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Autore: Stellato    29/10/2019    13 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Stessa domanda, risposta diversa

 
 
Sulle prime aveva reagito con fredda cortesia.
Era un automatismo: a corte, quando uno sconosciuto le si avvicinava per intavolare conversazioni, era necessario reagire con la massima cordialità, ma dentro di sé partiva un conto alla rovescia, un orologio che ticchettava inesorabile per pochi minuti al massimo, fino ad un suo cortese “Vogliate scusarmi” con cui si congedava dall’interlocutore.
Così quando quella ragazza per tante volte e con tanta insistenza aveva provato ad attaccar bottone, lei si era mostrata diffidente, contrariata, infastidita, persino.
Ma aveva iniziato a tenerla d’occhio e a cercare di saperne di più.
 
Poteva avere all’incirca la sua età, il viso truccato ogni giorno in modo diverso non permetteva di indovinare con precisione. Sotto uno strato abbondante di cipria si celava un incarnato dorato, il colore di una frolla ben cotta, di chi non teme l’esposizione al sole e si bea della vita all’aperto. La chioma ramata spesso esponeva orpelli degni della stessa sovrana: piume colorate, composizioni floreali di ogni foggia e dimensione, diademi a non finire che suggerivano una notevole disponibilità economica. I grandi occhi color di foglia erano vivaci, curiosi, sempre accesi da un’attenzione che ultimamente aveva a fuoco soprattutto Oscar, vattelapesca perché.
 
Al solito, le informazioni nel dettaglio le erano arrivate dal passaparola raccolto da André, maestro indiscusso nell’arte di raccogliere le voci di palazzo e nella scrematura di queste dal pettegolezzo selvaggio, attività preferita dalla corte.
 
“Il suo nome è Sabine de Plantier, ma questo forse lo sai già visto tutte le volte che ti si è presentata. Nata Florentin… una famiglia borghese molto, mooolto ricca che risiede a Grasse” enfatizzò sgranando gli occhi. “I Florentin risultano tuttora tra i fornitori ufficiali di profumi della casa reale e non solo, se ho ben capito esportano in tutto il mondo.
Da quattro anni Sabine è la moglie del barone Raymond de Plantier, anche qui soldi a non finire: produttori di vino, proprietà in tutta la Francia tra cui un meraviglioso castello in Borgogna e altre tenute notevoli in Provenza, dove pare che si siano conosciute le famiglie e abbiano organizzato in fretta e in furia le nozze. Un’unione romantica di patrimoni spaventosi e un fresco titolo nobiliare per la giovane Sabine… a proposito, ha la mia età: ventun anni compiuti il mese scorso.”
Oscar si limitò ad un cenno del capo, lo lasciò continuare mentre passeggiavano nei giardini della Reggia, in un viale azzurrato da una moltitudine di iris appena sbocciati.
“Però si dice che non vada troppo bene il matrimonio: lui è sempre via per affari, ma in tanti parlano di altri interessi che a seconda della versione vanno dalle donne alla passione per l’entomologia, pensa! Nessuno sta loro col fiato sul collo per un erede perché il barone ha un fratello gemello cha ha già provveduto e Sabine de Plantier non sembra particolarmente interessata né alla vita da signora né a quella dorata di Versailles. Dopo una breve parentesi di feste e ricevimenti in cui ha fatto scalpore con le sue toelette eccentriche e costosissime si è dimostrata una partecipante poco entusiasta della vita di corte.”
“Come sarebbe a dire?” l’interruppe lei. “È sempre a Versailles da un mese a questa parte!”
“Qui entri in gioco tu, Oscar. Pare che stia raccogliendo informazioni su di te, non c’è una sola dama a cui non sia stata fatta una domanda sul tuo conto.”
“Ma perché? Cos’ha in mente, secondo te?”
André le rispose con un sorriso in bilico tra la comprensione e la presa in giro, e si allontanò di qualche passo di sicurezza prima di aggiungere: “Questo avremmo potuto già saperlo se fossi stata meno scontrosa e le avessi parlato tu stessa, Oscar.”
Il sasso che lei gli calciò colpì con precisione il dito più piccolo del suo piede, facendogli vedere le stelle.
“Stai diventando troppo suscettibile, sai???”
“Hm. Tienilo a mente, André.”
“Ahia… aspetta, dove vai? Fa malissimo!”
Lei fece dietrofront, un’espressione completamente diversa ad adombrarle il volto.
“Davvero ti ho fatto male?” chiese preoccupata.
Lui le prese la spalla a mo’ di stampella e continuò la commedia fino a strapparle un sorriso.
“Temo che perderò l’uso del piede. O di tutta la gamba. Non c’è da sottovalutare il colonnello de Jarjayes: persino con le pietre può ferire mortalmente il nemico!”
Lo accompagnò saltellante alla panca più vicina, ma era chiaro che non si trattava di nulla di grave. Faceva parte di un immenso assortimento di rituali che coltivavano dall’infanzia, la loro amicizia andava al di là delle differenze di rango e si perpetuava negli anni con la costanza rassicurante del nord delle bussole.
Di tanto in tanto c’erano questi siparietti che prevedevano solo loro due come spettatori, momenti buffi in cui tornavano bambini. Lui che prendeva ogni piccolo infortunio sul serio per buttarla nel ridicolo, Oscar che sminuiva ogni sintomo riguardante la propria salute e dava il La ad André per l’imitazione di sua nonna preoccupata.
Roba che faceva ridere solo loro due, ma comunque.
 
