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Autore: NPC_Stories    15/10/2019    4 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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15. Bone


Sotto-genere: dark fantasy, drammatico
Ambientazione: Francia, maggio 1643


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La battaglia aveva infuriato per tutto il pomeriggio, sotto una pioggia leggera che rendeva tutto viscido e fangoso.
Il sangue si mescolava alla terra e alla sporcizia, impregnando le vesti dei cadaveri che ormai non ci avrebbero più fatto caso.
Le grida dei moribondi lentamente andarono a spegnersi, mentre i corvi già scendevano dal cielo per banchettare.
Anche altre creature stavano scendendo dal cielo, una volta che il trambusto del combattimento si era calmato. Barbagianni dal ventre bianco come la neve infestavano il cielo, a stormi, catturando i colori del tramonto con le loro piume candide.
I barbagianni di norma non mangiano cadaveri umani, ma i folletti che erano aggrappati alle loro schiene sì. Piccoli ometti deformi, neri come il carbone, gobbi o con il volto sfigurato… non ce n’erano due uguali, ma non ce n’era uno che non fosse ributtante.

I crocchiaossa fanno parte del Piccolo Popolo, ma sono creature di cui nessuno ama parlare, nemmeno i loro cugini meno oscuri. Il crocchiaossa medio è grande quanto uno gnomo, ma completamente nero per mimetizzarsi bene nella notte.
Prediligono cibarsi dopo il crepuscolo, ma non sono cacciatori: sono spazzini. Li si trova nei cimiteri, o nei quartieri malfamati dove gli assassini scaricano i cadaveri delle loro vittime. Inconsapevolmente (perché non sono malvagi) i crocchiaossa sono ottimi complici per chi vuole far sparire la prova del suo misfatto… ma è anche vero che sarebbe impossibile spiegare a un crocchiaossa il concetto di reato e di sacralità della vita.
Mangiano cadaveri, ma non è certo se siano consapevoli di che cos’è un cadavere. Forse non sono nemmeno abbastanza intelligenti da capire cosa sia la vita… forse sono poco più che animali.
Di certo, una battaglia costituisce sempre una tentazione incredibile per quelle piccole creature avide e golose.

Dopo uno scontro come quello, che aveva lasciato a terra centinaia di corpi esanimi, i crocchiaossa calarono a decine come avvoltoi. Mentre i corvi e altri animali spazzini preferivano beccare gli occhi o mangiare la carne, gli oscuri folletti amavano rosicchiare le ossa e succhiare il midollo, e non avevano schifo nemmeno della putrefazione.

Gli esseri umani avevano paura a camminare nei campi di battaglia di notte. Strani scricchiolii nel buio lasciavano immaginare le creature più mostruose. I crocchiaossa non erano nemmeno le creature peggiori che si potessero incontrare in mezzo ai morti.
Anche Hubert aveva paura, ma il dolore era più forte dell’apprensione. Era un soldato, aveva affrontato le spade e i moschetti dei nemici, quindi cercava di farsi coraggio dicendosi che niente potesse essere peggiore di quello.
Aveva perso di vista suo fratello Guillaume nella confusione della mischia, ma al momento non poteva pensarci, era troppo impegnato a sopravvivere; più tardi si era reso conto che non aveva più visto Guillaume fra le truppe dei sopravvissuti, e non era nemmeno fra i feriti.

