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Autore: IndianaJones25    23/10/2019    6 recensioni
Dopo quasi quarant’anni, Indiana Jones fa ritorno sulle alture interne del Perù per raggiungere ancora una volta il tempio dei Chachapoyan dove, in gioventù, tra mille difficoltà, rinvenne l’idolo d’oro della fertilità. Ma nel tempio era celato molto più di una piccola e semplice statua d’oro, qualcosa di davvero unico e prezioso: un sorprendente segreto, rimasto custodito in quel luogo per migliaia di anni, che l’anziano archeologo intende finalmente riportare alla luce.
In questa nuova occasione, però, ad accompagnarlo ci sarà sua figlia, perché solo unendo le forze i due Jones potranno svelare quell’antico mistero, che sembra provenire da una galassia lontana lontana...
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

    Mill Valley, Nord della California, 1975

    Con un gesto seccato, George si alzò dalla poltrona e spense il televisore, che aveva acceso pensando di poter trascorrere un’ora divertente recuperando le repliche che venivano date a notte fonda di quel nuovo telefilm ambientato nello spazio. Invece, ciò che aveva visto in quello scadente show televisivo europeo era tutto fuorché divertente, dato che gli aveva dato la peggior notizia che potesse immaginare.
    Incrociate le mani dietro la schiena, andò verso la vetrata del suo piccolo studio, all’ultimo piano dell’abitazione, e gettò un’occhiata al cortile, avvolto nell’oscurità quasi totale, non fosse stato per il cono di luce proiettata dalla lampada accesa sopra la porta d’ingresso.
    Sospirò, ripensando che era stato proprio guardando in basso, come adesso, che aveva avuto una delle sue intuizioni più geniali. E, modestamente, poteva asserire di averne avute parecchie, di intuizioni geniali.
    Era successo un pomeriggio.
    Sua moglie Marcia era salita in macchina con il loro cane, un imponente alaskan malamute, accomodato sul sedile al proprio fianco. Lui, proprio in quel momento, si era preso una pausa dalla sceneggiatura che stava scrivendo e, appoggiata al tavolo da lavoro la matita, si era alzato ed era venuto alla finestra. Aveva osservato sua moglie fare manovra e allontanarsi a passo d’uomo lungo il vialetto.
    Visti da dietro, lei e il cane, lo avevano come folgorato. Una donna piccola e magra affiancata da un bestione peloso che, con la sua stazza, arrivava quasi a sfiorare il tettuccio. Sembrava davvero che fossero entrambi alla guida del mezzo. Pilota e copilota.
    Quell’idea era rimasta intatta e nessuno gliel’avrebbe più tolta dalla mente. Era perfetta per ciò che intendeva realizzare e l’avrebbe mantenuta, a tutti i costi. Purtroppo, però, avrebbe dovuto scartare l’altra, ossia il velivolo che i due avrebbero dovuto pilotare e che aveva concepito dopo attente riflessioni.
    Un’astronave, certo. Anzi, per come la voleva lui, avrebbe dovuto essere un ufo ma, allo stesso tempo, non essere un ufo. Qualcosa che si richiamasse ai classici film di fantascienza ma, insieme, di mai visto prima al cinema, che sembrasse allo stesso tempo vecchio e moderno, pesante e scattante. Difficile da spiegare non solo a parole, ma anche in altri modi, dato che persino disegnarlo sarebbe stato un problema.
    Tutto per colpa di quella serie tv fantascientifica da due soldi realizzata tra Gran Bretagna e Italia. Era il prodotto più scadente che avesse mai avuto la sfortuna di vedere in vita sua, ma non era quello il problema. Fosse stato solo per quello, si sarebbe ripreso al più presto, da una simile, pessima esperienza. Il problema era semmai un altro, ossia che una delle astronavi apparse nella serie era praticamente identica a quella che avrebbe voluto utilizzare lui per i suoi pilota e copilota. In poche parole, doveva buttare via ciò che aveva già pensato e ricominciare tutto da capo e sforzarsi un’altra volta le meningi per tirarne fuori un’idea semplice ma, al medesimo tempo, unica, che rimanesse impressa per sempre nella mente degli spettatori.
    Si sistemò gli occhiali che gli erano scivolati sul naso e si grattò piano la barba scura, alzando gli occhi al cielo in cui sfolgoravano le ultime stelle, che cominciavano ad abbassarsi verso l’orizzonte in vista di un nuovo giorno ormai prossimo.
    Era tarda notte e non doveva mancare molto tempo all’alba; ma, per quanto si sforzasse, pur non avendo chiuso occhio neppure per un minuto, non riuscì a sbadigliare. Non aveva affatto sonno e provare a convincersi del contrario non sarebbe servito a nulla. Era sempre così: quando un lavoro lo catturava, non riusciva a pensare ad altro e, se non fosse stato per la Coca-Cola e una tavoletta di cioccolato perennemente presenti sulla sua scrivania, si sarebbe scordato persino di mangiare. Però, magari, schiacciare un pisolino non gli avrebbe fatto male e, chissà, in sogno avrebbe potuto ricevere qualche buon consiglio.