“André, non è che io sia così scontrosa di mio…”
Lui fece uno sforzo tremendo per astenersi dai commenti, ma si tradì con gli occhi. “Dai, smettila. Non lo sono così tanto di solito… è che negli ultimi tempi a corte sento un’ostilità crescente nei miei confronti; dammi pure della paranoica, ma mi sento circondata dai galoppini della Polignac e dalle sue bugie. Non riesco a fare a meno di pensare che sia sospetto l’improvviso interesse di questa donna… Provo solo ad essere prudente, capisci?”
“Lo capisco benissimo. Ma non credo proprio ci sia alcun pericolo in questo caso… in più ormai non hai scampo, sai?”
“In che senso, André?”
“È metodica questa tipa. Questa mattina si è rivolta direttamente a tua madre e si è fatta invitare la settimana prossima a villa Jarjayes per un tè, con la promessa esplicita che tu sarai presente.”
 
***
 
Da quel pomeriggio la sua ammiratrice si era volatilizzata.
Paradossalmente, Oscar era ancora più tesa; si aspettava di vederla sbucare da un momento all’altro e la cercava con lo sguardo, detestando la passività della sua situazione. L’avesse rivista, almeno, avrebbe provato a farsi un’idea chiara delle sue intenzioni prima di ritrovarsela in casa. Ma non poteva dargliela vinta, no davvero. Avrebbe presenziato al tè il minimo indispensabile per poi trovare una scusa… o poteva non presentarsi affatto?
Riemerse da quei pensieri grazie al lavoro, inserire le nuove reclute nei turni di guardia e riorganizzare ogni reggimento si rivelò un’impresa più ardua del previsto, la assorbì completamente per due giorni pieni. Persino la sera nel letto continuavano a venirle in mente le combinazioni di nomi – chi non doveva star con chi, chi e dove invece andavano assieme - e la distribuzione degli incarichi il più giusta possibile, anche se qualche protesta era inevitabile e andava messa in conto. C’era sempre qualcuno che si sentiva bistrattato, mai nessuno che non si sentisse all’altezza.
 
