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Autore: Mordekai    22/10/2019    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cinque Fiamme, create dalla Dea del Cosmo. Un grande, vasto ed infinito potere arcano capaci di generare la vita e allo stesso tempo corromperla. Avvelenarla. Ucciderla. Un desiderio viscerale, impossibile da arrestare si impossessò di me. Un tempo ero una donna affascinata da questi artefatti così potenti, li studiavo e condividevo le mie scoperte con altri appassionati, i miei studi. Queste cinque Sorelle, però, soggiogarono la mia mente, rendendomi un mostro affamato e bramoso di potere.

A causa del mio folle desiderio, abbandonai i miei studi e i miei cari per avvicinarmi di più alla Dea del Cosmo e alle sue figlie. Finsi di essere una Custode di una Stella guida defunta da secoli, ma che il suo potere era ancora vivo e rinchiuso in un ciondolo creato da me.
Menzogne escogitate solo per adempiere ad un losco scopo. La Fiamma del Gelo, la Fiamma Arcana, quella dell’aria ovvero la Bianca e la Fiamma Astris non erano la mia priorità. I miei occhi rimasero fissi su una sola di esse: la Fiamma d’Ambra. Oh, era perfetta. Sembrava una goccia di rugiada dipinta d’oro e impregnata di magia che si poteva percepire pur non essendo un cultista o uno sciocco stregone. Sentivo crescere ed espandersi dentro di me un asfissiante calore, che torceva e stritolava le mie interiora e il mio cuore palpitava come un tamburo durante cerimonie religiose.

Fu proprio in una di tali funzioni che persi il controllo, alzandomi e correndo verso il gigantesco frammento mentre tutti urlavano ‘’Peccatrice’’, ‘’Eretica’’ o ‘’Blasfema’’. Quando le mie mani si poggiarono su quella superficie, dei lampi dorati e arancioni mi scagliarono contro la parte opposta, incenerendo parte dei miei vestiti e sfigurandomi. Scappai prima che potessero imprigionarmi, svanendo nella notte.

La mia bramosia, il mio desiderio e la mia lussuria furono la causa della mia punizione. Cercai, grazie alle mie conoscenze, di ricreare quell’opera così seducente e sublime. Volevo eguagliare il potere divino. Volevo essere come loro.

Un disastro.

Un massacro.

Divenni quasi un mostro per le continue piaghe che il mio corpo subiva, la mia pelle si ricopriva di pustole e tagli che sanguinavano. Ognuno di essi equivaleva ad una frustata rovente e, se cercavo di alleviare l’agonia che mi causavano, le pustole esplodevano e il liquido che colava bruciava come se qualcuno avesse mischiato polvere urticante, zolfo e lapilli. Cercai di togliermi la vita più volte e nei modi più efferati ma nulla riuscì a strappare via la mia anima da questo guscio deforme.

‘’Eterna sarà la punizione così come la tua vita. Che la tua lussuria sia da monito ad altri scellerati’’ furono le parole della Dea del Cosmo quando cercai di compiere per l’ennesima volta il vile atto.

Sprofondai lentamente in un baratro di follia, dove ogni appiglio si sbriciolava al mio tocco e tutto intorno sembrava riempirsi di acqua fangosa. Persino il cielo sembrava disgustare la mia presenza, impedendomi di vedere le stelle e la Luna.
Vorrei solo estirpare questo mio scellerato peccato e dissolvermi come polvere di cristalli alla luce del sole. Vorrei diventare un qualcosa simile ad una minuscola scintilla luminosa.

Vorrei essere una Fiamma che rischiara le notti più buie.

Se solo la Vita non mi fosse stata resa eterna. Se solo la Morte non mi fosse stata negata.
 
Vhertal ju kev Prekkhejt (Confessioni di una Peccatrice, antico); Epoca delle Cinque Fiamme.
 
Broym Fleu. Masseria della Curatrice Bianca, crepuscolo. Estate.
Dopo una lunga giornata impegnativa, le tre donne si concessero un lungo riposo ristoratore. Arilyn, però, ben sapeva che una volta entrata nel regno dei sogni avrebbe incontrato nuovamente il Re della Prima Fiamma nello stesso luogo. Quando si svegliò nel mondo etereo, si ritrovò ai piedi di un faggio dalla folta chioma rossiccia. Si guardò intorno, notando che ogni albero aveva le stesse sfumature che variavano dal rosso, al giallo ocra fino ad arrivare al bruno. L’erba era umida, con gocce di rugiada che scivolavano lente dallo stelo e restavano in bilico tra la terra fangosa e lo smeraldo soffice. Vide a pochi passi da lei l’elevarsi di una grande muraglia dai mattoni grigi, ricoperti di metallo e ottone, un grosso cancello di ferro alzato quanto basta per permetterle di passarci e all’esterno delle mura difensive vi erano poche case costruite impeccabilmente. Abbandonò quel luogo di riposo, superando gli arbusti che la dividevano dalla civiltà.

‘’Che posto è questo?’’- si chiese la ragazza, dirigendosi verso l’ingresso. Vide alcune persone uscire dalle abitazioni e cercò di nascondersi dietro un tronco ma sì stupì quando le passarono di fianco e parlavano tra loro, come se lei fosse invisibile. Un particolare che intensificò maggiormente un pensiero fisso nella sua mente fu un ciondolo che gli abitanti portavano al collo: un ciondolo raffigurante un lupo dagli occhi azzurri. Decise di entrare nella fortezza e notò un clima di pura gioia e festa, tra brindisi e balli energici e pietanze di ogni tipo. Anche i palazzi assumevano forme e altezze svariate che contrastavano la durezza degli edifici militari e della cinta muraria. L’effige del lupo capeggiava sugli stendardi appesi alle finestre di ogni casa e sotto di essa vi era la stessa parola, ma per Arilyn quella lingua era incomprensibile. Fu allora che comprese:

‘’Sono tutti Thandulircath! Sono nel mio regno nativo!’’- disse, sorridendo con gioia e stupore.

‘’Thandrusia. Luogo a dir poco incantevole, dove ricchezza e umiltà vivevano in equilibrio.’’- rispose una voce gelida nascosta nell’ombra. I palazzi, il castello, le mura e le persone si dissolsero come sabbia trasportata dal vento. Rimasero solo brandelli di tessuti ridotti in filacci immersi nella fanghiglia putrida. Tra quelle rovine le radici sembravano divorare tutto e ricoprire di muschio nero la superficie frastagliata del minerale, mentre tutto intorno si dipinse d’arancione e rosso intenso tendente al bordeaux. Il cielo era oscurato dall’impenetrabile cortina di fumo denso che vorticava insieme ai pezzi di corteccia incendiata. Dal muro di fuoco comparve Gallart, privato della sua scintillante armatura, con le braccia e le mani dietro la schiena e un sorriso mordace che suscitava solo irritazione.

‘’Perché ti piace così tanto vedermi soffrire? Per la prima volta, seppur in un mondo onirico, vedo come erano realmente i Thandulircath e con questo ridicolo ed egocentrico spettacolo hai distrutto un momento di quiete.’’- esordì Arilyn, fissandolo con disprezzo.

‘’Perché io non provo compassione per voi stolti umani. Ai miei occhi siete tutti uguali, anche se condividete momenti di spensieratezza. E ho ridotto in cenere questo debole ricordo per una ragione.’’- rispose l’uomo, svanendo e comparendo più volte dalle ombre e dalle fiamme, innervosendo maggiormente la ragazza.

‘’Quale sarebbe? E smettila con questi inutili trucchetti!’’- replicò la ragazza, cercando di evocare il suo potere ma inutilmente.

‘’Il problema di voi umani è uno solo, quello che vi rende deboli. Il passato. Vi legate a vecchie memorie, costruendo questa impenetrabile barriera, piagnucolando come mocciosi e lasciando che tutto il resto vi consumi.’’- rispose nuovamente l’uomo, materializzandosi da una gigantesca fiamma e poggiandosi su un tronco. Arilyn provò una forte morsa al petto, come se una lama le stesse trapassando il cuore. La corona di fiamme che cingeva tutti gli alberi intorno iniziò a diminuire di intensità, da consentire di vedere il volto del Re della Prima Fiamma ancora sorridente, conscio di aver colpito duramente l’anima di Arilyn.

‘’Quindi la distruzione di questo ricordo innaturale è per farmi comprendere che io sono legata al passato?’’

‘’Esatto, cara Arilyn. Il passato, nonostante conservi ricordi felici dell’infanzia o altri eventi che suscitano quest’emozione, ti impedisce di affrontare il futuro. Ti ho osservato e, sinceramente, mi hai deluso. Vuoi combattere una guerra ma hai dei rimorsi. Vuoi sembrare forte e determinata quando stai solo mentendo a te stessa. Quella subdola e farisaica maschera che indossi non funziona con me. E se ti ostini a seguire questo sentiero, lasciandoti soggiogare dai pentimenti, dovrò farti cambiare idea. In un modo o nell’altro.’’- replicò l’uomo, richiamando a sé le fiamme e tramutandole in due fruste. La fanghiglia si incendiò non appena i due scudisci sfiorarono la superficie del liquido, generando nauseanti odori che mescolarono a quelli delle foglie incenerite. Gallart sferzò energicamente le armi producendo violenti schiocchi; uno di esse riuscì a colpire Arilyn alla gamba lacerando il pantalone di tela e la pelle, ustionandola.

‘’Reagisci, ultima dei Thandulircath. Smettila di vacillare, per amor delle Fiamme.’’- disse furente Gallart, generando altre sferzate simili ad un turbine per terminare nuovamente in schiocchi. Arilyn, istintivamente, afferrò una delle fruste di fuoco rendendosi conto di poterla controllare. Con tutte le sue forze, riuscì a strappargliela da mano e a contrattaccare. Il Re della Prima Fiamma rispose ed entrambe le armi si aggrovigliarono, facilitando un ennesimo attacco da parte della ragazza. Lo centrò al mento, al naso con furiosi ganci e terminò con una ginocchiata nello stomaco.

‘’Volevi che reagissi? Perfetto!’’- disse Arilyn brandendo le due armi ancora intrecciate e, imitando un montante di spada, colpì il viso dell’uomo. Una risata di malvagità, distorta dalle fiamme sorprese la ragazza che tentò nuovamente di attaccare. Gallart alzò lentamente la testa mostrando la tramutazione del suo volto. Una parte mostrava una sadica bellezza, l’altra pura e deforme malvagità.

‘’Ora voglio che tu lo faccia anche in quel patetico regno dei vivi.’’- rispose il Re deforme, assorbendo il gigantesco rogo, curandosi dalle ferite. Dalle sue mani si generò un’altra arma, simile ad uno stiletto. Un semplice, scattante e invisibile affondo colpì Arilyn al petto.
Si svegliò con un sobbalzo, mentre una luce dorata illuminava parte della stanza riflettendosi su uno specchio e sul vetro della stanza. Aprì la finestra per far entrare la brezza estiva nella stanza e respirare a pieni polmoni, cercando di calmarsi. Voltò la testa verso il secondo letto presente nella camera, avvertendo che qualcuno la stava osservando con insistenza: era Elfriede, poggiatasi con il volto su una mano donandole un buffo aspetto.

‘’Perdonami se ho disturbato il tuo sonno Elfriede.’’- disse Arilyn, imbarazzata.

‘’Non temere Arilyn. Però noto che sei turbata da un po’ di giorni. Vuoi parlarne?’’- chiese la ragazza, mettendosi seduta sul letto e sistemandosi i capelli arruffati.

‘’Lo spettro di Gallart mi perseguita anche nei sogni. Riesce a percepire ciò che provo, i miei rimpianti. Le mie paure. In questo sogno lui ha distrutto il mio regno di origine, trasformandolo in una metafora sul non legarsi al passato e lasciarsi consumare dal tempo e ha iniziato ad attaccarmi con il suo potere e…’’

‘’Ti ha anche detto di reagire nel mondo reale? È ciò che direbbe chiunque, perché lo spirito combattivo di una persona non deve mai essere spento. Deve risplendere con intensità, un po’ come il tuo potere. Se ti ha detto queste parole, vuol dire che ti rispetta nonostante sia, anche da defunto, un Re della Prima Fiamma Arcana.’’- rispose Elfriede, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla giovane Thandulircath sorridendo. Arilyn ricambiò il sorriso e rifletteva su quelle parole, anche se dette con disprezzo.

‘’In questa stanza non sono l’unica ad avere un turbamento.’’- disse improvvisamente Arilyn, incrociando lo sguardo della domestica dalle gote arrossate. Comprese anche cosa volesse dire Gallart con ‘’barriera impenetrabile’’ dalla reazione della sua amica: nascondere sé stessi dietro una maschera imitatrice.

‘’Temo solo che l’arrivo di questi oscuri eventi possa portarmi via la mia amata Atlantia. Le Ninfe, soprattutto dell’Acqua, non hanno abbastanza magia che le possa difendere dal giungere della sciagura. Solo quelle delle foreste possono intervenire e aiutare, ma il loro rancore millenario le divide e allontana.’’

‘’Quante Ninfe esistono in questo regno?’’- chiese incuriosita Arilyn. Aveva solo un vago ricordo di loro fatta eccezione per la compagna di Elfriede.

‘’Sette ninfe dei fiumi, laghi e sorgenti. Due ninfe delle foreste e boschi, ma secondo alcuni miti erano tre. I loro nomi sono Amphitrite e Khalisto, entrambe curano la selva da eventuali aggressori o malattie che la possano danneggiare. Non amano le loro sorelle perché credono che badare a laghi o corsi d’acqua sia una bazzecola rispetto al loro dovere di proteggere la natura. E Hosral non facilita le cose.’’

‘’Hosral? Intendi uno spirito della selva?’’- domandò la Thandulircath, insicura sulla sensazione di familiarità del nome dello spettro.

‘’Sì, è uno dei pochi spiriti della natura rimasti fedeli alle Dee. L’unico lato negativo è la sua infinita paranoia e presunzione! Non si fida degli sconosciuti perché per lui sono tutti meschini e vorrebbe eliminarli. Lui è il primo pusillanime e parla di sterminio. Ridicolo.’’- replicò la ragazza, quasi ridendo per i difetti della creatura ultraterrena e suscitando il sorriso nell’amica. Il sonno era ormai svanito e le due ragazze parlavano di alcune avventure del passato e dei progetti futuri; soprattutto Elfriede che stava mettendo da parte piccole quantità di monete per poter acquistare una baita ad est del Broym Fleu e vivere con la sua amata. Quel momento di semplice spensieratezza era l’ideale per dimenticare il terrificante incubo e monito:

‘’Com’è Huvendal, Arilyn? Mi affascina conoscere il luogo di origine dei visitatori o di amici.’’- fu la domanda di Elfriede e la giovane Thandulircath sorrise a quell’innocente quesito eppure un inaspettato boato le allarmò. Ne susseguirono altri, impetuosi che sembravano scuotere la terra. Arilyn, prontamente recuperò la sua spada con catena, gli abiti donati dal Concilio e attese, nella penombra della stanza, informazioni da Elfriede su quel che stava accadendo.

‘’I boati che sentiamo provengono dalla foresta qui vicino, all’altezza dei sentieri che conducono in città. I Rovi Bianchi hanno attuato un altro attacco a sorpresa.’’- esordì la ragazza, tornando indietro a riferire su quanto aveva visto.

‘’Dobbiamo solo aspettare che tutto si plachi. E preghiamo la Dea del Cosmo affinché ci aiuti.’’- disse Imryll, preoccupata per quel violento scontro.

‘’Mi è stato chiesto di proteggere questo regno e non me ne starò qui senza fare nulla.’’- replicò Arilyn, con sguardo torvo mentre si dirigeva verso l’uscita. La domestica cercò di fermarla, ma venne bloccata dalla Curatrice Bianca. Dopo aver indossati gli stivali e nascosto la spilla nel colletto per non essere riconosciuta dai nemici, si diresse all’esterno dell’edificio orientandosi sulla direzione dell’incendio e dei continui boati. Superò il muro della masseria tramutandosi in polvere lucente e scattò fulminea tra gli arbusti, cespugli nodosi e sterpaglie secche, mentre il suo corpo veniva avvolto da un flebile fulgore bluastro: un’altra benedizione da parte della Dea. In breve tempo raggiunse il campo di battaglia, nascondendosi tra gli alberi e osservando due plotoni che si scontravano fra loro calpestando cadaveri e ricoprendosi di sangue e fango. Notò che l’esercito dei Rovi Bianchi restava compatto con la fanteria leggera e pesante mentre gli arcieri continuavano a far piovere frecce di fuoco sui Rovi Rossi, allo stremo delle forze per sorreggere gli scudi. Tra loro anche i Legionari, impegnati a fronteggiare alcuni nemici nelle retrovie che non demordevano e continuavano ad aumentare.

