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Autore: Colarose    26/10/2019    3 recensioni
Quando si perde tutto, non si fa che rimproverarsi di non aver fatto di più per non perdere quel tutto.
E Harry ha perso tutto.
Ma gli verrà data un seconda possibilità.
Un viaggio nel tempo, 27 anni indietro nel passato.
Prima che Voldemort seminasse terrore, prima della Prima Guerra Magica, prima dei Mangiamorte e prima della fondazione dell’Ordine della Fenice.
Prima di quel 31 ottobre, prima di quell’esplosione.
Prima dei Malandrini.
Una nuova responsabilità si fa carico sulle spalle di Harry: vincere la Prima Guerra, prima che ce ne sia anche una seconda.
Ma ci sarà un piccolo imprevisto.
**********
Siete pronti per la lettura?
Ma soprattutto, siete pronti per la storia del quinto Malandrino?
Genere: Comico, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Mary MacDonald | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Al rintocco di mezzanotte

Le vacanze natalizie furono una boccata d'aria fresca.
Negli scorsi due giorni sembrava esserci passato un mese, l'umore a Hogwarts era stato piuttosto pesante, ma ora gli studenti tornavano nel piacevole e in qualche modo rassicurante nido famigliare e i genitori non vedevano l'ora di vederli per rassicurarsi di persona che stessero bene. Infatti, dopo aver saputo la notizia dell'attacco a Hogsmeade, ciò che aveva impedito alla maggior parte di loro di mandare centinaia di lettere a Albus Silente con richieste di far tornare i propri figli in anticipo, era perché sostanzialmente mancavano soltanto due giorni per rivederli.

Certo, con questo non si può negare che il Preside ne avesse ugualmente ricevute, gran parte contenenti lamentele sulla presunta "sicurezza" che avrebbe dovuto garantire ai ragazzi che gli erano stati affidati. Il poveretto aveva ricevuto perfino tre Strillettere.

Tutti preoccupati, in ansia, per i loro figli, contattati poco dopo aver saputo dell'accaduto.

E, in mezzo a tutto quel marasma e quella confusione, con gli occhi fissi sulle schiene di James, Remus e Peter che si allontanavano insieme a tanti altri studenti dopo che avevano dato i saluti, Sirius non riusciva a fare a meno di pensare che i suoi genitori non avessero mandato neanche uno straccio di lettera. Che probabilmente se non fosse l'erede se ne sarebbero fregati altamente, vivo o morto.

Con Regulus andato anche lui per la via "sbagliata", sarebbero stati capaci di avere in cantina un altro figlio, con le speranze che questi diventasse il degno pupillo Black.

Sirius li odiava, per davvero, era fin da quando aveva otto anni che si chiedeva perché era capitato nella famiglia sbagliata. Sirius li odiava, per davvero, ma finchè non avrebbe avuto una nuova figura genitoriale, quelli erano da considerarsi tali.

E Sirius si ripeteva, li odiava, se lo ripeteva in continuazione mentre accompagnati ai pensieri rancorosi verso Orion e Walburga, verso alla loro non benchè minima preoccupazione, si ricordava i tempi in cui era ancora uno stupido ingenuo, ancora incapace di pensare con la propria testa e ancora inconsapevole del mondo che lo circondava, mentre sua madre rigida e severa come al solito, si premurava come minimo di sistemargli la camicetta per incontri importanti con delle carezze, per poi guardarlo tutta soddisfatta, qualche secondo prima di dirgli di sbrigarsi a venire con voce spazientita, mentre lui perdeva tempo a rimirare la sua bellezza allo specchio. Quando perfino Orion a presentarlo non imprimeva quella appena percettibile nota di disgusto e non gli lanciava un'occhiata di avvertimento; quando, invece, diceva «Questo è mio figlio» impassibile ma senza alcuna vergogna, facendogli un cenno veloce ma incoraggiante per fargli fare un passetto avanti.

Sirius continuava ad odiarli, perché da bambino di sette anni, quando aveva fatto amicizia con i bambini babbani del quartiere, era subito stato portato via, e gli era stato dato uno schiaffo per aver disubbidito. Aveva iniziato a pensare a quei bambini, non erano tanto male come dicevano i suoi genitori. Aveva iniziato a fare domande, protestando contro le risposte, cercando una logica che non c'era. E da come era cambiato l'atteggiamento dei suoi genitori da questo, aveva iniziato a pensare che a loro andava bene solo se si comportava da perfetto burattino. La conferma l'aveva avuta quando Andromeda, trattata bene e quasi con orgoglio dai suoi genitori e dai suoi zii, era stata cacciata di casa appena sposato un Babbano.

E non si pentiva di niente di quel che aveva fatto, eppure quelle memorie infantili gli davano uno spettro di come avrebbero potuto essere i suoi genitori se non fossero stati Black. E a guardare le altre famiglie, a pensarle, si ricordava che, purtroppo, lo erano.
 

Si risvegliò e tornò alla realtà quando vide Daniel Cooper in lontananza, tutto armato per affrontare il gelo di fuori, quindi con sciarpa, mantello e un cappello rosso, che correva verso le porte trascinandosi il baule, seguito da un ragazzino alto, dal viso sottile, e i capelli rossi e da un altro con gli occhiali quadrati e i capelli biondicci, rispettivamente Zed e Nolan, da come Reg li aveva descritti. Tutti e tre agitati che correndo facevano quasi ribaltare i propri bauli. Dietro di loro, con espressione calma ma a passo veloce vi era Regulus, che quasi si godeva la scena.

«Regulus, che ore sono?» chiese Zed, quasi urlando, visto che il corvino non era esattamente vicino.

«9:35... magari è rimasta una carrozza» rispose questi, un po' cantilenante, guardando il suo prestigiosissimo orologio Black sul polso, accanto al bracciale nero condiviso con Sirius. I tre aumentarono il passo, ma sulla soglia del portone Daniel non si dimenticò di voltarsi brevemente per salutarlo con la mano e urlare: «LA PROSSIMA VOLTA PERÒ TI OBBLIGO A VENIRE DA ME» e correre via.

Sirius sbattè le palpebre, alla sprovvista «Intende che ha proposto a Regulus di andare a festeggiare le vacanze natalizie a casa sua e lui ha rifiutato?»  pensò, mentre un'altra paranoia gli si infilava in testa.

«Ora ho realizzato che non abbiamo mai passato il Natale a Hogwarts, sai?» sentì una voce. Si voltò e si ritrovò Regulus di fianco, con un piccolo sorrisetto.

«Ciao, Regulus» lo salutò Harry, a fianco del primogenito dei Black. Sirius lo guardò un attimo, riprendendosi per borbottare un disinteressato «Già...»

Il primo anno aveva trascorso il Natale a casa sua, impegnato a "salvare" Regulus. Il secondo anno, l'aveva passato insieme a Harry e il suo fratellino a Potter Manor, dove aveva sentito la parola "famiglia" risuonare in ogni angolo della casa. Ora a Hogwarts, senza alcuno scopo, senza alcuna "famiglia" che siano i Malandrini o la famiglia Potter (l'aggiunta di ciò che stava passando James e della morte di Fleamont fece diventare il suo umore ancor più nero), sentiva il peso del Natale sulle spalle. Regulus che poi aveva probabilmente rifiutato l'invito di Daniel per lui, non aiutava.

Ma lui era Sirius Black! A Potter Manor aveva adorato il Natale (era diventata la sua festa preferita), e di certo non se lo faceva rovinare dal pensiero dei suoi stupidissimi, idiotissimi, coglionissimi, pateticissimi (e tanti altri insulti con il superlativo assoluto) genitori che gli stavano sui cosiddetti gioielli di famiglia (che per la cronaca, giusto per la propria modestia, doveva specificare che quest'ultimi erano rispettabilissimi).

«Bene!» esordì di colpo con un ghigno, facendo sobbalzare Regulus e Harry, che gli avevano gettato numerose occhiate caute per capire cosa gli frullasse per la testolina, mentre parlavano. Sirius li guardò con un'occhiata furbesca, e la sua espressione fece subito intendere che stava per far uscire una stronzata dalla bocca.

«CHI ARRIVA ULTIMO FA SQUADRA DA SOLO ALLA PARTITA A PALLE DI NEVE» come non detto, urlò come un pazzo psicopatico, che probabilmente anche Albus Silente dal suo ufficio, situato sulla torre più alta del castello, lo sentì. Come se questo non bastasse, prese a correre verso le porte del castello come inseguito da una mandria di rinoceronti, quando invece la cosiddetta "mandria di rinoceronti" non erano altro che due persone, Regulus e Harry, che lo seguirono più per istinto che per altro.

E anche perché sapevano che se non l'avessero assecondato, Sirius sarebbe stato capace di bombardarli nel corridoio con le palle di neve fregandosene del regolamento, dando comunque via a una partita a palle di neve.

«MA QUANTI ANNI HAI?! CINQUE?!» sbottò Regulus, cercando di stargli dietro, Sirius che correva per varcare l'entrata neanche fossero le porte del Paradiso.

«QUATTORDICI COMPIUTI IL MESE SCORSO! DAI, REGGY, SONO TUO FRATELLO!» gli rispose Sirius senza neanche voltarsi, ma Reggy poteva benissimo immaginarsi il suo sorriso. Spalancò gli occhi quando Harry, con una velocità che mai si sarebbe aspettato da lui ("merito" dell'intelligente sport che Dudley Dursley aveva inventato, chiamato poi "La caccia a Harry"), lo superò quasi senza difficoltà. 

Già aveva capito: avrebbe perso. E avrebbe perso pure la partita, sconfiggere due Malandrini che facevano squadra era un'utopia.

Sirius nell'entrare nel parco, lo fece con talmente tanta furia che inciampò e cadde in mezzo alla neve, a faccia a terra. Fu traumatico ricevere un improvviso gelo in faccia, sentì di colpo la sensibilità al naso andare a farsi fottere e cosa ancor più fastidiosa fu sentire delle risate quasi derisorie giungere alle sue orecchie (fortunatamente, non si erano congelati i timpani).

La regola che aveva precedentemente stabilito se la dimenticò nel momento in cui alzò la faccia ed ebbe la conferma di ciò che aveva pensato.

Quindi finì che raccattò un po' di neve e si alzò quel tanto che bastava per tirare la prima palla di neve in faccia a Harry, e questa quasi non gli finì in bocca. Regulus schivò quella diretta a lui solo perché si era accorto della sua vedetta in atto dall'urlo di sorpresa di Harry, oltre al suo attacco di tosse.

