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Autore: Mary P_Stark    24/10/2019    1 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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3.
 
 
 
 
Quanto sangue era stato versato? Quante vite spezzate?

Contava davvero chi avesse torto e chi ragione, di fronte a un simile scempio?

A tutto questo pensò Avya quando, messa di fronte a suo fratello, si passò una mano sul volto madido di sangue per ripulirsi gli occhi.

La guerra era stata lenta, estenuante, fatta di tanti piccoli passi avanti, e infarcita di una miriade di inciampi.

Se il movimento di Avya era aumentato col tempo, era cresciuto altresì quello di Fryc. Paura e accoglienza si erano mosse di pari passo, accrescendo come due gemelli iracondi nel ventre di una madre in lacrime, sempre in lotta per la sopravvivenza e sordi alle preghiere della loro genitrice.

Come promesso, Tyr non era più intervenuto nella lotta, limitandosi a sorreggere emotivamente Avya nei momenti di cedimento.

Hati e Sköll, da parte loro, si erano ben guardati dall’usare le loro seconde forme animali, così da non concedere spazio ai nemici per alcun genere di accusa. Sapevano fin troppo bene quanto, le menti più deboli, potessero passare dal bene al male per la semplice paura.

Vedere due lupi enormi sul campo di battaglia, non avrebbe aiutato la loro causa. Bastavano già i troll a incutere timore.

Sylvi e Lyka, instancabili e sempre pronte, si erano occupate dei feriti, rimanendo nelle retrovie ma mai troppo distanti dal grosso dell’esercito che, nel corso dei mesi, si era venuto a creare.

Persino Angrboða si era presentata sul campo di battaglia per osservare le gesta della nuora e dei nipoti, plaudendo la bravura di Avya e rimanendo colpita dalla fedeltà con cui i troll la seguivano.

Pur avendo sostenuto le ragioni dell’amore e della fedeltà a Fenrir, però, il risultato ottenuto – e che Avya poteva osservare con occhi sconvolti – non era differente da altre battaglie narrate dai musici nei villaggi.

La violenza si era dipanata sui campi in cui avevano guerreggiato, il sangue era scorso a fiumi e più di una volta Avya aveva dato fondo alle sue energie per avanzare tra le fila del nemico.

Sangue aveva chiamato sangue, esattamente come Odino le aveva predetto, e questo le macchiava le mani al pari del fratello, fermo dinanzi a lei con sguardo ferreo e convinto.

«Spero che sarai soddisfatta di ciò che hai ottenuto, sorella» la irrise Fryc, guardandosi intorno per ammirare i fuochi che si levavano dalla pianura e le distese di corpi ammassati sul terreno melmoso.

Avya non ne seguì lo sguardo, ben sapendo cosa avrebbe visto. Amici e nemici caduti in egual misura, sangue, odore di morte e la presenza costante di Hel a godere di quel massacro.

Più di una volta la sorella di Fenrir si era presentata al suo cospetto per ringraziarla di quel dono insperato e, in ogni occasione, Avya l’aveva rispedita al mittente con tanto di ingiurie.

Hel ne aveva riso e si era limitata a darle una carezza sul viso, ricordandole quanto inutile fosse prendersela con lei, che si limitava a seguire la propria natura.

Di fronte a Fryc, Avya dovette dargliene atto; non Hel l’aveva costretta a quel massacro, ma solo il suo desiderio di vedere morto suo fratello, di portare vendetta per tutte le sofferenze patite dai suoi figli.

Nel tentativo di raggiungere quel risultato, però, aveva scatenato una guerra tra clan e ora poteva solo piangere se stessa, per i mali commessi.

«Sono cosciente di ciò ho fatto, ma tu devi morire. Non importa quanti altri tuoi seguaci dovrò trucidare, per arrivare a questo traguardo» si limitò a dire Avya. «Non posso permettere che tu minacci ancora i miei figli. Hanno il diritto di vivere

«Dimostri soltanto di dare ragione alle mie parole. Quel dio ti ha corrotto, facendoti diventare malvagia» sogghignò Fryc, esalando subito dopo un colpo di tosse, a cui seguì un rivolo di sangue dalla bocca.

Durante l’ultima battaglia doveva essere stato ferito in modo piuttosto grave, e questi erano i risultati.