Arilyn volse lo sguardo alla sua destra, notando il cadavere di uno degli arcieri che stringeva nella mano quella che sembrava essere una bomba fumogena, nonostante l’odore intenso che proveniva dal contenitore. Lo recuperò e lo scaraventò nella doppia fila di fanteria che, non appena, colpì uno degli scudi esplose generando una gigantesca nube biancastra disorientando il nemico. Fu allora che Arilyn sprigionò tutta la ferocia del suo potere, scagliando fulmini dorati prima sugli arcieri riducendoli in cenere uno ad uno. Uscì allo scoperto brandendo la spada permeata del suo potere e con micidiali fendenti, tondi dritti e roverso e mulinelli, distrusse i loro scudi terrorizzandoli. Sfruttò la catena unita al vambrace per eseguire attacchi dalla distanza che penetrarono nel corpo di un condottiero, mozzandolo in due e carbonizzando i compagni adiacenti. Sentì aumentare la rabbia e la frenesia dello scontro:

‘’È il momento, giovane condottiera. Conficca la spada nella terra e lascia che il tuo potere li costringa alla ritirata.’’- disse il suo Istinto. La spada sembrò assumere la forma di un raggio di sole per l’intensa luminosità che emanava e Arilyn l’affondò nel terreno: i suoi occhi si illuminarono nuovamente, come la prima volta nello scontro con Gallart. La terra fangosa si spaccò e da essa fuoriuscirono enormi colonne di luce che decimarono rapidamente la fanteria leggera e pesante, lasciando alcuni soldati feriti o moribondi.

‘’Ritirata!’’- urlò una voce roca dalla distanza, accompagnata dalla melodia distorta di un corno. I pochi cavalieri rimasti abbandonarono il campo o cercarono di nascondersi inutilmente tra i cespugli per poi venir massacrati. Dal muro di fumo comparve uno dei nemici, sanguinante dalla gamba e terrorizzato trovandosi da solo contro dozzine di soldati e i Sette Legionari ricoperti di sangue e brandelli di carne sulle loro armature formate da rovi magici. Una lama di luce lo trapassò da parte a parte, carbonizzando i tessuti e avvolgendolo una luminosa fiamma dorata fino ad esplodere e a ridursi in polvere. La spada venne recuperata con uno scatto fulmineo, cozzando contro qualcosa di metallico.

‘’Che sta succedendo?’’- domandò uno dei Legionari con un cappuccio bordato in acciaio, mentre ripuliva la sua Paloscio sul cadavere mutilato di un soldato. Elurek, il Legionario Gran Mastro dei Fuochi incrociò lo sguardo con quello di Veldass, che stava ghignando conoscendo benissimo quei lampi di luce:

‘’Non è possibile che abbia decimato un plotone tutto da sola.’’- disse sottovoce l’uomo al compagno d’arme che teneva poggiato sulle spalle il randello ferrato.

‘’Scommettiamo un boccale di idromele?’’- domandò Veldass, allungando la mano in attesa di conferma da parte dell’amico. Elurek accettò con un sorriso beffardo.
La nube si dissolse, permettendo di vedere i crateri lasciati dalle colonne di luce e una ragazza che brandiva una spada ancora luminescente. I soldati tennero gli scudi alzati, non sapendo se quella giovane fosse ostile o meno:

‘’La maggior parte dei nemici si è ritirata verso ovest, hanno sfruttato l’oscurità e l’ausilio di cavalli per fuggire.’’- spiegò lei, pulendo il sangue che colava dalla spada.
‘’Bel lavoro Arilyn. Tu e il tuo piccolo esercito ci avete aiutato. Ma dove sono adesso?’’- domandò Elurek, raggiante di vedere un volto familiare. La ragazza guardò sorpresa il Gran Mastro dei Fuochi per quella domanda inaspettata.

‘’Ci sono solo io.’’- fu la risposta di Arilyn, che fece esultare silenziosamente Veldass per avergli fatto vincere un boccale di delizioso liquore. I soldati fece cadere gli scudi per l’incredulità, ricevendo un duro richiamo da parte del Comandante: l’armatura, fatta interamente di rovi le donava l’aspetto di una creatura lignea nonostante le spine arcuate intrise di sangue. Si avvicinò ad Arilyn, mentre l’elmo si aprì rivelando quel volto delicato che trasudava rabbia repressa:

‘’Ti avevo ordinato di non avvicinarti a noi! Perché sei qui?’’- chiese quasi sibilando Iridia, mentre le sue guance si tinsero di rosso e le vene sul collo si gonfiarono.

‘’Non sei il mio comandante e un semplice ringraziamento sarebbe gradito. Perché sono qui? Ho giurato al Concilio di aiutarvi e non di restare impassibile innanzi alle difficoltà. Vedo che non apprezzi perché il tuo orgoglio te lo impedisce. E non è la prima volta che accade.’’- replicò Arilyn, con fermezza mentre serrava la mano sull’elsa della spada e che continuavano ad emanare un flebile luccichio. L’espressione rabbiosa di Iridia mutò in sbigottimento e ammutolì: percepì una stranissima sensazione, come se qualcosa si fosse incrinato. Quando si avvicinarono i soldati e alcuni dei Legionari, il Comandante si allontanò cercando di mascherare il suo stato d’animo e dirigersi al proprio cavallo seguita da solo due dei suoi compagni: una donna muscolosa e il ragazzo dal mantello bordato d’acciaio.

‘’Usare una bomba fumogena come diversivo è un metodo eccellente. Hai usato qualche incantesimo per evocare quelle colonne incandescenti?’’- domandò uno dei Legionari con una fascia violacea che gli copriva la bocca, così per le mani.

‘’Non è un incantesimo, è un semplice potere innato.’’- rispose la Thandulircath, stringendo le mani degli altri soldati che si congratulavano e ringraziavano per il supporto dato nello scontro.

‘’Interessante. Io sono Olfhun Kinhell, Esarca delle Voci.’’- disse il Legionario togliendosi la fascia dalla bocca e sorridendo leggermente.

‘’Arilyn Saavick, ultima dei Thandulircath.’’- rispose lei, stringendogli la mano con forza. Veldass ed Elurek, invece, chinarono leggermente il capo in segno di riverenza dato che si erano presentati il giorno prima. Giunse il turno di una ragazza con una divisa militare simile a quella di Arilyn, senza il corsetto e il bavero era orlato in pelliccia di lupo tinto di rosso. Delle piastre metalliche avvolte da rovi pietrificati tradivano quell’impercettibile innocenza che possedesse:

‘’Quindi eri tu la ragazza della quale mia madre mi ha informato. Sei stata in grado di sfiorare il Frammento d’Ambra senza subire gravissime ferite. Mi chiamo Hildel Verca, conosciuta come Hildel Zanna Bianca.’’- proferì la ragazza suscitando meraviglia nel Legionario dalle bende viola, in Veldass e Elurek.

‘’Legionari, in riga. Dobbiamo tornare al Concilio e fare rapporto. E tu, Thandulircath vieni con noi.’’- urlò il comandante Iridia in groppa al suo cavallo, attendendo che tutti eseguissero gli ordini dati senza indugiare oltre, aiutandosi con l’ausilio di torce di fortuna. Il Legionario dal randello metallico offrì il suo cavallo ad Arilyn per farla riposare durante il tragitto verso il centro città e per evitare di essere attaccati da altri soldati dei Rovi Bianchi, avrebbero fatto il giro lungo passando ad ovest del campo di battaglia; prima di salire in groppa al cavallo protetto da una spessa armatura, la giovane Thandulircath notò un foglio di pergamena strappato e sporco di fango, ma alcune parole erano ancora leggibili: ‘’Sentiero sud-ovest. Imboscata. Attacco dei Rovi Bianchi previsto alla prima ora del cantar dei grilli.’’ Arilyn piegò il foglio e lo mise nella tasca del pantalone, così evitando di perderlo essendo una parte importante da aggiungere al rapporto. Intanto che proseguivano per il sentiero d’ovest la vegetazione sembrava essere invecchiata precocemente, i rami degli alberi erano spogli in più punti e afflosciati quasi ad arrivare a pochi centimetri dalle loro teste. Un pungente odore emanato dalla resina che impregnava la corteccia dei faggi, dei pini e degli aceri rendeva il cammino quasi fastidioso:

‘Aspettate.’’- disse Olfhun, fermando il suo cavallo e volgendo la testa alla sua destra. I soldati prontamente sguainarono le loro armi e tennero alti gli scudi.

‘’Cosa odi Esarca?’’- domandò un soldato armato di balestra che, a causa del peso, tremava fra le mani come un fuscello. Dei passi si avvicinarono rapidi e pian piano si udiva una richiesta d’aiuto. Dai cespugli secchi comparve un uomo ferito gravemente alla gamba e al fianco; l’armatura di cuoio rinforzata con diverse tasche e il simbolo del regno dipinto di rosso sulle spalline consentirono ad identificare il soldato come uno dei ricognitori dispersi da qualche ora:

‘’Siete vivi, per fortuna. L’imboscata…era anche per noi ricognitori. Sono morti tutti…’’- disse cercando di recuperare fiato il più possibile il soldato, mentre consegnava le spille di riconoscimento dei defunti.

‘’I loro attacchi diventano sempre più volenti e quasi disperati. La Dea del Cosmo ti ha concesso la salvezza affinché tu potessi darci quest’importante notizia. Uno di voi soldati dovrà rinunciare al proprio scudo, lo useremo come barella per trasportare il nostro compagno ferito. Muoversi!’’- ordinò Iridia, aspettando che l’operazione venisse eseguita. Il soldato venne messo in posizione fetale sullo scudo, avvolto in più punti da una corda e annodata alle briglie del cavallo del comandante nel mentre che due soldati sorvegliavano il malcapitato e restavano vigili in caso di attacchi. Le prime luci dell’alba iniziarono a diradare le ombre della notte, tingendo dei colori estivi il manto smeraldino e le fronde degli alberi con sfumature calde. Giunti al Concilio, il comandante ordinò alle sentinelle poste all’esterno delle mura di portare subito il ricognitore ferito da un guaritore. Intanto i Legionari ed Arillyn si diressero nella sala principale, ove già le Sette Sorelle erano sui loro troni. Iridia si inginocchiò, imitata dal resto del gruppo ed esordì a gran voce:

‘’Perdonate l’attesa, per evitare altri disdicevoli scontri e futili perdite, abbiamo attraversato il sentiero ad ovest. Uno dei ricognitori ci ha informato di due imboscate pianificate dai Rovi Bianchi. Quattordici dei sedici ricognitori sono morti, uno è ferito gravemente e un altro è disperso. L’avanzata del nemico è stata interrotta grazie all’aiuto…’’- si interruppe, preda del suo orgoglio ferito.
‘’Al mio aiuto. Più della metà dell’esercito nemico è stato massacrato e quei pochi superstiti sono fuggiti, ma non voglio nessun riconoscimento per quest’impresa, dato che ho solo giurato di proteggervi. Null’altro.’’- disse Arilyn, a testa alta e con rapidi scambi di sguardi con Iridia, sorprendendola nuovamente. La Sorella Maggiore conferì con le altre Sorelle sotto voce prima di rispondere:

‘’Eccellente lavoro. Questi attacchi meschini dureranno poco perché abbiamo delle notizie da darvi. Il fabbro della città ha progettato il primo modello di arpione mobile e nuovi scudi, inoltre altri due esperti ricognitori e cacciatori si sono offerti di trovare…il Recluso e la Peccatrice.’’

‘’Quando sono tornati?’’- domandò la Legionaria dalle robuste braccia e una cicatrice argentata che partiva dalla spalla e scompariva all’interno dell’armatura.

‘’Si sono presentati avvolti da un fulgore biancastro, quindi erano solo apparizioni incorporee. Non siamo certe se si trovano nei nostri confini o altrove. Attendiamo il rientro dei due cacciatori affinché possano dirci altro. Vi ringraziamo per il vostro coraggio, prodi Legionari e giovane Thandulircath. Prego, potete tornare nelle vostre dimore.’’- replicò Erthaor, la quinta sorella.

‘’Prima di congedarci, ho trovato questo foglio di pergamena strappato con alcune informazioni.’’- disse nuovamente Arilyn, consegnandolo ad una delle Sorelle. L’espressione di amarezza constatò che quella scrittura fosse familiare:

‘’Quindici su sedici ricognitori deceduti. Grazie mille Arilyn, hai contribuito a comprendere quando attaccano i Rovi Bianchi.’’- furono le parole della quarta sorella, ovvero Largothel. La Thandulircath fece un leggero inchino con il busto e andò via, o almeno sperava di poter tornare se non fosse per il Comandante dei Legionari ferma sull’uscio. I suoi occhi emanavano un turbine di emozioni contrastanti, quasi come se volessero prevalere sull’altra senza successo.

‘’Grazie per il tuo aiuto.’’- disse Iridia, con un tono di sarcasmo e saccenteria. Arilyn fece spallucce e la superò, aumentando l’astio che aveva nei suoi confronti; il comandante le afferrò la manica della divisa bloccandola.

‘’Ti ho detto grazie, potresti rispondere almeno invece di ignorarmi.’’

‘’Mi sbaglio o avevi espresso chiaramente di starti lontana? Io non comprendo questa tua rabbia illogica nei miei confronti, ho solo fatto il mio dovere e cerco ancora di ambientarmi in questo vostro regno. Sembra, però, che tu voglia impedirmelo. Buona giornata, comandante.’’- rispose accentuando il sarcasmo sul grado della donna, per poi voltarle le spalle.
Quel contegno così esacerbante era il ritratto della defunta Liedin, una delle allieve addestrate per proteggere Huvendal. Fin dall’arrivo al palazzo, Arilyn fu una facile preda per l’odio represso della ragazza dai capelli purpurei. Tale paragone aggravò il suo malumore e cercò un luogo silenzioso, dove non vi è dimora per futili rogne.

‘’Non vi è ragione per crucciarsi. Avrà modo di comprendere che sei fondamentale e ti tratterà con rispetto.’’- disse una voce alle sue spalle, dissuadendo la ragazza dal suo tormento. Una nube di stelle si materializzò successivamente innanzi a lei, assumendo una forma corporea seppur sempre diafana in costante cambiamento:

‘’Tu dovresti essere Hosral, vero? Che cosa vuoi?’’- chiese Arilyn, infastidita dall’apparizione dello spettro dei boschi.

‘’Sei delusa da Iridia ed è ben comprensibile. Io l’ho vista crescere, ha dimostrato fin da subito di essere orgogliosa delle sue azioni soprattutto in guerra. Come ogni altra persona, ci sono eventi del passato che ti trasformano in ciò che non vorresti essere, ma per lei è diverso. Il suo cuore è un duro frammento di pietra. Solo una volta l’ho vista sorridere ma è stato anni fa. Ti chiedo solo di attendere un po’.’’- fu la risposta dello spirito dei boschi, mutando ancora la sua forma da uomo a donna.

‘’Perché mi stai dicendo tutto questo?’’- domandò nuovamente la ragazza, sedendosi agli argini di un ruscello.

‘’Ti ho osservato, confondendomi con le ombre, e sei l’unica che è riuscita fino ad ora a colpire la sua fierezza da cavaliere. Avete entrambe un grande spirito combattivo, ma siete diverse. Forse è un bene. Mi sbagliavo a giudicarti una spia dotata di abilità magiche. A presto, Thandulircath.’’- replicò Hosral, dissolvendosi in polvere splendente. Arilyn si sentì confusa dal cambiamento repentino della creatura diafana ma preferì ignorare l’accaduto e restare ad osservare lo scorrere lento del ruscello limpido. Passarono alcune ore e la ragazza iniziò ad avere fame, decidendo così di tornare alla masseria per la colazione:

‘’Non così in fretta!’’- urlò una voce da dietro i cespugli. Con sguardo torvo e il respiro corto, preda dell’ira repressa, si palesò il soldato che Arilyn aveva ferito alla spalla con una forchetta.

‘’A causa tua, mi hanno congedato con disonore e bandito da qualsiasi taverna del regno. Non sperare di andartene senza subirne conseguenze, stupida bambina che non sei altro.’’- disse, sradicando un ramo essiccato che fece muovere tra le mani con fare minaccioso.