«Gli occhiali...» borbottò il malandrino occhialuto, togliendoseli e pulendoli con la stoffa del mantello. Li rimise e strizzò gli occhi, in tempo per vedere un'altra palla di neve diretta di nuovo verso la sua faccia, facendo in tempo a schivarla.

«Tu... stai colpendo il tuo compagno di squadra?» domandò lentamente, mentre Sirius raccattava altra neve, venendo colpito da una palla di Regulus sulla spalla. Per tutta risposta il maggiore dei Black gli fece un sorriso di sfida.

Regulus e Harry si coalizzarono e Sirius si ritrovò da solo, ma non sembrò importarsene molto. Tirò fuori la bacchetta e la puntò a terra. Decine di palle di neve si formarono e le sparò tutte verso di loro. 

 

Successivamente non sembrò avere molta importanza, chi era contro chi, chi era con chi, chi barava e chi no o altro. Fu una partita completamente a caso, senza alcun senso. Momenti in cui tutti erano contro tutti e momenti in cui si formavano squadre sul momento, salvo poi sciogliersi per un qualche "tradimento". Fu questo che amò Regulus, che fosse una partita pazza, spericolata, senza nessuna voglia di rispettare una qualche regola, proprio come piaceva a Sirius.

Forse, si disse mentre preparava un agguato a Sissy (dopo Reggy si era dovuto inventare qualcosa), non aveva assecondato suo fratello solo perché sapeva che si sarebbe vendicato. Forse, lo aveva assecondato perché era meglio tirargli palle di neve in faccia e vederlo ghignare, piuttosto che vederlo cupo, a osservare gli studenti tornarsene a casa, felici di poter rivedere le proprie famiglie. Regulus non aveva questi problemi. Lui aveva già deciso chi era la sua famiglia, e gli bastava quella.

Cinque palle di neve furono sparate una dietro l'altra sulla testa di Sirius, nascosto dietro una siepe, troppo applicato a cercare i suoi avversari per accorgersi che uno era proprio dietro di lui. Una sesta, Regulus la mandò al didietro. Sirius si trattenne a stento dall'urlare un'imprecazione mentre si girava di scatto, massaggiandosi la testa, con i capelli ormai fradici. Si ritrovò davanti gli occhi angelici di Reg, che stonavano completamente con il lieve sorrisetto derisorio che aveva stampato sulle labbra, quasi una perfetta imitazione del suo. Approfittò della sua distrazione, dovuta al momento "deridiamo Sirius perché ora ha anche il culo bagnato" per lanciargli la palla di neve che aveva già preparata in mano dritta allo stomaco. Il colpo fece sussultare Regulus, mentre si piegava leggermente.

Ad un tratto quattro grosse palle di neve furono sparate verso di loro, e Sirius prese per istinto il braccio di Regulus, tirandolo violentemente giù e premendo la mano sulla sua testa per fargliela abbassare. Le palle di neve mancarono per un pelo il bersaglio, schiantandosi a terra e facendo esplodere insieme a loro tanti brillantini verde fosforescente, che anche quando Sirius cercò di prenderli con un dito per analizzarli, questi non si staccarono dalla neve, rimanendoci incollati.

«È Harry?» mormorò Regulus alzando lentamente la testa, la parte sinistra del viso piena di brillantini, andatigli a finire in faccia quando si erano schiantati a terra, e una parte si era dispersa nell'aria.

Sirius annuì gravemente, qualche brillantino sparso qua e là per la faccia, guardandosi intorno con circospezione «Ha deciso di fare sul serio» disse gravemente, come se stessero in piena guerra e l'esercito tedesco avesse appena deciso di far entrare un nuovo battaglione sul campo. Si guardò di nuovo intorno e spalancò gli occhi «Vieni qui» e se lo trascinò velocemente dietro un cespuglio piuttosto distante da lì, più vicino al Platano.

Regulus vide di sfuggita Harry girato di spalle, mentre preparava con un colpo di bacchetta la Palla Neve di Brillaverde (avrebbe dovuto inventarsi un nome migliore).

Quindi si piantarono dietro al cespuglio, provvisoriamente a fare squadra, mentre cercavano di nuovo Harry per il parco, ma questi sembrava essersi volatilizzato.


Stettero minuti in silenzio, in allerta, Sirius che occasionalmente borbottava su quanto fosse forte Harry come avversario, parlando per esperienza personale. Regulus stava ormai per decidere di attaccare Sirius per la noia, visto che Harry li aveva apparentemente abbandonati, quando forse era più probabile che stesse tendendo in silenzio un agguato. Ma ad aspettare che facesse la sua mossa o che si facesse almeno vedere, era decisamente noioso.

«Regulus?» gli giunse a sorpresa la voce di Sirius, con un'occhiata vide che stava guardando tutto il parco attentamente, ma forse senza neanche impegnarsi davvero.

«Dimmi» sussurrò in risposta. 
«Posso farti una domanda?».
«Fammi la seconda.»

Sirius non rispose e continuò a osservare in giro, evitando di guardarlo. Non sembrava neanche certo di voler parlare, ma alla fine lo fece, buttando le parole come se fossero rimaste rintanate in bocca, impazienti di uscire:

«Perché non hai accettato l'invito di Daniel per festeggiare a casa sua?» chiese a bruciapelo.

La domanda fece voltare del tutto Regulus, «Cosa?!» fu la prima cosa che disse.

Sirius gli gettò un'occhiata sfuggente, prima di distogliere lo sguardo, in faccia un'espressione di finta noncuranza e indifferenza. Con tutta la partita a palle di neve si era dimenticato della questione, ma ora che si trovava da solo con Regulus, la domanda gli era tornata prepotentemente in testa. Dopo gli iniziali pensieri, aveva cercato di dargli poco peso, ma non ce la faceva.

«Lo so che te l'ha chiesto, ho sentito. Non me l'hai nemmeno detto.»

Regulus finalmente capì cosa intendesse, e aprì bocca per parlare, ma Sirius continuò senza fermarsi, sempre con la voce fintamente casuale, ma anche un sordo avrebbe capito che stava gettando via l'orgoglio «Non avrai rifiutato per... me? Cioè non è che devi sentirti in dovere o cose del genere a rimanere qui con me perché sono tuo fratello. Non voglio pietà, e non voglio nemmeno legarti a me, obbligandoti a startene qui. Non me la sarei nemmeno presa» poi fece un ghignetto «Non resto mica solo come un cane, sai?» poi il ghignetto sparì e l'espressione si fece più contrita «La prossima volta che te lo chiede quindi accetta, se vuoi, ok?»

Regulus lo guardò sbattendo le palpebre, spaesato, mentre suo fratello continuava a guardare in giro come se non avesse detto niente. 
Ma che cacchio era andato a pensare suo fratello? 
Insieme a quel pensiero si lasciò scappare una risatina, che gli fece guadagnare un'occhiataccia da Sirius. Lo ignorò e scosse la testa, guardando con un sorrisetto oltre il cespuglio.

«Pietà? Credi che io sia rimasto qui per pietà?» marcò Regulus la parola, vagamente derisorio. Si sentì un po' sadico, visto che il primogenito dei Black aveva già dovuto mettere da parte una buona parte di orgoglio per dire una cosa del genere, sentendo di umiliarsi, ma davvero non pensava che suo fratello avesse questi timori così insensati. «Morgana, Sirius! Certo che ne spari di cose assurde, eh?»

Uno sbuffo da parte dell'altro «Oh, ma sta' zitto.»

Regulus continuava ad avere quel sorrisetto irritante, mentre Sirius avrebbe tanto voluto avere una Giratempo e tappare la bocca al suo se stesso del passato, ma purtroppo non ce l'aveva e doveva sorbirsi le prese in giro di Regulus.

«Oddio» se ne uscì Regulus d'un tratto, con il classico tono di chi voleva chiarire una cosa «non è che voglio starti appresso tutti i Natali, solo che i primi da quando ho voltato le spalle a mamma e papà voglio trascorrerli in famiglia.»

Sirius aggrottò le sopracciglia, non voltandosi comunque a guardarlo «In famiglia?» domandò perplesso.

«Oh beh, il Natale si trascorre in famiglia, no? E ormai sei tu la mia famiglia, Sirius.»

Sirius spalancò gli occhi e si voltò di scatto, mentre Regulus non si era preso neanche il disturbo di voltarsi, pronunciando quelle parole come se fosse una cosa del tutto naturale, cristallino e sincero come un bambino, come se lo fosse ancora.

Forse Regulus a una certa si accorse di essere osservato, perché si voltò a guardarlo prima interrogativamente, poi con un sorrisetto, come se godesse della sua espressione.

Ma Sirius continuava a guardarlo stupito, probabilmente senza la minima traccia di rosso solo perché era Sirius Black. Ma sembrava ugualmente imbarazzato e con gli occhi leggerissimamente umidi. Sbattè le palpebre e si schiarì la gola, non guardando l'ormai ghigno di Reg.

«Questa sdolcinatezza... disgustoso, Regulus» borbottò, la mano che grattava distrattamente la neve a terra «Assolutamente disgustoso» sbottò, tirandogli una palla di neve a sorpresa.

«Ehi!» Regulus si parò con le mani, trattenendo una risata.

«Non ti ho insegnato proprio niente, Reggy. Prova a dire di nuovo cose del genere e non vedrai altro che neve» ghignò Sirius. Regulus si stava già preparando, quando un'enorme Brillaverde si schiantò su entrambi, ricoprendoli di neve e brillantini verdi.

Harry, che li guardava immensamente divertito, si fece avanti. «Sono finite le chiacchiere, quindi? Vi ho visto da un pezzo ma ho notato che eravate presi a parlare, non volevo disturbare, sapete.»

E mentre Harry cercava di schivare (fallendo) le dieci palle di neve che Sirius gli aveva mandato contro, mentre Regulus raccoglieva neve da terra piena di brillantini verdi per tiragliela addosso, e mentre alla fine di tutto crollavano a terra sfiniti con il fiatone e fradici, Sirius pensò, mentre li guardava, che anche lui aveva una famiglia con cui stare a Natale. Li guardava e si ricordava non solo di loro due, ma anche di James, Remus e Peter, e poi pensava che stupido com'era, non si era accorto che a differenza degli altri studenti, lui una famiglia ce l'aveva accanto per tutto l'anno, e non solo durante le vacanze.

Stava diventando decisamente disgustoso, sì.