Avya sospirò, lasciò andare a terra la sua lancia coperta di sangue e asserì: «Siete stati voi a cercarci, voi a uccidere persone innocenti pur di far morire sul nascere la dinastia dei miei figli. Cos’avrei dovuto fare? Rimanere ferma e farvi eliminare la carne della mia carne, oltre a coloro che avete presunto fossero i loro discendenti?»

«Sono creature immonde. Devono morire perciò sì, avresti dovuto restare ferma e concedercelo, come qualsiasi brava fanciulla timorata degli dèi» sottolineò Fryc, accigliandosi. «Quanto alle persone che tu reputi innocenti, dovevano a loro volta morire poiché le loro doti provenivano sicuramente dalle forze oscure, e perciò non meritavano di rimanere in vita.»

«Follie! Sono solo follie, le tue!» esclamò a quel punto Avya, sgranando gli occhi per l’orrore. «Se ti fossi soffermato a chiedere a chi è addentro ai Misteri, sapresti che alcune persone beneficiano di certe doti grazie alla loro anima antica! Non hanno niente a che fare con poteri oscuri, o forze demoniache!»

Fryc scosse il capo, come se le parole della sorella non lo toccassero minimamente.

«Dici così per giustificare il tuo atto osceno. Persino il nostro druido tentò di difenderti, dopo averti vista assieme al demone che ti inseminò il ventre immondo, ma non mi ci volle molto per capire che anche lui era impuro.»

Sconvolta, Avya ripensò al sommo druido che l’aveva preservata dai riti della fertilità, all’uomo che aveva per primo scoperto la sua fragile condizione. Certo, nell’aver compreso ciò che era accaduto, ne era subito rimasto spaventato ma, a giudicare dalle parole di Fryc, si era ravveduto, vedendo come Fenrir aveva risparmiato il villaggio per amor suo.

«Lo hai ucciso… hai ucciso un saggio perché non la pensava come te?!» esclamò furibonda Avya.

«Tu cosa stai facendo?» le ritorse contro Fryc.

«Sto difendendo la mia famiglia e coloro che tu reputi dei dannati» sottolineò per contro Avya, facendosi gelida in viso.

«E’ opinabile. Per me, e per coloro che mi seguono, voi tutti meritate di morire, e a questo ci atterremo sempre» si limitò a dire Fryc.

Un altro colpo di tosse, e un rivolo più importante di sangue scaturì dalla bocca di Fryc, portandolo a piegarsi su un ginocchio. Era chiaro quanto, l’emorragia interna, fosse più grave di quanto lo stesso Fryc avesse immaginato prima di cercare la sorella per ucciderla.

Aveva atteso il momento giusto, l’aveva portata all’esasperazione, lasciando dietro di sé cadaveri di persone prese a caso, così che la sua ira fosse portata al limite. Ancora, però, Avya non aveva sfoderato le sue armi più forti, non aveva permesso ai suoi figli di mostrare ciò che erano realmente, né ai troll di scatenarsi come un’orda barbarica sui villaggi.

Era stata furba, ma lui era riuscito comunque a stanarla e, proprio sfruttando le sue debolezze, l’avrebbe distrutta.

Non volendo infierire su un uomo già condannato, Avya dichiarò: «Morirai in solitudine, e la tua lotta morirà con te. Molti tuoi seguaci ti hanno abbandonato, e nessuno vorrà più lottare se non ci sarai tu a guidarli con il tuo odio.»

Fryc le rise in faccia, a quelle parole e, pur piegato dal dolore, replicò: «Credi davvero che, una volta deceduto, finirà tutto? Mia moglie e i miei figli proseguiranno al posto mio. Perché credi che non siano qui, sul campo di battaglia, come ogni altro membro della mia tribù?»

Accigliandosi, Avya mormorò: «Vuoi davvero rovinare la vita alla tua famiglia, più di quanto tu non abbia già fatto, mettendo sulle loro spalle una faida inutile?»

«Inutile?!» ringhiò Fryc, raggelandola con l’odio contenuto nel suo sguardo. «Tu sei immonda al pari dei tuoi figli, e di coloro che vi seguono. Ti sei abbassata a chiedere l’aiuto di troll e giganti, di esseri che meritano soltanto di restare nell’ombra e nella melma sudicia in cui sono nati. Non sarà mai una faida inutile

Avya scosse il capo, gli volse le spalle e dichiarò: «Sia come vuoi. Noi ci difenderemo sempre. E ora muori solo, visto che così hai voluto.»