‘’Vuoi prenderti la vendetta per esserti meritato quella punizione? Avanti, primate che non sei altro!’’- rispose la Thandulircath, ormai esasperata. L’energumeno sferrò il primo attacco, mancando il bersaglio e offrendo alla ragazza l’opportunità di colpirlo al fegato. Il violento colpo, grazie anche al vambrace, fu doloroso:
‘’Sei fortuna…’’- cercò di provocarla, ricevendo un calcio rotante sul collo e una ginocchiata sui denti rompendoglieli. Arilyn brandì il ramo e usando la parte aguzza, lo conficcò nell’altra spalla fin quando le ossa non emisero un aberrante suono. Le urla di dolore destarono gli uccelli appollaiati tra le fronde, facendoli volar via impauriti.
‘’Ho fronteggiato creature più forti di te. Fai troppo affidamento sulla tua stazza, nonostante tu sia solo un folle. Avrei dovuto cavarti gli occhi e la lingua quel giorno!’’- disse la Thandulircath, furibonda e con il potere che si propagava dalle sue mani. Prese nuovamente quel ramo conficcato nella spalla sanguinante del suo aggressore da entrambe le parti, fece leva con tutte le forze e strappò di netto carne, muscoli e frammenti ossei.

‘’Prova ad avvicinarti nuovamente e non esiterò ad ucciderti questa volta.’’- furono le ultime parole della ragazza, prima di gettare via l’arma insanguinata e dirigersi nella masseria. L’uomo non volle demordere, cercò di aggredirla nuovamente alle spalle ma una lama avvolta da una luce dorata lo decapitò, lasciando che il corpo scivolasse via nell’acqua. Riprese il cammino verso la masseria, stremata e sporca dalla testa ai piedi di fanghiglia e sangue. Non appena varcò la soglia dell’edificio, Elfriede ed Imryll chiesero preoccupate cosa fosse accaduto:

‘’Da quello che ricordo, i Rovi Bianchi hanno teso una doppia imboscata. Una per i Legionari e una per i Ricognitori. Metà dell’esercito è stato massacrato, l’altra metà invece è fuggita oltre i confini. Il sangue che vedete non appartiene a me, bensì ad uno dei soldati piantagrane che ho affrontato un giorno fa nella taverna. Ho solo agito per difendermi…’’- disse la ragazza, trascinandosi verso il bagno bisognosa di immergersi in una vasca d’acqua calda per pulirsi e calmarsi. Immersa nel rovente liquido, restò ad osservare la moneta donata da Faolan: bronzea, con diverse incisioni sull’orlo e uno stemma dipinto di blu, come la carnagione dei Silenti. Chiuse gli occhi e lasciò che la tensione scivolasse via dal suo corpo.

‘’Sei solo un mostro!’’- sentiva echeggiare una voce rabbiosa nella sua mente, seppur distante. Un ricordo di una lontana disputa tra allieve, il desiderio di competizione che tentava ostinatamente di prevalere sull’umiltà dell’esperienza. Una rivalità conclusasi in tragedia. Le ombre che vorticavano furiosamente nel suo inconscio vennero dissolte da un lento e costante suono: qualcuno bussava alla porta del bagno.

‘’Prego, puoi entrare.’’- esordì Arilyn, quasi stanca e disorientata. Si coprì con un lungo telo il corpo nudo prima che potesse esser vista. La porta si aprì e permise alla giovane Elfriede di entrare con altri abiti freschi adatti all’estate che avanzava.

‘’Mi ero preoccupata. Sarà quasi un’ora che sei rinchiusa in questo rovente posto.’’- disse, aprendo la finestra per far uscire il vapore asfissiante e far entrar il vento estivo.

‘’Scusami. Dopo ciò che è accaduto sul campo di battaglia, una futile discussione con il Comandante dei Legionari e l’aggressione dell’ormai defunto soldato, la mia mente e il mio corpo avevano bisogno di riposare.’’- rispose la Thandulircath, asciugandosi i capelli umidi.

‘’Dunque hai conosciuto mia figlia Iridia.’’- replicò qualcuno sull’uscio della porta. La Curatrice Bianca entrò, massaggiandosi le mani e sospirando, conscia ormai di non poter tenere per sé quel segreto innocente. Arilyn aveva intuito la somiglianza del Comandante Iridia con quella di Imryll, lo stesso sguardo di sicurezza, il fisico slanciato ma differivano sul modo di approcciarsi.

‘’Mio marito abbandonò me e mia figlia anni fa, il suo cuore stregato dalla bellezza di un’altra donna. Quando non potevo occuparmene, Hosral si offriva volontaria seppur riluttante. Essendo cresciuta senza un padre ha forgiato in lei uno spirito combattivo, tenace e d’onore. Si fida solo dei Legionari, delle Sette Sorelle e di Morkai, il fratellastro. Aprì il suo cuore solo ad una persona, ma sapendo che codesta persona si sarebbe trasferita in un’altra zona, ha deciso di chiudersi in sé stessa e usare solo la ragione.’’

‘’Per ora le ho saputo tener testa, anche se credo non abbia apprezzato. Non ha importanza, dovrà accettare il fatto che sono un membro di questo regno nonostante sia Huvendal la mia vera casa.’’- rispose Arilyn, osservandosi la mano ormai guarita.
Qualcuno bussò alla porta principale, con forza e ad intervalli di brevi secondi l’uno dall’altro. Imryll andò a controllare chi fosse il visitatore, ci furono dei brevi dialoghi tra saluti e convenevoli e la porta così come si aprì si richiuse. La Curatrice Bianca tornò con un ciondolo raffigurante un lupo nel mezzo:

‘’Devi aver perso questo durante lo scontro. Olfhun lo ha ritrovato e ha riconosciuto che i lupi erano animali prediletti dalla tua razza.’’- disse la donna, consegnando l’oggetto nelle mani della ragazza.
‘’Non so quante volte questo pendaglio sia caduto negli ultimi due anni.’’- replicò Arilyn, ridacchiando.
 
Isola dei Re Esiliati. Mattino. Estate.

 
A causa di una imprevista tempesta marina, Searlas e il suo amico Edan dovettero attendere le prime luci del mattino per giungere sull’isola dei Re Esiliati. Per il Re quel luogo rappresentava tutto il marciume, la corruzione e la negligenza che i regni delle Terre del Nord subirono per secoli. Per impedire che gli esiliati fuggissero, venne eretta una gigantesca muraglia fatta di ossidiana, con tre torri di vedetta su ogni estremo e una più grande al centro dalla quale si poteva vedere tutto. I soldati mandati a sorvegliare quel luogo variavano da Guardie Navra a Guardie Merfolk, Guardie di Iysadell, Vaatkaalkey e molti altri. Restarono inorriditi quando videro sangue, materia cerebrale e ossa sparse ovunque per le mura e all’interno della città costruita su misura. La terra era marcita, gli alberi spogli e parte delle case distrutte da una forza selvaggia.

‘’Re Searlas? Che cosa ci fa in questo luogo di morte e pura devastazione?’’- chiese una guardia Iysadelliana, con una divisa granato strappata su più punti mentre si reggeva a fatica su un bastone. La pettorina a piastre ammaccate rappresentavano il suo grado di capitano, o almeno così sembrava essere. Il volto e le mani, invece, erano avvolte in bende sporche, così sulla gamba destra.

‘’Mio figlio è scomparso dopo una feroce lotta con il Re della Prima Fiamma Gallart. I Titani d’Onice mi hanno riferito che un bagliore rossastro, ormai quando lo scontro era giunto all’epilogo, si è abbattuto su di loro. Lui e la sua compagna sono scomparsi e il luogo più vicino ad Huvendal era questo. Gli Esiliati che fine hanno fatto?’’- domandò il Re, osservando disgustato e terrorizzato quell’indicibile violenza.

‘’Ne rimane uno solo, ovvero suo padre. Lo abbiamo rinchiuso nella torre centrale, così da evitare che fuggisse. E non è in un piacevole stato.’’- rispose il capitano Iysadelliano, chiamando un altro soldato in condizioni meno pietose di lui e gli ordinò di accompagnarli alla torre.

’Che cosa gli è successo?’’- domandò incuriosito, nonostante odiasse suo padre. Il capitano, digrignando i denti per resistere al dolore delle ferite subite, si rifiutò di rispondere e indicò nuovamente il luogo da raggiungere. Gli uomini di Edan, sotto suo ordine, diedero assistenza medica ai feriti e setacciarono l’intera area in cerca di possibili indizi. Più Searlas ed Edan si avvicinavano alla torre, più l’odore del sangue si intensificava diventando insopportabile costringendo i due uomini a coprirsi il naso con la mano. Entrati nella grande torre difensiva, il soldato accese una serie di torce collegate da piccole strutture metalliche dove scorreva olio infiammabile.
Non appena le piccole teda dispersero l’oscurità della struttura, un uomo emaciato e barbuto emise un gemito di dolore causato dalla troppa luce:

’Maledizione giovanotto, spegni la luce…’’- borbottò l’anziano, coprendosi con una scheletrica mano il viso. Gli occhi infossati, lividi e con una impercettibile patina sulla pupilla constatavano i primi sintomi di cecità.

’Padre.’’- replicò Searlas, stringendo i pugni nel tentativo di placare una improvvisa scarica di furia. Non provava compassione per lui neanche vederlo prossimo al gelido bacio della morte. L’attempato uomo riconobbe quella voce e scattò in piedi tremante. Lo sguardo torvo del Re gli impedì di proseguire oltre mutando il suo stato d’animo in agitazione.

‘’Uh, dopo trent’anni vieni a farmi visita, ma non sei qui per me figliolo.’’- disse suo padre, grattandosi la barba, facendo cadere piccoli brandelli di pelle secca dall’ispida peluria.

‘’No. Mio figlio e la sua compagna sono spariti dopo una feroce guerra e quest’isola, essendo la più vicina alle nostre Terre, era il primo luogo da visitare. Prima di tutto, cosa è accaduto agli abitanti?’’- chiese suo figlio, incrociando le braccia e attendendo una risposta. Una risata nervosa, accompagnata da una forte tosse mucosa anticipò il responso inorridendo il Re.

‘’Credo tu abbia visto il sangue sparso ovunque e i soldati feriti brutalmente. Tutti i re dell’isola sono stati massacrati, i cadaveri trasportati da quelli che sembravano ragni spinati e guidati da mostri formati da legno, carne e sangue indurito credo. Uno di loro, un demone dagli occhi color rubino mi ha risparmiato e definendomi testimone di un oscuro futuro.’’- replicò lui, tossendo e sputando saliva rosata sul pavimento.

‘’Come scritto su uno dei tomi antichi. Per caso riguarda anche le nostre terre?’’

‘’Ugh, non…non lo so, ma credo di no. Ha accennato solo un qualcosa inerente ad una fiamma, non ricordo altro perché sono svenuto.’’- rispose nuovamente il padre di Searlas alla sua domanda. Senza preavviso iniziò a rigurgitare un liquido giallastro dalla bocca, il corpo a squamarsi con una putrida linfa che scorreva tra esse. La schiena e lo stomaco esplosero, liberando lunghi rovi che si muovevano come serpi. Avvolsero il corpo del povero anziano e lo trascinarono nella pozza fangosa formatasi sotto di esso:

’Hai detto abbastanza, vecchio. Sarai grato alla Morte perché ti sarà dato un grande dono.’’- disse una oscura figura comparendo dal nulla, dalla pelle nera come la pece e gli occhi color del rubino. Edan estrasse la spada, mettendosi in posizione di combattimento pronto a colpire se necessario. L’essere demoniaco rimase ad osservarli, con un perfido sorriso sul volto, concentrandosi soprattutto su Searlas:

‘’Nessuna compassione o tristezza. Solo rancore nei suoi confronti. Affascinante come, per tutti questi anni tu non abbia accennato al perdono. Non crucciarti oltre, questa imminente guerra non coinvolgerà le vostre di terre. Il vostro popolo non merita l’Epoca Oscura. Gentili signori, con il vostro permesso, la Tenebra attende, ossequi.’’- disse, per poi sparire in una nube di polvere e ombre, spegnendo in un singolo colpo tutte le torce. Quella folata di vento fu così forte da infrangere la dura pietra della torre, creando gigantesche crepe che iniziarono ad estendersi su tutti i lati. La polvere ed i ciottoli piombarono sulle loro teste, costringendoli a fuggire da una morte dolorosa. Una volta all’esterno, la torre crollò con gran fragore ed innalzando un muro di terriccio misto a terra e plasma.

‘’C’è da fidarsi delle sue parole secondo te?’’- chiese Edan, incantato da come un pinnacolo costruito in ossidiana e rivestito di altri materiali si distrusse come se fosse fatta di gesso. La domanda restò senza risposta, così l’uomo dagli occhi ambrati chiese nuovamente se il demone avesse ragione o meno.

‘’Torniamo ad Huvendal. Ho visto…troppo.’’- rispose eludendo il quesito. Edan comprese quella risposta non appena vide il ripugnante scenario: tutte le sentinelle erano aggrovigliate da rovi neri che fuoriuscivano dalle loro bocche, dallo stomaco e dalla schiena. I fusti spinosi erano dipinti di rosso scuro, con pezzi di interiora e ossa incastrati tra le spine arcuate. Statue mutilate che evidenziavano la disgustosa opera d’arte. Tutti gli uomini di Edan e Searlas erano impalliditi, alcuni si sentirono male e rigurgitarono sull’erba.
Ritornati alle imbarcazioni, i guaritori cercarono di fare il possibile per curare i condottieri rassicurandoli che non sarebbero morti. Il Re di Huvendal restò ad osservare un bastione delle Terre del Nord divenuto un cimitero di corpi deformi e mutilati da rovi impregnati di magia. Ripensava alle parole dello sconosciuto, alla terrificante guerra che riguardava chissà quale regno accennata.

’Nessuna compassione o tristezza. Solo rancore nei suoi confronti. Affascinante come, per tutti questi anni tu non abbia accennato al perdono.’’- continuavano a risuonargli queste parole nella sua mente, rendendo l’orrore e l’angoscia una sensazione quasi concreta. Chiuse gli occhi, cercando di pensare ad altro e di dimenticarsi di aver visto quell’abominio. Anche Edan era alquanto provato dall’evento mentre era disteso ad un lato dell’imbarcazione, con una mano sulla fronte e le labbra serrate in una singola linea.

‘’Sire, che cosa è successo in quel luogo? Molti soldati continuavano a ripetere di commilitoni mutilati e sventrati da rovi…’’- chiese uno dei guaritori, incuriosito dall’innaturale silenzio.

‘’Confermo. L’isola dei Re Esiliati è adesso un cimitero di grottesche statue di carne e vegetazione. C’è solo morte, e nient’altro. E di mio figlio ancora nessuna traccia.’’- rispose Searlas, osservando le onde del mare.
 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, mattino.

Dopo una lunga notte insonne, Darrien si dedicò alla lettura e allo studio delle carte topografiche e strategiche individuando sempre più errori nelle tattiche e spiegamento delle truppe. Giunse all’esasperazione quando lesse nei rapporti che le sconfitte riportate erano dovuti alla conformazione del terreno o alla presenza di gigantesche pozze fangose. Per non creare disordine sulla scrivania, usò il suo potere per bruciare quelle pagine sbiadite.

‘’Batkiin è un folle. Non saprebbe distinguere delle manovre elusive per assediare con il minimo sforzo una fortezza dall’attacco diretto. Come è possibile che sia generale se non si ferma a riflettere sulle scelte intraprese.’’- disse rabbiosamente, gettando via la sedia e dirigendosi ad una piccola balconata che aveva scoperto esser stata nascosta ad occhi indiscreti. Da lì poteva osservare, senza esser visto, una delle strade principali che conducono nel castello e nella periferia della città. Dal vistoso andirivieni comprese che stava giungendo qualcuno nel regno. Decise di unirsi alla folla riunitasi all’entrata del regno: dai volti di terrore e rammarico dell’esercito Darrien intuì un’altra sconfitta e scosse la testa, in disapprovazione. Il muro di cittadini si divise, consentendo il passaggio del Re Galeren che tuonò un solenne rimprovero per la sconfitta:

‘’Avete perso nuovamente! Dovrei darvi una strigliata e fustigarvi fino a far sgusciare la vostra colonna vertebrale. Cosa avete da dire?’’

