Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    19/10/2019    5 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
.2.

Inerzia
 


“Il tempo passava come una mano che saluta da un treno sul quale avrei voluto essere.”
J.S Foer – Molto forte, incredibilmente vicino
 
 
 
Settembre 2018, Complesso dei Vendicatori
 
L’indomani sparisce anche Steve, ma lui se ne accorge solo la sera dopo tramite Rhodey che viene a controllarlo come sempre in laboratorio. Tony decide che la cosa non gli interessa abbastanza da indagare ulteriormente, e accoglie la novità con la stessa apatia con cui continua a passare le notti incollato agli schermi.

Il Complesso si svuota ancora nel corso della settimana successiva, quando Rocket e Nebula partono con la Benatar e Carol e Thor decollano di punto in bianco nei rispettivi fasci di luce, senza spiegazioni. Rimangono solo Rhodey e Bruce a orbitargli attorno, distanti e troppo vicini al contempo.

Tony sente le pareti dell’edificio in espansione, come se gli spazi fossero diventati improvvisamente troppo enormi, ma mai del tutto vuoti, mai del tutto silenziosi contro il rumore statico del proprio cervello. Si trascina da un giorno all’altro perdendone il conto, e dal divano al piano olografico inciampando nei suoi stessi piedi. Ultimamente – quant’è ultimamente? – cerca essere il più rumoroso possibile mentre lavora e si lambicca i neuroni esauriti. Ma non lo è mai abbastanza da coprire il resto.

Il resto, che non ha rivelato né a Rhodey, né a nessun altro, perché quello sprazzo di lucidità e raziocinio che si erge ancora a baluardo della sua mente sa che parlarne gli procurerebbe un biglietto di sola andata in una stanza imbottita.

“Signor Stark! Che bello rivederla!”
“Amore, sono a casa.”

Tony le ignora, quelle voci. Sa che non sono reali, ma a volte si volta comunque nella penombra del laboratorio alle tre di notte, quando è troppo stanco per separare la realtà dal sogno. E ogni volta si sente tradito e ingannato da se stesso nell’incontrare il vuoto attorno a lui. Ha un brutto rapporto con le visioni. Crede di aver avuto qualche allucinazione sulla Benatar, ma allora aveva la scusa di essere appena scampato alla morte, febbricitante e spossato dall’inedia. Qui non ha scusanti, è solo il suo cervello che fa falsi contatti producendo scintille effimere.

Ci sono momenti in cui non smettono mai di parlare, e una parte di lui sanguina a sentirli, si dissangua. Si sente un mostro a pensarlo, ma vorrebbe solo mettere a tacere le loro voci e riavere il silenzio nei suoi pensieri, mentre un’altra lo spinge a rispondere, lo pungola maligna verso l’orlo della follia che lui continua a non voler varcare.

“Tesoro, dopo la riunione alle Industries ho prenotato per due al ristorante a Santa Monica, ti passo a prendere io...”
“Signor Stark, dobbiamo assolutamente vedere questo film vecchissimo, Il Pianeta delle Scimmie, è pazzesco...”

Le ignora. Lo trapassano con ogni frase, ma le ignora, coi timpani che gli dolgono dall’interno e gli occhi perennemente appannati, mai abbastanza da strabordare, mai abbastanza da dargli sollievo. Si annega nei calcoli inconcludenti, nelle teorie sempre più astratte che dipingono le sue notti insonni senza portargli soluzioni.

“… e non farti aspettare come al solito perché non sai che giacca mettere, chiaro?”
“… e poi deve recuperare anche Star Wars, non ci credo che non l’ha mai visto, è cultura di base!”

Vuole abbracciarli. Vuole baciarli, vuole stringerli a sé così forte da annullarsi in loro. Teme che da un giorno all’altro inizierà a vederli, e si ripete che è sano averne paura, una sana follia.

“Fragole? Di nuovo fragole? Buon Dio, Tony, ti amo, ma giuro che uno di questi giorni…”
“Oh, mio Dio, signor Stark, è per me? È per me? È… è bellissima, grazie! Grazie! E lo sa che anche la sua armatura starebbe bene, rossa e blu?”