La domenica mattina si svegliò con un umore migliore e la voglia di fare una cavalcata. Dalla finestra della sua stanza filtrava il primo sole caldo, la promessa di una giornata primaverile come si deve nell’azzurro senza nuvole del cielo.
Si preparò con pigrizia, gustando una lentezza che si concedeva poche volte persino nei suoi giorni liberi, ed era più tardi del solito quando arrivò al tavolo della colazione.
A quell’ora della domenica buona parte dei domestici aveva il permesso di andare a messa e la casa rimaneva quasi vuota. In quell’assenza di rumori surreale, ad Oscar pareva di ritrovare l’intimità di cui godeva solo in vacanza, quando si ritirava ad Arras o in Normandia chiedendo la minima presenza di servitù, il necessario per non apparire sconveniente.
Nanny sbucò preoccupata; doveva stare aspettando con le orecchie tese di sentirla scendere perché era già nelle cucine a preparare il pranzo. “Ti senti bene Oscar? Cosa succede?” le chiese ansiosa.
“Va tutto bene, me la sono solo presa con calma, per una volta. Sai dirmi dov’è André?”
“È andato a Parigi con Gustave per delle commissioni, sono partiti un’oretta fa. Preferisci del tè o della cioccolata per colazione?”
“… Ti ha detto quando sarebbe rientrato?”
“Non mi ha detto nulla, ma immagino sarà di ritorno tra qualche ora, di solito avvisa prima se intende trattenersi fuori tutto il giorno.”
“Va benissimo del tè, grazie.”
 
Attese. La prospettiva di un pranzo tardo alla locanda da Sargent sfumò col passare delle ore. Il posto ingolosiva soprattutto lui ed era una delle mete preferite dei loro giorni liberi e assolati, quando i tavolini all’aperto sul retro del locale si affollavano di visitatori, ma nonostante questo Sargent faceva sempre spuntare come per magia un posto per loro, clienti affezionati e a dir poco unici, l’ultima figlia dei Jarjayes che vestiva da uomo e il suo bell’attendente dagli occhi verdi e dolci che parevano usciti da un romanzo.
Provò a sfamarsi con del pane e formaggio per prendere velocemente la via della porta e concedersi la cavalcata rimandata così a lungo, ma Nanny pretese che mangiasse lo stufato di verdure e carne che aveva snobbato a pranzo con la prospettiva di uscire, la qual cosa le prese altro tempo e il sole cominciava già ad abbassarsi quando finalmente lasciava le stalle in sella al suo cavallo bianco.
Macinava pensieri contrastanti, sentendosi sciocca per aver aspettato tanto senza aver un accordo preciso con André, ma continuava a cercare un appiglio, un motivo di biasimo che comprendesse anche lui, che l’aveva lasciata sola nel loro giorno libero.
Non era scritto da nessuna parte che dovessero trascorrerlo assieme.
Per lavoro, lui le stava già alle costole di continuo e senza orari precisi a difenderlo dalla sua invadenza, nella pratica la sua unica parentesi di libertà era proprio la domenica.
All’occorrenza, André era SEMPRE a sua disposizione. Lo sapeva benissimo. L’aveva ribadito lui stesso in più occasioni tra il serio e il faceto, ma soprattutto non aveva mai smesso di dimostrarlo.
Ora, lei si rendeva conto di non essere la persona più semplice del mondo. E che nella loro situazione in molti avrebbero espresso delle perplessità circa la possibilità di definire la loro come un’amicizia sincera. Ma profondamente lei non aveva mai dubitato della solidità del loro legame.
C’era. Reale come la terra su cui stava correndo il suo cavallo, come il paesaggio che aveva attorno, ma che fatto di troppe definizioni, sfuggiva alla presa.
Le ombre degli alberi si allungavano sul sentiero e sembravano ostacoli, pause di luce e oscurità accecanti a farle da contraddittorio.
 