‘’Una sola persona è riuscita a decimare metà del nostro plotone d’assalto, comparendo dal nulla e scagliando lampi di luce da ogni direzione possibile. La cenere che vede sulle nostre armature appartiene ai loro corpi inceneriti. Basta come risposta.’’- replicò uno dei soldati, leggermente infastidito intanto che gettava l’arma e lo scudo lontano da sé. Molti altri commilitoni lo imitarono, sparpagliandosi in varie direzioni del Palazzo Reale. Darrien ebbe un sussulto, come se quel fantomatico guerriero potesse essere la sua amata Arilyn. Tuttavia ripensava continuamente al discorso fatto dal generale dei Rovi Bianchi, ovvero che nel regno gemello alcuni soldati possedevano una speciale armatura con aculei in grado di assorbire le abilità del nemico e forse, la speranza di ritrovare la sua compagna si dissolveva sempre di più. Quando giunse anche Batkiin all’appello, preferì proseguire dritto nella sala del trono attendendo il rientro del Re che cercava di placare gli animi del popolo con discorsi pieni di parole forbite e d’ispirazione.

‘’Te lo avevo detto.’’- sibilò il ragazzo, non appena il generale passò di fianco.

‘’Le sconfitte aiutano a fortificare l’uomo.’’- rispose il generale, facendo spallucce e sorridendo egregiamente al suo operato.

‘’Non se tali sconfitte si basano sulla vita dei tuoi uomini. Non sei un generale, sei un bambino mascherato da esso che gioca con soldatini di piombo.’’- replicò duramente Darrien, lasciando che il suo potere innato si manifestasse come minuscole venature nere sotto gli occhi e sulle mani.

‘’Bada a come parli ragazzo. Sono pur sempre un generale, anche se mi beffeggi.’’- ribadì Batkiin, con il petto gonfio e le mani dietro la schiena.

‘’Non il mio.’’- rispose nuovamente il ragazzo, lasciando serpeggiare l’oscurità verso l’armatura dell’uomo. Un cigolio metallico accompagnato da un suono aberrante colpì il suo udito, facendolo gemere dal dolore. L’intera armatura splendente cadde in diversi pezzi, piegati e deformati con un bagliore nerastro che si muoveva sinuosamente tra le crepe. Darrien lasciò il vecchio generale nella vergogna e umiliazione delle sue azioni. Decise di andare dal nano di montagna per avere aggiornamenti sulla sua nuova spada o nuove invenzioni. All’interno dell’immenso castello si udiva la tuonante voce di Galeren che rimproverava alcuni suoi uomini per l’inefficienza in campo, ma Darrien non volle restare lì ad ascoltare.

‘’Giovanotto, tutto bene? Sembri affranto.’’- esordì una voce cavernosa, quasi bestiale che lo interruppe dal procedere verso la meta destinata. Il ragazzo riconobbe quella voce e il passo pesante del guardiano del Frammento.

‘’Più che affranto, sento svanire la speranza di ritrovare una persona a me cara. E sono inorridito dal comportamento di Batkiin. La guerra è una partita di scacchi, serve concentrazione e tatticismo. Senza di esse, perderai continuamente cosa che sta accadendo a tutti voi.’’- rispose il ragazzo, mascherando anche un impercettibile velo di stanchezza. Flarsok, la creatura simile ad un lupo ridacchiò poggiandosi sulla sua mannaia inastata comprendendo ciò che il ragazzo pativa e rispose:

‘’Il generale non sarà perfetto e avrà tattiche che non sono eccellenti, cerca di fare il possibile per l’esercito. Non vi è necessità di sfogare il tuo rancore represso contro di lui. Se ti lasci trasportare dalla tua ira, rischi di attirare il malcontento di altri uomini. Potresti aiutarlo invece, come ti chiese lui inizialmente. Io ora inizio il mio turno di guardia e per mezzodì mi troverai sulla balconata. Se hai bisogno di qualche consiglio saggio da un vecchio lupo come me.’’

Flarsok andò via lentamente a causa della protesi di metallo che gli procurava delle leggere fitte alla gamba, reggendosi sull’asta della mannaia. Il ragazzo, invece, si diresse dal Dolmihir. Aperta l’inusuale porta, preso l’ascensore e arrivato nel suo studio lo trovò a penzoloni sul soffitto. Gli arti meccanici che aveva sulla schiena gli impedivano una dolorosa se non fatale caduta. Sul pavimento vi erano alcune bottiglie di vino dall’odore acre, rimasugli di tacchino e briciole di pane.

‘’Buongiorno, nano di montagna.’’- esordì Darrien, riuscendo a farlo svegliare. Dolmihir borbottò quello che sembravano essere insulti in nanico, ma non appena riconobbe il ragazzo si mosse da quel bizzarro luogo.

‘’Sono un esperto nano di montagna. Il mio stomaco…ho bevuto troppo ieri sera. Alcuni miei vecchi amici sono venuti a trovarmi e sai com’è, tra un boccone e l’altro la prelibatezza del vino ti offusca. Perché sei qui, ragazzo?’’- chiese il nano, lasciandosi scappare dei flati puzzolenti. Lo sguardo indagatore del ragazzo lo imbarazzò fino a fargli ricordare il motivo. Si diresse rapido ad un lungo contenitore pieno di terra, trucioli ferrosi e che emanava ancora un intenso calore dai bordi e lo ruppe con una precisa e forte martellata al centro.

‘’Ecco a te la Lama della Vespa. Una spada leggera, dalla lama simile a quella di una Striscia ma che tende a restringersi sulla punta. La guardia, invece, tende a proteggere la mano e il polso da eventuali urti o tagli. Dato che provieni da Huvendal, sul pomolo vi è una lunga catena e ho dovuto costruirti un vambrace così da incastrare uno degli anelli sull’uncino.’’- esordì, porgendogli l’arma e il vambrace. Non appena il ragazzo sfiorò la lama, essa si illuminò di una luce nera e violacea per un breve lasso di tempo.

‘’Hai usato qualcosa per infusioni?’’- chiese Darrien, sorpreso dall’insolita reazione della sua nuova arma.

‘’Solo una miscela di elementi per evitare che la lama si danneggi con gli urti e fattori climatici. Non era previsto che reagisse così al tuo maleficio.’’- rispose il nano, lisciandosi i baffetti e indossando gli occhiali da lavoro. Il rumore dell’ascensore accennò l’arrivo di qualcuno di familiare per Dolmihir, che sorrise. Una donna con indosso un elmo celata entrò nello studio, portando in spalla una grossa che emetteva stridori metallici. La sconosciuta si tolse l’elmo liberando una cascata di capelli castani lunghi fino alle spalle e un viso che, nonostante le rughe e una cicatrice che partiva dalla fronte obliquamente giungendo sull’occhio sinistro, era impeccabile.

‘’Buondì cara.’’- disse Dolmihir, avvicinandosi. La donna lo alzò come se non pesasse nulla e lo baciò dolcemente sulle labbra.

‘’Buondì, marito.’’- rispose la donna, posandolo sul pavimento. Darrien fu sorpreso da quell’inaspettata rivelazione e cercò di mascherare il suo stato d’animo con un colpo di tosse. La donna si voltò e sorrise, per poi inchinarsi con il busto. Il nano di montagna, ancora inebriato dal bacio della sua compagna, esordì con un tono di voce stridulo e buffo:

‘’Ti presento Kohriss, la mia compagna.’’

‘’L’onore è mio. Mi occupo di recuperare materiali per le future invenzioni di mio marito, ma il mio compito principale è quello di torturare gli invasori resi prigionieri.’’- replicò la donna, con uno strano ghigno mentre stringeva la mano a Darrien.

‘’Ricorderò la tua professione ed eviterò di essere una tua cavia.’’- rispose il giovane, avvolgendo la catena della spada intorno il busto, diventando così un fodero temporaneo. Lasciò la coppietta intenta ad analizzare ingranaggi, molle e resti umani da poterli fondere e tramutare in armi letali. Una volta preso l’ascensore e uscito dal quel lugubre corridoio, udì qualcuno discutere in modo concitato e rabbioso. Era uno dei gladiatori sopravvissuti che chiedeva informazioni sullo sfidante dell’arena, assassino dei suoi compagni. In quel preciso istante i suoi occhi color ardesia si posarono su Darrien e gli corse contro ruggendo e imprecando. Fulminea fu l’oscurità che si propagò dalle sue mani e si conficcarono come quadrelli roventi nelle sue gambe, impedendogli di procedere oltre, facendolo cedere su un ginocchio:

‘’Maledetta carogna, hai massacrato i miei compagni! Non appena riesco ad acciuffarti, ti caverò gli occhi e ti userò come vaso da notte.’’

‘’Uccidere o essere uccisi. E io uccido per sopravvivere. Vuoi cavarmi gli occhi? Fatti avanti.’’- rispose il ragazzo, ricoprendosi di ombre diventando simile ad un demone. Brandì la sua spada e attese una mossa dell’energumeno, seppur ferito. L’uomo tentò di afferrarlo con una mano, impallidendo non appena si rese conto che la spada della sua preda lo aveva inchiodato al muro. Provò con l’altra per poi essere colpito in pieno mento da un montante che ruppe i denti e il labbro.

‘’Brami così tanto la vendetta da diventare impulsivo. Credevo che feroci lottatori come voi adoperassero l’astuzia. Tu sei l’opposto. Finiamola qui, sempre se non desideri raggiungere i tuoi compagni.’’- disse Darrien, staccando la spada dalla mano del gladiatore. Il lucido pavimento venne macchiato dal sangue scuro del lottatore, ancora iracondo e affannato. Il ragazzo lasciò il suo aggressore ferito per dirigersi all’esterno del regno in cerca di quiete; si sentiva tra una incudine di solitudine e un martello di vendetta per una sconfitta che non era di suo interesse.

Una volta all’esterno delle mura decorate da giganteschi e pesanti stendardi, i cittadini svolgevano le loro mansioni quotidiane come se nulla fosse accaduto precedentemente. Tra il continuo andirivieni dei carri pieni di viveri o armamenti, sentinelle che eseguivano il loro turno di ronda e venditori chiassosi, Darrien decise di percorrere un sentiero che conduceva nella foresta ricca di ogni tipologia di albero con colori affascinati e da immortalare in dipinti. Sfiorava quell’armatura naturale di guerrieri secolari dagli elmi screziati, ammirava come alcune creature lignee curavano gli arbusti, le piante rampicanti e sorvegliavano i boccioli di rose con attenzione: una di loro bloccò il cammino del ragazzo con dei rami incantati.

‘’Fermo! La vita di questi germogli è importante quasi quanto la tua, ragazzo. Cammina sugli argini del fiume, così da non deturpare la bellezza di questo luogo.’’- disse la creatura silvana, muovendo sinuosamente le sue mani per costruire delle piccole barriere fatte di radici per proteggere i germogli esposti. Camminando sull’argine di un lungo fiume, Darrien provava un senso di malinconia così forte da volersi strappare il cuore e ridurlo in cenere. Trovò una grande pietra dove potersi sedere e conficcò nel terreno la spada, restando ad osservare tedio in un punto cieco. L’oscurità, il suo potere, la sua maledizione fluiva come inchiostro sulla fredda ed umida roccia per poi evaporare in un pallido fumo nero:

‘’Che cosa me ne faccio di un potere…una maledizione così potente se non sono in grado di ritrovarla?’’- si chiese Darrien, notando la coltre di nebbia corvina avvolgergli le mani ed effondersi sulla superficie ove era seduto. Sentì qualcosa di leggero posarsi sulla sua spalla distogliendolo dal suo tormento. Scattò rapido da quel macigno brandendo la spada e cercò di colpire il potenziale nemico, ma il fendente venne bloccato da un fitto scudo di rovi essiccati, radici nodose e frammenti di cortecce pietrificate.

‘’Non nasconderti, affrontami!’’- tuonò il ragazzo, cercando in tutti i modi di rompere quella barriera.

‘’Affrontare un cavaliere preda della sua malinconia e dei suoi demoni interiori è disonorevole.’’- rispose la voce di una donna da dietro quello scudo. Una voce calma, come se fosse un sussurro placò l’animo iracondo di Darrien. La barriera protettiva si dissolse rivelando una incantevole donna dai lunghi capelli ricci simili alla criniera di un leone, la carnagione scura, un viso lentigginoso e un sorriso dolce. Indossava un magnifico vestito color smeraldo con ricami dorati che risaltava la sua snella figura.

‘’Mi perdoni, ho reagito solo per difendermi.’’- esordì Darrien, sistemando la spada sulla schiena, fermandola con la catena.

‘’Sei umano, hai agito seguendo il tuo istinto. Lieta di fare la tua conoscenza, mi chiamo Amphitrite. Sono una ninfa di questa vasta e rigogliosa foresta. Dalla carnagione pallida e statura, non sei di questo regno. Provieni da una terra lontana non è così?’’- chiese la ninfa, sorridendo intenta a rimuovere quella polvere di energia oscura lasciata dal ragazzo sul macigno con la sua magia.

‘’No, non sono di questo regno. Mi chiamo Darrien, provengo da Huvendal, situata nelle Terre del Nord. Sono un comandante d’élite, dal nefasto passato e con un flagello dentro di sé donatogli dalla propria madre.’’- rispose, serrando le labbra impercettibilmente. Dal terreno sbucarono delle radici che si unirono, andando a formare una sedia. La ninfa Amphitrite, ancora sorridente, lo invitò ad avvicinarsi:

‘’Così giovane e già temprato dalle guerre. Prego, siediti. Percepisco il tuo desiderio di parlare con qualcuno per liberarti da questo supplizio e sono qui per ascoltarti.’’- replicò, attendendo pazientemente seduta sul masso ricoperto di edera e con le mani incrociate in grembo. Darrien accettò, seppur riluttante, a sedersi e a raccontare ciò che lo stava logorando. Raccontò brevemente della sua infanzia, di come il Re di Huvendal lo prese sotto la sua ala e lo accudì come se fosse realmente suo figlio per poi diventare uno dei comandanti d’élite delle Guardie Merfolk.

‘’A causa del mio potere, ho sempre cercato di evitare il contatto con altre persone fino all’arrivo di una splendida donna nel nostro regno. Il suo nome è Arilyn, anch’ella ultima della sua stirpe e dotata del mio stesso potere ma della Luce. Abbiamo combattuto la Grande Guerra d’Inverno e della Fiamma Arcana sconfiggendone i due sovrani. E adesso…io sono qui in un regno che brulica di ricchezza, egocentrismo e menzogne, ignaro dove possa essere lei.’’- furono le ultime parole di Darrien prima di distogliere lo sguardo dalla ninfa, commossa dal racconto del ragazzo e dal profondo amore che provava per la sua compagna. Alcune lacrime scivolavano lente e solitarie sulle guance, lasciando la donna senza parole per un breve lasso di tempo.

‘’Oh, perdona il mio infantile vagito. È curioso come, nonostante il tuo comportamento risoluto, tu possa provare un sentimento così forte come l’amore e quella speranza di ritrovare la tua compagna. Da quando nostra sorella è scomparsa, non ci siamo perse d’animo e preghiamo le stelle e la Dea del Cosmo affinché possa permetterci di ritrovarla.’’- disse Amphitrite, asciugandosi il pianto ormai immobile sulle guance lisce.

‘’La Dea del Cosmo…Chissà se non è un suo artificio, confidando sul fatto che entrambi dovessimo ritrovare quell’equilibrio dell’anima ormai perduto.’’- rispose Darrien. Fu in quell’istante che intuì la ragione per la quale si trovava nel Regno dei Rovi Bianchi e si sentì uno sciocco. Rise sommessamente, passandosi una mano tra i capelli corvini ed esordì:

‘’La Dea del Cosmo ci ha sempre messo alla prova, fin dalla guerra contro la Regina di Ghiaccio. Avendo affrontato suo fratello, Gallart, il nostro animo è stato corrotto dalla violenza e senso di impotenza che ci ha impedito inizialmente di sconfiggerlo. Per questo sono qui e anche perché tutti basano la loro attuale vita sull’equilibrio. Per tutte le stelle. Grazie Amphitrite!’’
Darrien si avvicinò alla ninfa, le prese la mano e porse un bacio su di essa da vero galantuomo. Amphitrite arrossì e torturava i suoi lunghi ricci, ma accettò quel gesto di cortesia:

‘’La tua compagna è fortunata ad avere un cavaliere così valoroso e leale come te, ma io non ho fatto altro che ascoltarti. E sarò sempre qui, se vorrai. Ritrovala, confido in te Darrien.’’- rispose la ninfa dalla chioma nera, scendendo dal masso e stringendo le mani del ragazzo nelle sue. In quel momento, una seconda ninfa attraversò il piccolo fiume e salutò Amphitrite e il ragazzo: aveva la stessa corporatura snella avvolta in un abito verde muschio con ghirigori bianchi ricamati, capelli color nocciola lunghi e mossi e occhi cangianti.