*

James guardava la casa e quasi gli sembrava estranea. Guardava il grande salone per le feste, pieno di decorazioni, il tavolo lungo che una volta era stato al centro della sala confinato in un angolino, ancora pieno di avanzi e piatti sporchi; qualche sedia sparsa a caso, qualche pezzettino di cibo a terra, le bottiglie di Whiskey Incendiario mezze vuote. Il divano con i cuscini schiacciati e spostati, dove persone si erano sedute a chiacchierare piacevolmente, fingendo di godersi la serata al meglio.

James se ne stava lì, un bicchiere di Burrobirra stretto spasmodicamente in mano, mentre i primi Elfi Domestici comparivano, per mettere a posto il caos. Entro qualche ora, sarebbe stato tutto come nuovo.

Quando era tornato, James, aveva trovato la casa vuota e spenta come si ricordava, sua madre con delle spaventose occhiaie sotto gli occhi e con più rughe del solito, che appena lo aveva visto a King's Cross gli era corsa incontro abbracciandolo stretto più del solito, quasi piangendo «Grazie al cielo stai bene...». L'aveva vista quella sera farsi bella e far scomparire le occhiaie, ingoiando una pozione. L'aveva vista truccarsi e vestirsi bene e non trasandata come l'aveva vista fino a quel momento. L'aveva però sentita piangere, la notte scorsa. E poi accoglierlo con un bacio sulla fronte e un sorrisetto la mattina dopo, sussurrandogli «Buongiorno...» con tono dolce. Lui non aveva protestato come avrebbe fatto una volta, non aveva detto: «Mamma basta, sono grande!» perché alla fine non gli era mai dispiaciuto, e sapeva che ora, più che mai, sua madre aveva bisogno di dargli quelle premure.

James si era volontariamente buttato in quella situazione, quasi se ne pentiva, a Hogwarts sarebbe stato facile far finta che tutto andasse bene, che non se ne fosse andato a scuola abbandonando sua madre lì, in quella casa enorme. Ma la situazione andava affrontata, era stupido rimandare.

In due giorni, James aveva capito che aveva preso da sua madre. Tutto troppo doloroso per trattenersi, tutto troppo schiacciante per lasciarsi schiacciare, piuttosto, meglio alzarsi e sorridere un po' ogni giorno nel tentativo di rimanere così il giorno dopo, e quello dopo ancora, senza cadere di nuovo. E che James riuscisse a fingere meglio, che James riuscisse a restare alzato con i Malandrini che lo accompagnavano con le mani sulle spalle camminando, era tutt'altra questione.

James la sera del 24 Dicembre 1973 aveva visto una donna troppo allegra, troppo falsa, e allora forse aveva perso sua madre, in quella festa che aveva dato, invitando famiglia e amici. Non che non la volesse allegra, non che non volesse che cercasse di svagarsi. Solo... non così falsa. Perché faceva male anche a lei.

Porse a un elfo il bicchiere con un sorrisetto, mentre lui lo guardava dispiaciuto. Anche loro ci stavano male per suo padre, soprattutto Becky, James lo sapeva. Era stato un padrone gentilissimo, Fleamont Potter.

Sospirò e guardò il pendolo poco distante dai divani, che rintoccò la mezzanotte proprio in quell'istante. Il suono rimbombò per la casa, e gli mise ancora più angoscia, per un attimo, poi sbuffò e lo guardò male.

Odiava quel coso.

Suo madre lo rimetteva a funzionare ogni volta a Natale (per il resto dell'anno serviva solo come orologio, i rintocchi non li faceva, veniva silenziato) perché diceva che le trasmetteva una certa aria natalizia. James si limitava a guardarlo male ogni volta che lo faceva sobbalzare mettendosi a far rumore all'improvviso.

Si voltò e andò verso il corridoio.

Era Natale.

«Buon Natale, papà» sussurrò «Spero che tu te la stia spassando bene, lassù» continuò, con un sorrisetto malinconico. 

Passò per il salone, quello dove c'era l'albero di Natale, totalmente buio se non per la luce della luna che filtrava dalle finestre e le luci delle fatine sull'albero. Si fermò di colpo quando vide sua madre, i capelli rossicci in eleganti boccoli, il lungo vestito blu notte, gli occhi nocciola rivolti verso la cima del grande albero. Se ne stava immobile, con le mani dietro la schiena, le labbra tremanti.

Totalmente assorta, con gli occhi lucidi.

James non ci pensò nemmeno a guardare là sopra, avrebbe visto la stella che aveva evitato di guardare da quando era entrato in casa e si sarebbe ricordato che a metterla là sopra a continuare quella stupida tradizione non era stato suo padre. Piuttosto, un qualunque elfo domestico, e allora a fottersi la tradizione.

«Mamma» la chiamò James, facendo voltare di scatto Euphemia.

«Oh, James...» sussurrò, facendo un sorrisetto, guardandolo come se fosse una cosa bellissima.

Sguardo che mise fin troppo in imbarazzo James, facendogli distogliere lo sguardo. Dalla morte di suo padre, sua madre lo guardava così anche fin troppo spesso.

Euphemia si avvicinò, le mani ancora dietro la schiena. Alzò una mano, tenendo l'altra mano nascosta, e lo accarezzò su una guancia.

James si scostò per istinto come scottato, non seppe nemmeno lui perché. Forse perché sua madre era parsa all'improvviso così fragile, così non lei.

Euphemia ritirò la mano lentamente, facendola cadere sul fianco, una lacrima le scese lungo la guancia, ma non sembrò curarsene molto.

Il figlio la guardava spaesato, un po' in preda al panico. «Mamma... cosa...»

«Non me ne sono dimenticata, Jamie» lo interruppe Euphemia con voce vagamente incrinata. Continuò a guardarlo, la lacrima che cadeva dalla guancia e andava a posarsi sulla clavicola, mentre sorrideva leggermente. Tirò la mano da dietro la schiena, e gliela parò davanti agli occhi. 

James li spalancò, guardando fisso la stella dorata che mandava riflessi, davanti a lui. La stessa stella, la stessa stella che accompagnava la loro famiglia da anni. Il corvino gettò un'occhiata alla cima dell'albero, trovandola vuota.

Non c'era il tocco finale.

Guardò sua madre con gli occhi che andavano a farsi lucidi, totalmente incredulo, lei che continuava a guardarlo con un sorriso dolceamaro, vero e non forzato, mentre altre lacrime le rotolavano giù dalle guance.

Era bella e straziante sua madre.

«Vuoi metterla tu?» domandò con voce rotta.

E James avrebbe voluto urlare, perché il dolore al petto si stava facendo inaspettatamente più forte, perché il cuore correva come un pazzo e sua madre sorrideva e piangeva.

Ma gli venne anche da ridere, perché quella stupida tradizione senza senso, nata per un capriccio di suo padre, era diventata così importante, così stupidamente importante, che ora davanti a una stupida stella, vecchia di anni, usata e riusata, toccata dalle stesse mani ogni volta, gli stava esplodendo il tumulto dentro.

Stava ridendo suo padre, lassù. Stava ridendo con la sua solita risata contagiosa mentre scendeva giù e toccava con mani invisibili quella stella, la sua più grande gioia, pronto a metterla insieme a lui, in cima a quell'albero.
 

Forse fu un momento troppo intimo per descriverlo, forse è meglio non raccontare di quelle mani invisibili che James sentì, quando posò la stella in cima; forse è meglio non raccontare niente, non dire che le lacrime rotolavano una dopo l'altra sulle guance di madre e figlio, forse è meglio non raccontare di come Euphemia sorridendo e piangendo abbracciò il figlio al chiaro di luna, che la strinse a sé come se fosse ancora un bambino, con una risatina acquosa. Forse è meglio non raccontare di quel «Scusa, Jamie, scusami per non esserci stata...» di Euphemia, sussurrato tra i capelli di quel ragazzo piangente, di come le lacrime per la prima volta scesero insieme, dalle guance di entrambi, tenuti stretti senza volersi lasciare, senza maschere, senza falsi sorrisi, semplicemente a farsi forza a vicenda. Forse è meglio non raccontare dell'inizio di quel Natale, al rintocco della mezzanotte.

Forse è meglio di no, meglio non raccontare, perché tutto sarebbe solo sminuito da queste mere parole, da questi inutili dettagli.

I dettagli, certi momenti, li rovinano solo. 

*

Purtroppo essere un insegnante era un lavoro arduo, tutti i professori l'avevano immaginato agli inizi della loro carriera. Tutti sapevano che ci sarebbero sempre stati ragazzi problematici, che andavano trattati con pazienza, in ogni generazione capitava che ci fossero.

Minerva McGranitt era consapevole di questo ma, semplicemente, si chiedeva perché le era capitata proprio la generazione di cui facevano parte i Malandrini.

Perché doveva svegliarsi la mattina, cercare di aprire la porta della sua camera per poi fallire miseramente, dato che la maniglia diventava molle come un palloncino sgonfiato e quindi totalmente inutilizzabile, ogni volta che la toccava?

Perché doveva assistere con orrore alle rane che spuntavano dal piatto del professore di Cura delle Creature Magiche, Kettleburn, a tavola?

Perché doveva sentire i racconti di Vitious su come le sue stanze fossero state tappezzate di ritratti di lui e Pomona durante un loro immaginario matrimonio, con la scritta: "Auguri arguti e maschi di mandragola" ?

Ma soprattutto, perché dovevano comparire cinque vischi sopra la testa sua e di Albus, durante il cenone di Natale? Era stato alquanto imbarazzante quando il Preside li aveva fatti scomparire e questi erano riapparsi in dieci, costringendoli a cenare con dieci vischi in testa (perché no, non si parlava proprio di accontentarli, era qualcosa di oltraggioso).

Come se non bastasse durante Capodanno Selena Further, professoressa di Divinazione che Minerva ci scommetteva, Albus aveva scelto per disperazione (il precedente professore, Desmond Khan, l'unico che Minerva potesse ricordare con un minimo di "Occhio Interiore", troppo anziano non aveva dato ascolto a una sola preghiera di Albus, pur di abbandonare il lavoro e andarsene in pace), era una donna che si truccava in modo esagerato e ridicolo, per questo i suoi "problematici" studenti (che al momento erano due, ma Minerva non sapeva che era coinvolta anche un po' una terza persona) avevano ben deciso di farle vorticare intorno alla testa tutti i prodotti da trucco, che ci si mettevano di impegno per rovinarle la faccia al meglio.