Un giorno comincia a mettere in dubbio la tangibilità di Rhodey, che ormai sembra un fantasma lui stesso per quanto è dimagrito, per quanta preoccupazione ha ad inghiottirgli gli occhi e per quante volte lo vede urlargli contro, con la frustrazione che erompe in lacrime rabbiose, mentre lui rimane inerte a subire la sua furia addolorata da perfetto amico ingrato quale è. Tony spera che lo prenda a pugni per farlo rinsavire, ma lui si limita a scuoterlo e poi ad abbracciarlo, ignaro di quanto quel gesto lo terrorizzi ogni volta, e ogni volta si divincola e lo spinge via, odiandosi, con mezze parole brusche che si arrampicano fino alle labbra.

“Per questo anniversario potremmo fare qualcosa… di non nuovo. Venezia, il Cipriani… il solito, insomma. Che ne dici?”
“La Midtown sta pensando di organizzare una gita in Europa l’anno prossimo! Andremo a Praga e Parigi e Venezia… lei ci è mai stato, signor Stark?”

Ignorarli non è abbastanza, e sa che non ci riuscirà ancora per molto. Niente è abbastanza, nulla di ciò che fa, nessuno dei progetti che ondeggiano a mezz’aria attorno a lui da quelli che forse sono mesi, o forse anni.

“Signor Stark…”
“Amore…”
“Tony…”

Una sera si scopre ad ascoltarli, e si coglie da solo in flagrante nell’atto di rispondere. Sente una doccia fredda lungo le vene e poi il suo corpo si muove da solo, spinto dal poco istinto di conservazione che gli rimane, ormai del tutto mal tarato. Ha resistito finora, ma perde la presa sul proprio buonsenso e si lascia trascinare dal pungolo bruciante che gli buca le viscere.

Sale i gradini a due a due sulle gambe molli e irrompe nella cucina deserta – non sa neanche che diavolo di ore siano, ma il mondo là fuori è sempre grigio, cinereo – aggrappandosi poi allo sportello della credenza come un naufrago. Le sue mani trovano a tentoni ciò che cerca, si stringono sul vetro spesso, svitano il tappo con uno stridio liberando una zaffata acre e portano la bottiglia alle labbra senza indugio, anestetizzandosi bocca e gola in una lunga sorsata.

Rimane in piedi tremante, a riprendere fiato, e gli sembra che le voci si attutiscano un poco oltre il primo velo d’intontimento che gli avvolge la testa. Prende un altro sorso, più lento stavolta, più intenzionale, quasi con dedizione, e le sente oltre i suoi timpani che si ingarbugliano tra loro. A metà bottiglia sono indistinguibili, riecheggiano lontane.

Arrivato al fondo finalmente tacciono, e le sue prime lacrime sanno d’alcol.


 
§

 
Ottobre 2018, Complesso dei Vendicatori
 
«Torno a New York,» annuncia Tony senza convenevoli, entrando di buon mattino nella sala comune con le mani in tasca e un’andatura disinvolta, la stessa con cui è arrivato in ritardo a innumerevoli riunioni.

Rhodey alza lo sguardo dal giornale olografico che sta scorrendo sul tavolo della colazione, e lo fissa come se fosse impazzito. Non può biasimarlo.

«Mi prendi per un idiota completo?» sbotta in tutta risposta, e non sa se stia fremendo per la rabbia o perché ultimamente è sempre sull’orlo delle lacrime per causa sua. «Tu non ci torni, a New York. Non se ne parla,» continua poi, alzandosi con quel suo fare marziale che lo fa sembrare un soldatino di stagno diritto e impettito, a dispetto dei tutori.

«E chi sei tu, per impedirmelo?» chiede Tony con voce annoiata e una frase fatta, piazzandoglisi di fronte col peso spostato sui talloni, il mento alto.

«Il tuo migliore amico,» ribatte secco lui, coi pugni così serrati da potergli probabilmente frantumare la mascella, se decidesse di usarli. «So cosa vuoi fare, lì, e non ho intenzione di permettertelo.»

«Ovvero?»

«Farti del male, in ogni modo possibile. E hai già iniziato. Tony, non negare, lo so,» lo anticipa, con un gesto secco e inequivocabile verso l’armadietto degli alcolici.

