di quegli ordigni sembravano i gemiti di dolore della città straziata.
Oscar si era messa a capo della milizia cittadina e aveva già respinto molti nemici nei loro tentativi di penetrare in città. Ai soccorsi e alla gestione dei feriti pensavano, invece, André e altri volontari, primo fra tutti il giovane Marchese de Saint Quentin.
Il due ottobre, Oscar si stava recando, alla testa di alcuni uomini, nella parte sudorientale della città, per respingere l’ennesimo tentativo dei soldati imperiali di superare le mura difensive. Nel cielo, sibilavano le bombe e le sfere arroventate, seguite dalle loro tetre scie. Dopo avere terminato la loro traiettoria curva, si schiantavano in ogni dove, seminando morte e distruzione. Ovunque, si affaccendavano uomini che, con dei lunghi arnesi di ferro, simili a dei grandi mestoli, raccoglievano i proiettili rossi e li gettavano in barili pieni di acqua, dove si spegnevano in dense nuvole di fumo. Moltissime case erano danneggiate o distrutte e, ovunque svoltasse, Oscar vedeva focolai d’incendio o macerie e, spesso, la visibilità era offuscata dal fumo delle pietre polverizzate e da quello sprigionato dai proiettili rossi. La gente fuggiva urlando oppure era accasciata ai bordi delle strade, gemendo o restandosene completamente muta. Correndo, Oscar stava bene attenta a schivare gli ordigni che piovevano dal cielo e a non inciampare sulle sfere di ferro ormai spente, ma disseminate un po’ ovunque.
– Comandante, il quartiere Saint Sauveur è stato messo a ferro e fuoco, la chiesa di Saint Étienne brucia e alcune bombe piovono anche nella Grande Place! – urlò uno dei militari per farsi sentire.
Il palazzo di André! – pensò Oscar.
– Rintuzziamo quest’ennesima incursione e, poi, ci occuperemo del resto! – gridò, subito dopo, agli uomini che comandava.
Giunti al confine sudorientale della città, videro un drappello di soldati imperiali alle prese con i civili che respingevano gli assalti come potevano. Vari uomini si lanciavano contro il nemico con spade o con bastoni e una donna, dalla sommità di un muro, lanciava carboni ardenti sui soldati.
Oscar e i militari da lei comandati si gettarono velocemente e del tutto a sorpresa sugli imperiali, spaccandone il fronte in due e confondendoli. Sguainata la spada, la donna incominciò a piazzare fendenti con la solita maestria, parando gli attacchi e rispondendo ad essi con rapidi montanti e letali stoccate. Con la mano sinistra o con i piedi, spingeva via chi, vivo o moribondo, le rovinava addosso e, con la destra, disarmava, feriva o uccideva chi la sfidava.
Il rumore era assordante, nuove nuvole di fumo si espandevano un po’ ovunque, per, poi, diradarsi ed essere sostituite da altre e l’odore acre della polvere da sparo e del sangue aveva impregnato ogni angolo.
Ricacciati via quegli assalitori, Oscar e i suoi tornarono nella parte centrale della città, per informarsi su nuovi attacchi e organizzare salvataggi.
Giunta nella Grande Place, Oscar si trovò di fronte una situazione meno apocalittica di quella presente nella zona sudorientale, ma, pur sempre, molto agitata. La gente era medicata all’aperto in avamposti medici di fortuna, vari feriti venivano trasportati a spalla o in braccio e, sebbene ci fossero meno macerie lì che in altri quartieri più bombardati, le case erano, pur sempre, danneggiate. Malgrado fosse giorno, il cielo aveva assunto una tonalità grigio scura ed era solcato da bombe nere e rischiarato, in lontananza, dai bagliori rossastri delle fiamme sprigionate dall’incendio della chiesa di Saint Étienne.
A un tratto, Oscar vide alcuni soldati che avevano tratto in arresto Maurice Le Barde e che lo stavano trascinando nella più vicina prigione. Il poetastro emetteva alti gemiti e si dimenava in modo teatrale e ridicolo.
– Cosa succede? – chiese Oscar agli uomini.
– Quest’uomo sta ostacolando le operazioni di soccorso e di spegnimento degli incendi, Comandante, correndo ovunque e montando sui cumuli delle macerie per declamare strani versi!
– Io cerco ispirazione per la mia arte, selvaggi! – protestò il poetastro con aria tragicomica mentre i soldati, sentendosi male apostrofati, lo guardavano in cagnesco e lo strattonavano.