E se le cose fossero cambiate?
A prescindere da quello che era il loro legame, André avrebbe potuto da un momento all’altro lasciare casa Jarjayes per cercare qualcosa di diverso. Una vita nuova, una sua famiglia.
Come aveva fatto a non pensarci mai prima d’ora?
Come aveva fatto a non considerare una possibilità così ovvia e tangibile, che per quanto ne sapeva poteva essere già nei desideri di André?
Perché non ne avevano mai parlato di quegli argomenti?
La risposta probabilmente stava nel fatto che lei era la via di mezzo che era, una donna a cui però prospettive come il matrimonio venivano inevitabilmente precluse e magari una persona sensibile come André riteneva inopportuno aprire quel discorso.
Le piombò addosso un’angoscia mai sentita prima, che nel suo modo contorto di gestire le emozioni divenne una specie di rabbia arresa, muta e fine a se stessa, che la portò solo a galoppare più veloce, a provare a stancarsi.
Tornò alla villa ben dopo il tramonto e la prima cosa che sentì nel parco fu la risata inconfondibile di André. Appena girato l’angolo della casa lo vide all’ingresso della stalla, seduto su una botte in compagnia di Gustave, il maniscalco, e un ragazzo più giovane che non aveva mai visto, o almeno così le sembrò nella penombra della scena.
“Oscar!” Esclamò lui appena la notò. Le corse incontro con l’aria preoccupata e prese subito le briglie del cavallo, a cui carezzò il muso in un’accoglienza calorosa per mezzo equino “Ma dove eri finita?”
“Ho fatto una passeggiata.” Rispose lei atona.
Nessuno dei ragazzi fiatò, l’istinto suggerì a tutti loro che quella era una risposta da temere e si rialzarono dalle loro sedute, pronti a togliere il disturbo.
Ma quella fu l’ennesima incomprensione. Oscar si sentì più che mai la padrona, il dovere che interrompe il divertimento, la fine della domenica.
André non capiva. Cercò la cosa giusta da dire, mentre la osservava scendere di sella e sbattersi la polvere dai calzoni con noncuranza. Forse non c’era affatto una cosa giusta da dire.
“Stai bene? Sembri un po’ giù o sbaglio?” sussurrò per non farsi sentire dagli altri due, ma lei rispose a voce piena, anche se nuovamente distaccata, quasi con sufficienza: “Ma no, sto benissimo. Stai pure coi tuoi amici, è il tuo giorno libero, hai il diritto di rilassarti. Io rientro, vado a riposare. Buona serata a voi” concluse a voce ancora più alta per non lasciare alcun dubbio che il saluto fosse rivolto anche a loro.
Quelli risposero con timidezza, le arrivarono dei saluti impediti che già dava loro la schiena e sollevò un braccio di rimando.
André c’era rimasto così male da rimanere senza parole, la lingua appiccicata al palato da uno strato di amarezza, l’ingiustizia di fondo mille volte più debole della voglia di correrle incontro e provare a risolvere, ma avrebbe dovuto aspettare l’indomani, perché era chiaro che adesso non sarebbe riuscito a parlarle neppure minacciandola con una pistola.
 
***
 
Solo che la mattina seguente André non avrebbe potuto parlare comunque, preda di un mal di gola repentino quanto violento, con l’aspetto malconcio di chi aveva aggiunto l’insonnia alla malattia e un fil di voce appena al momento della colazione, così che venne subito assalito dalla nonna quale potenziale veicolo di contagio per madamigella Oscar e spedito lontano da lei a riposare.
 
Non era certo la prima volta che Oscar si recava a Versailles senza André.
Ma quella mattina, tra i veli di nebbia che si sollevavano dai campi imbiancati di rugiada, la cosa assunse un significato diverso, quasi di una premonizione.
Le cose sarebbero cambiate.
Non c’era da prendere precauzioni, non avrebbe potuto farci nulla quando sarebbe successo perché non era questione di sua volontà, semplicemente. Le vite degli altri andavano avanti, mentre la sua si ripeteva con le stesse dinamiche e negli stessi scenari, in cui si immaginò muoversi come una marionetta, appesa ai fili che l’avrebbero trascinata sempre più in alto, fino al ruolo di generale, con grande gioia di suo padre.
 
Ma lei lo voleva?
 
