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Autore: DAlessiana    03/11/2019    3 recensioni
Edward fissava la foto, che conservava nel portafoglio, con sguardo perso e la mente affollata di ricordi.
"Parlami di lei..." la voce di Bella fu una dolce melodia che interruppe il filo di pensieri del ragazzo, che per qualche minuto si era dimenticato della presenza della sua fidanzata.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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“Hai intenzione di fissare quella cartella clinica per sempre?” la voce dolce di Esme riportò Carlisle alla realtà. Per un attimo desiderò spostare le lancette dell’orologio all’indietro, non riusciva a metabolizzare tutto ciò che era accaduto nelle ultime ventiquattro ore. Sua moglie, la sua amata Esme, la donna che aveva deciso di portare all’altare e con la quale aveva costruito una famiglia, era malata. E lui aveva messo tutto se stesso nella terapia, salvarla era diventato il suo unico scopo di vita, ma aveva fallito. Come i peggiori dei lottatori era stato messo a tappeto da una malattia che lui non poteva controllare, aveva perso e stavolta, per la prima volta in vita sua, non sapeva come affrontare la situazione. Come muoversi, come dirlo ai figli o, semplicemente, come avrebbe fatto ad abituarsi all’idea che Esme sarebbe morta da lì a pochi mesi.
“Scusa. È solo che…” non riuscì a completare la frase, qualsiasi cosa, ogni singolo pensiero, gli sembrò inutile, banale e tardivo. Cosa avrebbe mai potuto dire o fare per cambiare la situazione o anche solo migliorarla? Guardò sua moglie negli occhi, sorrideva, forse un po’ più tirato del solito, ma continuava a farlo nonostante il mondo le stesse crollando addosso.
“Guardiamo il lato positivo…” iniziò Esme, ma non riuscì a completare la frase e non perché non sapesse cosa dire, ma perché Carlisle aveva battuto la cartella clinica sul tavolo davanti a loro con una forza che la fece tremare, bloccandole le parole in gola.
“E quale sarebbe Esme? Se non te ne fossi resa conto è finita, stai morendo! Non ci saranno più natali, anniversari, compleanni. Non ci sarai quando i ragazzi si diplomeranno o andranno al loro primo ballo scolastico! Non invecchieremo insieme, mano nella mano, guardando i nostri nipotini correre per la casa! Tra pochi giorni ti sentirai così stanca da non riuscire neanche a preparare la tisana che adori bere davanti al camino. Dimmi, in tutto questo, dove sarebbe il lato positivo?!” era scoppiato, Carlisle aveva alzato la voce talmente tanto da far vibrare i vetri della credenza. Impiegò poco meno di un minuto per rendersi conto di aver esagerato, non appena vide la prima lacrima cadere nella tazza di thè che Esme teneva stretta tra le mani. Si passò frettolosamente una mano tra i capelli e, chinandosi accanto a lei, le accarezzò una spalla. Quasi istintivamente Esme si tirò indietro, pentendosi immediatamente. Carlisle chinò il capo, cercando un modo di riordinare i pensieri per rimediare alla scenata fatta poco prima.
“Posso dire addio. Ho la possibilità di salutare per sempre le persone che amo di più e i miei più cari amici. È questo, per me, il lato positivo.” Concluse Esme.


Fu il rumore di qualcuno che bussava alla porta della camera di Jasper a sciogliere la stretta tra padre e figlio, nessuno dei due seppe quantificare quanto tempo fossero rimasti in quella posizione. Il dottor Anderson entrò a passi lenti nella stanza per paura di interrompere quel momento di pace che tanto avevano faticato a conquistarsi. Jasper gli sorrise e lo stesso fece anche Carlisle che si alzò per abbracciarlo, in fondo lui aveva salvato la vita a suo figlio e questo valeva molto di più di tutte le dimostrazioni d’amicizia degli ultimi anni. Mark ricambiò saldamente la stretta, ricordava fin troppo bene l’ultima volta in cui il suo migliore amico lo aveva abbracciato in quel modo e non era per niente un bel ricordo.
“Grazie” sussurrò Carlisle, con la voce incrinata per il pianto trattenuto. Il dottor Anderson non replicò, si limitò semplicemente a stringerlo più forte. Aveva solo svolto il suo lavoro, dando tutto se stesso e vincendo, consapevole che questa volta la famiglia Cullen non avrebbe retto un’altra sconfitta.