– Lasciatelo andare e voi, Le Barde, piantatela di dare fastidio o vi legherò a un palo!
– Invece di prendervela con me, perché non andate ad arrestare il Duca di Germain che cospira col nemico?
– Spiegatevi meglio! – chiese Oscar, la cui attenzione, malgrado la stanchezza, si era improvvisamente ridestata.
– Sono già due giorni che, mentre vado in giro a ispirarmi, lo vedo, alle sei del mattino, sul retro della chiesa di Sainte Catherine, che si incontra con dei soldati nemici!
– Ne siete sicuro?
– Come di essere un grande poeta!
La conversazione non poté continuare, perché un boato più forte degli altri risuonò in lontananza, richiamando l’attenzione dei presenti e agitando il poetastro che si allontanò velocemente, correndo a zig zag, in lungo e in largo, come impazzito.
Oscar si portò una mano davanti agli occhi, emise un profondo sospiro e cominciò a pianificare la sorveglianza della chiesa di Sainte Catherine per l’indomani, alle prime luci del giorno.
Il resto del pomeriggio lo trascorse a dare disposizioni per la fortificazione dei punti più vulnerabili della mura e per il razionamento dei viveri.
Alle dieci di sera, decise di tornare a casa, per avere modo di riposare adeguatamente, così da iniziare il piantonamento della chiesa di Sainte Catherine alle cinque e mezza del mattino successivo.
Il palazzo dei Conti di Lille non aveva subito dei danni irreversibili. Una parete esterna era sfregiata e annerita, a causa di un proiettile rosso che l’aveva colpita. Il fuoco era stato subito spento dai domestici, timorosi di perdere il posto di lavoro se il palazzo fosse andato distrutto e la situazione si era presto stabilizzata. Sempre da quel lato, i vetri delle finestre del piano terra erano andati in frantumi, a causa dell’impatto del proiettile rosso e della deflagrazione di un paio di bombe che erano cadute nella Grande Place. I servitori avevano serrato le finestre, rimaste prive di persiane e di vetri, con delle assi di legno che avevano inchiodato ai muri.
Oscar entrò nel palazzo, svoltò verso le scale e, vedendo polvere, calcinacci, vetri rotti e brandelli di tenda in prossimità delle finestre sbarrate con le assi di legno, pensò che lei e André potevano ritenersi fortunati in confronto a come erano ridotti interi quartieri di Lille. Imboccò le scale e si diresse al piano nobile. Giunta di sopra, vide una luce provenire dalla stanza di André e vi si diresse.
L’uomo era affacciato alla finestra della propria camera, intento a fissare i bagliori rossastri che tingevano il cielo in lontananza, là dove ardeva la chiesa di Saint Étienne. Dopo ore e ore, infatti, l’incendio non era ancora stato domato.
– Sembrano le fiamme dell’inferno – disse l’uomo che si era accorto dell’arrivo della moglie sebbene non si fosse voltato.
La voce di André era incrinata dalla commozione mentre qualche lacrima gli inumidiva la base degli occhi. Malgrado fosse Conte di Lille soltanto da quattro anni, egli si era già molto affezionato alla propria città di adozione e avvertiva un forte senso di responsabilità nei confronti dei suoi concittadini.
– Il quartiere Saint Sauveur, già popolare e malsano, è praticamente raso al suolo – proseguì André – Centinaia di case sono andate distrutte e migliaia sono danneggiate.
– Vedrai che Lille sarà ricostruita velocemente e che diventerà più bella di prima. I francesi del nord sono gente stoica e fiera – rispose Oscar che, nel frattempo, era giunta al fianco del marito e gli aveva appoggiato una tempia sulla spalla.
André si voltò verso di lei e le sorrise, cingendole la vita col braccio. Oscar, allora, chiuse le persiane ed esortò il marito a non soffermarsi sulle difficoltà del presente, ma a pensare che il futuro sarebbe stato migliore e, soprattutto, sarebbe stato loro.
 
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La mattina del cinque ottobre, Oscar, André, il Marchese de Saint Quentin e una decina di soldati della milizia cittadina stavano nascosti in prossimità della Chiesa di Sainte Catherine. Mancavano cinque minuti alle sei e il gruppo stava sul chi vive, in attesa che arrivassero il Duca di Germain e gli ufficiali nemici. I presunti cospiratori non si erano fatti vedere nei due giorni precedenti e Oscar era piuttosto nervosa. Le tempie le pulsavano e, già in tre occasioni, aveva represso la sua tosse nervosa, nel timore di mettere in avviso il Duca e gli imperiali e di mandare all’aria il piano.