A lei in realtà stava bene.
Aveva un lavoro a cui dedicarsi e in cui dare il massimo, godendo di libertà ed esperienze impensabili per il suo sesso. Aveva le sue passioni e la possibilità di coltivarle, la musica e la lettura in primis. La sicurezza della sua famiglia, che pure c’era al di là della scarsa frequentazione tra loro.
C’erano i contro, sì, ma c’erano anche degli indiscutibili pro.
Solo che quell’equilibrio fragile prevedeva una necessaria condivisione con qualcuno. Non aveva mai notato prima quanto André fosse un elemento imprescindibile da quel quadro e la sola ipotesi di perderlo la mandava nel panico.
 
Nel circolo vizioso di simili pensieri la giornata trascorse in un lampo, senza che un’anima viva si accorgesse del suo stato d’animo turbato. Era così abituata a dissimulare le emozioni che per quanto potesse sentirsi assalita e prostrata in quel lunedì di disagi e di conseguenze delle riorganizzazioni non ci fu un solo attimo in cui perse il polso della situazione. Lei aveva il controllo. Era questo che trasmetteva ad ogni gesto, ad ogni interlocutore che le si presentava con inutili proteste.
Quello era il primo anno in cui, da colonnello, aveva lasciato la responsabilità di addestrare le reclute completamente nelle mani di Girodel e per molti, quella mattina, schierati in drappelli ordinati nella piazza d’armi alla rassegna delle truppe, era la prima volta che l’osservavano da vicino.
“Ha qualcosa di leggendario” sussurrò al vicino uno di loro “È così bella… ma emana un senso di tragedia, di inafferrabile… e i suoi occhi, vorrei vederli meglio, ma ho come paura che potrebbero trasformarmi in pietra!”
 
***
 
Sedici alte colonne di marmo bianco incorniciavano il corridoio che conduceva ai suoi appartamenti a Versailles, stanze che più che altro usava sua madre, ma era già lì e decise di approfittare della comodità di quel servizio.
Da quando era passata in quel corridoio la prima volta, camminando, contava mentalmente le colonne e le ampie vetrate che si aprivano tra loro, i tendaggi pesanti oggi erano stati tutti ritirati e un mare di luce allagava il pavimento ligneo leggermente crepitante.
 
Una,
Due…
 
Uno scricchiolio imprevisto la fece voltare di scatto, ma non c’era nessuno. Non aveva senso, in effetti, avrebbe dovuto sentire dei passi, il rumore dei tacchi su quella superficie.
 
Tre,
Quattro,
Cinque…
Ma la sensazione di essere seguita continuava e quanto più la presenza alle sue spalle si dimostrava silenziosa, tanto si dimostrava preoccupante. Malintenzionata.
 
Si voltò ancora di scatto alla decima colonna, ma di nuovo, il corridoio era deserto.
Del pulviscolo bianco galleggiava nell’aria satura di luce, solo quello attorno a lei volava in modo stizzito, in risposta allo spostamento d’aria improvviso.
Stava forse diventando paranoica? Se lo chiese con la voce di André, nella sua testa.
Dannazione a lui, alla sua assenza ingombrante che le forniva un controcanto ai pensieri.
 
Tredici,
Quattordici…
 
Non poteva essere impazzita tutto ad un tratto. Il suo sesto senso non l’aveva mai tradita e attese dietro l’ultima colonna con la spada inguainata nella mano il suo inseguitore misterioso.
 
“AAAAAAH!”
 
L’urlo femminile riecheggiò nell’ambiente ampio e vuoto, paralizzandole entrambe.




