15.
Angel
Il
mondo aveva preso
immediatamente colore, come se qualcuno ne avesse aumentato il
contrasto a
dismisura.
I
denti di Marina affondavano più
e più volte nella mia carne, come se volesse mangiarmi viva.
Davanti
ai miei occhi vidi Jasper
alzarsi e correre verso di me, il volto contratto dall’ira:
non lo avevo mai
visto così.
Sembrava
un enorme leone intento
a saltare addosso a una piccola iena che aveva oltrepassato il suo
territorio;
tutto il mondo aveva iniziato a muoversi alla moviola, con i bordi
brillanti e
netti, come tagliati nella carta colorata.
La
pelle di Jasper, attraversata
da alcuni raggi di un sole che volgeva al tramonto, brillava come se
fosse
stata composta di tanti piccoli diamanti luminescenti.
I
suoi occhi neri erano ritornati
lucidi e i denti bianchissimi e perfetti erano scoperti in un ringhio
che io al
momento non potevo sentire.
Ogni
suono era coperto dal pulsante
e rocambolesco battito del mio cuore.
Tu-tum.
Tu-tum-tu-tum.
Sembrava
l’assolo di un
batterista con quattro braccia.
Marina
aveva staccato i denti dal
mio collo e mi aveva gettata al suolo, poco lontano da un cespuglio
secco e
spinoso.
Guardai
Jasper lanciarsi sulla
bambina e rompergli il collo di netto, fracassargli il petto e
lanciarla lontano;
tutto sembrava aver iniziato a tremare, le figure si sdoppiavano e si
riunivano
come in un colorato e conosciuto caleidoscopio.
Sembrava
che nelle mie vene
stesse scorrendo fuoco liquido, che mi bruciava da dentro e faceva
impazzire.
Vidi
il dottor Carlisle
avvicinarsi preoccupato a me, alzando le mani e pressare sulla ferita
che avevo
il collo «Edward!
Jasper presto! »
chiamò e la sua voce mi parve assumere tre toni
differenti.
Come
se fossero state tre persone
diverse in coro a dire quella frase.
Vidi
avvicinarsi Edward,
accigliato e intento a confabulare con il padre.
Vidi
Jasper corrermi vicino,
mettermi una mano dietro la nuca e alzarmi la testa «il
veleno sta entrando in circolo»
sentii di nuovo Carlisle parlare.
Il
mio corpo ormai completamente
in fiamme cominciò a tremare e sussultare, come se fosse
stata epilessia.
Pressai
entrambi i piedi a terra
e inarcai la schiena, urlando.
Quell’acido
che mi stava
corrodendo sembrava bruciarmi persino l’anima; tutto a
partire da quel morso
che sentivo bruciare più di ogni altra cosa.
Ero
immersa in un mare di fiamme
e per un attimo compresi come si dovevano esser sentite le streghe,
all’epoca
dell’inquisizione.
Altri
borbottii, frasi che non
riuscivo a capire e parole che si intrecciavano con altre.
Poi
d’improvviso le dolci,
morbide e fresche labbra di Jasper sulla mia ferita; il sollievo fu
quasi
istantaneo.
Il
mondo stava ritornando a
quello di sempre e il fuoco si stava ritirando dal mio corpo come
succhiato via
da qualcosa.
Avvertii
le braccia forti e
sicure del mio biondo vampiro abbracciarmi, tenermi lontana dal terreno
sconnesso e pieno di infimi sassolini.
Vidi
con la coda dell’occhio la
sua nuca e dietro di lui Raven, che si avvicinava arrabbiata.
Guardai
il volto di Carlisle,
concentrato a osservare Jasper, e quello di Edward rivolto verso la
propria
ragazza.
Lo
vidi farle segno di
avvicinarsi, come se fosse potuta d’esser d’aiuto.
Sapevo
che stavo per morire, ma
non mi importava: l’importante era che il mio angelo biondo
fosse vivo e con me,
per il momento.
Dopo
tanto tempo un piccolo
sorriso nacque timido sulle mie labbra; non che Jasper fosse
propriamente vivo,
ma il concetto era quello.
Edward
sbuffò, leggermente più
sollevato «se
fa certi pensieri, direi che sta bene»
riuscii a sentire le sue parole
e avvertii una nota divertita nella sua voce.
Alzai
stancamente una mano e la
poggiai sulla nuca di Jasper, aggrappandomi ai suoi capelli.
Il
fuoco era scomparso del tutto
e io mi sentivo dannatamente stanca, dannatamente umana.
Lo
guardai staccarsi da me, con
gli occhi illuminati di rosso come quelli dei vampiri che mi avevano
rapita e
una lieve riga di sangue che partiva dall’angolo delle sue
labbra.
Sorrisi
ancora, perché i suoi
occhi rossi non erano comparabili a quando avevano quella sfumatura
dorata e
calda «stai
sveglia piccola, non ti addormentare»
mi sussurrò, preoccupato.
Ma
ero così assonnata e la sua
visione così rassicurante, così come la sua voce.
Chiusi
gli occhi solo per un
attimo solo, il tempo di pulirli dalla polvere e dalle lacrime che per
il
dolore dovevano esser sgorgate senza che io me ne fossi accorta.
