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Autore: NPC_Stories    21/10/2019    2 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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21. Weapon


Sotto-genere: azione
Ambientazione: Sigil


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129 HA, Città extraplanare di Sigil

L’arena della Fossa Insanguinata, dalla strada, non assomigliava a una vera arena; una serie di magazzini dall’aria poco interessante nascondeva la struttura ad anello in cui si svolgevano i combattimenti. L’arena vera e propria era una struttura a pianta circolare che poteva ospitare centinaia di spettatori, e il vero scopo di quel luogo era il segreto peggio custodito della città di Sigil.
Si svolgevano diversi generi di incontri, alla Fossa Insanguinata; alcuni all’ultimo sangue, altri no, altri ancora nominalmente non avrebbero dovuto essere mortali ma poi nella realtà dei fatti lo erano.
Il piccolo goblin era finalmente riuscito ad avere un aggancio per entrare nell’arena. Uno gnomo chiacchierone e lurido di nome Felgar lo aveva stordito di pettegolezzi inutili, ma si era fatto offrire quattro birre prima di scucirsi la bocca su come accedere ai combattimenti.
No, non come spettatore.

Steekaz era un rispettabile cittadino di Sigil, una città in cui viveva da sei anni e che era giunto ad amare moltissimo. O meglio, ci si divertiva un sacco. Aveva perfino un lavoro e degli amici, più o meno. Lui li considerava la sua tribù, perché aveva perso la sua tribù di nascita.
Poco male, era composta per la maggior parte di imbecilli cacasotto.
Il piccoletto non era un imbecille e nemmeno un codardo. Il suo sogno nel cassetto era diventare un grande guerriero.
Era un’aspirazione strana per un goblin, la sua razza non eccelleva nel combattimento faccia-a-faccia, di solito i goblin trovavano il coraggio solo quando sapevano di avere la superiorità numerica (quelli di loro che sapevano contare), o quando credevano che la preda fosse molto più debole di loro. Steekaz doveva essere nato con qualche stortura, o così gli diceva sua madre, perché fin da bambino aveva voluto diventare l’eroe e il capo della sua tribù.
Certo, un eroe per la mentalità goblin non è necessariamente un individuo di buon cuore… ma voleva essere la persona capace di portare la sua gente a una maggiore prosperità e sicurezza, aprendosi la strada con le armi fra i molti nemici del suo popolo.
Non aveva avuto molte occasioni di addestrarsi nell’arte bellica quando viveva con i suoi parenti in un complesso di caverne sotterranee. L’unico vero guerriero era un prepotente hobgoblin che aveva sconfitto il precedente capo e aveva cominciato a governarli con il pugno di ferro. Lui però non avrebbe mai insegnato ai suoi servi goblin a combattere come si deve, per paura di una ribellione.