Il pennello le buttava continuamente la terra in faccia, il rossetto cambiava colore e ritoccava le labbra mentre parlava (sporcando i denti), il mascara invece che mettersi sulle ciglia si spalmava sulle sopracciglia; l'ombretto, violetto scuro, ormai non si dava neanche la pena di provare a mettersi sulle palpebre.

Perfino abbracciando il professore di Difesa Contro le Arti Oscure, borbottando qualcosa su come le dispiaceva che presto sarebbe finito al San Mungo, i prodotti avevano preso a truccare e "sistemare" pure lui finchè non si era staccata: il gel e la lacca che si spalmavano sui capelli del poveretto, il rossetto giallo che colorava le orecchie.

Solo dopo ventiquattro ore esatte avevano smesso. 

Infine, uno studente di Serpeverde, sempre a tavola, finì per litigare con la forchetta perché non si faceva afferrare (inutile prenderne un'altra, a quel punto era il cibo a spostarsi per non farsi appizzare).

E altri scherzi minori. A quel punto Minerva aspettava solo che ricominciata la scuola i suddetti due Malandrini facessero una singola chiacchierata durante la sua lezione, e avrebbe dato loro tre settimane di detenzione, separati, e avrebbe tolto cinquanta punti a testa, per far pagare loro anche i precedenti crimini. Al momento più che guardarli male non poteva, visto che non c'erano prove (i furbi avevano anche fatto uno scherzo a loro stessi, e Pix ci si metteva d'impegno per far credere che fosse colpa sua. Probabilmente aveva stretto un accordo coi due). 



Poi Harry Potter, verso il 2 gennaio, cominciò a comportarsi in modo strano, a guardare il cibo come se fosse un orribile nemico, a parlare poco e se lo faceva, quasi con la mascella serrata.

Solo Sirius Black era a conoscenza del recente trauma di Harry.

La mattina del primo gennaio, infatti, si era svegliato con la foglia infilata in bocca, ma troppo vicino all'angolo di quest'ultima. Se Harry si fosse mosso nel sonno prima di svegliarsi, il suo... quinto? Sesto? (Ormai non li contavano nemmeno più) tentativo, sarebbe completamente andato.

In mezzo a quell'aria di spensieratezza che Harry si stava godendo (escludendo il breve incontro nell'ufficio di Silente per parlare del suo falso ruolo nell'Ordine e di possibili Mangiamorte attuali in base a quelli futuri), come previsto, arrivò la prima riunione dell'Ordine della Fenice, il 4 gennaio. Si iniziava l'anno alla grande, insomma.
 

«Legilimens» sussurrò Harry, con la bacchetta puntata.

Sirius fece una smorfia e strizzò gli occhi. Resistette per dieci secondi prima di sbottare: «Harry, porca puttana, fa male!»

«Aspetta un attimo, ci sono quasi» disse velocemente Harry, ma Sirius a malapena lo sentì. Davanti ai suoi occhi iniziarono a scorrere dei ricordi, prima lenti, poi sempre più veloci. Il Black fece violenza su se stesso per non cercare di respingerlo con l'Occlumanzia. A volte i ricordi si fermavano e duravano di più, e Sirius fu estremamente grato a Harry per non soffermarsi neanche un secondo su quelli dolorosi.

«Harry, basta» sibilò, il mal di testa era insopportabile. Harry disse qualcosa, forse un assenso, probabilmente la sua faccia era talmente contratta da far pena, poi sentì un'altra fitta e cadde all'indietro, alquanto incredibile, visto che era stato persino seduto fino a quel momento. Poggiò la testa a terra con il fiatone, come se avesse fatto una corsa, si mise una mano sulla fronte, che al posto delle fitte allucinanti, ora lasciava posto a un continuo mal di testa, ma almeno più sopportabile.

Se ne stette a fissare il soffitto, prima di alzare lo sguardo e trovare Harry che respirava profondamente (principalmente dal naso, la bocca leggermente aperta) ancora con la bacchetta puntatagli contro, un po' di sudore in faccia. Poi gli rivolse un sorriso felice, e Sirius avrebbe voluto tanto dargli un pugno, visto che la sua testa era tutt'altro che felice al momento. «Ce l'ho fatta! Sono entrato nella tua mente e ci sono stato per tipo mezzo minuto e sono riuscito a vedere tanti ricordi e sensazioni! E ce l'avrei fatta pure a continuare!» esclamò, quasi raggiante.

Sirius gli gettò un'occhiataccia «Hai mal di testa?» chiese. Da che pulpito.

«Un po'» Harry scrollò le spalle.

«Se ti interessa saperlo, la mia fa un male cane» informò Sirius con voce ironica, anche se di ironico non c'era proprio niente.

«Oh beh, questo lo so! Sai, si capiva dalla tua faccia. Poi me l'hai detto anche all'inizio!» proruppe Harry con una voce allegra, troppo entusiasta per i progressi appena fatti per curarsi del tono quasi squillante della sua voce e per aver aperto la bocca un po' troppo (per i suoi recenti standard).

Sirius sentì le mani formicolare per la voglia di strangolarlo, mentre sentiva una fitta alla testa. Con quella faccia da idiota era così simile a James che faceva più impressione del solito.

«Sirius! SIRIUS! Ci sei?» il suddetto Sirius fece uno sforzo immane per voltarsi verso il suo comodino, dal quale proveniva la voce, mentre intanto Harry prendeva una pergamena, probabilmente per scrivere a Remus dei progressi. Il licantropo era l'unico che si fosse dato la pena di informarsi tra i restanti Malandrini, quindi Harry si confrontava spesso con lui.

Il Black cercò di raccogliere le forze per alzarsi dal pavimento.

«PER LA BARBA DI MERLINO RISPONDI, ALTRIMENTI CHE MI HAI DATO A FARE QUESTO FOTTUTO SPECCHIO!» la voce urlò.

Un'altra fitta.

«JAMES TI SENTO! STATTI ZITTO, CAZZO» ruggì, con gli occhi strabuzzati dalla rabbia.

«Oh, ciao, Sirius!»

Quest'ultimo chiuse gli occhi per calmarsi, poi li aprì e si mise a gattonare fino al comodino, prese con uno scatto secco lo specchietto, e se lo mise davanti la faccia. Il viso sorridente di James gli restituì lo sguardo.

«Come vanno le vacanze?» chiese il suo migliore amico, mentre Sirius si buttava su letto, a pancia in su, e tenendo lo specchio di fronte a sé.

«Una merda. Hai anche solo la minima idea di come sia frustrante essere l'unica cavia di Harry?» borbottò. Analizzò un attimo la faccia di James con occhi stanchi, notando che era ancora felice e rilassato, come lo era dall'ultima volta che lo aveva visto a Natale, e quasi si sentì contento per lui. In realtà Sirius era troppo stanco e dolorante per provare qualche emozione positiva.

«Immagino, alla fine ci siamo passati tutti a essere le sue cavie, fratello» annuì James, passandosi una mano fra i capelli, più scombinati del solito, ma come in modo... delicato. Non come quando si arrabbiava sul serio. Erano strani i capelli dei Potter, sembravano influenzati dalle emozioni.

Sirius si mise un braccio sugli occhi. O forse era soltanto lui che stava delirando. «Tu non capisci, ha fatto progressi. Ora non è stato anche lui a farsi male, no, ora la testa fa male solo a me, il dolore che sentiva lui è andato a me, raddoppiando il mio, di dolore.»

Sirius sbirciò la faccia di James, che aveva le sopracciglia aggrottate, nel tentativo di decifrare la frase confusa che aveva appena detto. Poi ritenne opportuno rispondere con un «Ah» prima di «Progressi?!» tutto felice.

Allora entrò in scena Harry, dal nulla, che annuì e prese a spiegare in modo più dettagliato. Sirius chiuse gli occhi, nel tentativo di riposarseli.

Aveva sonno ed era tardi. Sentiva le chiacchiere di James e Harry farsi sempre più lontane, le palpebre farsi più pesanti e... lo specchio gli cadde in faccia.

Le chiacchiere si interruppero, prima che le risate (una ridicolmente trattenuta) iniziassero. Sirius si tolse con uno scatto lo specchio dalla faccia, imprecando e massaggiandosi il naso, che lo specchietto aveva colpito piuttosto forte.

«È stato una visione orribile, Siry, vedevo la faccia tua che si avvicinava e...» James si interruppe per un altro attacco di risa, mentre la sua visione nello specchio si agitava convulsamente.

«Jam... calmati, idiota» borbottò Sirius, poi guardò Harry, che a differenza dell'altro aveva smesso di ridere, ma lo guardava con un sorriso strafottente «E tu non guardarmi così, razza di diciannovenne» lo apostrofò, come se fosse un insulto.

«Ultimamente sei fissato con la mia età, eh?»

«Significa solo che finalmente ho accettato del tutto la cosa.»

James continuava a ridere.

«Piuttosto, ora ci protrai aiutare ad allenarci con l'Occlumanzia?» chiese il Black, in un disperato tentativo di cambiare discorso e, con suo grande sollievo, James alla domanda smise di ridere.

«Non credo, devo ancora imparare ad entrare nella mente più delicatamente. Se senti dolore senza neanche opporti... non va bene. Poi anche io dovrei affaticarmi di meno» spiegò Harry, con la faccia che andava ad oscurarsi.

«Harry, è Legilimanzia, mica è facile. Non metterti troppa pressione» disse James, scrollando le spalle, poi fece un ghignetto «Mister Prodigio, si sa che l'apparenza inganna, no?»

Sirius rise leggermente «Sfottilo quanto voi, Jamie, resta Potter 1.»

Si sentì uno sbuffo fintamente infastidito dall'altra parte dello specchio, poi all'improvviso si sentì un picchiettio dalla finestra. Sirius e Harry alzarono lo sguardo, trovando un elegante gufo che aspettava fuori.

Il Potter lo fece entrare, e questi subito gli porse la zampa, a cui c'era legato un bigliettino. Harry lo slegò e lo lesse, mentre il gufo volava via.
 

"Domani, 21:50.

P.s. Ultimamente mi hanno regalato dei buonissimi Pallotti Cioccocremosi, dovresti assaggiarli, Fanny continua a cercare di prenderne un po'."
 

C'era scritto, nell'elegante calligrafia di Silente.

«Chi è che ti manderebbe un biglietto vuoto?!» sbottò Sirius, dietro di lui, facendolo sobbalzare.  Era semi-appoggiato alla sua spalla,  lo specchio rivolto verso le mani di Harry, per far vedere anche a James.