Fryc non le rispose, si limitò a sogghignare e, raccolte le sue ultime forze, le si lanciò contro, affondando nelle carni della sorella la lama in acciaio siderale che gli era stata donata per ucciderla.

L’uomo che gliel’aveva consegnata gli aveva assicurato che nessun essere demoniaco, o dotato di poteri soprannaturali, avrebbe potuto sopravvivere.

Lui vi aveva creduto, spinto dalla paura di non riuscire e dal desiderio di vedere morta Avya e, nel corso dei mesi, aveva sempre tenuto al fianco quell’arma, pronto per il momento decisivo.

Quel giorno era infine giunto e, quando la lama affondò nelle sue carni, lui ne gioì al punto da scoppiare in una risata grottesca quanto soddisfatta.

La donna, per contro, ansimò per la sorpresa, si volse a mezzo per scrutare il volto vittorioso di Fryc e, con le lacrime agli occhi, esalò: «E’ questo quello che sei diventato? Un uomo pronto a colpire alle spalle una donna?»

«Non sei una donna… sei solo… feccia» ringhiò Fryc, rigirando il coltello nella ferita al fianco di Avya, che però non emise più alcun sibilo di dolore.

Sorpreso, Fryc affondò ulteriormente la lama, ma questa non procurò alcun danno evidente ad Avya che, a sua volta, scrutò l’arma spuntare dal suo ventre senza capire cosa stesse succedendo.

Fu in quel momento che un alone purpureo li avvolse e, a sorpresa, Frigga apparve al loro fianco, muovendo la mano di Fryc perché si allontanasse da Avya.

Sgomento, l’uomo crollò in ginocchio, ormai senza più forze, mentre la dea si volgeva per scrutare una sconvolta Avya.

Comprensiva e dolente, Frigga le sfiorò il ventre e mormorò: «Una vita per una vita. Odino ti ha concesso quella di tuo fratello, io ti restituisco la tua, poiché noi tutti abbiamo peccato d’orgoglio e stoltezza, non soltanto mio marito, e meritiamo di pagare un fio.»

«Divina Frigga…» esalò sorpresa Avya, guardandola con occhi sgranati.

Sorridendo mesta, la dea ritirò la mano e aggiunse: «Il pegno è pagato. Null’altro potrò fare per te, né verrà fatto in futuro per salvarti dalla loro follia. Perché tu sai che proseguirà, vero?»

Suo malgrado, Avya assentì e mormorò: «Ha avvelenato per anni le menti dei suoi familiari… non può che continuare.»

«Tu stessa hai avvelenato la mente dei familiari di Fryc, mostrando loro ciò che puoi fare, o che i tuoi figli possono fare con i loro soli corpi di uomini» le rinfacciò atona Frigga, ammirando dolente il campo di battaglia. «E’ ciò che succede quando la natura umana deflagra nella sua luce più perversa. Non fraintendermi… so che dovevi difendere le persone che ami, e che i tuoi nemici ti avrebbero comunque trovata e colpita. Ma, come ti disse Odino, sangue chiama sangue, e parte di esso macchierà sempre le tue mani. Sei pronta ad accettarlo?»

«Per difendere i miei figli? Sempre» assentì livida Avya.

La dea annuì al suo dire, sfiorandole la fronte con il pollice per benedirla. «Porta il corpo di tuo fratello nei luoghi in cui nacque, e parla con sua moglie. Se di faida dovrete morire, così sia, ma lasciate fuori da essa coloro che nulla hanno a che fare con la vostra disputa, o allora interverremo noi.»

Avya si dichiarò più che d’accordo e, mentre la dea svaniva dinanzi alla donna, il ricordo svaporò intorno alla figura in lacrime di Fenrir e a quella sconvolta di Brianna.

Prima che le loro due entità rientrassero nel corpo di Brianna, la giovane strinse in un abbraccio Fenrir e, con veemenza, mormorò: «Non ti sognare di sentirti in colpa, è chiaro?»

Fenrir non le rispose ma, prima che Brie potesse aggiungere altro, venne trasportata via lontano, svanendo dal mondo onirico creato da Odino e rientrando di prepotenza nella propria mente.

Il dio-lupo, a sua volta, riemerse con ferocia nel suo corpo fisico mentre Odino, una mano poggiata sulla spalla di Fenrir, lo sosteneva perché non crollasse a terra malamente.