Quella guerra gli era sembrata così giusta, all’inizio. Era partito per obbligo ma con entusiasmo, aveva marciato per miglia senza lamentarsi, ed era stato così orgoglioso quando l’esercito nemico aveva battuto in ritirata… ma a che serviva tutto questo, se Guillaume era morto? Che valore aveva una vittoria davanti alla perdita dei propri cari?
La luna crescente era appena uno spicchio, ma il giovane aveva con sé una torcia che illuminava abbastanza il terreno da permettergli di distinguere le uniformi dei suoi compagni da quelle dei nemici. Oltre il cerchio di luce era praticamente cieco, quindi sobbalzava al minimo rumore.
Vagò per quasi un’ora in quella landa scura che andava coprendosi di brina, esaminando ogni cadavere con l’uniforme giusta. Alcuni erano amici, commilitoni che conosceva bene, altri erano sconosciuti… qualcuno era irriconoscibile. In questi casi, Hubert controllava per scrupolo la mano destra del cadavere: Guillaume aveva una cicatrice sul dorso, una ferita recente non ancora guarita del tutto.
Alla fine lo trovò.
Per fortuna aveva quel graffio sulla mano, perché la testa era stata staccata.
Hubert crollò in ginocchio a terra, passandosi una mano sul viso. Lo temeva, si era preparato all’idea, ma vederlo era comunque uno choc.
Il vilipendio del corpo di suo fratello lo disturbava quasi più che la sua morte… non potevano ucciderlo con un affondo netto o con uno sparo? Dovevano proprio decapitarlo, privandolo della sua umanità, della sua identità? E lasciarlo lì incompleto come un pupazzo rotto, come se non fosse mai stato umano?

Guillaume non era stato decapitato, ma Hubert non era un grande esperto di anatomia e non l’aveva capito. La sua testa era stata strappata a mani nude, da una creaturina grande come uno gnomo ma più forte di un soldato.

Un crocchiaossa osservava in silenzio il comportamento di quello strano cibo che si muoveva. Il cibo di solito non si muoveva, al massimo faceva qualche gorgoglio.
Il nero folletto non aveva mai capito molto bene quella faccenda: c’erano queste grosse creature che si muovevano, e non erano cibo, ma poi lo diventavano quando smettevano di muoversi. Di solito smettevano di muoversi perché si colpivano a vicenda. Questo però non aveva nessuno da colpire, tutti gli altri erano già cibo.
Forse era triste per questo. Non aveva nessuno da colpire. O forse voleva mangiare la testa di quel cadavere... ma col cavolo che il crocchiaossa gliel’avrebbe ceduta, la testa era la sua parte preferita. Le orecchie in particolare, morbide fuori e croccanti dentro.
Tuttavia era la prima volta che stava considerando un futuro-cibo come un essere dotato di volontà. Non immaginava che l’avessero… ma non aveva mai rivolto molti pensieri a cosa facessero quelle creature.
Poi il futuro-cibo fece una cosa ancora più strana. Sollevò il cadavere per le spalle, lo strinse al petto e scoppiò a piangere.
Il crocchiaossa rimase a bocca aperta e fece perfino cadere l’orecchio che stava sbocconcellando. Che cos’era quel suono? Un suo conoscente, che viveva sotto a un camposanto, gli aveva raccontato che a volte quegli esseri alti si recavano alle tombe e facevano quel suono. Era una cosa stupida, prima mettevano il cibo sottoterra e poi venivano a piangere perché lo rivolevano indietro…
L’espressione sul viso di quella creatura però non era fame, né capriccio. Era qualcosa di più profondo e incomprensibile. Il crocchiaossa non conosceva il concetto di amore, ma era capace di sentire un legame superficiale con i suoi simili. L’anno prima un suo compagno si era strozzato con una falange ed era morto, e questo gli aveva lasciato una specie di vuoto. Non avrebbe più sentito la sua voce, o scherzato con lui. Questo l’aveva reso… un po’ triste.
Ora questo futuro-cibo sembrava provare lo stesso sentimento, in un certo senso, ma di più. Di più, nella misura in cui il sole era più della luna.
Il folletto non aveva parole per pensare quel concetto, ma stava cominciando a fargli uno strano effetto. Non si sentiva più a suo agio, a spiare il comportamento dello spilungone mentre si portava appresso la testa di quel cadavere.
La pietà non è un’emozione con cui i crocchiaossa abbiano molta familiarità, ma è anche perché non hanno mai occasione di provarla.
Al folletto dispiaceva un po’ rinunciare a quel cranio succulento, ma c’erano così tanti altri corpi…
Prese la decisione su due piedi e si fece avanti, uscendo dall’ombra e trascinando quella testa per i capelli.