– Secondo me, quelli hanno mangiato la foglia e non verranno – bisbigliò il Marchese de Saint Quentin – Oppure, più semplicemente, Maurice Le Barde ha preso lucciole per lanterne o si è inventato tutto. La fantasia gli galoppa molto….
Aspettarono, acquattati nel loro nascondiglio, per altri dieci minuti, finché non sentirono il rumore di alcuni passi. Oscar strinse gli occhi e, dopo alcuni istanti, vide l’inconfondibile sagoma del Duca di Germain appropinquarsi al retro della chiesa. Trascorsi un paio di minuti, giunsero anche alcuni soldati asburgici.
I nuovi arrivati si salutarono e, subito dopo, il Duca di Germain porse al Comandante austriaco delle carte.
– Qui, sono indicati i punti di ingresso della città che, oggi, saranno meno sorvegliati mentre, qui, sono raffigurati alcuni tronconi fatiscenti della mura cittadine. Il quartiere Saint Sauveur, ormai, è ridotto un cumulo di macerie ed è inutile continuare a bombardarlo. Nelle chiese di Saint Maurice e di Saint André, che sono qui e qui – disse il Duca, indicando due punti della mappa – sono ricoverati alcuni feriti illustri, fra miliari e notabili del luogo. Altri militari feriti sono stati trasportati in queste case e in queste cascine, di proprietà del Conte di Lille e del Marchese de Saint Quentin. Se decideste di bombardare il palazzo del Conte di Lille e lo faceste all’alba, quando tutti stanno ancora dentro, uccidereste il Generale de Jarjayes che tanti grattacapi vi sta dando.
Il Duca di Germain aveva consigliato il bombardamento del palazzo perché sperava che André morisse insieme a Oscar e che la Contea di Lille tornasse presto vacante, dato che a un infante come Honoré poteva capitare qualunque cosa.
I militari imperiali seguivano tutto con grande attenzione, quasi non credendo alla manna dal cielo che era loro capitata.
– Questi – proseguì il Duca, porgendo al Comandante nemico altre carte – sono i piani odierni del Generale Ruault de la Bonnerie. In questi punti strategici, stazioneranno le guardie di Lille – e tornò a indicare la mappa.
Il Comandante del drappello di soldati imperiali prese anche quei documenti, con gli occhi che gli brillavano dalla felicità.
– RicordateVi – proseguì il Duca di Germain – dell’aiuto che Vi sto dando, del personaggio di cui sono la longa manus e, soprattutto, che sono un buon amico dell’Austria.
– Ricordatevi che siete un traditore! – tuonò Oscar mentre, con uno scatto felino, abbandonava il suo nascondiglio – Duca di Germain, vi dichiaro in arresto per alto tradimento!
André e Camille Alexandre de Saint Quentin lasciarono, a loro volta, il nascondiglio e così fecero anche i dieci soldati che erano con loro e che circondarono immediatamente gli imperiali, puntando contro di loro le baionette.
Il Duca di Germain trasecolò, sgranando gli occhi e contraendo il volto in una smorfia di disappunto. Non riusciva a capacitarsi che l’odiato ermafrodito l’avesse colto con le mani nel sacco e chi sa quali sarebbero state le conseguenze!
– Capitano de Beauvais, mettete ai ferri il Duca di Germain! – ordinò Oscar – E Voi, Signori, considerateVi prigionieri di guerra. Consegnate subito le armi e le carte!
Gli imperiali, accerchiati, fecero quello che era stato loro ingiunto mentre il Duca di Germain, vedendosi incatenato, già perdeva la sua sicumera e iniziava a tremare come una foglia.
 
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Lo stesso cinque ottobre, l’esercito asburgico, non vedendo tornare il drappello con le informazioni militari, sentendosi pressato dal sopraggiungere da sud dei soldati francesi e trovandosi, ormai, a corto di munizioni, interruppe le ostilità. L’Arciduchessa Maria Cristina e il marito furono costretti a levare l’assedio e a tornarsene indietro sconfitti.