Quando i suoi occhi di pece registrarono nuovamente l’interno della stalla dei McKalister e il volto preoccupato di Padre Tutto, Fenrir esalò tremulo: «Frigga… lei…»

Annuendo, Odino asserì: «Fu una sorpresa anche per me vederla comparire al fianco di Avya. Era preoccupata per le sorti della tua famiglia, ma non avevo idea che avrebbe agito in prima persona. Grazie ai suoi poteri illusori, salvò Avya, concedendole di vivere per poter veder crescere i suoi figli e, di seguito, i suoi molti nipoti. Vide la nuova razza generata dai tuoi pargoli prendere vita e, solo molti decenni dopo, nel suo letto, esalò l’ultimo respiro.»

«Ma la faida…» tentennò Fenrir, reclinando colpevole il viso.

«Sarebbe progredita in ogni caso. Se anche Avya fosse rimasta sulla difensiva, gli uomini di Fryc avrebbero messo a ferro e fuoco tutta Albion, pur di scovarla. Così, ha limitato le perdite, e fatto comprendere al clan di suo fratello l’importanza di non coinvolgere gli innocenti ma sì… anche Avya ha contribuito a rinfocolare l’odio. Nessuno è perfetto, ma non per questo le si possono dare delle colpe. Ti amava, e noi le togliemmo tutto, così lei fece l’unica cosa fattibile per limitare i danni. Attaccare i suoi nemici prima che questi ultimi uccidessero degli innocenti.»

Fenrir assentì più volte, prese un gran respiro e infine risollevò il viso, mormorando: «A ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria. Ma sono orgoglioso di lei.»

«Devi» sottolineò Odino. «Riportò indietro Fryc come richiesto da Frigga e, quando raggiunse il villaggio dov’era nata, parlò con sua cognata, convenendo che le morti inutili non avrebbero giovato a nessuno, né per una causa né per l’altra. Fu così che i Cacciatori, come li avrebbero sempre visti i discendenti dei tuoi figli, vennero indottrinati. Solo sangue del tuo sangue avrebbe dovuto essere colpito. Gli innocenti avrebbero dovuto rimanere tali. Il segreto non avrebbe mai dovuto trapelare per non creare panico inutile e inutili morti, e a ciò si attennero nei secoli.»

Ghignando sardonico, Fenrir mormorò: «Divennero dei bastardi con un’etica morale, insomma.»

«Il sangue insozzava le mani di tutti, dopotutto, e credo che a nessuno piacesse danneggiare gratuitamente chi non aveva a che fare con loro. Dare un peso reale alle morti in battaglia, e cercarne il meno possibile, fu l’unica soluzione per non far divenire follia quella faida tra famiglie» si limitò a dire Odino, scrollando le spalle.

«Nessuna guerra è giusta o sbagliata a prescindere, eh?» chiosò Fenrir.

«Gli uomini di Fryc erano mossi dalla paura, più che da un reale odio verso Avya che, forse, neppure avevano mai conosciuto…» dichiarò laconico Odino. «… d’altra parte, i troll combattevano per onorare la tua memoria e appoggiare Avya, non perché avessero dei conti in sospeso con gli umani. Insomma, non è tutto bianco o nero, in nessun caso.»

Fenrir assentì, si passò una mano sul volto e disse: «Brianna, puoi tornare? Ho davvero bisogno di staccare la spina, per un po’, e credo che tu abbia voglia di uscire, ormai.»

Non ti sentirò piangere per colpe che non hai, vero?, precisò la giovane, cauta.

Sorridendo, Fenrir replicò: «Ognuno di noi ha delle colpe. Bisogna solo imparare a portarle senza farsi schiacciare da esse.»

Uhm, te la terrò buona, come risposta, mugugnò Brianna, concentrandosi per tornare se stessa.

Riemersa, la giovane prese un gran respiro, fissò Odino con occhi dubbiosi e domandò: «Si riprenderà?»

«Quel ragazzo ne ha passate tante… era giusto che sapesse quanta gente si fosse battuta per lui. Certo, questo ha comportato qualche errore qua e là, ma l’amore di Avya e dei suoi figli deve rimanere sopra a ogni cosa» motteggiò Odino prima di lasciar riemergere Magnus, che sospirò tremulo al suo rientro nel proprio corpo.