Tony si passa una mano sul volto, sentendosi d’un tratto troppo stanco per litigare. È troppo stanco anche per parlare e camminare al contempo, è troppo stanco per vivere, non sa neanche più come si litiga o si parla da persona normale. Si guarda intorno assente, nella sala comune deserta, con l’ira di Rhodey che gli pende sulla testa stretta da un principio d’emicrania. La prima sbronza è sempre la peggiore.

«Dove sono gli altri?» chiede poi, in un mormorio soffocato dal suo palmo, realizzando che da un paio di giorni non ha visto nemmeno più Bruce.

«Non cambiare argomento, visto che non te n’è fregato nulla per un mese; cosa diavolo ti passa per la…»

«Rispondi alla mia domanda e io rispondo alla tua,» scatta Tony, senza suonare davvero aggressivo o irritato, solo ancor più esausto di quanto già non sembri.

Rhodey incrocia le braccia corrucciato, stringendosi i bicipiti in quella che sembra una morsa dolorosa.

«Gli altri chi?» ribatte poi, volutamente lento di comprendonio, e Tony trattiene uno sbuffo esasperato.

«Tutti,» replica, sempre senza particolare emozione. «Mi sono perso dei passaggi e non capisco come siamo passati da un’intera famigliola in lutto a una coppia di sposini scontrosi,» butta fuori, ostentando indifferenza e cercando di rimettere in moto a calci il gene assopito del suo sarcasmo.

Rhodey sospira così a fondo che Tony teme di vedergli scoppiare il petto.

«Carol è tornata dai Kree, Thor è occupato con Nuova Asgard, Bruce sta conducendo delle ricerche in Wakanda che spera possano tornare utili e Rocket e Nebula sono partiti per un pianeta di cui neanche so pronunciare il nome. Xanthos [1], una roba del genere.»

Il suo intervento finisce lì, e Tony incalza un continuo con lo sguardo.

«E Capitan Ghiacciolo? Romanov?» chiede infine, quando non ottiene risultato.

Rhodey arriccia le labbra, scuotendo appena il capo.

«Natasha è sparita dai radar, di punto in bianco. Lo sai com’è fatta,» specifica, le sopracciglia aggrottate. «Steve sta cercando di rintracciarla, ma… è brava a nascondersi,» conclude, alzando le spalle.

«Come Barton,» osserva Tony, sovrappensiero.

«Pensiamo stia cercando proprio lui, ma con loro non c’è mai nulla di sicuro,» sospira Rhodey.

«Figurarsi,» commenta Tony, sbuffando seccamente aria e pizzicandosi la radice del naso in un moto irritato.

Ovvio. Fanno quello che fanno spie e assassini. Spariscono. Ricominciano da capo. E tanti saluti all’allegra famigliola felice. Quasi li invidia.

Rhodey gli concede un momento di riflessione che per i suoi standard impazienti è anche troppo lungo, poi torna alla carica:

«Riguardo a New York… vuoi spiegarmi?» chiede di nuovo, in modo leggermente più conciliante.

Tony respira a fondo dal naso e trattiene l’aria per qualche secondo, prima di rilasciarla lentamente. Come glielo spiega, il principio d’inerzia? In realtà Rhodey lo conosce già, i principi della dinamica sono roba da liceo e loro si sono laureati insieme... ma come glielo spiega qui, applicato a questo sistema,  in modo che abbia senso e soprattutto senza sembrare folle?

Se la forza che agisce su un corpo è nulla, la velocità di quel corpo non può cambiare. Rimane fermo, oppure si muove all’infinito nella stessa direzione se è già in movimento. E lui adesso è fermo, totalmente fermo, bloccato, imprigionato in un laboratorio che non offre soluzioni o vie d’uscita. Se tornasse a New York sente che potrebbe almeno muoversi. Arrancare, magari. Un po’ alla volta, sempre nella stessa direzione che probabilmente è anche quella sbagliata, ma non sarebbe più costretto a rimanere inchiodato sul posto. Continuerebbe sempre a muoversi per inerzia, sospinto dai ricordi che custodisce in quel luogo – e dall’alcol, molto probabilmente – ma quel moto rettilineo uniforme gli sembra preferibile a uno stato d’immobilità assoluta.