“Voi???”
“Dio, che spavento…” disse l’altra, facendosi aria un paio di volte col ventaglio per riprendersi mentre si teneva una mano sul petto, a contenere la paura.
Oscar osservò Sabine de Plantier con nuovo sospetto, la figura non filiforme inguainata in un frusciante abito di taffettà verde pistacchio, vistoso, ingombrante e rumoroso. Come diamine aveva fatto a non farsi sentire?
“Cosa stavate facendo? Perché questo agguato… e come diamine avete fatto ad essere così silenziosa?” incalzò Oscar.
L’altra sorrise fiera, un orgoglio infantile a distenderle di nuovo i tratti del viso: “Campionessa di nascondino da ragazza, lo ammetto. Ho lasciato le mie scarpe laggiù e andavo di colonna in colonna… Ma anche voi vi siete nascosta qui dietro.”
“Sì, ma è stato per… Ahhh…” Oscar si sentì esasperata, ci mancava solo questa. “Come fa una signora a girare sempre senza dame di compagnia? Non dovrebbero controllarvi in qualche modo?”
“Le pago più di quanto faccia mio marito, basta questo a garantirmi qualche parentesi di libertà” rispose lei candida.
“E non avete paura delle conseguenze per la vostra reputazione?”
Un lungo sbuffo come risposta sembrò esprimere la seccatura di entrambe, ma fu Sabine a incrociare le braccia per prima e ad esprimere la sua frustrazione.
“Non deludetemi così Oscar François de Jarjayes; ho fatto tanto per riuscire a parlare con voi e poi non fate che ripetere le stesse osservazioni trite e ritrite che fanno tutti.”
Riuscì a spiazzarla. Senza le scarpe, la donna non le arrivava neppure alle spalle e seppure non propriamente minuta, le fece pensare ad un grillo. Un grillo verde, formoso e petulante che si inseriva a gamba tesa in quella giornata tetra e fu la prima cosa che – quasi – la fece sorridere.
“Non capisco il motivo di questa dedizione, francamente. Non siete forse invitata a casa mia tra qualche giorno?”
“Figurarsi, visto il modo in cui vi siete svicolata dai miei approcci sinora, posso solo immaginare le scuse che avreste inventato o i pochi minuti in cui avreste fatto un’apparizione di circostanza prima di lasciarmi con vostra madre. Donna mite e affabile, a proposito, mi sembra chiaro che non abbiate preso da lei queste caratteristiche.”
Touché, pensò Oscar. Tutto fastidiosamente vero, ma continuava a sfuggirle il fine ultimo dell’altra.
“Cosa volete da me, madame de Plantier?”
Un sorriso speranzoso comparve sul volto del grillo a sentire il proprio nome.
“La vostra amicizia.”
La bionda l’osservò interdetta. A disagio, indecisa tra il sentirsi lusingata e la voglia di andar via da quella situazione surreale.
Sabine continuò: “Mi rendo conto di suonarvi naïve, ma vedete… io qui a Versailles non ho fatto che incontrare personaggi meschini, sono stata misurata, valutata e giudicata, non mi rimane che uno stuolo di conoscenti a cui vado bene per i miei soldi e che mi annoia e una quantità ancora maggiore di alta nobiltà perbenista a cui faccio storcere il naso, col mio passato da lavoratrice e il mio titolo di poche generazioni preso col matrimonio. Magari si è trattato solo di sfortuna, ma ancora non sono riuscita ad allacciare un rapporto vero. Così ho pensato di aiutare il destino cercando con razionalità delle persone diverse da frequentare… qualcuno fuori dalla pantomima di corte, che pensasse con la propria testa, ma comunque approcciabile. Ho finito col convincermi che voi ed io potremmo andare davvero d’accordo, madamigella… colonnello? Come preferite che vi chiami?”
 