Il palazzo di André e la Grande Place de Lille avevano subito dei danni riparabili in alcune settimane di lavoro, ma quattrocento case, nel popolare quartiere Saint Sauveur, erano andate interamente distrutte, così come completamente devastata dall’incendio era la chiesa di Saint Étienne. In tutto, duemila case erano state danneggiate e le strade erano ingombre di macerie, di bivacchi e di proiettili rossi conficcati un po’ ovunque. Molti medici arrivarono dalle vicinanze per curare i feriti e centinaia di fosse furono scavate in fretta e furia per seppellire i morti ed evitare l’insorgere di epidemie. André e altri notabili avevano messo i loro casolari di campagna a disposizione degli sfollati, per il tempo loro necessario a trovare una nuova sistemazione.
Il castello di André, trovandosi nelle campagne, non aveva subito danni, così come illesi erano i palazzi dei Marchesi de Saint Quentin e d’Amiens. La Marchesa d’Amiens era stata impegnata, per tutta la durata dell’assedio, a seppellire o a murare i preziosi di famiglia e, ora, le toccava rimettere tutto a posto.
Nei giorni che seguirono la levata dell’assedio, Oscar, gli altri ufficiali e i civili come André e il Marchese de Saint Quentin, che si erano prodigati nei soccorsi, furono festeggiati e ringraziati dal Sindaco di Lille, in una cerimonia pubblica.
Il Duca di Germain fu recluso e sorvegliato giorno e notte in una delle stanze del palazzo di André per evitare che fosse linciato.
 
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– I delitti di cui siete accusato sono estremamente gravi, Duca di Germain – disse la Regina Maria Antonietta con voce grave mentre scrutava l’imputato con espressione corrucciata, resa ancora più severa dall’abbigliamento vedovile – Dite qualcosa a vostra discolpa, se vi è possibile.
L’accusato biascicò frasi per lo più sconnesse per circa un quarto d’ora, alla presenza della Regina e del Consiglio di Reggenza dal quale era ovviamente assente il Duca d’Orléans che si era dichiarato indisposto.
– Duca di Germain, siamo a conoscenza dei tentativi che, ormai da anni, state esperendo per detronizzare nostro marito, prima e nostro figlio, poi. Tuttavia, siamo pure consapevoli che il ruolo da voi giocato in tutto ciò è stato minimo mentre decisamente più consistente è l’attività eversiva posta in essere da una persona molto in vista che voi ben conoscete.
Il Duca di Germain serrò le labbra e si rifiutò di proferire altre parole.
– Questo ostinato silenzio non vi gioverà, Duca – disse il Colonnello de Girodel.
– State tributando la vostra fedeltà a una persona che non la merita – aggiunse André.
– E’ così – incalzò Oscar con aria decisa e senza mezzi termini – Mentre voi siete qui, a rispondere dei vostri crimini, il Duca d’Orléans è al sicuro nel suo palazzo, tutto intento a simulare una malattia che non ha. E’ la stessa persona che, il 13 luglio 1788, in occasione dell’attacco sferrato da Théroigne de Méricourt ai danni della corte, si guardò bene dal partecipare al ritrovo mondano nei giardini della reggia, simulando, pure in quella circostanza, un improvviso malore, ma omettendo di informarvi così che voi poteste mettervi al sicuro insieme a lui! E’ la stessa persona che vi promise a più riprese la Contea di Lille in cambio dei vostri servigi, ma che, poi, all’atto pratico, nulla fece per farvela assegnare!
– Confermiamo le parole del Generale de Jarjayes – disse Maria Antonietta con voce dura – Il Duca d’Orléans, una volta soltanto e senza particolare convinzione, chiese a Re Luigi XVI di assegnarvi quella Contea. Successivamente, non tornò più sull’argomento. La vostra causa non fu mai adeguatamente perorata.
– Non è possibile! – sbottò il Duca di Germain che, ormai, aveva dismesso silenzio e ritegno – Non è possibile! Il Duca d’Orléans è dalla mia parte! Ha fatto di tutto per farmi avere quella Contea, ma il Re ha preferito non assegnarmela e continuare a incamerarne le rendite!
– Ma se, poi, l’ha assegnata a mio marito! – sbottò, spazientita, Oscar – Se il Re avesse voluto continuare a incamerare le rendite di quella Contea, non l’avrebbe offerta ad alcuno!
– Vi siete venduto l’anima al diavolo per nulla, Duca! – sentenziò Girodel.
– Siete stato ingannato! – aggiunse André.
– Siete stato mandato avanti da solo, siete stato indotto a esporvi da solo e, adesso, sarete il solo a pagare il fio per i crimini di un altro! – concluse Oscar, con logica ferrea e implacabile.