    Cominciando a sbottonarsi la camicia di flanella a quadretti rossi, bianchi e blu, voltò le spalle alla finestra e, facendo piano per non disturbare sua moglie che dormiva profondamente, si diresse verso la camera da letto.
    Passando davanti al telefono, però, ebbe un’intuizione. Forse sapeva chi avrebbe potuto aiutarlo. Senza perdere tempo, sollevò la cornetta e, afferrata un’agenda piena di nomi e indirizzi, rintracciò in breve il numero che gli interessava. Lo compose reggendo l’agenda in una mano e tenendo la cornetta in equilibrio tra la spalla e la testa ripiegata.
    Dopo un’attesa che gli parve interminabile, una voce impastata di sonno rispose con una raffica di parolacce a quella chiamata notturna.
    «Sono George» annunciò con la sua voce sottile, non appena la sequela di bestemmie ebbe terminato di risuonargli nelle orecchie.
    «George?!» sbraitò la voce dall’altra parte del filo. «Lo sai che diavolo di ore sono?!»
    L’uomo si grattò la testa.
    «Sì, più o meno lo so…» borbottò. Poi, senza attendere che l’altro replicasse, aggiunse, in tono concitato: «Sono in un mare di guai! Ho urgentissimo bisogno di te!»
    «Guai?» ripeté il suo interlocutore, dal cui tono si intuì come fosse divenuto improvvisamente più attento. «Quali guai?»
    «Non posso dirtelo per telefono, preferisco parlartene di persona.»
    «Mah… d’accordo. Vuoi che ci vediamo domani?»
    George lasciò andare l’agenda con i numeri di telefono e afferrò quella con gli appuntamenti. Sfogliò rapidamente le pagine fittissime di scarabocchi quasi indecifrabili, per poi rispondere: «Domani non posso, ho già un impegno…»
    «Dopodomani, allora?» chiese la voce.
    «Ehm… no. Dopodomani sono occupato…» spiegò George, girando un’altra pagina.
    «Fra tre giorni?»
    George verificò subito. «Temo di non potere, tra tre giorni…»
    L’uomo dall’altro capo del filo cominciava a spazientirsi e non vedeva l’ora di tornarsene a letto.
    «George, che ne dici di dirmi tu quando puoi, così la facciamo finita?»
    George annuì poi, ricordando che l’altro non poteva vederlo, si affrettò a specificare: «Certo, d’accordo, allora fammi controllare…» Sfogliò rapidamente le pagine fitte di appunti, impegni, appuntamenti, promemoria e quant’altro. Il suo tempo libero era praticamente pari a zero. Ma ecco, finalmente, un giorno in cui gli pareva di poter disporre di qualche ora tutta per sé.
    «Tra un mese esatto devo scendere a Los Angeles!» quasi urlò. «Che ne dici? Pensi di potercela fare?»
    «Per fortuna che avevi urgentissimo bisogno di me» commentò sarcasticamente la voce. «Okay, allora ci vediamo tra un mese, a Los Angeles. Dove, di preciso?»
    George inarcò le sopracciglia, pensandoci un momento.
    «Che ne dici del Brown Derby?» domandò.
    «Brown Derby sia» replicò l’uomo, riattaccando subito.
    Rimasto solo con i propri pensieri, George fece un sorrisetto. Forse, in qualche modo, quel suo amico sarebbe riuscito ad aiutarlo. O, almeno, così sperava. Del resto, si disse mentre riagganciava la cornetta e riponeva la sua agenda, la speranza era quella che stava guidando i suoi passi per quello che aveva in mente di realizzare, qualcosa di incredibile che, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, avrebbe lasciato a bocca aperta il mondo intero.
    Sospingendo un’altra volta gli occhiali sul naso, ormai certo di non voler più andare a letto, tornò un’altra volta alla finestra e si perse nella contemplazione degli ultimi astri.
    «In ogni stella c’è una storia» mormorò, proprio mentre una stella cadente attraversava per intero il cielo terso di quella notte che sembrava non avere fine, lasciando dietro di sé una scia luminosa che parve rimanere sospesa nel tempo, prima di scomparire.
    Era una frase che aveva formulato nella mente, senza intenzione di farla uscire dalle proprie labbra, ma la disse quasi a voce alta, come se il pensiero potesse prendere forma; e lui sapeva che ciò era possibile, perché era una storia che sentiva scritta dentro ma che, presto, avrebbe visto realizzata nella realtà. Così come sapeva che in ogni pianeta c'erano personaggi pronti a muoversi ed a compiere avventure straordinarie che nessuno avrebbe mai dimenticato, specialmente se fosse stato lui, con la sua fervida immaginazione, a raccontarle.
    Ma, prima di tutto, per giungere a quell’agognata meta, avrebbe dovuto escogitare trovate davvero geniali, che nessuno potesse replicare battendolo sul tempo.