Certo, il sistema di riferimento non cambierebbe. Lui rimarrebbe sempre alla deriva in un universo di cenere, che a un occhio esterno rende difficile capire se qualcosa sia in movimento o assolutamente immobile. Non c’è differenza: andare avanti o rimanere fermi, addirittura tornare indietro… sono movimenti che coincidono, che si rincorrono senza fine. Ma deve mettere a tacere le voci, non importa come, o dove.

Scaccia quelle considerazioni, apre la bocca per rispondere e la richiude, mandando giù la formula basilare che aveva sulla punta della lingua. Non crede che la scienza sia l’approccio giusto per farsi dare ascolto da Rhodey. Lui è pragmatico, ferreamente logico, ma forse vedere il proprio migliore amico ridursi ai minimi termini di un principio fisico turberebbe anche lui. Espira aria dal naso e cambia rotta, sapendo che abbattere la diga emotiva che tiene a bada ogni giorno è rischioso.

«Rhodey, è semplice: impazzisco, a stare qui,» mormora poi, chinando appena il capo e mandando al diavolo la fisica, Galileo, Newton e tutta la loro schiatta. «Non serve a nulla, non servo a nulla, inchiodato qui, e… voglio andare a casa. Voglio… averli intorno, ricordarli. Qui li sto dimenticando tutti e due,» continua, e si sente un’incudine in gola perché non gli riesce di pronunciarne i nomi.

Lo sente avvicinarci, e poi sente le sue mani sulle spalle che lo stringono fin quasi a fargli male, ma accoglie la sensazione con sollievo. Lo fa sentire radicato a terra, ma non in trappola. Presente a se stesso, con un po’ meno nebbia in testa e qualche puntino stellare in meno sulle retine.

«Ti capisco,» esordisce, in modo conciliante. «Davvero.»

Tony scuote la testa, ma non lo contraddice. Sa di potersi fidare di Rhodey. Lo sa, e sa anche che stavolta non può davvero capirlo fino in fondo, né si aspetta che lo faccia. Lo ascolta comunque, perché ormai è l’unico che può e vuole farlo.

«Ma ho paura a lasciarti solo,» scandisce poi con calma, affondando gli occhi nei suoi senza concedergli vie di fuga, e i sottintesi di quella frase sono chiari.

Lui scuote di nuovo la testa, senza convinzione. Non riesce a dargli torto, ma non può nemmeno rimanere qui un secondo di più, nella reggia abbandonata di eroi sconfitti che fingono di non conoscersi.

«Sei abituato a vedermi dare il peggio di me,» risponde, in un modo troppo mordace, troppo scostante per qualcuno come Rhodey, che non si merita nulla di tutto questo da parte sua. «Stavolta però puoi anche evitare di raccogliere i pezzi,» conclude noncurante, e rialza gli occhi imbastendo un’espressione dura che gli ripiega il cuore su se stesso. «Non m’importa di quello che succede, o che mi succede. Voglio solo tornare a casa,» ripete come un bambino, come un disco rotto.

A quel punto Rhodey gli prende di colpo il viso tra le mani, costringendolo a non distogliere lo sguardo, e la sua presa è così salda che trema leggermente sotto la tensione.

«Tones [2], va bene. Va bene. Ma torniamo a New York tutti e due. E poi io ti lascio stare, ti lascio i tuoi spazi,» afferma rapido, con sua sorpresa. «Ma tu non fare cazzate. Mi hai capito? Non fare cazzate, ti prego. Ti prego,» ripete, con voce tesa, aumentando la stretta e imprimendogli quasi le linee dei suoi palmi sulle guance.

Tony annuisce appena, frenetico; non l’ha mai visto così disperato e teme di scoppiare a piangere lì da un istante all’altro sotto la pressione che gli comprime il volto e il suo sguardo implorante.

«Va bene, non faccio… troppe cazzate,» gli concede soltanto, quasi balbettando, perché sa di non poter mantenere del tutto quella promessa.