Il Duca di Germain era stravolto e, malgrado ciò, ripensò all’assalto della furia scarlatta e all’intera vicenda della Contea di Lille. Gli tornò in mente l’atteggiamento di sufficienza e di fastidio che il Duca d’Orléans aveva spesso avuto nei riguardi di lui, atteggiamento che era divenuto cordiale soltanto quando si era trattato di convincerlo a sporcarsi le mani con qualcosa di pericoloso e di compromettente. Neanche riuscì a contare le volte che era stato bruscamente congedato o interrotto dal suo “alleato”. Riesaminò alcuni eventi alla luce di quanto aveva appena appreso dalla Regina e da Oscar e, finalmente, tutto gli fu chiaro. Era stato imbrogliato! Il Duca d’Orléans lo aveva sfruttato, senza mai prendere in considerazione la possibilità di ricompensarlo e, adesso che era stato scoperto, lo aveva abbandonato nelle maglie della giustizia!
– L’unica cosa che potete fare – disse Maria Antonietta con aria severa – E’ confessare e sperare nella benevolenza del Re che noi rappresentiamo.
Il Duca di Germain capì che non c’era altra via che confessare e vuotò il sacco su ciò che sapeva dei disegni del Duca d’Orléans. Parlò come un fiume in piena per più di un’ora mente Maria Antonietta lo guardava sempre più accigliata e i tre cognati di lei allibivano e mormoravano.
Al termine della confessione, il Duca di Germain fu fatto uscire dalla sala ove era riunito il Consiglio di Reggenza per esservi richiamato dopo un quarto d’ora.
Rientrato il Duca, Maria Antonietta emise la sentenza.
– Duca di Germain, Vi siete macchiato di altro tradimento, cospirando contro la Corona e tentando di consegnare la città di Lille in mano ai nemici della Francia. Tuttavia, in considerazione del ruolo secondario da Voi ricoperto nel primo capo di imputazione e della Vostra confessione, la vita Vi è risparmiata. Resterete confinato nelle Vostre proprietà di Roubaix per dieci anni senza mai poterle lasciare e, se mai Vi allontanerete da esse o recherete, in qualsiasi modo, disturbo al Conte di Lille, al Marchese de Saint Quentin o agli altri Vostri vicini, sarete rinchiuso nella fortezza della Bastiglia a vita. Le Vostre rendite saranno confiscate per dieci anni, durante i quali riceverete una minima parte di esse, sufficiente a farVi sopravvivere in modo decoroso. Allo spirare dei dieci anni, queste rendite saranno assegnate al Vostro primogenito, ma non a Voi. Siete bandito a vita dalla corte e dalle città di Parigi e di Versailles. Questa è la decisione di Re Luigi XVII che noi rappresentiamo.
La confessione del Duca di Germain fu utilissima per comprendere il ruolo svolto dal Duca d’Orléans in varie vicende: nell’attentato al defunto Imperatore Giuseppe II sulle sponde del Reno, nella stampa dei libelli diffamanti, nel traffico delle armi, nel tentativo di screditare, prima e di fare deferire alla Corte Marziale, poi, Oscar, nell’assalto della furia scarlatta, nell’attentato al Conte di Canterbury e in tanti altri affari. Il crimine peggiore e, cioè, l’uccisione di Luigi XVI e tutti i sabotaggi ai danni delle missioni delle Guardie Reali rimasero, invece, avvolti nel mistero, perché, all’epoca, il Duca d’Orléans non si confidava col Duca di Germain, ma col Conte di Compiègne. Malgrado ciò, in considerazione della stretta parentela che legava il Duca d’Orléans al Re e dell’assenza di prove certe, a parte la confessione di un uomo ormai completamente screditato, nulla si poté fare contro di lui, se non allontanarlo dal Consiglio di Reggenza e metterlo sotto stretta sorveglianza.
I soldati di Lille che avevano ceduto le informazioni militari al Duca di Germain in cambio di denaro, fra cui figurava il Comandante della caserma che, tre anni prima, si rimpinzava di cosce di pollo mentre il castello di André era cinto d’assedio, furono deferiti alla Corte Marziale.
Il Duca di Germain fu costretto a vivere da recluso nelle sue proprietà e a condurre uno stile di vita di molto inferiore a quello a cui era abituato, così che, per appagare la sua vanità, dovette accontentarsi di piazzare, sull’enorme basamento da lui già fatto erigere, una statua piccolissima.