«Sirius, stai inquadrando uno schifo.»

«Sta' zitto, James.»

«Come un biglietto vuoto?!» domandò Harry sorpreso, girandosi a guardarlo. Agli occhi perplessi di Sirius, riguardò brevemente il biglietto. Poi capì che Silente aveva fatto in modo che lo vedesse solo lui. Abbastanza ovvio, visto che parlava della prima riunione dell'Ordine della Fenice, dopotutto aveva nominato Fanny.

«Non è un biglietto vuoto, idiota, lo può vedere solo Harry. È scontata la cosa» se ne uscì James, rivolto a Sirius, quest'ultimo fece una faccia offesa.

«Tu da quando sei diventato così intuitivo?»

«Tu da quando sei diventato più stupido?»

«È colpa di Harry, lui e i suoi tentativi falliti di Legilimanzia. No aspetta, "più"? Cosa vorresti di-»

«La smettete?!» si intromise Harry, mentre quasi stropicciava il biglietto, cercando di non farsi prendere dall'ansia per l'indomani. Chiuse la finestra, da cui proveniva un venticello gelido, si girò completamente e vide con sua sorpresa Sirius con un gran ghigno in faccia.

«Jamie è particolarmente di buon umore oggi, che vuoi farci?»  proruppe allegramente, il diretto interessato si stese a faccia in giù dal divano, con un sorriso ammiccante. 

Harry scosse la testa divertito, poi prese la bacchetta e incendiò il messaggio, giusto per essere più paranoico. Anche perché Regulus al momento era giù nella Sala Comune a godersi un momento di pace da solo, ma ormai dormiva nel loro dormitorio.

«Che diceva il biglietto?» domandò Sirius, abbassando lo specchio, visto che a tenerlo sempre alto il braccio si era un po' stancato, e non aveva bisogno di altri dolori. Furono prontamente ignorate le proteste di James.

«Ve lo dirò quando ci sarete tutti» assicurò Harry. Avrebbe detto loro il minimo essenziale, non si trattava del futuro e credeva che non ci fosse alcun problema, oltre al fatto che ormai la regola "Non ci sono segreti tra Malandrini, se non per particolari circostanze" ora era ufficiale. «Domani esco, comunque.»

«A volte mi chiedo perché tu sia venuto a Hogwarts se hai cose da fare fuori molto più importanti» sospirò Sirius, mentre James finalmente taceva, affidandosi solo all'udito.

Harry sorrise leggermente, un po' furbescamente, un sorriso pieno di significati nascosti «Non potevo sprecare la mia unica possibilità di essere un Malandrino, ti pare?».

 

«Signore, non mi ha ancora detto quanti ne sono» domandò un ragazzo biondo, una ventina di anni circa, al bizzarro mago che camminava a fianco a lui, dalla lunga barba bianca e le vesti eccentriche, anche se meno del solito, più scure.

Varcarono i cancelli.

«Tredici, la professoressa Further direbbe che porti sfortuna» disse pacatamente, concludendo la frase un po' divertito «Ma contando anche quelli che hanno semplicemente offerto la loro disponibilità, siamo in sedici, per ora.»

Il ragazzo biondo annuì.

«Supponi di conoscerne qualcuno dell'attuale Ordine, a proposito?»

«Non credo molti, solo per nome la maggior parte.» rispose, guardandosi brevemente intorno. Le macerie non c'erano più, e alcuni edifici erano anche in buone condizioni: stavano finalmente riparando Hogsmeade. Silente non si fermò e camminò fino in fondo, fino al pub Testa di Porco, chiuso, che più di prima, sembrava reggersi in piedi a malapena.

Harry alzò le sopracciglia, dopotutto James aveva descritto il locale e aveva detto che era esploso.

«Il proprietario ha litigato con gli addetti alle riparazioni per farselo riparare immediatamente» ridacchiò Silente, poi si fece serio e bussò cinque volte alla porta chiusa.

Dopo qualche minuto si sentì il suono di catenacci, e la porta rovinata, sporca e logora, venne aperta velocemente quel tanto che bastava per far entrare una persona.

«Entrate, presto» mugugnò burbero un signore dalla barba grigia ingarbugliata e incolta, alto e magro. Aberforth Silente fece poi un gesto brusco e li fece entrare, chiudendo la porta dietro sé. Il locale era tutto disordinato, e i tavoli erano ammassati in un angolo, l'odore di polvere alleggiava nell'aria, il bancone pieno di stracci sporchi che, si suppone, sarebbero dovuti  servire per lavare.

Poi Aberfoth, dopo aver dato un'occhiata vuota a suo fratello, analizzò Harry da capo a piedi. Harry si sentì a disagio sotto quei penetranti occhi azzurri, ma alla fine il proprietario distolse lo sguardo.

«Grazie, Aberforth» lo ringraziò Silente.

Il vecchio burbero fece un gesto con la mano come a scacciare una mosca, voltandosi e dirigendosi verso gli stracci sporchi «Lo faccio solo perché lei lo avrebbe voluto.»

Harry capì immediatamente il riferimento, ma fece finta di non essere presente, anche perché forse per loro due in quel momento era meglio così.

Lo sguardo del Preside si oscurò, ma si riprese rapidamente «Ricordi quel che ti ho detto di fare?»

«Sì sì» disse sbrigativamente Aberforth, alle prese per decidere quale panno sporco usare. Al silenzio di Silente, che continuava a guardarlo, grugnì scocciato, guardandolo da dietro le lenti degli occhiali sudice. «No Albus, non voglio partecipare e ora non mi va di incontrare gli imbecilli che hanno deciso di far parte di questa pazzia, farò rapporto direttamente a te. Ora vai, farai tardi.»

Silente sospirò rassegnato e fece un cenno di saluto, porgendo il braccio a Harry. Questi lo afferrò e si smaterializzarono.

Comparirono per una via che sembrò stranamente familiare a Harry. Era piena di neve, da una parte all'altra si affacciavano villette con decorazioni natalizie, più avanti, la strada si faceva più buia e finiva in aperta campagna. Harry sentì un leggero vociare e si voltò indietro, solo per vedere una piazza illuminata di lampioni, dove un bel po' di persone passeggiavano. C'era un grosso albero di Natale scosso un po' dal vento al centro, che copriva parzialmente un...

Harry spalancò gli occhi.

C'era un monumento ai caduti, c'era una chiesetta che con le sue vetrine sembrava risplendere. E si ricordò di quando anni fa, camminava per quelle strade con la sua migliore amica, che se lo trascinava dietro, diretta al cimitero. In quella Vigilia di Natale da soli contro qualcosa di molto più grande, in una vita che era diventata il susseguirsi di giorni cupi senza nome e numero, alla continua ricerca di indizi. In quella Vigilia di Natale, in quel cimitero dove erano stati sepolti James e Lily Potter, a guardare la tomba in un momento di debolezza, ad andarsene abbracciati per sostenersi a vicenda.

Erano passati anni, ma Harry quasi la rivide indicare stupita il movimento ai caduti, mentre sotto Pozione Polisucco erano travestiti da babbani.

Godric's Hollow era ormai diventata una via troppo significativa per non scatenare un turbino di emozioni dentro di lui. A partire da quel 31 ottobre 1981 fino a quel 24 dicembre 1997.

Distolse lo sguardo dalla piazza, costringendosi a guardare avanti. Silente continuava a camminare, Harry guardò il punto in cui finiva quella fila di villette e fu un colpo a cuore vedere una casa in meno.

Silente sembrava dirigersi proprio verso quel punto.

Era sotto Incanto Fidelius? La casa dei suoi genitori era sotto Incanto Fidelius?

Ma allora...

«Signore...» esalò, a corto di parole.

Silente sembrò ricordarsi di qualcosa e prese un biglietto dalla tasca del mantello, porgendoglielo «Non mi fido a dirlo ad alta voce» spiegò brevemente.

Harry lesse la scritta nella solita calligrafia di Silente: "Il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice si può trovare al numero centodue di Grodric's Hollow."

Harry strinse le labbra tremanti e ripetè le parole in mente, guardando quel pezzo di terreno vuoto, dove comparve dal nulla una casa.

Trattenne il fiato. Era più bella, non con tutte quelle erbacce, senza il lato destro del piano di sopra esploso. Vederla così gli fece una certa impressione.

«Ti ricordi degli altri tre che hanno offerto la loro disponibilità? Tra di loro c'è anche la signora Potter, la madre del giovane James Potter. Ci ha dato una delle proprietà dei Potter per usarla come Quartier Generale, ora sotto Incanto Fidelius. Per ora non fa esattamente parte dell'Ordine, ma credo che con la recente morte del marito, sia desiderosa di mettersi in gioco per aiutare a sconfiggere Voldemort, sebbene mi abbia detto che debba pensarci» spiegò Silente tranquillamente, ma con voce bassa.

«Sarà presente?» riuscì solo a formulare Harry, con in testa mille pensieri e ricordi.

«No, ha paura di lasciare il signor Potter a casa da solo» rispose Silente, con voce comprensiva. Probabilmente Euphemia temeva che le portassero via anche il figlio, e non voleva rischiare di non essere lì per proteggerlo.

Harry annuì soltanto.

«Ti vedo un po' turbato, Cedric» costatò Silente, chiamandolo con il suo falso nome.

Harry deglutì «Sono già stato in questo villaggio prima, e quella casa è dove... sì insomma, dove loro vivevano, e dove se ne sono andati. Dove mi sono procurato questa» indicò la cicatrice, che nonostante la trasfigurazione non poteva essere tolta, scostando brevemente il ciuffetto che serviva per coprirla.

Silente lo guardò brevemente «Immagino allora, anche a me questo posto risveglia molti ricordi» disse calmo, lo sguardo gli si oscurò per un attimo, prima che tornasse alla sua solita espressione rilassata. Non disse altro.

Harry non chiese. Già sapeva. 

Il biondo entrò nella casa con il cuore in gola, guardandosi avidamente intorno, cercando di immaginare come doveva (per così dire, visto che nel 1974 di certo non era accaduto) essere stata quella piccola villetta arredata dai suoi genitori, magari con qualche foto appesa, oppure chissà dove sua madre aveva posizionato quel vaso in cui parlava nella lettera, che in seguito Harry aveva rotto. O forse immaginandosi un gatto che gironzolava in quella casa, parte della famiglia.