«Non fare cazzate irrimediabili,» specifica allora Rhodey più esplicito, ma non del tutto, forse perché non ha il coraggio di formulare quel pensiero che per ora ha solo sfiorato Tony, gli ha solo lasciato una piccola cicatrice che gli ricorda flebilmente di non farlo.

«Non faccio cazzate irrimediabili,» gli assicura lui, con un filo di voce, sapendo che ci dovrà mettere tutto se stesso. «Ora mi lasci andare? Mi fai venire il torcicollo, così,» aggiunge poi, dandogli un buffetto sul dorso di una mano e facendogli infine allentare la stretta, che gli ha effettivamente indolenzito la mandibola. «Sei veramente un orso… dovresti andarci più piano, coi tuoi amici,» si sforza di dire, sfregandosi il pizzetto.

Tutte le parole che gli escono dalla bocca suonano sbagliate, appartengono a un passato che non gli riesce di ricordare, e anche il sorrisetto che tira è distorto. Ma ci prova lo stesso, ad essere Tony Stark.

«Promettilo,» gli intima Rhodey, ancora mortalmente serio, e sembra di nuovo sul punto di picchiarlo, a dimostrazione del fatto che lui non è l’unico ad accusare un lieve bipolarismo, ultimamente. «Prometti di non fare… nulla

Tony lo fissa negli occhi e la tentazione di mentire è enorme, molto più grande della sua volontà. Fa un sorrisetto smorto e si traccia una piccola croce sul cuore mentre si cava fuori la risposta a forza. Brucia sulla sua lingua assieme ai buoni propositi che manderà fumo:

«Promesso.»



 

Note:

[1] Rhodey si riferisce a Xandar.
[2] Tones è un soprannome abbastanza desueto per "Anthony" e un ulteriore vezzeggiativo di "Tony". Nei miei headcanon, Rhodey è l'unico a usarlo (e a poterlo usare senza incorrere in menomazioni), ed è diventato un po' un mio marchio di fabbrica per il personaggio.



Note dell'Autrice:

Salve!
Tony va di bene in meglio, eh? Se può consolarvi, però, siamo quasi al punto di svolta ;)
Descrivere la depressione e l'abbattimento di qualcuno non è mai facile, principalmente perché ognuno di noi la vive e può viverla in mille modi differenti e con ancora più sfumature dietro a ogni singolo gesto. A parte le elucubrazioni riguardo all'inerzia, Ho voluto lasciare più spazio alle sensazioni e alle emozioni nude e crude, rispetto a veri e propri pensieri di senso compiuto, perché in questo frangente non l'ho "visto" in grado di essere razionale o analitico nei confronti di ciò che sta vivendo. Rhodey, dal canto suo, si è accaparrato un ruolo molto più rilevante di quanto avessi programmato inizialmente, e spero lo abbiate apprezzato <3

Qualche appunto doveroso: nel MCU Tony non è mai stato esplicitamente alcolista: questo è un dato ricavato dai fumetti, in cui Tony ha sempre e costantemente problemi anche molto gravi con l'alcol. Seguendo il mio headcanon, Tony si è ripulito da quando ha iniziato a lavorare con Pepper (ciò non vuol dire che non beva, ma che semplicemente non ne è più dipendente, poi è ovvio che i suoi eccessi in Iron Man/Iron Man 2 ci siano comunque).
L'alcolismo ha però un tasso di ricaduta altissimo, soprattutto in combinazione con altri disturbi o situazioni stressanti, e per questo ho deciso di farlo cedere adesso, contando che sono passati più di quattro mesi dallo schiocco e dal suo ritorno sulla Terra. Per evitare di scrivere castronerie ho consultato della letteratura medica e psicologica riguardo a questo problema, ma in certi passaggi ho favorito la storia al realismo (li indicherò comunque sempre nelle note).
Per quanto riguarda le "allegre vocine" che sente, verranno anch'esse spiegate ;)

Chiudo la mega-parentesi e ringrazio infinitamente
_Atlas_, shilyss, Miryel e T612 per aver commentato gli scorsi capitoli rendendomi felicissima <3
Al prossimo capitolo (consci che le gioie di Tony sono lontane),

-Light-


P.S. In citazione, un altro dei miei libri preferiti, anch'esso consigliatissimo :')


 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_