Brianna lo sostenne e, mentre all’esterno la tempesta andava calmandosi fino a spiovere, lei dichiarò: «Credo che entrambi dormiremo della grossa, stanotte. Che dici?»

Il ragazzino assentì stancamente e, assieme, rientrarono in casa, ben decisi a riprendersi da quel viaggio onirico nel passato.
 
***

Sdraiata nel letto assieme a Duncan, mentre Nathan riposava tranquillo nella sua culla, Brianna carezzò distrattamente il torace del marito, prima di mormorare pensierosa: «Credo che, se fosse successo qualcosa a te come è successo a Fenrir, io avrei scatenato una guerra esattamente come Avya.»

Duncan le sorrise, baciandole la fronte prima di asserire: «Hai ben visto cosa feci, quando ti rapirono.»

«Quindi, non siamo né buoni né cattivi, alla lunga» mugugnò Brianna.

«Difendiamo il nostro diritto alla vita ma, non potendolo fare con le leggi vigenti o tramite dei tribunali, dobbiamo agire con artigli e zanne. Un sistema non esente da difetti, certo, ma è l’unico che abbiamo» scrollò le spalle Duncan. «Sono venuto a patti anni addietro con questo difetto del sistema. Non ho altri modi per difendere te o le persone che devo proteggere, perciò userò tutta la mia forza e la mia intelligenza, per tenervi al sicuro… sperando che i Cacciatori, nel frattempo, si tengano a distanza da me il più possibile.»

«Non li dobbiamo odiare per forza, no?»

«Non credo si tratti di odio fine a se stesso» ammise Duncan. «Credo di aver odiato veramente solo Loki, in tutta la mia esistenza, oltre a Sebastian Sheperd e Hel. Persino per gli Anziani non ho provato odio, quanto piuttosto delusione e frustrazione. Ma i cacciatori? Non li odio in quanto tali, ma posso odiare il singolo individuo. Diana, per esempio, la odierò sempre, perché fece soffrire Lance, ma gli altri Cacciatori? Furono un danno collaterale perché sapevano di noi, ma non li odiavo come persone.»

Sorridendo, Duncan aggiunse: «Quando ti conobbi, ero in rotta con il mondo e pensavo di odiare tutti gli umani a prescindere, ma fu solo quando la verità mi venne rivelata, che compresi quanto futili fossero stati i miei sentimenti verso di loro. Quello non era odio, era incomprensione. L’odio è molto più forte di così.»

«Danno collaterale, dici… suona davvero male, come parola» brontolò Brianna, accigliandosi. «Comunque sì, l’odio è molto diverso da ciò che ti sentii nella voce durante quei primi giorni di fuga nei boschi. Eri arrabbiato, ma non odiavi davvero.»

Duncan le sorrise benevolo, asserendo: «Avere te e Kate ci ha salvati da molti danni collaterali, se ben ci pensi. Quanti Cacciatori abbiamo salvato da morte certa, grazie a voi due? Quante vite non sono state spezzate? A volte, si può cambiare in meglio, Brie, anche nei confronti di chi ci è nemico.»

Brianna assentì pensierosa e Avya, contrita, mormorò nella sua mente: Se avessi pensato di cancellare i ricordi nelle menti di Fryc e gli altri, avrei evitato la faida, ma forse non sarebbe bastato. Il suo cancro aveva colpito così tante persone, e in così tanti posti diversi, che neppure il mio potere sarebbe bastato per trovarli tutti.

“Non siamo perfetti, no? In ogni caso, tutti abbiamo fatto qualcosa di buono, e in qualche modo siamo riusciti ad arrivare fino a qui. Non è male come risultato, no?”, replicò Brianna, consolatoria.

Già, in qualche modo ci siamo arrivati e, sicuramente, candeggiare le memorie dei Cacciatori è preferibile all’ucciderli. Lo preferisco anch’io.

“Allora siamo in due”, assentì Brie, sbadigliando subito dopo. «Dio! Restare per tante ore fuori dal mio corpo mi ha sfiancato! E domani dovrò replicare!»

Ridendo sommessamente, Duncan dichiarò: «Stavolta sarò più preparato e non farò arrabbiare Madre. Io ed Elsa andremo in città a fare shopping, così non mi fregherete una seconda volta.»

Brianna annuì divertita e replicò: «Quasi quasi, pensavo ci avrebbe abbattuto la casa.»