Entrati, si vedeva che l'abitazione non veniva usata molto. Era arredata in modo semplice, perfettamente ordinata e quasi fredda. Si vedeva che non era contagiata dall'accoglienza e dal calore della presenza dei Potter, che rendevano Potter Manor (sebbene più grande e maestosa) tanto particolare e bella.

Da quello che doveva essere il salotto, si sentivano voci, che si bloccarono nel momento in cui la porta, spinta dal vento, si chiuse da sola, facendo un rumore abbastanza forte.

Silente entrò nel "salotto" che ormai non poteva più essere chiamato tale: i divani non c'erano più, se non uno messo sul muro laterale, piuttosto in fondo, tutto il resto era occupato da un tavolo e numerose sedie. A quanto pare, il salotto, essendo la stanza più spaziosa, era stato deciso come sala riunioni.

«Mi chiedevo quanto ancora ci avresti fatto aspettare, Silente...» disse una voce ringhiosa, piuttosto infastidita. Harry si voltò di scatto verso la provenienza.

Alastor "Malocchio" Moody aveva il volto coperto soltanto da una decina di cicatrici, il naso completamente intero. I capelli non erano grigio scuro, ma sul rossiccio, il suo occhio normale, piccolo scuro e lucente era puntato verso Silente mentre, notò Harry agitato, quello finto, di un blu elettrico, era fisso su di lui. Sembrava abbastanza nuovo, si vedeva che l'aveva comprato recentemente. Fu questione di attimi prima che anche l'occhio normale di Moody si spostasse su di lui, stringendosi sospettoso.

Harry sudò: l'occhio magico di Moody era stato capace di vederlo sotto il mantello dell'invisibilità e attraverso le porte e le pareti. Non sarebbe rimasto tanto stupito se fosse stato capace di vedere addirittura attraverso gli incantesimi di trasfigurazione.

«Scusate il ritardo, c'è stato qualche piccolo imprevisto» disse Silente, sebbene Harry non potesse ricordare nessun imprevisto. Ma Moody non vi prestò attenzione, continuava a guardare il ragazzo biondo accanto a Silente. Iniziò ad avvicinarsi rapidamente, nessun "Cluck" che risuonava: aveva entrambe le gambe perfettamente intere.

«Tu... piccolo impostore... fammi vedere bene la faccia!» ringhiò iniziando ad estrarre la bacchetta. Harry spalancò gli occhi e indietreggiò.

Una donna dalla pelle scura si intromise e strattonò Moody «Alastor, calmati, stai spaventando il ragazzo!»

Malocchio non si calmò molto, rimase fermo ma con la bacchetta puntata.

«Si può sapere chi hai portato, Albus?» sbottò in guardia, la donna dai capelli neri ancora con le mani a stringere le maniche del suo cappotto, giusto per assicurarsi che non avrebbe ripreso ad avanzare.

Silente sospirò interiormente e guardò Moody con uno sguardo fermo e deciso «Una persona molto affidabile, ti posso assicurare. Ora, per cortesia, abbassa quella bacchetta, è inutile puntargliela contro.»

Moody dopo un momento di esitazione, ma notando lo sguardo sicuro di Silente, abbassò la bacchetta, ma rimase vigile. Harry sospirò di sollievo, ora permettendosi di guardare anche gli altri membri che avevano osservato la scena piuttosto stupiti, poi in attesa.

«Il mio nome è Cedric Granger, piacere» si costrinse a dire, guardandosi rapidamente attorno. La donna che aveva strattonato Moody ora se ne stava lievemente distante da lui, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, neri e mossi, pelle scura e gli occhi marroni, a occhio una trentina d'anni. Ma fu questione d'attimi prima che i suoi occhi si spostassero di scatto verso due persone poco più dietro a lei, dall’altra parte del tavolo. Avevano i capelli rossi e i volti identici, fianco a fianco, e a Harry rimandarono in mente la veloce immagine di altri due gemelli. Solo che questi, a differenza loro, erano meno fissati con l'essere identici: per lo meno, erano vestiti diversi. Ma avevano quell'espressione perennemente maliziosa tipica di Fred e George Weasley.

«Merlino Silente, quanti giovani vuoi portare qui?!» a parlare era stato un signore esasperato, apparentemente cinquantenne, dal naso storto e i capelli neri arruffati, con alcune ciocche grigie. Era vagamente familiare.

Harry si trattenne da dargli un'occhiata a sua volta esasperata.

«Quanti anni hai, ragazzo?» gli chiese quello.

«Venti.»

«Ecco, appunto!»

«Noi abbiamo ventidue anni, Dedalus» gli fece notare uno dei gemelli dai capelli rossi, divertito.

Dedalus... Dedalus Lux! A Harry gli si affacciò in mente un volto dai tratti simili, ma con molte più rughe di stanchezza, di vecchiaia.

Quello fece una smorfia rassegnata e mormorò, di nuovo: «Appunto...»

«Questa guerra è anche dei giovani, inoltre Cedric è assolutamente certo di unirsi» replicò Silente.

«Sì, Cedric...» grugnì Malocchio, pronunciando il nome a presa in giro.

«Ad ogni modo, » iniziò Silente, ignorandolo e chiudendo la porta dietro di sé. A quello, tutti iniziarono a mettersi seduti e composti, in ascolto: la riunione era iniziata. Harry si sedette a disagio accanto a una ragazza dai lunghi capelli marrone mogano a frisee, dall'aspetto nobile. Alcuni sembrarono spaesati per le presentazioni mancate, ma supposero che per quelle ci sarebbe stato tempo dopo. 

«Benvenuti alla prima riunione  dell'Ordine della Fenice ormai al completo*. Non sono presenti tutti i membri, ma ormai posso dire che le persone essenziali all'interno dell'Ordine, ormai ci sono» iniziò. I membri parvero sorpresi dal nome, prima di sorridere leggermente e concordare tutti silenziosamente al nome.

«Amelia, sei riuscita a convincere il capo Auror ad intervenire a Coalville?» chiese Silente, guardando una donna dalle sopracciglia folte, i capelli castani e la mascella squadrata.

Amelia Bones annuì «Sì, è stato un po' difficile convincerlo, in realtà. Era scettico, mi chiedeva come sapessi che probabilmente ci sarebbe stato un attacco. – fece spallucce – È bastato dirgli quel che mi hai detto tu e si è convinto, però ha mandato solo una piccola squadra di pattuglia, almeno però qualche Auror è abbastanza vicino alla Belvoir Road» all'ultimo fece una smorfia.

Harry assottigliò gli occhi, cercando di ricordare: Amelia Bones, presente alla sua udienza e morta poco prima che iniziasse il suo sesto anno. Sospirò interiormente... Rimaneva pur sempre brutto sapere la morte delle persone in anticipo, ti faceva pensare: "È così inconsapevole di cosa succederà negli anni avvenire" o almeno, se lui non ci fosse finito di mezzo.

Ad ogni modo, sembrava che la scusa che aveva detto Amelia Bones al capo Auror fosse appunto una "scusa", e non la vera fonte della soffiata. Harry alzò le sopracciglia: che Silente avesse già una spia? No, impossibile, troppo presto, l'Ordine era stato formato da poco.

«Scusate la domanda, come sapete che ci sarà un attacco a Coalville?» chiese.

Udì uno dei gemelli mormorare: «Questa è la peggior domanda che tu potessi mai fare...»

Un uomo anziano e in sovrappeso, dai piccoli occhietti con delle borse sotto gli occhi, trafficò da sotto la veste e prese la bacchetta rapidamente. L'agitò e fece comparire una mappa del Regno Unito, con vari cerchi rossi sopra.

«È piuttosto complicato, ragazzo!» iniziò compiaciuto e concitato con voce acuta ed ansante. Il che non solo provocò un disturbo ai timpani di Harry, ma contribuì anche a farglielo riconoscere. Elphias Doge indicò con un cerchio immaginario tutti i punti dove c'erano cerchietti rossi «Questi sono stati tutti gli attacchi fatti dai Mangiamorte. L'ultimo "grande" attacco ai Babbani è stato a Bishop Auckland, due mesi fa. In questi mesi Tu-Sai-Chi ha attaccato – o ha cercato di attaccare – famiglie di Nati Babbani o di maghi influenti nel Ministero della Magia. Il fatto è che cerca di essere imprevedibile. Ecco, non sappiamo ogni quanto attacca una cittadina babbana, perché questo è affidato al caso, ma riusciamo a dedurre la zona dove attaccherà. Bishop Auckland è circa a nord-est, Coalville è più o meno a centro sud, entrambe con non tantissimi abitanti, come tutte le cittadine dove Tu-Sai-Chi non ha attaccato fino ad ora. Sa che se attacca le più importanti, o con tanti abitanti, il Ministero della Magia sarà costretto ad informare il Ministero babbano, quindi preferisce per ora evitare. Allora si restringono le città, andando sui 25-30.000 abitanti. Inconsciamente attacca sempre nello stesso ordine: est, nord, sud, ovest o sud, est, ovest, nord. Ora sta attaccando nel primo ordine. Bishop Auckland era a nord, Coalville a sud. Abbiamo quindi fatto a turno delle piccole pattuglie intorno alle cittadine di 25-30.000 abitanti per rilevare presenze oscure visto che, prima di attaccare, Tu-Sai-Chi sceglie anche la via e le zone specifiche con più abitanti, fa un piccolo sopralluogo. Quindi a Coalville abbiamo notato qualche movimento sospetto, e abbiamo rilevato due o tre materializzazioni grazie a un incantesimo. Già dalla prima materializzazione, le ronde si spostano più nelle vicinanze, per controllare meglio. Da questo, in conclusione, possiamo dedurre che il prossimo attacco sarà lì.»

Si udì un leggero russare nel silenzio della stanza. Elphias si voltò di scatto verso un uomo dalla barba incolta «Dearborn!» esclamò indignato.

«Eh?!» saltò quello, spalancando gli occhi nocciola talmente chiari che quasi sfumavano nell'ambra. Guardò rapidamente Elphias, poi sbadigliò «Ah... hai finito?»

La faccia di Elphias si fece rossa dall'irritazione, mentre la donna che prima aveva cercato di fermare Moody, gli dava una carezza di conforto sul braccio «Suvvia, si sa che è troppo complicato per la sua mente bacata, cerca solo di non farsi venire il mal di testa.»

Dearborn sbuffò «Io idiota, Dorcas? Non sono idiota, è lui che fa ragionamenti troppo complicati per chiunque! Ci sarà pur un motivo se soltanto lui si occupa di dedurre gli attacchi!»