Hubert non aveva mai provato un dolore come quello; non aveva mai voluto bene a nessuno all’infuori della sua famiglia, non davvero, quindi non aveva mai perso qualcuno a cui tenesse sul serio. Suo fratello era più grande di lui di tre anni, per cui quando erano partiti per la guerra aveva fatto tutto il possibile per tenerlo d’occhio e proteggerlo. Guillaume era quello forte dei due. Non avrebbe dovuto finire così.
Il senso di vuoto per la sua perdita era quasi troppo grande per essere compreso: Hubert sapeva che non avrebbe più potuto parlare con suo fratello, non l’avrebbe più visto ridere, ma quel senso di desolante eternità era un’idea troppo grossa perché la sua mente potesse già interiorizzarla.
Per un attimo la sua psiche vacillò, nuda davanti alla verità della morte. La battaglia non era terrificante quanto un campo di cadaveri. Nella mischia non si aveva il tempo di pensare, l’adrenalina ti teneva vivo. Dopo il caos invece c’era il tempo per pensare, il tempo per soffrire e per avere paura del futuro.
Quando un piccolo essere mostruoso entrò nel cerchio di luce della torcia, trascinando la testa mozzata di suo fratello, Hubert capì di essere impazzito davvero. La sua bocca si aprì in un muto grido d’orrore, il suo sguardo era calamitato su quella testa che non sembrava nemmeno Guillaume, eppure era chiaramente lui.
Hubert impallidì, poi con immensa fatica riuscì a guardare di nuovo la creatura.
Era una specie di nano, nero come il carbone, gobbo e deforme. Quel parto dell’inferno afferrò i capelli di Guillaume all’attaccatura e sollevò quella cosa raccapricciante, porgendola a Hubert in modo che il volto morto fosse girato verso il cielo, leggermente rischiarato dalla luna e dalla torcia. Gli mancava un orecchio.
Hubert tremò ancora più forte, realizzando che il campo intorno a lui sicuramente pullulava di simili demonietti. Restò congelato, incapace di muoversi.
Lo gnomo nero fece qualche altro passo verso di lui, portandogli la testa. Hubert capì che era stato lui a prenderla, e l’orrore e il furore gli annebbiarono la mente. Era troppo spaventato per avere paura. Era arrivato oltre la paura, sprofondando nella follia.
Strinse la presa sulla torcia e la usò come una clava, schiantandola sulla testa del crocchiaossa.
Il piccolo spazzino non se l’aspettava e riuscì a malapena a schivare il fendente, che gli colpì una spalla anziché la testa. I suoi stracci lerci e vecchi, unti di grasso e sudore, presero fuoco in un attimo.
Il crocchiaossa abbandonò la testa e corse via, urlando di dolore con una vocetta stridula. Cercò di togliersi i vestiti, ma ormai anche la sua pelle aveva preso fuoco.

La sua morte fu abbastanza rapida, per misericordia, ma il folletto ebbe il tempo di maledirsi per la sua stupidità.
Ovviamente lo spilungone era triste solo perché non aveva più nessuno da colpire. La Gente Alta non aveva sentimenti, quelle bestie vivevano solo per uccidere altre cose.


**********
Nota:
la scena si svolge appena dopo la battaglia di Rocroi, 19 maggio 1643, in cui l’esercito francese sconfisse quello spagnolo. Ho fatto un minimo di ricerca per capire se le armi e l’uso delle uniformi potevano avere un senso. “Hubert” e “Guillaume” sono nomi il cui uso è attestato all’epoca in Francia. Anche la fase lunare era quella, ho controllato (luna nuova due giorni prima).
A proposito di accuratezza, non credo che il crocchiaossa appartenga davvero al folklore europeo, penso sia un’invenzione recente della narrativa. Mi sono basata sulle descrizioni trovate in rete che rimandano al libro di Giorgio Schottler “Elfi, Gnomi, Nani e Folletti” (1995) e in modo lasco sulla canzone “il Crocchiaossa” dei Fiaba.

   
 
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