«C’era Nathan, dentro. Non lo avrebbe mai fatto» le ricordò simpaticamente Duncan.

«Giusto» mormorò lei, prima di picchiettare alla porta onirica di Fenrir. “Ehi, va tutto bene lì dentro?”

Perché non dormi ancora, Brie?, si lagnò Fenrir.

“Voglio essere sicura che il mio coinquilino stia bene.”

Esasperato, Fenrir bofonchiò: Sto bene, davvero. Non c’è bisogno che tu ti preoccupi per me.

“Ti voglio bene, perciò lo farò sempre”, sottolineò con candore Brianna.

Fenrir allora rise, riscaldò l’animo di Brianna con la sua speciale aura divina e mormorò per contro: Ti voglio bene anch’io, ma stai tranquilla. Non sono sconvolto per ciò che ho visto, e ho compreso che quello che è successo era inevitabile. Il sasso che rotola dalla collina è nella natura delle cose… noi abbiamo evitato di prenderlo in testa, diciamo.

“Hai un modo contorto di vedere le cose, ma sì. Lo abbiamo soltanto preso su un piede”, chiosò Brianna, sbadigliando nuovamente. “E ora dormo davvero. La filosofia spicciola lasciamola per un’altra volta. Buonanotte, Fenrir.”

Buonanotte, Brianna.

L’attimo seguente, la giovane chiuse gli occhi, si rannicchiò su un fianco e Duncan, nello spegnere l’abat-jour baciò la moglie e chiuse a sua volta gli occhi per riposare.

Credi che staranno bene?, domandò Avya, un po’ preoccupata.

Duncan sorrise nell’oscurità, assentì e disse: “Abbiamo sposato delle persone forti e coraggiose. Sapranno accettare anche questo.”

Credevo davvero che fosse la cosa più giusta, agire in quel modo.

“Lo so, Avya e, come hai sentito, anche Brianna avrebbe fatto lo stesso. Io feci lo stesso, alle Svalbard, perciò nessuno di noi può giudicare ciò che tu facesti all’epoca. Ognuno di noi porta il peso delle proprie scelte ma, se le condividiamo, sono più semplici da sopportare.”

Avrei voluto non dovervi rifilare proprio un simile peso, sottolineò la donna.

“Sarebbe giunto a noi comunque. La paura e l’odio sono insiti nell’animo umano e non potranno mai essere debellati. Andranno gestiti di volta in volta, sperando sempre di farlo nel migliore dei modi. Si commetteranno errori, certo, ma chi di noi può dirsi infallibile? Come abbiamo visto, peccano anche gli dèi.”

Vero, annuì Avya. Grazie, Duncan. Sono felice di essere rinata dentro di te.

“E io di averti al mio fianco” replicò Duncan.

Avya sorrise tra sé, nel suo angolino all’interno della mente di Duncan e Odino, intervenendo a sorpresa, le domandò: Non sei arrabbiata con me, vero?

No, Occhiosolo. Hai fatto bene. I dubbi non fanno bene a nessuno, e lui doveva sapere, asserì tranquilla Avya.

Bene. Ho sempre il dubbio di essere come un elefante in una cristalleria, quando sono con tuo marito.

Avya rise di quella definizione ma prima ancora di rispondere all’asserzione di Odino, Duncan celiò: “Possiamo parlarne domattina?”

Sì, scusa, mormorarono contriti sia Avya che Odino.

A volte, avere così tanti inquilini per casa – e nella testa – non era la cosa più semplice da gestire.





N.d.A.: e qui si chiude il ciclo legato a Fenrir, Avya e Odino. Credo di aver chiarito più o meno tutti i punti in agenda. 
La natura umana è quella che è, ci piaccia o meno e, quando la paura e l'odio la fanno da padroni, è ben difficile non difendersi anche in maniera altrettanto violenta. E' il difetto del sistema "umanità" di cui facciamo parte, che è capace di enormi meraviglie, come di scioccanti orrori.
Per difendere coloro che amava, e gli innocenti finiti nel mirino di Fryc, Avya si è dovuta sporcare le mani e, come ha trovato dei sostenitori, ha portato anche altra gente ad aver paura di lei.
Un cane che si morde la coda fin dall'inizio dei tempi, a mio modo di vedere e che, almeno per il momento, non siamo riusciti a convincere a smettere.
Spero che la breve storia vi sia piaciuta. Alla prossima!
  
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