«Oh beh, è un complimento, no?» se ne uscì il gemello dal maglioncino verde.

«Lascia stare, Fabian o Gideon, chiunque tu sia» tagliò corto Elphias.

«Fabian.»

Harry continuò a guardare la mappa. Dorcas gli aveva appena dato dell'idiota senza saperlo, perché anche lui avvertiva un leggero mal di testa, anche se aveva capito il concetto.

«Un sistema basato molto sulla probabilistica, insomma. Se Voldemort cambia strategia praticamente è inutile.» concluse infine.

Elphias spalancò leggermente gli occhi al nome di riflesso, poi sospirò «Finchè non avremmo una spia tra i ranghi dovremmo basarci su questo, purtroppo.»

Harry sospirò «Ma le città di 20-30.000 abitanti, anche se solo a sud, nord ed eccetera, sono comunque tante. Come fate a controllarle tutte?»

«Controlliamo le città dove la circolazione è più attiva, di solito. Sulle altre mettiamo l'incantesimo di materializzazione» poi lo sguardo di Elphias si oscurò «È comunque capitato qualche errore, com'era prevedibile.»
Dopodiché se ne stette zitto.

«Ad ogni modo, dovremmo tenerci pronti anche noi» concluse deciso Dearborn, mettendosi composto.

«Esatto» concordò Silente, pacatamente.

«Ora... ho aspettato per il resoconto, ma la questione mi sembra urgente e pericolosa e non posso più aspettare» intervenne la donna a fianco a Harry, con voce grave, attirando l'attenzione di tutti. Silente le fece cenno di continuare. «L'altra sera la solita infiltrazione a Notturn Alley. Ero seduta al Dirty Soul, poi ho visto due vampiri che bevevano sangue... uno sussurrava all'altro di come alcuni suoi "amici succhiasangue lontani" abbiano deciso di andare a trovarsi "il gustoso sangue dei superbi" insieme al "mago che sta facendo casini". Credo proprio che non tutti i vampiri siano neutrali» concluse, con lo sguardo oscurato e preoccupato.

«Questa non ci voleva proprio!» ringhiò Alastor, sbattendo un pugno sul tavolo «Che mi taglino la gamba se non è vero che quelle creature hanno una velocità e forza talmente sovrumana che possono tranquillamente combattere con un mago senza armarsi di bacchetta!»

«Ne sei certa, Emmeline?» sussurrò un mago in fondo al tavolo, dai capelli neri e lisci lunghi fino alla mascella, la pelle olivastra.

«Se la mia interpretazione è corretta, sì. Ma sono assolutamente certa di aver sentito quella frase.»

«Ho l'impressione che in molti vampiri sia già sbocciata l'idea di unirsi a loro» disse Silente, anche lui preoccupato «C'è anche la possibilità che Voldemort voglia far unire con lui anche altre creature...»

«Dobbiamo assolutamente prevenire e convincerli, se non unirsi a noi, almeno a non combattere» disse Amelia.

«Fammici pensare... Vampiri, Giganti, Lupi Mannari, Goblin... come facciamo a trattare con questi, quando il comportamento dei "maghi civili" è stato tutt'altro che di incoraggiamento verso di loro?» se ne uscì Gideon ironico, elencando con le dita.

«Non credo che i Goblin si uniranno molto facilmente» proruppe Harry «Non sopportano i maghi, che siano come noi o i Mangiamorte, li tollerano soltanto per interessi. C'è solo il rischio che Voldemort offra loro la libertà. In quel caso potrebbero pensarci, ma credo che anche una volta alleati, ci sarebbero conflitti di interessi.»

Emmeline annuì leggermente. 

L'uomo dalla pelle olivastra, Benjy Fenwick, alzò la mano, «Fermiamoci un attimo. Credo che i Lupi Mannari e i Vampiri, per ora staranno ad osservare la situazione e a valutarla. Ora è troppo presto, per loro, giudicare Voldemort talmente potente da riuscire a battere Silente. Si uniranno solo quando ne saranno sicuri. La stessa cosa non si può dire dei giganti, sono aggressivi e vanno per istinto, e sanno anche che la loro forza raddoppierà la potenza di Voldemort. Quindi dovremmo occuparci di quest'ultimi, e trattare con loro per farli rimanere almeno neutrali e a non accettare nessuna offerta.»

«Sono d'accordo sui Giganti, ma rimango nell'idea che Vampiri e Lupi Mannari vedano più di buon occhio Voldemort, che offrirebbe loro libertà e accettazione, che noi, che a malapena offriamo loro un lavoro» replicò Gideon, concludendo la frase con una nota di amarezza.

«Tu-Sai-Chi sta attaccando cittadine babbane di trentamila abitanti, non credo proprio che ora si vada a cercare l'alleanza dei Giganti, una cosa così potente!» contestò un uomo dalla faccia squadrata e il mento pronunciato. Anche lui, come Amelia, aveva delle sopracciglia folte.
  
«Sì Edgar, ma se la andrà a cercare, e allora per noi sarà troppo tardi» borbottò Dedalus. 

«Ma come trattiamo con Vampiri e soprattutto, Lupi Mannari? Darebbero ascolto a noi? Sono, giustamente, estremamente diffidenti» intervenne Dorcas.

«Per ora basta che non si mettano altri loro simili a professare la felicità che ne deriverebbe dall'unirsi a Voldemort» ringhiò Moody, con voce graffiata, poi vece un verso di scherno «Felicità... la maggior parte dei Mangiamorte a malapena accetta i Babbani, figurarsi Lupi e Vampiri! Sarebbero comunque emarginati.»

«A proposito di questo, Alastor» proruppe Silente, che fino a quel momento se n'era stato ad ascoltare la discussione in religioso silenzio.
Al suono della sua voce, calò il totale silenzio «Credo ci siano buone possibilità che Fenrir Greyback si sia unito, o si unisca al più presto, a Voldemort.»

«Quella canaglia?!» ruggì Moody, alzandosi di scatto. 

«Scusate, chi è?» chiese Emmeline. 

«Un maledetto Lupo Mannaro!» rispose Moody, livido. 
Emmeline aggrottò le sopracciglia.

«È un licantropo che ha problemi con il Ministero, si può dire che sia più Lupo Mannaro che umano, è quasi capace di controllarsi mentre è trasformato, ma non per questo è meno feroce. Si diverte ad andare in giro a mordere bambini, in tenera età di solito, per poi magari farli unire al suo branco. È quindi piuttosto influente tra i Lupi Mannari, si suppone» spiegò meglio Amelia, leggermente pallida ma con voce controllata. 

Benjy si toccò il ponte del naso, preoccupato, mentre Dorcas mormorava qualcosa di incomprensibile. Gideon e Fabian si scambiarono uno sguardo.

Elphias si passò una mano sulla faccia «Come sai questo, Albus?» chiese, Dearborn alzò di scatto gli occhi abbassati, interessato alla risposta del Preside. 

Harry rimase impassibile, ma curioso di cosa si sarebbe inventato Silente. Dopotutto, era lui la fonte d'informazione, e non poteva mica dirlo.

«Fonti abbastanza affidabili. È comunque certo che è predisposto verso la parte di Voldemort» si limitò a rispondere Albus, ricevendo un'occhiata infastidita da Moody, mentre Harry quasi si sbeffeggiava internamente: Silente non aveva bisogno di scuse! Elphias non fece una piega, per lui Albus Silente era l'incarnazione della luce, andava bene qualunque cosa. 

«Quindi potrebbe coinvolgere altri Lupi, e magari il suo branco già è dentro i ranghi di Tu-Sai-Chi» sentenziò brevemente Edgar, rassegnato.

«Riguardo ai Giganti, credo che Hagrid sia disponibile per negoziare con loro. Essendo un mezzogigante, suppongo che verrebbe trattato leggermente meglio di noi. I Lupi Mannari, restano un problema, nessuno è disponibile per andare a presenziare nelle riunioni di branco per contestare l'idea di unirsi a Voldemort. Nessuno di noi qui è un licantropo, ergo non ci farebbero nemmeno ascoltare. I Vampiri credo ci andranno più cauti, sono sempre stati abbastanza neutrali nel corso della storia magica anche se, evidentemente, un gruppo si è unito per ragioni sconosciute» asserì Silente, con voce ferma e calma «Sono comunque d'accordo con Edgar, per ora Voldemort non userà Giganti o creature magiche, o comunque non in grande, viste le sue recenti attività. Ma come detto, è meglio prevenire. Non penso tuttavia che manderò Hagrid immediatamente, ha i suoi doveri di guardiacaccia e vorrei osservare per un po' come la situazione si evolve» Ci fu un assenso generale, mentre Silente assicurava che ne avrebbe parlato con Hagrid per vedere se fosse disposto.

La riunione continuò ancora per un po' con notizie ben più marginali rispetto alle due terribili novità. Quelli che ricevettero più attenzione quando parlarono furono Dedalus, che parlò brevemente sull'impatto di questi eventi sui Babbani, che si trovavano a volte (ma solo a volte, visto che i Mangiamorte preferivano il sadismo) davanti cadaveri che erano morti per cause sconosciute, senza alcun danno fatto al corpo, e Edgar, che lavorava al Ministero nell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, che riferì che finalmente era riuscito a convincere il direttore a dare il permesso agli Auror per fare un'ispezione a Nott Manor. 

Harry riuscì a restare attento tutto il tempo, ma si trattenne da alzare gli occhi al cielo quando vide Dearborn che si stropicciava gli occhi, mezzo addormentato, e i gemelli che ogni tanto sussurravano fra loro e ridevano, prima che Dorcas gettasse loro un'occhiata velenosa, ricevendo in cambio un occhiolino da Fabian. Emmeline, a fianco a Harry, rimase ritta come un palo per tutto il tempo, lo sguardo alto e rigido. Alla fine della riunione, quando tutti erano sul punto di alzarsi, erano circa le 23 e Dearborn Caradc guardava tutti con occhi stanchi, quasi assente dal mondo, mentre borbottava a Elphias che quella mattina si era svegliato alle maledette cinque nel mattino per andare a lavorare al San Mungo e aveva fatto anche gli straordinari per mezzo di un suo collega assente. Harry evitò di continuare a prestare attenzione nel momento in cui sentì Dearborn iniziare a lamentarsi perchè tornato a casa non poteva direttamente buttarsi sul letto. 

