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Autore: _Malila_Pevensie    30/10/2019    1 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 12
- OMAGGIO A UN GUERRIERO -



Le sfumature del cielo li accolsero, mentre cavalcavano attraverso le strade deserte che si diramavano attorno al castello. Il sole non era ancora sorto e all'orizzonte si palesava solo come una sottile fascia tremolante di un brillante arancione, in contrasto con il blu inchiostro del resto della volta.
Freya sapeva solo che si stavano dirigendo verso il cimitero monumentale della città, nel quale riposavano gli antenati delle casate nobiliari, ma non dove si trovasse; si lasciava quindi guidare dal comandante Craius, che avanzava sicuro nelle prime ore dell'alba. Aran le cavalcava affianco in assoluto silenzio.
La ragazza avrebbe voluto parlargli, avrebbe voluto esprimergli la propria gratitudine per la sua presenza, ma non riusciva a sentire null'altro che non fosse il proprio tumulto interiore. Era come se per lei il tempo si fosse arrestato tutto di un colpo, come se tutto continuasse a scorrere senza di lei, immobilizzata dalle sue stesse emozioni.
Videro le lapidi e le tombe monumentali ancor prima di raggiungere il luogo di sepoltura. Quando vi giunsero, il comandante disse loro di smontare da cavallo. Solo quando ebbe posato i piedi a terra i sensi di Freya tornarono a metterla in contatto con il mondo: avvertì lo scricchiolio dell'erba brillante di brina sotto la suola dei suoi stivali, l'aria fredda e pungente che passava attraverso la spessa maglia del suo mantello e sentì la voce del capitano che diceva: «Da quella parte, Lady Freya.»
La giovane seguì con lo sguardo la direzione che la mano di Craius le stava indicando e scorse una lapide alta quanto lei, quasi nascosta in una radura solitaria. Abbassò il cappuccio e la furia del vento le inflisse gelide stilettate sulle guance. Con una solennità mai provata prima, iniziò a camminare. Passo dopo passo, raggiunse ciò che restava di quella persona tanto amata, anche se mai conosciuta.
In quella terra non c'era null'altro che le sue spoglie, Freya ne era perfettamente consapevole. Il suo vero desiderio, quello che Harden potesse guardarla negli occhi e riconoscerla come sua figlia, non si sarebbe mai potuto realizzare. Tutto ciò che aveva era quella lapide, perciò fu alla pietra che si rivolse. La guardò, le lacrime che iniziavano a colarle lungo le guance. Il nome di suo padre era inciso a caratteri forti, senza troppi fronzoli, adatti a quella che era la tomba di un guerriero.
Freya s'inginocchiò sulla fredda terra di fronte alla tomba e mise il palmo della mano destra sulla lapide. «Ti chiedo scusa se ci ho messo così tanto, papà» mormorò, schiarendosi la vista asciugando le lacrime con il dorso della mano.
Rimase in quella posizione per qualche attimo, anche dopo che ebbe ritratto la mano. Pensò a tutte le cose che avrebbe voluto dire a suo padre se fosse stato accanto a lei e alle tante domande che avrebbe voluto porgli. Distrattamente, prese a disegnare piccoli cerchi concentrici nel terriccio con la punta dell'indice; dapprima, il gelo che pervadeva la terra del primo mattino oppose resistenza al calore delle sue mani, poi si smosse.
Fu un istante. Qualche piccola scintilla smeraldina balenò sotto il suo indice e dove prima c'era brulla polvere nacque qualcosa. Un germoglio spuntò tra le spirali tracciate da Freya e crebbe nel giro di pochi secondi come avrebbe dovuto fare in settimane; presto, un giglio azzurro allargò i petali nei primi raggi del sole.
La ragazza sgranò gli occhi e trattenne a stento un grido di sorpresa, che riuscì a ricacciare in gola per miracolo. Cercò di controllare con discrezione che nessuno dei presenti se ne fosse accorto, ma fortunatamente era troppo lontana perché avessero potuto vedere qualcosa. Un brivido le percorse le membra quando consapevolizzò che quello non era nient'altro che il potere che aveva tentato in tutti i modi di soffocare: per qualche ragione, stava cercando di riemergere.
"Perché proprio ora?" si chiese, le mani che tremavano. Non lo sapeva, ma di una cosa era certa: non doveva riverlarlo ad anima viva. Osservò il fiore e, in qualche modo, mise da parte l'angoscia. Non era il momento né il luogo per porsi simili quesiti.
Alzò nuovamente lo sguardo sulla lapide, colse il giglio e ve lo posò davanti. Bastò quel semplice gesto perché nuove lacrime le si formassero agli angoli degli occhi. Quando si rialzò, le sue spalle furono inevitabilmente scosse da un singhiozzo, che la fece tremare fin nel profondo. Fu allora che due mani gentili la presero per le spalle, la fecero voltare e la strinsero con forza e dolcezza.
Fino a quel momento, Aran si era tenuto in disparte, dimostrando come sempre un grande rispetto e una rara sensibilità. Arrivò al momento giusto, nel preciso istante in cui lei aveva bisogno di lui. Quando le sue braccia l'avvolsero, Freya non riuscì più a mantenere la sua solita forza d'animo e si abbandonò contro di lui, seppellendo il viso nella sua spalla. Era la prima volta che si ritrovavano tanto vicini, ma nessuno dei due conobbe imbarazzo.
La giovane avvertì con sconcertante chiarezza che quello era l'unico abbraccio che avrebbe potuto impedirle di smarrirsi nel dolore. Entrambi erano consapevoli dello sguardo del comandante Craius, fermo alle loro spalle, ma rimasero comunque in quel modo a lungo.
«Quel giglio è meraviglioso» disse Aran dopo qualche istante, scostandosi leggermente da lei per asciugarle con delicatezza le lacrime che ancora le rigavano il viso. Probabilmente non capiva da dove lei potesse averlo fatto saltar fuori, ma non fece alcuna domanda.
«Mi sembrava l'omaggio più delicato e appropriato che si potesse donare a un padre e a un guerriero» rispose Freya, il respiro che pian piano andava regolarizzandosi.
Aran annuì, guardando la tomba illuminarsi con l'avanzare del sole. Fu solo quando la luce dorata dell'astro raggiunse anche loro che tornarono ai cavalli.
Freya osservò un'ultima volta il sepolcro di suo padre dal dorso di Stellato, prima di voltarsi e prendere la via del ritorno. Ci sarebbe tornata. Non sapeva quando, ma l'avrebbe fatto.
   
 
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