Julia stava sorseggiando il quarto, o forse il quinto, caffè nel giro di due ore aspettando che suo marito la raggiungesse per comunicarle le condizioni di Jasper. Era troppo concentrata a fissare il fondo del bicchiere che stringeva tra le mani per accorgersi della presenza di Emily accanto a lei.
“Possiamo parlare?” chiese la ragazza, facendo sobbalzare la donna per lo stupore. Di certo non si aspettava che fosse lei a fare il primo passo, era fermamente convinta che la discussione fosse stata rimandata a quando avrebbero fatto ritorno a casa.
“Sì, certo” rispose frettolosamente, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, un gesto automatico quando era agitata. Spostò la borsa dall’altro lato della sedia per far spazio alla nipote che si accomodò velocemente strofinando le mani sui jeans, segno di nervosismo.
“Ti chiedo scusa, Julia. Ho avuto una reazione spropositata prima, ero arrabbiata e ho parlato senza ragionare. Ero terrorizzata all’idea che Jasper e Alice potessero…” lasciò la frase a metà, troppo agitata per continuarla ma non c’era bisogno di andare oltre, alla conclusione poteva arrivarci chiunque e Julia non era di certo una stupida. Rabbrividì al solo pensiero di tutti i ricordi che la notizia dell’incidente dei suoi amici le aveva riportato a galla, istanti prima che la sua vita cambiasse per sempre. Le sfiorò la spalla, incerta se abbracciarla o meno perché non sapeva se avessero raggiunto già quel livello di confidenza e per il timore che Emily potesse ritrarsi indietro. Non lo fece, anzi quel tocco fu come un balsamo, riuscì a lenire le ferite rendendo i ricordi un po’ meno dolorosi.
“Non posso neanche immaginare quello che hai provato quando hai ricevuto la notizia e forse ho esagerato anch’io a rimproverarti in quel modo prima, non avrei dovuto perdere così la calma” scosse la testa, decisamente scontenta di come aveva reagito qualche ora fa. Durante la sua carriera da avvocato aveva imparato a tenere a bada le emozioni, ma quel giorno il suo autocontrollo si era preso una vacanza.
“Julia, tu ti fidi di me?” sbottò Emily, quel dubbio la stava assillando da troppo tempo, doveva sapere la verità. Per Julia quella domanda fu come un fulmine a ciel sereno, d’improvviso le mancarono le parole. Avrebbe voluto rispondere di sì, che si fidava ciecamente, ma avrebbe mentito a se stessa perché quando la consulente scolastica l’aveva chiamata il suo primo pensiero non fu che Emily potesse avere una spiegazione valida, piuttosto che si fosse cacciata in qualche altro guaio e quello non aveva niente a che fare col fidarsi ciecamente di qualcuno. Rimase in silenzio forse per troppo tempo, perché la ragazza chinò il capo lasciando la stanza, quella risposta silente valeva più di qualsiasi parola.
“Emily aspetta!” tentò di fermarla chiamandola, ma lei non tornò indietro. Eppure era iniziata bene quella chiacchierata, avevano entrambe ammesso i propri errori e chiesto scusa, ma era finita anche peggio della discussione precedente. 
“Sono pessima come madre!” esclamò Julia, gettando violentemente il bicchiere di caffè vuoto nel cestino. Pensò che forse era questo il motivo per cui il suo desiderio di diventare madre ancora doveva realizzarsi, semplicemente non era portata per esserlo.

Emily stava percorrendo gli enormi corridoi dell’ospedale senza una meta precisa, voleva solo allontanarsi il più possibile dal dolore che quella non risposta le aveva provocato. La delusione, però, non è come uno zaino che puoi buttare in qualche angolo della stanza facendo finta che non esista. È un peso ben più grande e, soprattutto, non è possibile scaricarlo da nessuna parte. Fermò il suo cammino quando sentì qualcuno ridere dall’altra parte della stanza, erano risate di ragazzi che conosceva abbastanza bene. Erano Alice, Edward e Bella. Senza neanche pensarci varcò la soglia e li vede lì, a ridere e a scherzare come se niente fosse successo, come se nessuno avesse rischiato la vita in quei giorni e allora realizzò che era quello di cui aveva bisogno, ridere fino a perdere il fiato come solo una ragazza di sedici anni sa fare.
“Posso unirmi a voi?” chiese entrando nella stanza a passi lenti, non voleva violare la leggerezza del momento.
“Certo che sì, Emily! Accomodati pure!” esclamò Alice, il suo sorriso illuminava la camera, come se non si stesse appena riprendendo da un incidente stradale. Se non fosse per qualche livido e la garza in fronte, Emily avrebbe giurato che fosse tutto frutto della sua immaginazione.
“Grazie. Come ti senti, Alice?” domandò, si era seduta dalla parte opposta del letto rispetto a dov’erano seduti Edward e Bella, non avrebbe mai osato dividerli.
“Bene. Se continuo così, secondo il dottor Cullen dovrei essere dimessa già venerdì” rispose ed Emily poté tirare un sospiro di sollievo, dopo l’operazione salvavita di Jasper non avrebbe retto ad una nuova angosciosa brutta notizia. Sorrise, avrebbe voluto abbracciarla, ma preferì rimanere ferma per paura di farle del male, le accarezzò la mano e cercò di comunicarle quanto fosse felice per lei tramite un semplice sguardo. Poi Edward fece una battuta, alquanto stupida che neanche faceva ridere, ma loro quattro scoppiarono a ridere spensierati per smorzare la tensione di quei giorni estenuati e infiniti.