 
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Dopo circa due settimane dall’allontanamento del Duca di Germain dalla corte, si svolse, nella Sala del Trono, una solenne cerimonia nella quale, in considerazione dell’eroico comportamento tenuto in occasione dell’assedio di Lille, Oscar fu promossa Luogotenente Generale mentre André, il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin, il Generale Ruault de la Bonnerie, il Sindaco André Bonte e altri notabili di Lille furono insigniti della Croce di San Luigi.
Al termine della cerimonia, ebbe luogo, nel Salone degli Specchi, una splendida festa alla quale presero parte tutti i cortigiani. Ad eccezione del Duca d’Orléans il cui volto era terreo e della Contessa di Polignac e della figlia di lei che erano verdi di rabbia per l’ennesimo trionfo delle famiglie de Jarjayes e de Lille, tutti gli altri invitati, fra cui figuravano anche il Conte di Canterbury con la neo moglie e Sir Percy Blakeney, parteciparono con entusiasmo ai festeggiamenti e si congratularono con gli eroi di Lille. Il Generale de Jarjayes e la consorte erano molto orgogliosi e l’unico rimpianto, in tanta gioia, fu che la vecchia Marie non fosse con loro a condividere quei momenti.
La cosa sorprendente fu che Antigone, a soli ventidue mesi, comprese alla perfezione che entrambi i genitori erano delle persone molto importanti e iniziò a darsi delle arie da gran dama. Lanciò, quindi, delle altissime urla quando le comunicarono che i bambini come lei non erano invitati alla cerimonia.
Mentre i festeggiamenti fervevano, Geneviève de Compiègne se ne stava seduta a ridosso di una parete a fare da tappezzeria. Partecipare alla briosità generale non le era possibile mentre seguiva, con gli occhi nervosi, il marito che danzava con una dama o faceva il cascamorto con un’altra.  L’alta società francese aveva imparato, nei mesi, a ignorare il volto giallognolo e corrucciato di quella donna che, agli occhi del bel mondo settecentesco, si era macchiata dei crimini peggiori: gelosia e tetraggine.
Si macerava in tal modo la mente e il cuore, quando udì un rumore leggero di passi e, con la coda dell’occhio, vide una sagoma prendere posto accanto a lei. Pensava che si trattasse della suocera, tornata a controllarla dopo avere percorso in lungo e in largo la sala a caccia di invitati ricchi e illustri, ma, dopo avere guardato meglio, sussultò.
– Oh, Eccellenza! – ebbe appena il tempo di mormorare, inchinandosi, contemporaneamente, per baciare l’anello al nuovo arrivato.
– Non crucciateVi, Madame e non disperdete i Vostri pensieri dietro a questioni che non hanno rilevanza alcuna – le disse il Vescovo, con voce elegante e tono amichevole – Vi inviterei a ballare, ma il mio stato me lo impedisce e, d’altra parte, la danza di due zoppi sarebbe uno spettacolo ben misero.
All’udire quelle parole, Geneviève de Compiègne arrossì violentemente mentre l’altro continuava a rivolgersi saggiamente a lei.
– Chi disprezza, il più delle volte, non merita l’oggetto del proprio disgusto e fonda la parte preponderante del proprio fascino sull’incapacità che ha il disprezzato di esercitare un controllo su di lui.
Mentre Geneviève de Compiègne chinava il viso e serrava le labbra, il cerimoniere annunciò l’ingresso in sala della Regina.
Maria Antonietta salutò con eleganza impeccabile i presenti che le si erano avvicinati finché, incrociato lo sguardo del Vescovo, lo invitò, con un cenno del capo, a raggiungerla.







Quanto ho narrato sull’assedio di Lille, ad eccezione del ruolo svolto da Oscar, da André e dal Duca di Germain, è assolutamente vero. Ai seguenti link, potrete vedere alcune stampe su quell’assedio: l’Arciduchessa Maria Cristina che aziona un mortaio, la chiesa di Saint Étienne in fiamme, i proiettili rossi che piovono sulla città, la Grande Place de Lille durante l’assedio e una donna che getta i carboni ardenti sui soldati nemici.
Per l’episodio del Duca di Germain che, privato delle rendite, ha fatto costruire una statua piccolissima su un basamento gigantesco, mi sono ispirata alla vicenda della statua del Cristo di Lisbona che fu edificata minuscola su un basamento enorme per sopravvenuta mancanza di fondi.
Come sempre, grazie a tutti e buona lettura!
   
 
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