‘’Nomia, bentornata. Il pastore infedele come sta?’’- chiese la ninfa Amphitrite, notando lo sguardo torvo della sorella.

‘’L’ho reso cieco e attendo solo che la sua anima lo abbandoni, quel figlio di una cortigiana!’’- replicò rabbiosa la donna, per poi calmarsi non appena i suoi occhi incontrarono l’azzurro di quelli di Darrien. Si sentì in imbarazzo per quel pietoso sfogo e, schiarendosi la voce con un colpo di tosse si presentò al giovane che ricambiò:

‘’Lieto di conoscerti, io sono Darrien. Ti ringrazio ancora Amphitrite per avermi ascoltato e, per ricambiare il favore, proverò in un modo o nell’altro a trovare la vostra sorella perduta.’’- rispose il giovane, coinvolgendo emotivamente le due donne che si strinsero le mani per reprimere delle lacrime. Congedandosi con un inchino, ricevendo un profondo ringraziamento dalle ninfe, si diresse al Palazzo Reale sentendosi energico. Sulla strada del rientro, però, notò un cavaliere con indosso della ferraglia arrugginita e crepata in più punti. Riconobbe i segni scuri e profondi sul metallo e quel volto impeccabile: Batkiin era in quell’angolo di natura che impartiva ordini ad alcuni soldati corazzati. Ai loro lati vi erano degli schiavi intenti a preparare delle baliste prive d’arco, munite di una molla in ferro bloccata da un uncino e su ognuna di esse vi era un lungo dardo acuminato. Il generale con un gesto della mano ordinò di azionare le baliste che spararono emettendo assordanti boati e i dardi distrussero degli alberi secchi, sparpagliandone ovunque i frammenti. Il generale convocò uno schiavo e gli dettò ogni risultato derivante dalle armi usate, per mandarlo via con un poderoso calcio sul fondoschiena. Darrien avvertì qualcuno al suo fianco, ma prima che potesse brandire la sua spada una grande mano artigliata e pelosa fermò la catena che usava come fodero:

‘’Non fiatare ragazzo. Di solito sono io a tenere d’occhio il generale quando si sente ferito nell’orgoglio o colpevole, ma questa volta è diverso. Io e il mio fratellastro abbiamo chiesto al Re di inserirti tra i candidati per comandare l’esercito. Al prossimo scontro sul campo da battaglia, verrai messo in prima fila e se farai una buona impressione sui soldati, il grado di generale passerà a te.’’- disse la voce gutturale e ringhiante di Veasrik, che si reggeva sulla sua mannaia inastata.

‘’Perché lo avete fatto? Nonostante odi le sue tattiche, usurpare la sua carica militare è riprovevole.’’- rispose Darrien rimproverando quella decisione senza aver chiesto la sua opinione. Il grosso lupo antropomorfo ridacchiò, mostrando i suoi denti aguzzi e lasciando la presa sulla catena invitando il ragazzo a rientrare a palazzo. Mancavano pochi passi all’arrivo delle mura, se non fosse per una strana sensazione di pericolo nascosto nell’ombra che Darrien continuava a percepire: il suo sguardò colse, nell’ombra, due luminose e minuscoli bagliori rossi. Il ragazzo usò il suo potere per eliminare la minaccia, venendo contrastato:

‘’Oh, il tuo potere è simile al mio. Affascinante. Sfortunatamente, non abbastanza forte da ferirmi.’’- disse lo sconosciuto, uscendo dal suo nascondiglio e manifestarsi in tutta la sua oscura fierezza. Sorrise e svanì nelle ombre, lasciando il ragazzo immobile tra la natura.
 
Estremo Ovest. Cittadella degli Abbandonati. Mezzodì. Estate.

Nella prigione della cittadella, il detenuto Hrjelvul era seduto in una delle poltrone nello studio del giustiziere con il corpo completamente fasciato dalla testa ai piedi e con indosso abiti da schiavo. Osservava il soffitto della stanza, decorata eccentricamente ma con parsimonia.

‘’Quante decorazioni superflue per la stanza di un sadico bastardo.’’- disse l’uomo, senza vergogna e incurante della presenza del grosso boia di fianco la scrivania che lo sorvegliava minaccioso. Dall’uscio entrò Wozemhri indossando la sua lunga divisa militare agghindata da medaglie e nastri, mentre la barba era legata in una lunga treccia nera. I suoi occhi saettavano da un foglio all’altro fino a fermarsi al prigioniero seduto sulla poltrona con disinvoltura.

‘’Un mezzosangue in grado di percepire l’aura di due entità leggendarie. Lo hai tenuto segreto per molti secoli da quello che mi dicono guaritori e veggenti.’’- esordì il giustiziere, raggruppando i fogli e posandoli nel cassetto. Il prigioniero ridacchiò brevemente, meravigliato dall’inconsapevolezza dell’uomo barbuto sulla sua longevità. Inclinandosi in avanti, con serietà, rispose:

‘’Sono quasi cinquant’anni che vivo in questo letamaio di prigione, tu ti preoccupavi delle scartoffie e documenti reali, io percepivo invece il ritorno dell’Era Oscura e dei due testimoni di tale avvenimento. Sono un mezzosangue per una conseguenza di quell’epoca, e anche punizione. Le piaghe che affliggono il mio corpo sono la disperazione, il sangue e la morte che ha coinvolto vecchi popoli. Tu non comprenderai mai cosa si prova finché non proverai tutta quest’agonia sulla tua insulsa pelle.’’- terminò digrignando i denti in una smorfia di dolore, notando alcune bende strappate e imprecando contro i suoi guaritori. Wozemhri non sembrò colpito da quel discorso, tanto da sbadigliare e versarsi del tè allo zenzero. Vòh, il boia ed instancabile guerriero attirò l’attenzione del giustiziere usando la punta della sua ascia e lo rimproverò per esser stato sgarbato:

‘’In breve, tu saresti un testimone secolare con l’abilità della chiaroveggenza che subisce le atroci sofferenze di una fantomatica epoca oscura che si è già abbattuta su queste terre chissà quanti secoli fa e io dovrei crederti Hrjelvul? Sei un lurido prigioniero con qualche forma di demenza.’’- rispose, ricevendo un borbottare di disapprovazione da parte del boia intento a sistemare dei libri fuori posto: pur conoscendo i problemi mentali dell’omaccione, non provava alcun rimorso per quello che diceva. Si reputava un uomo di sani principi e schietto. Il mezzosangue si alzò tremante dalla sedia e, constatando alcune bende gocciolanti sangue che pendevano dalle mani, le strappò e le gettò contro il volto barbuto del giustiziere, per poi cadere nella tazza di tè.

‘’Un piccolo assaggio.’’- disse il mezzosangue, con un ghigno malefico. Si udì una campana risuonare nel centro della cittadella, seguita dal cozzare di soldati che si dirigevano all’uscita del palazzo governativo. I tre uomini seguirono il gruppo di soldati e altri funzionari verso l’esterno; in quel momento il mezzosangue rallentò il passo, sentendo la pelle squarciarsi e macchiare di sangue scuro le bende. Non passò inosservato, generando terrore tra i presenti, tranne in Vòh che restò lì ad occuparsi di lui con alcune erbe medicinali che aveva in un borsello.
Giunti fuori la struttura governativa, al centro della roccaforte vi era un uomo coperto di stracci e mingherlino. Un fulgore biancastro avvolgeva il suo esile corpo, provocando un brusio e il bisbigliare incessante dei corpulenti funzionari e nobili dalle guance flaccide. Delle sentinelle, armate di balestre e tridenti, lo accerchiarono mentre un uomo con una corona decorata da infinite pietre preziose e con indosso un mantello di velluto giunse da dietro quel muro di corazze:

‘’E tu saresti?’’- domandò perplesso colui che doveva essere il regnante della cittadella. Al suo fianco una donna dai capelli biondo ramati raccolti in una elaborata acconciatura osservava con aria annoiata lo scenario. L’uomo dagli abiti logori si avviò verso il regnante, ancora sorridente sotto il cappuccio. Dall’alto della torre difensiva, la Guardiana e i suoi soldati scoccarono in simultanea diverse frecce che sibilarono dirette verso il minaccioso individuo. I dardi attraversarono quel corpo senza causargli danni, conficcandosi nel terreno brullo.

‘’Un benvenuto indecoroso. È così che trattate gli ospiti? Con una pioggia di dardi acuminati?’’- chiese lui, meravigliandosi dell’attacco a sorpresa. Il regnante e la sua compagna serrarono le labbra, increduli per quel che avevano appena visto:

‘’Interessante e curioso trucco di magia. Ma sei un errante prestigiatore, quindi non riceverai neanche un soldo da noi. E, a giudicare dal tuo aspetto trasandato, sarai anche malato di peste. Buffo, un prestigiatore malato.’’- disse, ridendo sguaiatamente e coinvolgendo i presenti. Con un movimento rapido della mano, l’esile figura scaraventò nella terra il ridicolo governante. Un’altra persona comparve nella piazza, anch’essa avvolta da abiti sudici.

‘’Sono passati secoli da quando questa cittadella è stata costruita con umiltà. A malincuore vedo che tutti voi luridi esseri corpulenti e dalle guance flaccide siete così ignari dell’imminente sciagura che si sta per abbattere su queste terre. Vi sentite così potenti, ma siete solo vigliacchi che usano i soldati per sentirsi potenti. Dovrei uccidervi tutti…’’- tuonò l’uomo evocando una sfera di fuoco dalla mano, tuttavia fermandosi non appena i suoi occhi si posarono su Hrevlul, ricoperto di sangue e poggiatosi ad un carro.

‘’Non dovrebbe essere morto?’’- chiese sussurrando la donna, notandolo. La risposta fu solo un grugnito profondo.

‘’Recluso e Peccatrice, perché siete qui?’’- fu la domanda che scatenò gemiti di orrore tra i presenti, tra cui anche i governanti impallidirono rendendosi conto dell’imperdonabile errore commesso. Anche dall’alto della torre la Guardiana Tyarjes era preoccupata per l’incolumità dei cittadini:

‘’Dharga, tu e Indilah cosa vedete dalla vostra posizione?’’- chiese lei alle due donne dall’altro lato della torre attraverso un sistema di comunicazione simile ad un corno incastrato; la torre della guardiana era stata costruita in modo da avere una visione chiara e completa dell’intero territorio dell’Estremo Ovest. Le donne risposero che nessun nemico avanzava verso di loro, né dai boschi o dalle colline.
Il Recluso, ancora con gli occhi fissi sul prigioniero ferito, sorrise e dissolse la sfera infuocata con un movimento della mano per poi materializzarsi a pochi passi da lui: il suo sorriso diabolico però era in contrasto con i suoi occhi tristi e vacui. Hrjelvul si inginocchiò in preda ad una forte agonia all’addome con conseguente perdita copiosa di sangue.

‘’Dall’Epoca Oscura fino ad arrivare agli Astrali. Sei un mezzosangue tenace, caro Hrjelvul ma porti con te le nefaste conseguenze di quel periodo. Devo ammettere, però, che l’immortalità ti dona.’’- disse il Recluso, emanando un bagliore bluastro sull’uomo coperto da bende, alleviando il tormento e impedendo la perdita di altro sangue. Anche la Peccatrice, con furtività, si avvicinò ai due individui nascondendosi sotto il cappuccio che indossava e domandò:

‘’Di cosa hai bisogno Hrjelvul? Saresti dovuto morire millenni fa invece di fare questa vita da miserabile schiavo e…’’- venne interrotta dal Recluso con una gomitata nel fianco.

‘’Vorrei sapere perché siete qui. Non credo sia per farmi visita, dunque qual è il motivo?’’- chiese con più convinzione il prigioniero, spostandosi dalla pozza di sangue ai suoi piedi.

‘’Dato che apprezziamo di più la vostra umiltà, senso del dovere e rispetto per gli altri così come per i Rovi Rossi, siamo qui per dirvi che il Re delle Spine e i suoi figli stanno tornando. Questa volta non basterà l’esercito della Creatrice.’’- rispose il Recluso, a gran voce sicché tutti potessero sentirlo anche dalla torre della Guardiana. Wozemhri impallidì, rendendosi conto che il suo ‘’tornaconto’’ aveva ragione fin da subito.

‘’Baggianate! I Rovi Neri sono stati sconfitti millenni fa dall’esercito della Creatrice. Il Re delle Spine è stato trafitto dalle spade dei cavalieri e decapitato, mentre i suoi figli fuggiti come cani bastonati.’’- s’intromise il governante, con sorriso beffardo. Il Recluso si materializzò davanti il governatore e lo afferrò per il collo, affondando le dita ossute nella pelle fino a farla sanguinare:

‘’Dovresti parlare di meno e ascoltare di più, Re Kieran Edë. Tu e la tua compagna dovreste riformare l’esercito, trovare nuovi armamenti e inviare il supporto al regno dei Rovi Rossi, invece di ingozzarvi di pasticcini alla crema e bere liquore ogni giorno. Ridicoli maiali all’ingrasso!’’- ringhiò l’entità leggendaria, lasciando la presa sul collo del Re. I balestrieri zadanri a stento trattenevano il riso dopo aver sentito il paragone rivolto ai sovrani della Cittadella, ricevendo un severo richiamo da Tyarjes.

‘’Quando i tre frammenti dell’immensa Fiamma d’Ambra risplenderanno alte nel cielo e la terra si spaccherà, i Rovi Neri risorgeranno dagli abissi. Oh, la Fiamma d’Ambra, splendida ed irresistibile che solo a guardarla è un sacrilegio.’’- disse la Peccatrice, stringendo i lembi dei suoi stracci e gemendo in preda all’estasi. Il Recluso, disgustato da quei versi, si allontanò dal regnante e si avvicinò alla donna afferrandole la testa e stringendo le dita sul fragile cranio.

‘’Considerate tutto questo…una cortesia. E per l’amor delle stelle, Kieran abdica in favore di tuo fratello. Sei uno scherzo ed un mediocre insulto alla nobiltà vera.’’- terminò il Recluso, scomparendo assieme alla Peccatrice in una nube polverosa. Il capo delle Sentinelle impartì ordini ai suoi soldati, i vari corpulenti governatori si diressero in diverse abitazioni, il Re e la sua compagna tornarono a palazzo irritati e angosciati; Hrjelvul rimase seduto vicino la carrozza, incredulo anche lui del ritorno dei Rovi Neri e di una possibile nuova Epoca Oscura.

‘’Non preoccuparti Hrjelvul, ti proteggerò io da questi temibili lestofanti.’’- esordì Vòh, con un sorriso innocente e completamente ignaro del significato. Il detenuto ridacchiò a quella purezza quasi infantile e, donandogli una pacca amichevole sulla spalla, ritornò nel suo cubicolo roccioso e sbarrato. Il suo aguzzino si carezzava la barba intrecciata, escogitando qualche losco piano per i suoi affari. Le labbra si deformarono in un ghigno meschino e già immaginava una pioggia di monete di platino, lastre di giada e altre ricchezze. I suoi infidi e avari pensieri si dissolsero nel nulla non appena qualcuno gli sferrò un pugno sulla spalla: una donna, dai capelli castano scuri raccolti in una treccia e dagli occhi feroci gli si parò davanti con indosso una corazza di holrealgare magenta, con dei vambrace muniti di spezza-lame con venature cremisi risplendenti.

‘’Signuva, hai perso il lume della ragione? Perché mi hai aggredito?’’- domandò esterrefatto il Wozemhri, massaggiandosi la spalla dolorante e lamentandosi. Constatò anche di star sanguinando, probabilmente dovuto ai guanti di ferro acuminati.

‘’Siamo a pochi passi da una sanguinosa guerra contro un nemico spietato e tu cosa fai? Pensi a come arricchirti usando il mezzosangue. Io sono un comandante e stratega, la mia mente è pura da ogni tentazione che possa compromettere la mia posizione.’’- disse Sugnuva, con un forte accento di terre nordiche. Si rimise l’elmo che raffigurava una testa d’orso, animale guida del paese d’origine del comandante.

‘’Almeno io mi porto la pagnotta a casa, piuttosto che vivere proteggendo un maiale.’’- rispose l’uomo barbuto, recuperando un fazzoletto di seta dalla sua tasca e poggiandolo sulla ferita. La sua schiettezza irritò la donna che lo afferrò per il colletto della sua divisa e, puntando gli spezza-lame del suo vambrace destro a pochi millimetri dagli occhi di Wozemhri, sibilò:
‘’Prestami ascolto Velkast! Il mezzosangue non sarà il tuo mero strumento di ricchezza, lui resta qui con noi. E ti avverto, prova a torturarlo per avere altre informazioni e giuro che ti stapperò quei denti uno per uno per farci una collana, mentre il tuo teschio lo userò come calice.’’
Signuva gettò nel terreno polvere il giustiziere con rudezza, imitando il bramito di un orso e andò via.
 