Steekaz era finito a Sigil quasi per sbaglio. La sua tribù aveva attaccato dei viaggiatori che si erano stupidamente inoltrati nel loro territorio, ma quelli non erano degli sprovveduti, e avevano iniziato ad abbattere i goblin uno dopo l’altro.
All’epoca Steekaz aveva nove anni, era piccolo perfino per gli standard della sua razza, ma non si era tirato indietro dalla lotta. Era corso incontro ai nemici con una spada arrugginita e una pentola in testa.
Capiva molto poco la lingua comune del sottosuolo, ma era chiaro che quei viaggiatori l’avevano deriso. Uno di loro gli aveva messo intorno al collo una corda con appesa una chiave, non per reclamarlo come schiavo, ma per addobbarlo come una donna vanitosa, in segno di scherno.
Steekaz non si era mai sentito così umiliato. Aveva provato ad uccidere quegli stronzi, ma semplicemente non era all’altezza. Allora, ingoiando l’orgoglio e il risentimento, era scap… si era ritirato per motivi tattici.
Nella sua fuga era caduto nell’imboscata di una belva distorcente e per poco non era stato catturato e divorato. A quel punto era successo il miracolo: la chiave che portava al collo si era illuminata e accanto a lui si era aperto un Portale.
Per la disperazione, il piccolo goblin ci si era tuffato dentro. Per quanto ne sapeva avrebbe potuto portarlo dritto fra le fauci di un otyugh… ma tanto, se fosse rimasto dov’era, la belva distorcente l’avrebbe mangiato comunque.
Il Portale l’aveva scaricato nel seminterrato polveroso di una casa sconosciuta. Una donna umana con la pelle scura e occhi chiarissimi l’aveva accolto sparandogli addosso un incantesimo paralizzante. Quando si era accorta che era solo un piccoletto disarmato l’aveva liberato dall’incantesimo, ma Steekaz non era stato molto collaborativo: aveva cercato di scappare senza dare spiegazioni, cosa che alla donna non era andata molto a genio. Alla fine, con le buone o con le cattive, lei era riuscita a tenerlo lì e a interrogarlo sulla sua provenienza.
A Steekaz veniva da ridere, a ripensarci. Adesso quella donna, Amanita Bellisgar, era la sua migliore amica, nonché socia in affari nella loro piccola agenzia di import-export e consegne interplanari.
La chiave che lui aveva avuto in dono quasi per scherzo si era rivelata… non esattamente una chiave planare, ma una componente di una chiave planare in tre parti: il cordoncino di cuoio, un catalizzatore di metallo, e la morte imminente del suo portatore. Dei tre elementi, solo il cordoncino era assolutamente insostituibile. La chiave in ferro battuto alla fine era solo una normalissima chiave.
L’oggetto aveva il potere di riportare il suo portatore a Sigil, in particolare nella cantina di Palazzo Endamion.
Era lì che ora Steekaz viveva, insieme ad Amanita e agli altri fattorini della Goblal Hexploring. Un palazzo in grande stile, bellissimo, con ampi spazi… per uno gnomo. Perché il fu signor Endamion, padre adottivo di Amanita, era uno gnomo.

Steekaz avrebbe preferito avere una casa propria. I costi per un alloggio a Sigil però erano assolutamente proibitivi, com’è ovvio in una città che non poteva espandersi.
Ora sperava di guadagnare abbastanza con i combattimenti, da arrotondare il suo stipendio da fattorino ed esploratore. Era convinto che un giorno si sarebbe imbattuto in un grande tesoro, da qualche parte su qualche Piano remoto, ma fino ad allora… avrebbe dovuto raggranellare soldi dove poteva.
Per di più, non vedeva l’ora di mostrare la sua prodezza come guerriero.
Doveva solo partecipare alla mischia e sconfiggere il campione in carica, il famigerato Plio Largaspada.



La grande mischia sembrava pensata apposta per calpestare i sogni di un giovane goblin, nello stesso modo in cui un grosso bruto mezzo-bugbear gli stava calpestando una mano.
Steekaz aveva la vista annebbiata e gli girava la testa a causa delle troppe botte. La città sembrava essersi girata al contrario, poi si ricordò che era caduto per terra e che si trovava a Sigil, quindi era normale che vedesse delle case al posto del cielo; la città fatta a ciambella si ripiegava su se stessa. Era strano però, vedere il suo piccolo mondo da quella posizione. Lui di solito cercava di non guardare mai in alto.
Un lucertoloide venne spinto a terra e gli cadde proprio addosso, e il piccolo goblin smise di vedere le case. Perse conoscenza di nuovo, sognando nel dormiveglia un guerriero minuto e indemoniato che mulinava una spada grossa quanto lui.