Oscar non voleva mostrarsi ostile. Percepiva la sincerità di quella donna e lo sforzo che stava facendo per aprirsi in quel modo imbarazzante con lei, ma pur sentendosi in colpa tutto il suo corpo respingeva quella situazione. Dalla testa ai piedi, si sentiva rigida, chiusa in una corazza invisibile di insicurezza e curiosità che in egual misura lottavano tra loro e creavano la stasi che stava vivendo. Avvezza anche lei alle sole chiacchiere superficiali, tutta quella verità da una sconosciuta la disorientava. Proprio quel giorno, poi.
“Siete molto gentile, madame. Però credo mi stiate sopravvalutando. Non sono nulla di speciale e…”
“Certo, siete solo una donna a comando delle guardie reali del cui coraggio si parla in tutta la regione e forse anche oltre. Mi domando come abbia fatto a ritenervi interessante, davvero…” chiosò l’altra con sarcasmo.
La voglia di andare via prese il sopravvento.
“Non posso che ringraziarvi per questa attenzione, ma vedete, i miei incarichi non mi permettono di trattenermi oltre e devo lasciarvi. Mi auguro di rivedervi al più presto, comunque. Non temete; non mancherò al tè. Con permesso, madame.”
“Aspettate!”
E adesso cosa voleva?
“Dove state andando?” insisté quella.
Oscar sospirò, sarebbe mai finita?
“Sto passando un momento qui dietro per gli appartamenti della mia famiglia, volevo… rinfrescarmi.”
Nell’altra sbocciò un nuovo entusiasmo che sulle prime non capì.
“Oh, ma davvero? Posso accompagnarvi?”
“Prego???” rispose una sbigottita Oscar.
L’altra sembrava del tutto a suo agio.
“Ma sì, le donne vanno sempre al bagno assieme; è la normalità! E per me sarebbe un sollievo, vorrei andare, ma le mie stanze sono completamente nell’altra ala della reggia, anche affrettandomi ci metterei un bel po’ e non so se ce la faccio… Posso chiedervi di approfittare delle vostre camere?”
La situazione rasentava il ridicolo, anzi, era di certo il primato assoluto del ridicolo che si fosse mai trovata a vivere Oscar in quel di Versailles. Ma rifiutare in quel frangente sarebbe stata una vera e propria scortesia, e per quanto fosse insolita la circostanza le fece strada senza altre obiezioni.
“Prego, da questa parte.”
 
***
 
Una volta recuperate anche le scarpe della donna, arrivò finalmente il momento di congedarsi.
Tutto sommato, Oscar doveva ammettere che avvertiva un senso ambivalente di vicinanza con quella Sabine, qualcosa che allo stesso tempo aveva il potere di metterla a proprio agio e di tenerla sulle spine. Si sentiva cauta, vigile, ma non era una sensazione spiacevole.
 
“Vi ringrazio ancora… siete stata salvifica!” disse quella ridendo soddisfatta.
“Lieta di esservi stata d’aiuto, madame. Col vostro permesso.” Disse con un inchino, prima di girare i tacchi.
Non aveva fatto che qualche passo che si sentì ancora chiamare.
“Madamigella Oscar, scusate…”
Cos’altro poteva esserci???
Si voltò tradendo un pizzico di esasperazione e stavolta si sorprese di trovare Sabine de Plantier seria, quasi mesta.
“Davvero, non era mia intenzione infastidirvi con la mia insistenza.” Disse quella. “Volevo solo con cui parlare per davvero.” Inghiottì a vuoto prima di continuare, la voce appena più bassa.
“Non vi sentite mai sola?”
 
Quella domanda.
Riemergeva da un passato non troppo lontano, quando Fersen con le stesse e identiche parole gliel’aveva rivolta prima di salutarla e tornare in Svezia.
Quel giorno non aveva avuto nessun dubbio sulla risposta, e aveva garantito che la sua situazione le risultava più che soddisfacente. Si era sempre sentita integra. Funzionante.
Da allora però qualcosa doveva essere cambiato.
Una crepa, dei dubbi.
Da una feritoia dell’anima le sfuggì senza riflettere oltre una risposta diversa.
 
“Non succede a tutti, prima o poi?”
 
Si scambiarono un sorriso, e quello fu l’inizio.
 
 
 
 
 
Note assortite di ringraziamento: grazie ad Alga, che sa da dove nasce tutto questo. Ad A.T. che ha fornito delle informazioni per un punto cardine di questo capitolo, ma che non so come ringraziare, sospettando per una quasi omonimia che sia presente su questa piattaforma, ma non volendo importunarla mettendo qui il suo nome per esteso mi affido alla sua intuizione che mi sembra assai più affidabile della mia capacità di spiegarmi. A Polla, che è il sorriso sincero a cui posso far riferimento.
:*
  
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