Broym Fleu. Masseria della Curatrice. Estate. Pomeriggio.

Arilyn riposava sul divano nel salone della Masseria, recuperando il sonno interrotto alle prime luci dell’alba. Ancora una volta si ritrovò catapultata nel mondo onirico circondata da gigantesche vallate coperte di petali rosati, alberi dalle radici nodose e dalla corteccia dura come la pietra, un cielo con diverse sfumature di rosso e quel senso di pace che cullava il suo cuore. Si stupì dell’assenza di Gallart e ne approfittò per scendere giù dalle pendici della collina dove si trovava, voltandosi e ammirando con immensa felicità quell’idilliaco regno. Preda dell’improvvisa serenità lasciò sprigionare il suo potere, creando spirali di luce dorata che si dispersero nel cielo del tramonto. Si lasciò cadere nell’erba soffice, sentendosi quasi rinata e dopo mesi di pensieri cupi, rise fino alle lacrime.

‘’Erano anni che non sorridevi realmente, giovane Thandulircath.’’- disse una voce a pochi centimetri da lei. La ragazza aprì gli occhi e vide un uomo con indosso una vecchia divisa militare sgualcita che esprimeva onore e dovere, contrastati dal viso docile e il sorriso disarmante. Arilyn lo abbracciò con affetto, riconoscendolo.

‘’Anche se è un sogno, è bello rivederti Rhakros. Come hai fatto a trovarmi, il regno dei sogni è così vasto da perdersi.’’

‘’Il tuo potere è inconfondibile. E devo ammettere, è impressionante vederlo di persona piuttosto che sentirlo da altri fortunati. Tuo padre è fiero di quel che sei diventata, di come gli ultimi eventi non hanno ostacolato il tuo cammino e di come hai dimostrato di essere un leone in armatura.’’- rispose l’uomo, poggiando una mano sulla spalla della ragazza per poi farla alzare. I due camminarono per diversi minuti nella vallata, condividendo le loro esperienze da cavalieri e storie buffe.

‘’Rhakros…hai mai avuto quella sensazione che qualcosa mancasse nel tuo animo?’’- domandò improvvisamente la giovane Thandulircath, osservando l’orizzonte.

‘’Una sensazione naturale. Per comprendere bisogna scavare dentro noi stessi e cercare ciò che manca, per poi ritrovarla o sarà tardi. Non temere, la tua tenacia ti aiuterà. Adesso, seguimi che qualcuno vuole vederti.’’- replicò Rhakros, ancora sorridente per riprendere il cammino nella vallata fiorita. Arilyn tenne a mente le sue parole e lo seguì, incuriosita. Attraversato una foresta di alberi di cedro, i due condottieri si ritrovarono su una sporgenza rocciosa ricolma di fiori bianchi e rossi che ondeggiavano accarezzati dalla brezza: un uomo ed una donna erano seduti nell’erba soffice, stretti in un candido abbraccio. Quando la coppia sentì i loro passi, si alzarono e sorrisero non appena notarono Arilyn.

‘’La Dea del Cosmo ci ha permesso nuovamente di entrare in questo regno onirico. Oh bambina mia.’’- disse la donna, commuovendosi. Il suo compagno le strinse la mano, standole vicino e prese lui la parola, inchinandosi prima:
‘’Arilyn Saavick, ultima della stirpe Thandulircath. Il tuo nome è l’unione dei nostri, dato che volevamo conservare ciò che ne restava del nostro popolo. Siamo così orgogliosi di averti donato la vita e grati a Vorshan per averti salvata da quell’inferno gelido.’’- terminò, estraendo un ciondolo con la stessa effige del lupo che aveva la ragazza. Sbarrò gli occhi non appena comprese che la coppia erano i suoi veri genitori. Si abbracciarono, come una vera famiglia. Arilyn aveva migliaia di domande da fare, ma lasciò cullarsi da quell’interminabile abbraccio.

Riaprì gli occhi, ritrovandosi stesa sul divano della masseria illuminata dal sole pomeridiano con la testa che le doleva e le guance rigate da minuscole lacrime. Sentiva delle voci provenire dall’altro lato del salone, di Imryll e l’altra di una donna la quale non riusciva a distinguere. Discutevano di altri possibili attacchi da parte dei Rovi Bianchi, di come servisse una strategia difensiva innovativa.

‘’Tua figlia è concentrata maggiormente su uno stile d’attacco frontale che a sorpresa. Tutte le nostre tattiche sono ormai obsolete e rischiamo di avere ingenti perdite tra i vari plotoni. Ti sto chiedendo molto è vero, ma da quello che ci hanno riferito i soldati Arilyn ha un approccio diverso. Abbiamo bisogno di lei a Palazzo.’’- disse la donna. In quel momento la giovane Thandulircath picchiettò le nocche della mano sul tavolo, attirando la loro attenzione. L’ospite era la Quinta Sorella del Concilio, Erthaor, che inchinò il capo in segno di cordialità.

‘’Erthaor molti soldati non guardano di buon’occhio la nostra ospite e rischiamo un ammutinamento da parte loro. Io temo per lei quasi quanto per il regno, nonostante il giuramento fatto. La considero una seconda figlia per me e…’’- Imryll venne interrotta dalla donna che posò le mani sulle sue spalle, replicando:

‘’Gli unici che la considerano ancora una minaccia sono i vecchi membri dell’esercito e alcuni degli Anziani, ma noi abbiamo visto la purezza che emana il suo cuore.’’

‘’Accetto, ad una condizione. Tutti coloro che vivono in questa masseria dovranno avere una protezione aggiuntiva da parte delle Vostre sentinelle. Ho giurato di proteggervi, ma chiedo che anche le persone a me care siano protette.’’- rispose con serietà Arilyn, tanto da stupire la Curatrice Bianca. La Quinta Sorella del Concilio acconsentì e chiese alla giovane Thandulircath di sistemare i suoi oggetti e presentarsi a palazzo all’imbrunire. All’esterno della masseria, inaspettatamente, risuonarono delle campane e delle voci concitate: un uomo, con una divisa decorata da nastri e medaglie, attendeva sul suo destriero corazzato circondato dalle sentinelle della Curatrice Bianca. Il cavaliere estrasse un telegramma con il vecchio stemma del Regno dalla sella di un secondo cavallo al suo fianco destro e disse a gran voce:

‘’Il Concilio richiede immediatamente la presenza della Quinta Sorella a palazzo. Ci sono aggiornamenti sulla ricerca delle due entità leggendarie da parte dei soldati. Per cortesia, cari soldati, abbassate le armi.’’

Erthaor si avviò senza far attendere oltre il cavaliere e, salita in groppa al destriero, entrambi si avviarono verso il palazzo nel mentre che tutti i soldati si inchinarono posando la mano destra sul cuore. La giovane Thandulircath, prima di trasferirsi a corte, decise di informare Elfriede del suo nuovo compito per poi tornare e salutare Imryll. Giunta ad un tratto di foresta dagli alberi arcati Arilyn percepì una dolorosa fitta alla testa, un turbinio di colori scintillanti e frammenti di vecchi ricordi. Vedeva creature alte il doppio di lei che riducevano in briciole mostri di pietra, gigantesche fiamme divampare su una distesa di sabbia e rovine che crollavano. Al suo fianco c’era un ragazzo che emanava oscurità dalle sue mani, serpeggiante verso i loro elmi e distruggendo una fiamma cristallizzata. Scosse la testa cercando di riacquistare il controllo e di alleviare il suo tormento respirando a pieni polmoni. Riprese il cammino verso il fiume dove venne salvata per cercare Elfriede e le Ninfe. Un fulgore luminoso simile ad un falò accecò brevemente Arilyn prima di consentire nuovamente alla luce pomeridiana di tornare a regnare:

‘’Sei sicura di voler andare a Palazzo nell’attuale condizione emotiva? Lì vige serietà e disciplina, bisogna indurire il cuore, evitare qualsiasi sfumatura d’empatia.’’- disse la voce familiare dello spirito della foresta.

‘’Ho pieno controllo delle mie emozioni, Hosral. Solo la mia salute è ancora cagionevole.’’- rispose la ragazza, proseguendo senza fermarsi.

‘’Non voglio ostacolare o compromettere la tua decisione, voglio solo che tu comprenda quanta responsabilità dovrai portare sulle tue spalle d’ora in poi. Soprattutto se un giorno diverrai un Legionario.’’- ribadì lo spirito, fluttuando da un albero all’altro con eleganza.

‘’L’unica responsabilità che considero prioritaria è proteggere le persone a me care. Ho perso tre persone alla quale ero affezionata più di ogni altra cosa, non voglio che accada nuovamente!’’- replicò Arilyn irritata e allo stesso tempo malinconica a quelle ovvie considerazioni. Lo spettro si limitò semplicemente ad annuire e tornò ai suoi doveri, consentendo alla giovane di proseguire il suo cammino. Quando scrutò un lungo corso d’acqua circondato da argini fangosi, vide con gioia le ninfe ed Elfriede che parlavano come lontane amiche circondate da ghirlande e corone di fiori ed erba intrecciate tra loro. Atlantia notò l’arrivo della giovane Thandulircath e la invitò ad unirsi a loro:

‘’Hai qualcosa da dirci, prode condottiera?’’- proferì la donna, sorridendole per metterla a suo agio innanzi alle sue sorelle.

‘’Sono solo passata per salutarvi, Erthaor vuole che mi trasferisca a palazzo per ricevere una migliore preparazione e per condividere con l’esercito ogni strategia bellica a mia disposizione. Ho espresso chiaramente che tutte voi, la Curatrice Bianca e tu Elfriede, riceviate protezione dalle loro guardie reali.’’- rispose Arilyn, sistemandosi alcune ciocche di capelli dietro l’orecchio, avvertendo un crescente senso di mestizia nel suo animo. Elfriede posò la mano sulla sua spalla e ringraziò per il suo nobile gesto:

‘’Perdonami se non siamo più riuscite ad allenarci come avevo promesso. Spero che a Palazzo tu possa brandire la tua lama e affinare la tua abilità piuttosto che imitarne i movimenti con un ramoscello.’’- proferì la ragazza, ridendo e coinvolgendo sia Arilyn che alcune Ninfe. Dall’altro lato del fiume si udirono degli zoccoli giungere dalla boscaglia, rapidi e quasi tuonanti sul terreno fangoso. Arilyn convocò il suo potere, avvolgendosi in una abbagliante luce dorata pronta a sferrare il colpo difensivo: cercò la sua spada, invano ricordandosi di averla lasciata nella masseria. Dalla fitta vegetazione comparvero una dozzina di cavalieri in groppa a stalloni bardati e protetti da una spessa armatura a piastre, identica ai loro padroni con uno stemma verde acqua dipinto sulla pettorina e sulle spalline. L’ultimo a presentarsi era un ufficiale dall’armatura spigolosa ed elegante, con un elmo simile alla testa di una vespa e interamente dipinta di verde acqua fatta eccezione per alcune decorazioni dipinte di nero. Tutti gli uomini a cavallo presero il loro scudo e lo puntarono in direzione dell’ufficiale che emise un forte ruggito, manifestandosi come onde di energia. Una barriera d’energia evocata da Arilyn impedì a quel fatale colpo di investirle, infrangendosi come il vetro.

‘’Allora i ricercatori non mentivano!’’- strepitò il fantomatico aggressore, correndo verso il ruscello e superandolo con un piccolo balzo. L’ufficiale si tolse l’elmo che celava una donna dai capelli biondi raccolti in una lunga treccia e un viso di pura fierezza. Arilyn notò un particolare familiare: un ciondolo argentato che a stento riusciva a trovare spazio tra il collo e l’armatura.

‘’Sharal?’’- chiese la giovane Thandulircath, ricordandosi di averla vista per la prima volta al ballo indetto da Searlas durante il Grande Gelo.

‘’Che bello rivederti Arilyn!’’- rispose lei, abbracciando la sua amica quasi a mozzarle il fiato. Dopo quel caloroso gesto, l’ufficiale Sharal ordinò ai soldati di mantenere la posizione fino a nuovo ordine e di attaccare solo se necessario una potenziale minaccia non indentificata.

‘’Quando il vadmadra e i due ricercatori di questo regno sono passati per il mio, chiedendo informazioni su due creature o entità leggendarie per ordine del vostro concilio, nel documento era inserito anche il tuo nome. Sono qui per questo, ma non ho creduto a quell’uomo finché non ti ho visto. Come sei finita in questo luogo?’’- chiese la donna, posando l’elmo su una roccia.

‘’Non lo so. Ho solo vaghi ricordi di ciò che è successo negli ultimi due mesi, come la guerra contro Gallart ma chi vi fosse con me…’’- replicò Arilyn, sentendosi amareggiata per non essere stata in grado di rispondere concretamente alla domanda.

‘’Vuol dire che non ha memoria di Darrien…’’- pensò tra sé e sé Sharal, ma le rispose con pacatezza dicendo che prima o poi la memoria sarebbe ritornata ed ogni tormento svanito. I pochi raggi solari avevano assunto una sfumatura cremisi che tingeva la natura di una surreale atmosfera autunnale. Arilyn ricordò di doversi presentare a palazzo all’imbrunire e si congedò per recuperare i suoi oggetti lasciati nella masseria, venendo accompagnata da Elfriede mentre Sharal ordinò ai suoi uomini di proseguire il cammino. Quando le due ragazze tornarono nella masseria, la Curatrice Bianca era già sull’uscio ad attenderle stringendo tra le braccia uno zaino di pelle. Elfriede se ne andò nella sua stanza, ringraziando ancora la giovane Thandulircath per essere parte del Regno dei Rovi Rossi e soprattutto sua amica.

‘’Nello zaino troverai qualche leccornia in caso il cibo a palazzo possa risultarti sgradevole, degli indumenti puliti e…Lo spirito da madre si fa sempre vivo in occasioni come queste.’’- disse Imryll, porgendole la bricolla e la spada. Arilyn abbracciò con affetto la Curatrice Bianca che ricambiò il gesto, tenendola a sé per qualche minuto trattenendosi dal commuoversi.

‘’La porta è sempre aperta per te. Dimostra a tutti il tuo valore.’’- disse nuovamente la Curatrice Bianca, asciugandosi gli occhi umidi.
‘’L’ho sempre fatto, e continuerò a farlo. Io ti ringrazio per avermi ospitato e non avermi considerato una minaccia. Ci rivedremo un giorno.’’- rispose Arilyn, prima di avviarsi verso il Concilio, dove avrebbe iniziato una nuova vita. Uno degli scudieri le affidò uno dei suoi cavalli migliori consentendole un viaggio meno faticoso e di non preoccuparsi, dato che il puledro sapeva tornare da solo. Saltò in groppa al cavallo e lo spronò a cavalcare lungo i sentieri sicuri del Broym Fleu, evitando temibili trappole ed imboscate. Scrutò, durante il tragitto, il plotone di Sharal e si mise in testa al gruppo scortandoli nella città.
Giunti nel Lynmes Alno, ad attenderli pazienti vi erano le guardie reali e il Vadmadra; nonostante la pazienza di quest’ultimo, fece notare l’ampio ritardo mostrando una clessidra a metà. Lasciati i cavalli, i soldati ed Arilyn entrarono a palazzo e vennero accolti dalle Sette Sorelle, i Legionari e il messaggero.

‘’Siamo onorate di averti qui con noi, Ufficiale Sharal. Le tue informazioni saranno davvero utili per trovare il Recluso e la Peccatrice. E diamo il benvenuto ad Arilyn Saavick, che verrà addestrata dai Culiars e dal Comandante dei Legionari, Iridia Dewdrop.’’- esordì Daernith, alzandosi dal suo trono allargando le braccia e invitando i presenti a congedarsi nei loro alloggi, ad eccezione dell’Ufficiale: i documenti e la mappa degli spostamenti delle due entità leggendarie erano di estrema importanza.
Morkai, il messaggero del Concilio, notando l’imbarazzo e il senso di smarrimento della giovane Thandulircath le indicò la strada degli alloggi e di non preoccuparsi per il pasto, dato che ogni stanza era dotata di porta vivande e bastava il suono della campana per avvertire il cuoco. Una volta arrivata nel suo nuovo alloggio, la cura e l’ordine per la mobilia erano invidiabili. Vi erano diversi supporti in legno per l’armatura, abiti cerimoniali e da sera, una scrivania in legno scuro con l’effige del regno incisa sul piano orizzontale impreziosita da polvere di rubino e su di esso dei libri storici, degli scaffali, il letto e un piccolo bagno. Qualcuno bussò alla porta della sua stanza, facendola sobbalzare per l’inaspettata visita. Riconobbe l’armatura di rovi che flebilmente emanavano un bagliore rossastro; Iridia era ferma all’ingresso:

‘’Il Concilio mi ha chiesto di darti il benvenuto di persona. Non credere che io abbia deciso di essere amichevole nei tuoi confronti, non mi fido ancora di te. Ci avrai pur salvato dall’imboscata, ma dovrai guadagnarti la fiducia di tutti noi.’’- esordì il Comandante, a testa alta e con le braccia conserte dietro la schiena.