Plio Largaspada. Si sprecavano le battutine sul suo nome, anche Steekaz credeva che fosse un modo per compensare qualcos’altro. Adesso che l’aveva visto in azione non faceva più battutine.
Anzi, vista. Il guerriero più temuto della Fossa Insanguinata era una femmina di goblin, una cosetta anche più piccola di lui, con la pelle verde pallido e fluenti capelli rosa confetto.
Steekaz l’aveva vista da lontano, fra gli altri partecipanti alla mischia, e si era innamorato all’istante. Poi un fischio aveva decretato l’inizio della mischia. Lei aveva indossato un elmo sciccoso e aveva iniziato a roteare una spada enorme come se fosse un bastoncino da giocoliere, e Steekaz si era innamorato di nuovo.
L’amazzone goblin falciava nemici a destra e a manca, con il piatto della lama quando poteva, ma una o due volte i suoi avversari l’avevano messa alle strette alleandosi contro di lei, e la guerriera aveva dovuto far saltare qualche dito. Mirare all’impugnatura delle spade era il modo più veloce per far perdere la presa ai nemici.
Steekaz avrebbe voluto avvicinarsi abbastanza da ingaggiarla in combattimento. Voleva dimostrare il suo valore. Purtroppo c’era una marea di corpi in battaglia fra loro due, e lei continuava a spostarsi, rapida come uno sveltelfo.
Il piccolo goblin si sentiva parecchio stupido a maneggiare una spada lunga, doveva reggerla con entrambe le mani perché non era abituato al suo peso. Lui era più un tipo da coltelli nelle maniche, ma non era uno stile di combattimento onorevole e nemmeno scenico. Voleva fare una buona impressione durante la sua prima mischia.
Perseverò nella sua danza di parate e affondi con la caparbietà di un caprone. Era ben deciso a non farsi fermare da nulla… ma il grosso pugno di un genasi della terra, dritto sulla sua grossa testa goblin, mandò all’aria i suoi buoni propositi.

E così, Steekaz era finito a terra, a guardare per aria con espressione vacua, finché un lucertoloide non gli era caduto addosso.
Qualche tempo dopo era stata annunciata la fine della caotica battaglia, e i sopravvissuti si erano ritirati, pesti e doloranti, alcuni dopo aver discretamente depredato i cadaveri di chi non ce l’aveva fatta.
Solo il vincitore era stato premiato, o meglio premiata, con cinquecento jink, una cifra tale da ingolosire gli altri partecipanti ma non abbastanza da rendere qualcuno davvero ricco.
Il piccolo goblin grigiastro si allontanò mogio mogio dall’arena, pensando a quanta fatica gli era costata trovare l’accesso a quel paradiso proibito.
Stavolta è andata così, pensò, prendendo a calci un sasso, ma la prossima volta farò meglio.

Nel frattempo la campionessa in carica era uscita dall’arena, Steekaz la vide camminare in mezzo alla folla. Indossava ancora l’armatura, ma non l’elmo, e il suo faccino simmetrico era chiaramente visibile. Steekaz non aveva mai visto una femmina di goblin così armonica. La sua testa era enorme, su un collo che sembrava fragile. Le orecchie a punta si allungavano in orizzontale, non verso il basso come quelle di Steekaz. Cercò con tutte le sue forze di non guardarle il petto, perché aveva paura che lei se ne sarebbe accorta e l’avrebbe picchiato. Invece, continuò a fare paragoni nella sua mente: gli occhi della ragazza erano di un colore ambrato, quasi arancione, non di un giallo violento come i suoi. Forse lei non poteva vedere al buio, come lui. Steekaz era un goblin del sottosuolo, dopotutto, e il suo colorito grigio lo tradiva. Lei invece aveva la pelle di un verde pastello che non si era mai visto nei goblin del Faerun, ma la punta del naso e delle orecchie erano rosa come i suoi capelli. Quella chioma rosa chiaro era un altro mistero, probabilmente la tingeva con qualche polvere. Un gesto di vanità molto strano per una goblin. Il suo portamento però era tutt’altro che frivolo; da come camminava e da come combatteva sembrava una tipetta pragmatica.
Steekaz la seguì con lo sguardo, pensando che forse la prossima volta sarebbe riuscito ad arrivare a scontrarsi con lei.
Un gruppo di persone la circondò in fretta, e dal linguaggio del corpo lui capì che dovevano essere suoi amici. Qualcuno indicò una taverna, la House of the Griffin, e tutti acclamarono con entusiasmo. Era un luogo ben noto per le frequenti risse da bar.
Il piccolo goblin decise che tutto sommato non era una cattiva idea, avrebbe potuto seguirli e concedersi una birra. E no, non era assolutamente un comportamento inquietante. Voleva solo sciacquarsi la bocca dal sapore del sangue e della polvere.