Con sua sorpresa, Emmeline alzò la mano, con lo sguardo rivolto a Silente. Il Preside, che per tutta la riunione aveva ignorato stoicamente la disattenzione di alcuni membri, la guardò curioso e alzò la mano, richiamando il silenzio, cosa che funzionò istantaneamente.

Emmeline si schiarì la voce e si voltò verso Harry «Visto che sei il nuovo arrivato, dovresti dirci il tuo patronus, così lo riconosciamo immediatamente.»

Harry sbatté le palpebre, preso alla sprovvista da essere improvvisamente calcolato da lei, e annuì ancora confuso.

«È un cervo» disse, ma poiché Emmeline lo guardava ancora in attesa, sguainò la bacchetta:

«Expecto Patronum» un cervo scaturì dalla sua bacchetta, lucente e allegro, e trotterellò per la stanza, saltando per un po' sul tavolo e prendendo come gradino le teste di Fabian e Gideon prima di tornare da Harry, chinare la testa e scomparire. Harry, o Cedric se vogliamo chiamarlo con il nome falso, sentì quasi una stupida gioia nascergli in petto vedendo che Ramoso era ancora lì, immutato nonostante il dolore che aveva passato.

Emmeline annuì, con un sorrisetto. «Credo che il mio ti capiterà di vederlo più spesso visto che faccio ronde, nel caso è un'aquila.»

«Intanto di' al cervo di non saltarci in testa la prossima volta» sussurrò Gideon, sorridendo divertito.

«È vero che non fa niente, ma è piuttosto strano» precisò Fabian, fintamente infastidito.

«A proposito di Cedric, Albus » se ne uscì Moody, tutto interessato, guardando Harry con un ghignetto sgradevole «Sapresti dirmi di cosa si occuperà? Oppure è qui per combattere durante gli attacchi?»

«Oh, si occupa di qualcosa che ha strettamente a che fare con Voldemort» rispose il Preside, quasi allegramente «Non posso entrare nel dettaglio, ma posso dire che abbiamo una pista per arrivare alla sconfitta di Voldemort e di questo Cedric si occuperà, ovvero verificarla e analizzarla attraverso una ricerca» concluse tranquillamente, fintamente inconsapevole di aver sganciato una bomba. Il silenzio era diventato pesante, mentre tutti i membri guardavano Silente sorpresi.

Harry ringraziò il fatto che non guardassero per ora lui con quelle facce. In realtà lui e Silente avevano concordato che effettivamente non potevano dire a tutti degli Horcrux, non ancora. Era lì per tenersi informato e per iniziare a individuare le persone di cui fidarsi, e a farli fidare a loro volta di lui, e se possibile, intervenire durante gli attacchi. Il suo scopo principale era la ricerca di Hocruxs lì dentro, all'interno di Hogwarts purtroppo più che individuare aspiranti Mangiamorte non poteva fare di più. Il suo falso ruolo, detto agli altri, consisteva nella ricerca dei ricordi di Tom Riddle, cosa di cui non aveva bisogno visto che già li conosceva, e né apparentemente doveva riferirli all'Ordine, Silente dopotutto non era neanche voluto entrare nei particolari. 

«Riguardo gli attacchi, non sempre sarà presente» continuò il Preside come se niente fosse.

A nessuno sembrò importare.

Fu a quel punto che Dedalus decise di dar voce al pensiero generale, alzandosi di scatto: «Una pista per arrivare alla sconfitta di Voldemort?! E tu, Albus, ce lo dici solo ora!?» esclamò sconvolto.

«Non è una pista sicura» mentì un po' Silente, quando invece non avrebbe voluto dire il motivo della presenza di Harry a meno che non l'avessero chiesto «non voglio darvi false speranze, quindi prendetela con moderazione» asserì gravemente. Dedalus continuava a guardarlo sconvolto, poi si voltò di botto verso Harry:

«E lui, questo ragazzo! Chi avrebbe mai immaginato! Oh santo cielo!» detto questo si sedette sulla sedia con la grazia di un elefante, la mano sulla fronte. «Troppo giovane! Ci si può fidare? Non è che farà qualche sciocchezza?!»

Harry si limitò ad alzare un sopracciglio, decidendo che era inutile darsi la pena di rispondere.

«Stavo iniziando a pensare che Voi-Sapete-Chi non avesse una debolezza, invece...» sussurrò Elphias, stropicciandosi gli occhi.

Amelia, rimasta immobile, scosse la testa «Non prediamola per vera a priori» ammonì.

«Scherzi? Io farei comparire una bottiglia di spumante» se ne uscì Fabian, sbuffando, con una faccia ancora disorientata.

«Oh beh, piuttosto presto per saperlo. Voldemort non ha ancora raggiunto il suo massimo potere, ha iniziato a fare seriamente da circa due anni. Mi aspettavo che questa guerra durasse un decennio, invece ora abbiamo già una pista» borbottò Malocchio ancor più burbero del solito, vista la sorpresa. Il suo grande occhio blu analizzò di nuovo da capo a piedi Harry.

«Non è che ti puoi lamentare» sussurrò Edgar.

Silente continuava a guardare tutti con un'espressione serena «Chiarito questo, vorrei precisare che a Coalville andrà chiunque di noi potrà farlo, ma preferirei la maggior parte di voi. Le ronde già le sapete, Emmeline e Dorcas avviseranno appena compariranno i mangiamorte. Con questo dichiaro la riunione chiusa, il prossimo incontro sarà il 10 gennaio, ma si vedrà, dipende dagli eventi.»

I membri annuirono, ancora storditi, e iniziarono ad alzarsi. I gemelli passarono accanto a Harry, dandogli pacche sulle spalle, e ad uno ad uno tutti si salutarono.

Moody non si risparmiò da lanciare un'altra frecciatina, sulla soglia della porta.

«Bella trasfigurazione, comunque» sussurrò aggressivamente. Harry si irrigidì e lo guardò allontanarsi.

Rimasti solo lui e Silente, finalmente uscirono dalla casa, chiudendola a chiave con un incantesimo, e venendo colpiti dall'aria fredda della notte. In giro c'erano pochi Babbani, e il silenzio, se non interrotto da alcuni "POP!" era quasi totale. Harry guardò brevemente Silente.

«Moody» esordì, guardando il Preside esitante. «Vede attraverso le trasfigurazioni? Sa quindi che sono un tredicenne?» sussurrò.

Silente aggrottò le sopracciglia «Non proprio. Non sono certo delle capacità del suo occhio, perché, ahimè, vuole tenerle testardamente segrete, come se io non potessi fare qualche ricerca» concluse divertito, per poi tornare serio «In ogni caso, credo che lui veda soltanto il flusso di magia continua che fluisce nel tuo corpo quando sei trasfigurato, niente di più e niente di meno. Se non fosse così, mi avrebbe già portato a parlare in privato.» rassicurò.

Harry annuì «Devo preoccuparmi?»

Il Preside sorrise leggermente «Sono certo che non lo dirà a nessuno. Alastor può essere anche un uomo molto diffidente, burbero e scontroso, ma è molto leale.»

Detto questo, Silente gli porse il braccio, dopo essersi guardato attentamente intorno e essersi nascosti sotto un'ombra particolarmente fitta. Harry lo afferrò e insieme scomparvero nella notte, lasciandosi dietro Godric's Hollow. 








 


*Ci sono state altre riunioni, visto che i membri hanno riportato informazioni. Ma Silente intende al completo, l'Ordine al completo senza la necessarissima (perché comunque si deve reclutare anche all'estero, in Inghilterra ecc.) aggiunta di altri. Quindi è ufficiale, l'Ordine è stato finalmente formato.

Angolo Autrice

Ciao a tutti! Eccomi ritornata con un nuovo capitolo (mi scusa per la lunghezza. Sarei esasperata anche io. Anzi, lo sono, visto che ho letto due volte il cap nella mera speranza di diminuire gli errori. Sappiate solo che erano di più). Sì, lo so che sto aggiornando sempre più lentamente... e mi scuso per questo. Per di più è iniziata la scuola, molto più pesante, e probabilmente lo diverrà ancor di più. Già di mio non sono una persona molta organizzata, quindi devo un po' darmi una regolata. E naturalmente ci sono anche impegni che non riguardano solo la scuola. Non ho intenzione di abbandonare la storia, anche perché fin dall'inizio mi sono ripromessa di non farlo per nessun motivo (a meno che non ci sia proprio l'impossibilità, nel senso che non è che posso scrivere dall'aldilà XD), visto che ho trovato storie di viaggi nel tempo, di Harry Potter in generale, di altre tremila fanfiction di altri fandom... incomplete. E mi ritrovavo a maledire l'autrire/autore (anche se, poverini, ora li capisco), quindi quando ho iniziato la storia ho deciso che non volevo farmi maledire XD.

Riguardo al capitolo... che dire, c'è tutto scritto XD Ho amato scrivere la scena tra James e la madre, che è come un momento di condivisione, di aiutarsi reciproco così come sfogarsi, perché non ci può aiutare a vicenda senza sapere il dolore dell'altro. Penso che sia davvero un tassello molto importante per superare un lutto, infatti James appare poi più rilassato e felice. Come detto, non ho voluto scrivere la scena con dialoghi e particolari, perché sapevo che avrei rovinato tutto.

La scena dell'Ordine! Ragazzi, un parto! Non sapevo come strutturare una riunione, visto che non ho mai letto in una storia proprio una riunione in generale, quindi ho barcollato un po' nel buio (scusate la spiegazione di Elphias che è una roba tutta complicata, non so neanche io quante pecche e probabilità vi sono).

Riguardo Dorcas nera, alla maggior parte dei membri di questa riunione mi sono attenuta come erano nelle immagini rilasciate da Pottermore (o Wizarding World...). So che la maggior parte delle volte è (credo) bianca e capelli biondi, o capelli neri e occhi ghiaccio, qualcosa del genere (la tipica ragazza di Sirius, da quanto ho letto). Ma non mi dispiaceva l'idea del canon. E inoltre ora ho scoperto che Marlene in realtà, nel canon, dovrebbe avere i CAPELLI ROSSI (e un'orribile frangia)! XD Ragazzi, se la facevo rossa, allora proprio Potter e rosse...

Il fatto della riunione dell'Ordine l'ho chiarito sopra, quindi...

Alla prossima!

P.s. notizia shock: Neville in realtà ha capelli biondi. Quando ho riletto due volte la saga? QUANDO?!







Capitolo gentilmente revisionato da lilyy, grazie!

 

   
 
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