‘’Un gesto inusuale da parte tua. Ti ringrazio, seppur non è detto con sincerità.’’- rispose Arilyn, posando la spada sopra il letto e lo zaino sul supporto di legno. Iridia fece una smorfia e se ne andò, camminando per il lungo corridoio illuminato da minuscole lanterne. La giovane Thandulircath prese il tomo poggiato sulla scrivania e iniziò a leggerlo, notando le diverse strategie belliche che il regno aveva adoperato negli ultimi secoli. Molte si basavano su attacchi dalla distanza usando archi lunghi per poi far avanzare la prima unità d’assalto corazzata, seguita da altre più piccole:

‘’Dovrò chiedere ad Oghan di fabbricare un vecchio strumento di difesa che usavamo ad Huvendal. Con i suoi scudi avremmo un vantaggio tattico. E, inoltre, la costruzione di diverse gallerie sotterranee per attacchi a sorpresa.’’- disse tra sé e sé Arilyn, mentre scriveva ciò che sarebbe stato utile al Regno.

Profondità della Terra. Terzo Frammento. Estate. Sera.
 
Dei gorgoglii raccapriccianti echeggiavano tra le mura di un pozzo maleodorante, ricolmo di corpi decomposti e bagnati di continuo da dell’acqua fetida. Appollaiato sui cadaveri intento a divorarne la carne, vi era una creatura dal viso deforme e in parte fuso a del metallo. Tra le mani stringeva la testa di un uomo mentre ne strappava con i denti la pelle e i muscoli del viso, facendo colare il sangue dalla sua bocca emettendo suoni disgustosi. Ignaro della presenza di uomo dagli occhi demoniaci che lo stava osservando, l’abominio deforme continuava a degustare il lauto pasto di decomposizione.

’Che cosa ti avevo detto, Nargùl? Non devi cibarti dei nostri futuri soldati senza permesso, soprattutto se sono freschi.’’- esordì il demone, generando rovi oscuri dalle sue dita che penetrarono nella schiena e nel collo del necrofago attorcigliandosi sotto pelle fino a stringere muscoli e ossa.

‘’Padron Pheros, la prego non volevo. Risparmi questo supplizio ad un povero demone necrofago...’’- rispose in tono supplichevole tanto da disgustare il suo aguzzino.

‘’Sei fortunato che io ti abbia donato l’immortalità e non usato il tuo deforme corpo come latrina. Prendi questo muscolo di maiale e gli scarti. Fatteli bastare fino a domani.’’- rispose Pheros, recuperando un sacco lercio e lanciandolo sulla pira di cadaveri. Il demone necrofago prese il dono e andò via, inciampando più volte per la gioia. Venne ostacolato nuovamente dal suo padrone che, fulmineo, gli strappò l’occhio:

‘’La punizione per aver disobbedito ad un ordine. Non temere, ti ricrescerà.’’- disse con un perfido ghigno e lasciando la bestia nella sua vergognosa agonia. Pheros, il primo genito del Re delle Spine, si diresse a recuperare il nuovo arrivato: si meravigliò del taglio netto alla base del collo, della muscolatura possente e del foro sulla spalla grande quasi come un pugno. Vicino il cadavere vi era anche la testa che portava gli stessi segni di bruciatura, seppur divorata in parte. Prese dalla tasca della sua divisa uno straccio che usò per avvolgere la testa e trascinò il cadavere con sé.
Quando si ritrovò a pochi passi dall’entrata della sala del Terzo Frammento d’Ambra, l’artefatto illuminava con intensità la stanza e le radici nodose che lo avvolgevano iniziarono ad insinuarsi in esso. Al cospetto del frammento vi erano anche Terbius ed Ignea, allarmati dallo strano evento. Le radici nodose riuscirono ad aprire un varco e far scivolare un corpo emaciato, ricoperto di resina e cenere:

‘’Padre?’’- chiesero all’unisono i tre fratelli, aiutando l’anziano ad alzarsi. L’uomo sprigionò diverse lingue d’oscurità che afferrarono il cadavere tra le mani di Pheros. Entrambi i corpi, con l’energia emanata dal Frammento, si fusero in un amalgama incandescente prima di far ricomparire l’anziano con un colorito grigiastro ma con un nuovo aspetto.

‘’Questo nuovo corpo, seppur debole, è perfetto. Avete fatto un bel lavoro figli miei, ma siamo fragili mentalmente e fisicamente ancora. Ho visto, rinchiuso in quella crisalide, i vostri sforzi e dovete agire come una sola persona. Non disperiamo, la nostra vendetta giungerà.’’- replicò l’uomo con solennità, sedendosi sul suo trono con fatica. In quel momento comparvero anche i nuovi soldati dalle catacombe che si inchinarono al Re delle Spine battendo con vigore le loro armi arrugginite sul pavimento in pietra.

‘’Portatemi la mia spada.’’- ordinò il Re ad una delle creature che fu rapido a consegnare l’unica arma custodita in una teca ricoperta di edera nera. La lama era costruita con metallo e ossa di una bestia alata, mentre l’elsa era fatta di legno pietrificato avvolto da del cuoio. Non appena il Re delle Spine brandì la sua prediletta arma, sorrise e fece scivolare la spada all’interno di una fessura posta sul bracciolo del trono. Sul suo capo strisciarono come serpi dei rovi con una traslucenza verdastra che andarono a fondersi, creando una corona spinosa.

‘’Presto, abbandoneremo l’oscurità di questo luogo per espandere il nostro potere in superficie.’’

‘’Vi è solo un problema padre.’’- s’intromise Terbius, inginocchiato a pochi metri dal trono. Il Re delle Spine, sorpreso dalle parole del figlio, si alzò per osservare il frammento d’Ambra: ne studiò le sfumature e i continui sprazzi di luce dorata e rossastra, ascoltando anche i suoni che solo lui poteva udire. Infine comprese quale fu il problema.

‘’Il Recluso e la Peccatrice sono ancora vivi. Non abbiamo, però, abbastanza energia per poterli catturare. Onestamente, loro non sono una nostra priorità e voi tre non siete ancora pronti. Dobbiamo sfruttare ciò che i nostri fratelli ci donano fin quando il Frammento d’Ambra non sarà pronto ad emergere. Radunate anime vagabonde, profanate le tombe e i monasteri, soggiogateli al vostro volere.’’- replicò l’uomo, sorridendo e ammirando ancora una volta i primi accenni di un nuovo esercito. Si soffermò su due soldati in particolare, dalla pelle violacea e dalla corporatura diversa da tutti gli altri:

‘’Voi tre alzatevi. Da quale regno provenite?’’- ordinò il Re, studiandone i tratti e la corazza di legno scuro ricoperta di rovi, di come l’essenza della Fiamma d’Ambra scorresse nelle loro vene nerastre donandogli un lugubre e feroce aspetto. Il primo ad alzarsi e a rispondere fu il gladiatore:

‘’Io sono Mrithun, un tempo conosciuto come Sarüng. Gladiatore del Regno dei Rovi Bianchi, ucciso in combattimento.’’

‘’Eccellente. Mentre dalla tua imponenza, sei nato dall’unione di due corpi. Uno vivo e l’altro defunto. Dimmi, fedele servo, tu saresti?’’- domandò, avvicinandosi al cavaliere dalla muscolatura massiccia e quasi deforme, con lunghe spine arcuate che fuoriuscivano dalla sua pelle marcia.

’Faurkud, mio Signore. Capitano delle truppe d’assedio.’’- rispose la bestia immonda, alzandosi e reggendosi a malapena sulle esili gambe. L’anziano Re sorrise con gioia nel sentire i loro ruoli e batté le mani un paio di volte, imitando un applauso.

‘’Lavoro splendido, figli miei. Avete trovato e plasmato due creature dalla pelle coriacea, come la roccia di montagna, fondamentali per questa nostra imminente vendetta. Solo che ho sentito accennare due nuovi ospiti nei rispettivi regni nemici. I loro nomi?’’

‘’Arilyn, ultima dei Thandulircath e Darrien anch’egli ultimo della sua stirpe, i Varg.’’- replicò Terbius, senza esitazione. L’espressione dell’uomo mutò impercettibilmente, come se fosse infastidito dalla presenza di quei giovani indesiderati. Congedò tutti i soldati, fatta eccezione per i suoi tre figli. Prese parola Pheros, che raccontò di averli visti durante le sue ricognizioni per trovare punti favorevoli e soprattutto deboli per garantire una unanime debolezza ai regni. Rivelò che entrambi i ragazzi avevano un dono con loro, un temibile potere per gli umani per le creature.

‘’Se non c’è Luce, non vi è Oscurità. Poetico, seppur fastidioso. E adesso cos’è questo baccano?’’- fu la domanda del Re, udendo provenire dalle ombre un incessante ticchettio. Una crisalide aracnide sgusciò dall’oscurità e rigurgitò sul pavimento un cadavere con uno squarcio che partiva dalla spalla sinistra fino a giungere a parte del fianco destro. Il Re delle Spine restò affascinato da vedere quel corpo femminile e chiese ai suoi figli di riportarla in vita: Pheros ricostruì il corpo mutilato con l’oscurità, Ignea iniettò nel corpo della donna dell’ambra liquida e, infine, Terbius le fece inghiottire delle spezie liquide. La pelle della recluta si tinse di viola, gli occhi si illuminarono di un minaccioso verde, il corpo si ricoprì di spine arcuate e dalla bocca si propagava un vapore tossico.

‘’Inginocchiati e rivelami il tuo nome, recluta.’’- esordì il Re sedendosi sul suo trono, dopo aver assistito a quella resurrezione. La donna restò impassibile e scosse la testa, rifiutandosi e rispose:

‘’Non mi inginocchierò mai al cospetto di un re, qualunque esso sia. E mi chiamo Liedin Norvaris, ex combattente di Huvendal. Esiliata per alto tradimento, voglio solo soddisfare la mia sete di vendetta.’’

‘’Benvenuta, Liedin Norvaris, al cospetto dei Rovi Neri.’’- rispose il Re, sorridendo compiaciuto.
 
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Estate, notte.
 
Era notte fonda sul Regno dei Rovi Bianchi, la luna splendeva con eleganza sui tetti dei palazzi e delle case lussuriose rendendole quasi dei gioielli su un mantello di seta nero. Il giovane Darrien riposava dopo una lunga giornata ricca di sorprese, discussioni con Batkiin e studi di magia oscura per rendere il suo potere infallibile. Il suo Istinto, però, disturbava il suo sonno con la presenza di un imminente pericolo: aprì appena gli occhi per notare qualcuno che si muoveva lentamente sulla scrivania nella stanza dandogli le spalle. Darrien afferrò la spalla e fulmineo posò la punta della lama all’altezza dei reni del nemico:

‘’Un brusco movimento e la tua testa diverrà una lanterna.’’- minacciò il ragazzo, spingendo lentamente la punta della spada nei reni dell’intruso che gracchiò dal dolore.

‘’Per tutto l’idromele delle Montagne Nere ragazzo, riponi la tua spada. Non riconosci il buon vecchio Dolmihir?’’- chiese il nano di montagna, girandosi e permettendo ai raggi della luna di illuminarlo. Darrien lo prese dal colletto della camicia e lo fece cadere sulle assi di legno della stanza con un sonoro tonfo:

‘’Perché sei nella mia stanza nel cuore della notte e frughi tra i miei oggetti?’’- chiese il ragazzo, riavvolgendo la catena sulla lama e riponendola sul bordo del letto. Il nano di montagna, massaggiandosi il fondoschiena, si rimise in piedi imbarazzato ma infastidito allo stesso tempo da quella reazione del giovane:

‘’Povero il mio fondoschiena, ha subito le peggiori angherie negli ultimi secoli. Un po’ di gentilezza non guasterebbe alla tua indole. Ad ogni modo, hai notato qualcosa o qualcuno di sospetto?’’- chiese Dolmihir, prendendo un cuscino e sedendosi sulla sedia. Il ragazzo ricordò di aver visto qualcuno con il suo stesso potere:

‘’Sì, durante il mezzodì e le prime ore del pomeriggio nella foresta ho avuto un breve scontro con un potenziale nemico. Non era uno dei Rovi Rossi o qualche mercenario. La sua pelle era nera come l’ossidiana e i suoi occhi splendevano come braci.’’
Il nano di montagna si grattò la testa quasi calva, riflettendo su quanto detto da Darrien. Si alzò dalla sedia, prima di lasciare quel che sembrava essere un fodero di metallo, dirigendosi verso delle assi di legno leggermente rialzate: una botola, utile per entrambi ormai.

‘’Ora i miei dubbi sono fondati, l’Epoca Oscura sta ritornando. I cadaveri scompaiono, le foreste si ammalano e quella sensazione di gelida morte che lentamente si espande tra le vene della terra. Sì, ho costruito botole ovunque nel palazzo per fuggire o nascondermi da seccature rapidamente. E sì, sulla tua scrivania ho lasciato un fodero per la tua spada, va indossato come uno zaino e la catena la puoi tranquillamente avvolgere sull’avambraccio.’’- replicò lui, iniziando la sua discesa nella botola.

‘’Epoca Oscura? Per tutte le Stelle di cosa parli?’’- domandò Darrien, irritato dalle continue sorprese ed enigmi. Dolmihir lo osservò, corrugando la fronte incredulo innanzi alla domanda del giovanotto.

‘’Hai degli occhi e dei libri, leggi invece di preoccuparti a brandire un pezzo di metallo e comportarti da cavernicolo.’’- rispose, scomparendo nella botola ed evitando così che le mani del ragazzo potessero stringersi attorno il suo collo e soffocarlo in preda alla collera. Ormai sveglio e privato del sonno Darrien decise di passeggiare per i corridoi illuminati da candelabri in ottone decorati con dello zaffiro, rimuginando sulle informazioni date da Dolmihir. Nonostante la ronda notturna della Guardie reali, il ragazzo passò inosservato tra le varie sale con ancora residui di una festa a base di liquori e pietanze. Sospirò amareggiato dal continuo disinteresse del Re per il suo esercito e i suoi fallimenti, preoccupato più sullo sfarzo e baldorie. L’oscurità che viveva nella sua anima tinse le sue mani di nero, come l’abisso dove il sole non sarebbe mai giunto, sibilando come un tizzone ardente su una lastra di ghiaccio. Si soffermò per un breve istante sotto un grande ritratto del Re Galeren, in posa di estrema fierezza con indosso una lucente armatura e nemici agonizzanti ai suoi piedi:

‘’Il nostro prode Re sconfigge un plotone di nemici al confine orientale del Draal.’’- recitava una targa decorativa in basso, fatta interamente d’oro. Con il suo potere distrusse quella tela, riducendola in cenere. Proseguì, superando l’ingresso della biblioteca e altri alloggi, finché non udì qualcosa di metallico provenire da una sala mai vista prima, così per l’androne con poche statue e quadri. All’interno di essa vi era una ragazza che si allenava con un randello colpendo vari fantocci in acciaio segnati da cerchi rossi. Darrien la riconobbe, era la sua sorellastra senza abiti sfarzosi ma in tenuta d’allenamento. I capelli legati in una coda alta, il fisico formoso e tonico erano tratti che ricordavano molto la sua compagna e si meravigliò di quella sorprendente scoperta. Osservava anche come i colpi fossero rapidi ma ripetitivi:

‘’Con attacchi così ripetitivi il tuo avversario può adattarsi e predire ogni colpo da parte tua.’’- esordì Darrien, facendo sobbalzare sua sorella Malrin.

‘’Mi alleno solo per scaricare risentimenti repressi, non per unirmi all’esercito di mio padre. Non riesco ancora ad avere pieno controllo sul mio potere e quei nobili dalle guance da suini che cercano di sedurmi mi disgustano al tal punto da desiderare la loro decapitazione!’’- rispose, colpendo il fantoccio così forte da farlo cadere. Darrien si mosse per proseguire il suo cammino senza meta, venendo però strattonato per la manica da sua sorella con sguardo indagatore:

‘’Sono settimane che noto vacuità nei tuoi occhi, anche se cerchi di mascherare il tutto. Vacuità mista a malinconia.’’