E
il mondo scomparve dalla mia
coscienza, come se qualcuno avesse annullato ogni mio senso.
Aprii
gli occhi solo sotto
esortazione di una voce a me familiare.
La
zia Lindsay era seduta sul
materasso di una brandina riconobbi come un lettino ospedaliero.
Avvertii
sulla mia pelle le
costrizioni di parecchie bende e la gamba rotta era stata ingessata e
appoggiata su un cuscino.
Anche
la mia testa era fasciata e
sentii la garza coprire delicatamente ma con efficacia la ferita alla
cute «ben
svegliata»
mi disse la zia, sorridendomi.
Notai
che aveva pianto, perché i
suoi occhi erano gonfi e rossi «mi
hai fatto venire un colpo lo sai? »
aggiunse, prendendomi la mano e
sfregandoci sopra il pollice.
Sorrisi
«ciao
zia…scusami»
dissi, con voce roca.
La
gola mi faceva ancora male, ma
stavo bene…meglio di prima.
I
miei occhi girovagarono per la
stanza, fissandosi prima su una flebo collegata al mio polso sinistro,
poi su
Jasper.
Era
seduto su una sedia non poco
lontano da me e sembrava che dormisse. O almeno, stava fingendo di
dormire,
forse per dare un po’ di libertà a me e a mia zia «è
qui da almeno tutta la notte»
mi disse zia Lind, guardando
Jasper «non
ho mai visto un ragazzo più bravo di lui. Mi ha
raccontato tutto quel che è successo»
«cos’è
successo? »
chiesi.
Recitai
la parte della povera
smemorata, sperando di scoprire quale fandonia si fosse inventato il
ragazzo «dei
delinquenti ti hanno rapito
mentre tu e i tuoi genitori stavate tornando a casa, cara. Purtroppo
tua madre
e tuo padre non sono stati così fortunati».
Immaginai
che Maria e i suoi scagnozzi
avessero fatto fuori i miei genitori, mentre tentavano di scoprire dove
fossi
andata.
Non
mi dispiacque più di molto, a
dire il vero.
La
mia vera famiglia non era mai
stata quella; la zia sospirò «forse
è meglio che ti lasci riposare ancora un po’
tesorino»
mi disse –e il termine con cui mi chiamò mi fece
rabbrividire– «ritornerò
domani e quando i dottori riterranno
opportuno rimandarti a casa ti riempirò di schifezze»
ridacchiò infine, facendomi l’occhiolino.
Per
un attimo mi venne l’acquolina
in bocca, nel pensare alla cucina della zia Lind.
La
salutai con un piccolo cenno
delle dita e la guardai chiudersi dietro la schiena la porta,
traghettata col
numero 25 «te
l’ha mai detto nessuno che sei uno stalker? »
sussurrai a Jasper, qualche
minuto dopo.
Lui
subito alzò la testa e mi
sorrise, anche se in fondo a quella gioia potei vedere preoccupazione «si
credo che me l’abbia già detto
una ragazza, non molto tempo fa».
Si
alzò e si sedette vicino a me,
avvicinando una mano per accarezzarmi una guancia «come
ti senti? »
disse, il tono di voce ritornato
dolce e premuroso, come lo avevo sempre amato «una
drogata malmenata»
risposi, ridacchiando.
Mi
guardò un po’ accigliato, poi
sospirò, lasciando che un altro dei suoi sorrisi
meravigliosi mi irradiasse «se
fai dello spirito vuol dire
che stai bene»
mi disse, guardandomi come se fosse fatta di
cristallo «non
sai…quanto ci sono andato vicino…per ben due
volte…stavo
per ucciderti e non me ne sarebbe importato nulla. Sono un mostro»
mi sussurrò, senza guardarmi con
i suoi magnetici occhi dorati.
Alcune
ciocche dei suoi capelli
biondi erano cadute sui suoi zigomi «smettila
non sei un mostro»
gli dissi, prendendogli la mano
e stringendola quanto più potei «un
mostro avrebbe continuato a succhiarmi tutto il
sangue…invece tu ti sei fermato e mi hai salvato la
vita…se non ci fossi stato
tu sarei diventata un angioletto come te».
Lui
sbuffò «ho
detto qualcosa di sbagliato?
Tu sei bello come un angelo»
aggiunsi, arrossendo appena; lui mi sorrise,
avvicinandosi «se
non avessi tirato via il veleno dal tuo corpo,
adesso saresti ancora agonizzando mentre ti staresti trasformando in
vampira»
mi disse, guardandomi serio «cosa
che io assolutamente non
voglio…sei bellissima così come sei, umana».
Non
dissi nulla.
Lo
guardai solo avvicinarsi e
darmi un casto bacio all’angolo della bocca «ti
amo così come sei»
aggiunse, sussurrandomi le parole direttamente nell’orecchio.
Rabbrividii,
abbracciandolo senza
forze.
Lui fece la stessa cosa, cullandomi teneramente finché non mi addormentai, con una piccola lacrima che mi scendeva limpida sulla guancia.
Per
questo capitolo ringrazio Roberto Cacciapaglia e le sue meravigliose
canzoni :3