La taverna era già in piena attività, e già all’altezza del suo nome. Griffin, la proprietaria, si muoveva fra i tavoli servendo le bevande del tutto incurante dei piccoli focolai di guerriglia che stavano nascendo. Qualcuno vicino all’ingresso urlò, con un pesante accento abissale, accusando qualcun altro di aver barato ai dadi, e Steekaz si abbassò appena in tempo per schivare un’accetta lanciata male.
Plio Largaspada e i suoi amici avevano appena raggiunto una donna umana che sedeva da sola a un tavolo tondo, come se li stesse aspettando. La tavolata accanto al loro esplose in una rissa. Plio si agganciò il grosso scudo alla schiena, dietro alla spada, in modo da avere le spalle parate. Non sembrava molto preoccupata.
Steekaz decise di fermarsi al bancone. Sembrava un posto leggermente più sicuro, perché gli avventori avevano sempre più rispetto per le bottiglie di alcolici che per i loro simili.
Continuò a tenere d’occhio con discrezione la bella guerriera (e no, non era affatto un comportamento inquietante!). Presto la rissa vicino al gruppetto si estese come un fuoco anche ai tavoli vicini. Nel caos generale, un halfling furbetto allungò una mano in cui teneva un taglierino e recise i legacci della scarsella della goblin, facendosi scivolare in mano il sacchetto di monete appena vinto.
Steekaz sospirò, considerando per un secondo di estrarre la sua spada lunga. Non era l’arma giusta da maneggiare in un locale pieno di gente, non avrebbe saputo controllarla bene, e con la sua proverbiale fortuna si sarebbe incastrata nelle budella delle persone sbagliate. I coltelli che teneva nascosti nelle maniche, d’altro canto…
L’halfling guadagnò l’uscita, ma senza il sacchetto di monete che aveva appena rubato. Se ne accorse troppo tardi, quando Steekaz si era già infrattato fra le gambe degli spilungoni che litigavano e facevano rissa in mezzo alla taverna.
Si avvicinò di soppiatto al tavolo della goblin e lanciò il suo sacchetto di monete sul ripiano.
Il rumore richiamò l’attenzione dei cinque avventori. Steekaz riconobbe un mezzorco, una donna umana, due piccoletti che probabilmente erano halfling… e la goblin, naturalmente. Aveva degli strani amici.
Tutti e cinque lo fissarono con sguardo interrogativo.
“Un ladruncolo aveva rubato i soldi che hai vinto all’arena” spiegò, guardando direttamente la guerriera.
Lei studiò il sacchetto, riconobbe il nastro che lo chiudeva e lo afferrò protettivamente con le sue manine adorabili.
“E me l’hai restituito?” domandò, incredula.
Steekaz scrollò le spalle, cercando di sembrare fico e non un completo idiota.
“Li hai vinti onestamente.”
“E tu come lo sai? Mi stavi osservando?” Lei sembrava soprattutto sospettosa.
“Ho combattuto anch’io alla Fossa Insanguinata.” Il goblin grigiastro cercò di non far capire quanto l’argomento lo mettesse in imbarazzo. “Eravamo lontani, sono caduto prima di arrivare a scontrarmi con te, ma ti ho vista combattere. Impressionante.”
Finalmente lei sorrise, e se il suo broncio era carino, il suo sorriso era ancora meglio; tuttavia aveva qualcosa di molto poco goblinesco. I suoi denti, forse. Erano troppo piccoli per una della sua specie.
“Grazie! Siediti con noi, ti offro da bere!”
Il suono della rissa che ora aveva coinvolto tutta la taverna si trasformò in un brusio di fondo, mentre il sangue gli andava alle orecchie. Stava per bere con una celebrità.