L’oscurità che avvolgeva le mani di Darrien si dissolse, lasciando il giovane in balia di emozioni contrastanti tra loro; non aveva mai versato una lacrima prima d’ora e adesso le reprimeva, arrossando quegli occhi zaffiro splendenti.

‘’Non ho nulla. Mi manca solo la mia compagna e tu le somigli molto adesso. Uh, perché ne parlo? Le mie speranze di rivederla sono vane e non riesco a trovare il mio equilibrio. Questo subdolo metodo della Dea del Cosmo mi…’’- s’interruppe improvvisamente, avvertendo delle braccia stringerlo alle spalle e attirandolo a sé. Malrin sospirò, avvertendo chiaramente l’impotenza del fratello e la fiamma della speranza ormai estinta nel suo cuore.

‘’Comprendo la tua sofferenza, conosco perfettamente questo sentimento. Quell’ignobile di mio padre ha infranto il mio cuore esiliando il mio migliore amico in una terra lontana più di tre anni fa. Una discussione inerente alle troppe perdite e lui è stato l’unico ad essere punito. Però la speranza di rivederlo un giorno non è mai scomparsa, e dovresti fare lo stesso per la tua amata Arilyn.’’- disse con voce tremante la ragazza allontanandosi da quell’abbraccio. Darrien, incuriosito da quella rivelazione, domandò un po’ la sua storia e come nacque la loro amicizia. Malrin iniziò narrando di averlo conosciuto a palazzo quando lei aveva solo otto anni, era molto riservato ma si preoccupava molto per le persone a lui care ed era silenzioso quando eseguiva mansioni quotidiane. Non sapendo quando fosse il suo compleanno, la ragazza ogni mese gli regalava dei dolci e fiori adatti alla sua indole oppure trascorrevano la giornata insieme. Condividevano storie, innocenti momenti spensierati e giocavano come ogni bambino. Tutto questo per oltre sette anni, finché il Re Galeren non lo scelse come rimpiazzo di un soldato defunto in battaglia.

‘’Quella fu la sua condanna. Prima che venisse esiliato, mi regalò un fiore d’ibisco e disse che sarebbe tornato un giorno, in segreto. Nonostante anche la diversità, io figlia di un mezzo elfo ed un umano e lui di una dea, eravamo uniti da un grande sentimento.’’- terminò di raccontare Malrin, con gli occhi arrossati dal pianto. Nella mente di Darrien si materializzò Caeleno, amico e abile soldato conosciuto durante la battaglia contro il Re della Prima Fiamma. Unì i tasselli di quel racconto e replicò:

‘’Caeleno, il figlio della Dea Gaelia è il tuo migliore amico? Sorprendente, ora si spiega perché era sempre impassibile, silenzioso e con una capacità tattica ammirevole.’’

‘’Come conosci il suo…Aspetta, lo hai visto?’’- domandò Malrin, incredula alle parole del fratello.

‘’Sì, ha combattuto al nostro fianco per impedire a Gallart e alla Figlia della Luna di conquistare e radere al suolo i popoli pacifici, compreso il nostro. Un ragazzo straordinario e in forma, devo ammetterlo. Sì, sta bene ma non ha mai accennato a te.’’

‘’Ti ho detto che era molto riservato e introverso. Grazie alle Stelle, è vivo!’’- gioì la ragazza, abbracciandolo forte e ringraziandolo per averle detto quella splendida notizia. Dopo aver dialogato decisero di sistemare la sala degli allenamenti e riordinarla, per poi congedarsi e dirigersi in direzioni opposte. Si ritrovò in un’ala del castello priva di statue, drappi e altre decorazioni sfarzose: vi era sporcizia ovunque, ragnatele, acqua stagnante e segni di esplosioni sulle pareti e pavimento. Udì il crepitare di un focolare nascosto da qualche parte, accompagnato da passi frettolosi e mormorii sinistri.

‘’Le mani si screpolano, gli occhi si seccano e la mia sanità mentale svanisce. Ma no, devi solo lavorare. Lavorare, lavorare, lavorare! Il sonno è per i deboli e i pigroni. Tu sei un armaiolo, sei diverso e non morto. Làkrshù!’’- ruggì improvvisamente la voce misteriosa, vibrando sulle pareti e tramutandosi in un gorgoglio distorto. Darrien seguì i costanti rintocchi metallici e le imprecazioni, giungendo in quel che sembrava essere una officina disordinata e colma di cianfrusaglie come spade arrugginite accatastate in un angolo, armature irreparabilmente danneggiate riposte su fantocci di legno e altre armi inutilizzate oppure in fase di costruzione. Un uomo con indosso una maschera di ferro colpiva violentemente un oggetto surriscaldato sulla superficie di una incudine, facendo echeggiare in modo assordante quegli impatti. Dopo averlo immerso nell’acqua gelida, aspetto qualche secondo prima di rigettarlo nella fornace e chiuderne la grata.

‘’Invece di restare lì come uno stoccafisso ad origliare, entra ragazzino. Emani un odore diverso, nonostante tu sia un Varg. Odori di…ordine, disciplina e serietà. Un comandante. L’ennesimo!’’- disse quello strano armaiolo, gettando via la maschera di ferro consentendo così alle fiamme della fornace di illuminare parte del suo volto grigiastro e raggrinzito, ricoperto di brandelli di pelle morta sulle guance e sul collo.

‘’Perdonami se ho interrotto il tuo lavoro. Non riuscivo a dormire e dunque ho deciso di passeggiare per il castello. Tu saresti?’’- chiese Darrien, cauto evitando di inciampare negli oggetti della stanza.

‘’Nurkalf, armaiolo non morto al servizio di quell’imbecille di Galeren. Lavorare, solo lavorare! Mai dormire, mai battere la fiacca!’’- rispose lui, estraendo nuovamente quella che sembrava essere un’altra spada dalla lama ricurva. Recuperò da sotto l’incudine un sacchetto pieno di polvere azzurrina e la versò sul metallo rovente, sfrigolando ed emanando una forte essenza. L’arma prese forma e colore, mostrandosi nella sua intera bellezza solo che all’armaiolo non piacque e la scagliò lontana: il lancio fu così forte da conficcarsi nella parete in fondo alla stanza, con un tonfo sordo.

‘’Imperfetta. Galeren vuole solo armi perfette. E io vorrei tanto essere un comune mortale. Non dormo da due settimane!’’

‘’Il Re in questo istante non è presente e non osserva il tuo lavoro. Tu riposa, se ha da lamentarsi gli parlerò io. Oltre ad essere egocentrico è anche schiavista.’’- rispose Darrien, spostando l’incudine grazie all’ausilio di una pedana mobile e spense la fornace. L’armaiolo si soprese del comportamento del ragazzo, apprezzando però quel nobile gesto.

‘’Prima che ti lasci riposare, mi sapresti dire come usare questo fodero?’’- chiese Darrien, mostrando il fodero donatogli dal nano di montagna. L’armaiolo Nurkalf osservò i materiali usati, lo spessore per la lama e i vari componenti di quell’oggetto. Rivelò che il fodero aveva una protezione per il piatto che poteva essere estratta, così da evitare eventuali graffi. Inoltre sul collo del fodero erano fusi due piccoli minerali magnetici che consentivano all’arma di restare ben salda.

‘’Il fodero, inoltre, è costruito appositamente per stringersi attorno il filo della spada e lasciare una sostanza in grado di farla scivolare meglio. Sia per estrarla che per riporla al suo interno. Suppongo sia stato Dolmihir, quel nano narcisista. Tutto sommato, è di qualità eccellente. Dovrai solo abituarti ad avere un fodero inconsueto a quelli normali. Grazie per la compagnia e la sicurezza, giovanotto. Che la Fiamma ti guidi.’’- furono le ultime parole dell’armaiolo, prima di appisolarsi su una brandina nascosta da immensi scatoloni e da un separé bucherellato. Il ragazzo, avviandosi verso l’uscita, notò un progetto di una torre mobile dotata di un’arma atta a penetrare nelle difese e sul retro del progetto vi erano raffigurate anche due versioni dell’ariete: una raffigurava un lanciafiamme generato da una gemma scarlatta, mentre la seconda versione era un cannone montato sotto di esso. Darrien creò una copia di quei progetti grazie al suo potere e si ripromise di dar credito ed onore a quel povero armaiolo. Riprese il suo cammino, continuando a passeggiare per i corridoi polverosi, ritrovandosi così sul retro del castello. Vi erano pochi fiori e una immensa lastra di granito alta dieci passi e larga quindici, con delle iscrizioni in argento che sembravano essere semplici disegni. Il giovane si avvicinò a quella lastra di granito, comprendendo che non era un banale ornamento bensì un muro commemorativo per i caduti di guerra. Centinaia di nomi erano incisi su quella superficie e sotto di essi la loro età. Moltissimi di quei soldati non superavano i trent’anni di vita, mentre altri non raggiungevano l’età adulta.

‘’Follia. Semplice follia.’’- esclamò Darrien, continuando a leggere i nomi delle vittime, giungendo al più giovane di loro che aveva quindici anni. Prima che potesse tornare indietro, si ritrovò Batkiin a pochi metri da lui che osservava con tristezza vacua quel muro e tra le mani un piccolo fiore.

‘’Molti di loro erano orfani, reietti o provenivano da famiglie in gravi condizioni economiche. Il Re si preoccupò di renderli dei cavalieri intrepidi e capaci di sopportare la fame, la stanchezza e le infezioni. Quando morirono tutti in quell’orribile guerra, molte famiglie si erano dimenticate della loro esistenza e il popolo era solo contento di aver vinto. E, a malincuore, l’equilibrio dettato dalle Stelle difficilmente può essere spezzato.’’- rispose lui posando il fiore ai piedi del muro, recitando una preghiera in un dialetto sconosciuto.

‘’Quale guerra? E, soprattutto, perché ti ostini ad usare strategie così deboli contro il nemico?’’- chiese Darrien, furibondo per quell’incomprensibile azione.

‘’Una cruenta guerra di confine tra noi e i Rovi Rossi. Abbiamo subito ed inflitto ingenti perdite. Ci ostiniamo ad usare quelle strategie perché sono le uniche che abbiamo. Ora sai perché ero scettico alle tue affermazioni.’’- rispose Batkiin, con voce monotona. Darrien serrò le labbra e socchiuse gli occhi, ripensando al consiglio datogli dal protettore della Sala del Frammento.

‘’Batkiin, ti destituisco dal tuo ruolo di generale. Da domani in poi, subentrerò io come nuovo comandante dell’esercito. Tu coordinerai gli spostamenti del plotone nei vari confini o avamposti che conquisteremo, assegnando un ruolo anche ai nuovi alleati della conquista.’’- sentenziò il ragazzo, tanto da incutere timore nell’uomo.

‘’Non puoi, il Re non acconsentirà alla tua decisione e mi rinchiuderà nei sotterranei!’’- replicò quasi implorando il giovane di ripensare alla sua scelta.

‘’Galeren non è il mio Re.’’- tuonò Darrien, con voce distorta dal suo potere oscuro e lasciandosi avvolgere da esso. L’erba sotto i loro piedi si essiccò, i pochi alberi di quel giardino si pietrificarono e la loro corteccia si ricoprì di una sostanza simile alla resina ma più viscosa e dall’odore rancido. Batkiin rimase pietrificato dal potere del ragazzo, finché Darrien non gli ordinò di andarsene nel suo alloggio e dormire.

‘’Questo avrà ripercussioni sul regno.’’- mormorò l’ex generale dell’esercito, passandogli vicino a testa bassa.

‘’Quante vittime erano?’’- chiese il giovane, ignorando le parole dell’uomo e attendendo una risposta.

‘’Trecentosettanta.’’

’Ognuna di loro verrà vendicata. E il Re dovrà attenersi ai cambiamenti.’’- espresse con fermezza Darrien.
 
Territorio ignoto. Estate, notte.
 
 
Un falò accesso illuminava quell’oscura notte estiva, espandendosi in un cerchio luminoso fino ad abbracciare le cortecce degli alberi. Una figura incappucciata era intenta a mescolare erbe e frutti essiccati nel calderone che sovrastava il falò, emanando intensi odori. L’acqua si tinse di prima di verde, poi di rosso terminando sul nero pece.
 
‘’Si preannunciano tempi oscuri, vero?’’- chiese una voce maschile, infrangendo quel silenzio e facendo sobbalzare quel che sembrava essere una donna coperta di stracci. L’uomo lasciò che la luce del focolare illuminasse il suo volto e i suoi abiti sgualciti. Entrambi indossavano, però, lo stesso mantello cremisi e condividevano una malinconia che sembrava innaturale per due immortali. La donna prese il calderone e versò il suo contenuto sulla terra brulla: il liquido fetido ribollì, partorendo radici nodose e spinate che avevano trafitto vermi e lombrichi.

‘’Già.’’- rispose la donna, togliendosi il cappuccio e mostrando un viso delicato seppur presenti piaghe cicatrizzate. Rimasero in silenzio ad ascoltare il crepitar del focolare mentre sopra di loro risplendevano le stelle, come gemme di cristallo su un mantello di seta. D’un tratto il silenzio venne interrotto dalla donna che chiese con tono preoccupato:

‘’Sarà stato saggio mostrarci, dopo tre millenni, al popolo dei Rovi Rossi e a quello della Cittadella? Non rischiamo di perdere la nostra umanità se ci manifestiamo come spettri usando solo l’oscurità che affligge la nostra anima?’’
L’uomo la osservò perplesso per quelle insolite domande, aggrottando le sopracciglia. Si alzò, con una smorfia di fastidio dovuta all’età e alle poche energie rimaste. Si tolse il pesante mantello e lo ripiegò sul tronco alle loro spalle:

‘’I Rovi Rossi hanno costruito le loro fondamenta sull’umiltà, sul benessere e sulla protezione del popolo. Così anche per la Cittadella degli Abbandonati, nonostante il terzo testimone della Grande Guerra dei Tre Rovi si trovi lì. È pur vero che, così facendo, mettiamo in pericolo la nostra umanità ma questi due regni saranno alleati formidabili. Nonostante questo, intraprendere guerre è futile. Si possono risolvere tante controversie solo sedendosi e parlare. Credono che compiere queste azioni siano un bene ignorando completamente chi piangerà, chi famiglia morirà o chi pargolo innocente resterà senza genitori e una casa…’’- rispose, tramutando la sua calma in rancore nel terminare il suo dialogo.

‘’E per quanto riguarda i Rovi Bianchi? Recluso, non temi che qualche loro ricognitore venga a cercarci?’’- chiese la donna.

‘’Perché temere un popolo di manigoldi e lussuriosi? Mia cara Peccatrice, non temo più le guerre da secoli. Temo solo questa maledizione che ci affligge. La mia è la conoscenza, la tua è da parte della Fiamma d’Ambra.’’- replicò lui, ravvivando il falò con delle erbe essiccate: le fiamme si tinsero di un tenue porpora. Il Recluso posò il suo indice sulle labbra, recitando un incantesimo per poi posare il dito sul legno ardente. Tra le lingue di fuoco si materializzarono immagini di una feroce battaglia tra i Rovi Rossi e i Rovi Bianchi; quest’ultimi vennero massacrati e ridotti in cenere da fasci di luce dorata emanati da una ragazza. Il focolare perse quella sfumatura porpora tornando al suo colore normale e calore gradevole.

‘’Ora comprendi perché i Rovi Rossi sono degni della nostra presenza?’’- chiese il Recluso, sorridendo alla Peccatrice. La donna annuì, accennando un consenso con il capo. L’uomo, rendendosi conto dell’ora tarda, recuperò dei sassi e una manciata di sale. Creò un cerchio magico di protezione intorno l’area del falò, recitando un incantesimo che fece illuminare di blu i sassi e ritornò vicino il fuoco, dove si stese e chiuse gli occhi. La Peccatrice lo osservava con attenzione, rapita dalla naturalezza del compagno immortale.

‘’Confido nelle tue capacità, Recluso. E mi auguro che tu abbia ragione.’’
























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Torno dopo un po' con il sesto capitolo del romanzo, ormai concluso un mese fa, e che io porterò lentamente in quanto sono troppe pagine da inserire e ci vuole molto tempo per dividere i paragrafi. ^^'' Spero possiate comprendere. Godetevi il capitolo!

 
   
 
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