    Quasi nello stesso momento, a migliaia di chilometri da lì, all’interno di un albergo ai margini delle montagne ricoperte di alberi e celate da una nebbia quasi perenne, un cameriere sbadato, che cominciava a preparare le colazioni per gli ospiti che, tra non molte ore, essendo quasi tutti escursionisti molto mattinieri, avrebbero affollato il salone, inciampò nei propri piedi e rovesciò tutti i piatti che teneva in mano.
    Con un fragore assordante, le stoviglie si infransero sul pavimento di mattonelle di graniglia bianca e rossa, spandendo cocci ovunque; ma, ancora più assordante, fu la strigliata che gli riservò il proprietario della struttura per quella sua goffaggine.
    E il rumore fu tale che, ai piani superiori dell’edificio, in una delle camere affacciata verso i boschi ancora oscuri, anche uno degli ospiti si svegliò di soprassalto, domandandosi che cosa stesse succedendo.
    Giratosi piano nel letto, allungò la mano al comodino ed afferrò il suo orologio da polso, che vi aveva appoggiato la sera precedente; nel buio, con gli occhi ancora un po’ intorpiditi dal sonno, riuscì a mettere a fuoco le lancette fosforescenti, che segnavano le cinque e mezza del mattino. Era ancora abbastanza presto anche se, vista la stagione e la latitudine, sapeva bene che l’alba non avrebbe tardato a fare capolino da dietro le tende che schermavano le finestre.
    Si stiracchiò e guardò verso la figura ancora profondamente addormentata nell’altro letto presente nella stanza. Non c’era alcuna fretta di svegliarla e, considerata la scarpinata che li attendeva, tanto valeva lasciarla riposare ancora qualche minuto.
    Sorrise, accarezzandosi il mento che pungeva sempre più per la barba che, già dal mattino precedente, aveva trascurato di radere, e prestando orecchio al respiro lieve e regolare della giovane ragazza che dormiva serenamente.
    Chissà che cosa stava sognando? E chissà se sarebbe stata felice di essere lì con lui? Quell’esperienza li avrebbe riavvicinati, come sperava, instaurando di nuovo un dialogo, tra loro due, o non sarebbe servita a nulla?
    «Inutile lambiccarsi il cervello, adesso» pensò, scostando le lenzuola ed alzandosi in piedi.
    Si sgranchì la schiena e le gambe intorpidite, poi cominciò a prepararsi, pronto per una nuova avventura.

   
 
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