Richiamare la taverniera fu impossibile, perché c’era davvero troppo casino. Un ogre mezzo avvinazzato provò addirittura a sedersi sul loro tavolo, ma l’umana lo dissuase mulinando le sue accette da battaglia e tagliandogli un orecchio. Steekaz rubò un po’ di alcolici abbandonati su altri tavoli, mentre Plio si ubriacava per festeggiare. La ragazza halfling leggeva i tarocchi in un angolo in perfetto silenzio, come se nulla la disturbasse, e il mezzorco giocava con il suo gatto. L’altro halfling amico di Plio era un tizio silenzioso vestito da giullare di strada, che guardava tutti come se stesse decidendo chi dovesse essere il prossimo a morire. Steekaz lo trovava veramente inquietante. L’unica persona con cui scambiare due parole era la donna umana con le accette, che gli confidò di essere la più vecchia amica di Plio. Entrambe venivano da un Piano chiamato Feywild, ma mentre l’umana ci era stata portata da bambina (una dei tanti bambini rapiti dalle fate), Plio era nata lì. La goblin, riemergendo dai fumi dell’alcol, confermò quella storia: da qualche parte, ammise, aveva antenati pixie, da cui i suoi stupidi capelli color fuffa. Nessuno l’aveva mai presa sul serio, piagnucolò tutta presa nella sua sbronza triste, finché non aveva imparato a impalare la gente con la sua spada usando una mano sola. Allora avevano smesso di ridere.
Steekaz si scolò mezza pinta di qualcosa che probabilmente avrebbe dovuto essere servito in un ditale. Aveva sempre retto bene l’alcol. E il cibo avariato. E il veleno. Era cresciuto in un mondo difficile.
“Adesso nessuno” affermò, un bel discorso interrotto sul nascere da un rutto sonoro. “Nessuno ti dirà che sei una fatina. Tu hai… tu picchi… anche i mezzi giganti!” Si complimentò, allargando le braccia per indicare qualcosa di molto grosso.
Un tiefling che passava lì vicino cercò di allungare una mano per rubare la bevanda di Steekaz, ma lui gli piantò un coltello nel palmo senza neanche abbassare lo sguardo. L’aspirante ladro lanciò un ululato e si defilò, con la coda letteralmente fra le gambe. Il piccolo pugnale a misura di goblin sparì nella manica tanto rapidamente come ci era entrato.
Plio fissò il suo polso come se avesse appena visto un trucco di magia, e Steekaz riconobbe nei suoi occhi la stessa ammirazione che lui aveva provato vedendole mulinare lo spadone.
“Perché sei tanto… testardo… di combattere la Fossa?” lei si sforzò di mettere insieme una frase di senso compiuto.
“Ho sempre voluto essere un grande guerriero” raccontò lui, appoggiandosi con i gomiti al tavolo. Le sue orecchie, già basse di solito, si fecero ancora più basse. “Ma mi sa che non sono dotato. Prendo in mano quella spada lunga e non capisco come faccio a far andare la punta dove voglio io…”
“Ma tu sei un… guarda Borba, lei ha le accette… io ho lo spadone… tu sei un molto-bravo dei pugnali. Voglio essere goblin come te. Voglio essere più goblin che ora. Sapere come si… come si bugiarda, come si ruba… come si coltella… no’ ci riesso, non mi entra nella mia testa di fuffa!” si lamentò Plio, sbattendo un pugnetto contro il ripiano di legno. Fissò il suo pugno, per un lungo momento, come se stesse avendo una rivelazione. “Ma forse…” lo guardò con occhi lucidi, pieni di saggezza alcolica. “Forse ogni uno ha le sue armi.”
Steekaz sostenne il suo sguardo, mentre la verità di quelle parole faceva breccia nella sua mente resa malleabile dall’alcol.
Forse dopotutto lei aveva ragione. Forse nessuno dei due doveva sforzarsi troppo di essere quello che non era. Se fosse riuscito ad accettare la sua natura, avrebbe finalmente trovato un po’ di pace? Ma era giusto che l’unica risposta sensata ai suoi sogni fosse la resa?
Avrebbe voluto chiederglielo, ma la goblin era caduta a faccia in avanti, russando come un carrettiere ubriaco.

   
 
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