Julia era rimasta nella stessa posizione per un tempo che non seppe quantificare. Mark, una volta conclusa la visita di controllo di Jasper, la raggiunse e capì subito che c’era qualcosa che la preoccupava. Non chiese nulla, le sedette accanto e le strinse la mano, in silenzio aspettava che lei parlasse e se non avesse voluto farlo, lui non avrebbe insistito.
“Come sta Jasper?” una domanda di routine in quei giorni intensi, prima Mark era molto titubante sulle condizioni del giovane Cullen, ma ora era tutta un’altra storia.
“Bene per quanto la situazione possa permetterlo. I parametri sono stabili e posso dire con certezza che è fuori pericolo, adesso deve solo pensare a riprendersi.” Rispose il dottor Anderson con il cuore decisamente più leggero. Se lo avesse perso, non se lo sarebbe mai perdonato.
“È stato fortunato ad avere te” disse Julia e lo credeva davvero, era orgogliosa di essere la moglie di uno dei medici migliori a Forks. Lui aveva la capacità di far sembrare tutto un gioco da ragazzi, nonostante avesse a che fare con la morte più spesso di quanto la moglie potesse anche solo immaginare.
“Ti dispiace se torniamo a casa? Sono distrutto, credo che l’ultimo turno di lavoro così lungo risalga ai tempi di specializzando!” esclamò con un sorriso nostalgico, ora era lui a fare da mentore a dei ragazzi alle prime armi.
“Certo che no. Emily è con Alice e gli altri, le ho detto che può rimanere finché vuole, spero che non sia un problema per te” replicò Julia. Non aveva mai mentito a Mark, mantenendo costantemente fede alla promessa fatta l’uno all’altra poco prima di suggellare la loro unione in matrimonio, vent’anni prima. Si sentì immediatamente in colpa per averlo fatto, ma la discussione con Emily era una cosa che voleva risolvere da sola. In fondo, avrebbe dovuto fare da madre a quella ragazza per minimo altri due anni e sperava di costruire con lei un rapporto che fosse qualcosa di più che i loro nomi insieme su un pezzo di carta.
“No, figurati. Va tutto bene tra voi due?” domandò Mark alludendo alla lite che aveva fermato qualche ora prima. Che fosse quello a turbare Julia?
“Certo. Se ti riferisci alla discussione di poco fa, abbiamo chiarito, non preoccuparti.” Rispose, teoricamente quella più che una bugia era una mezza verità, però comunque non fece sparire i sensi di colpa. Quella volta, però, aveva una buona ragione o, perlomeno, cercò di convincersi che fosse così. Sorrise convinta per non far insospettire il marito e la tecnica sembrò funzionare, infatti l’uomo si alzò e si avviarono verso l’uscita, mano nella mano. Ponendo insieme la parola fine a quel giorno che sembrava infinito.

“Sai, ti sembrerà assurdo e insensato, ma per un attimo, sarà stata una frazione di secondo, mi è sembrato di vedere la mamma” con quell’esclamazione, semplice e dritta al cuore, Jasper spezzò il silenzio che si era creato dopo che Mark aveva interrotto l’abbraccio scomposto tra padre e figlio. Carlisle rimase di sasso, completamento spiazzato da quella rivelazione, confuso su cosa poter dire. Senza sapere come rispondere, il dottor Cullen, alla domanda implicita in quella frase, cioè se fosse davvero possibile una cosa del genere, poter vedere qualcuno, complici l’adrenalina e il mix di medicinali, che non c’è più. In quel momento, però il padre realizzò che nonostante fossero trascorsi ben sette anni da quel giorno maledetto e fossero riusciti ad andare avanti, facendo fronte comune nella lotta contro il dolore, l’assenza di Esme, delle volte, riusciva a fare ancora tremendamente male.
“Jasper… Io non so se sia possibile una cosa del genere, penso più che altro che fosse una specie di allucinazione dovuta al mix di farmaci che ti hanno somministrato. E mi dispiace…” il padre si bloccò, non riuscendo a trovare le parole adatte per esternare il suo pensiero.
“Mi dispiace che tu e tuo fratello le abbiate dovuto dire addio così presto” concluse poi. Jasper lo guardò negli occhi e, con un sorriso malinconico, strinse la mano del padre.
“Anche tu l’hai fatto.” Replicò, sentendo gli occhi pizzicare e, in un moto d’orgoglio, ricacciò indietro le lacrime prima che queste potessero iniziare a scendere.
“Già. Non ero pronto a dirle addio, non lo sono mai stato.” una volta pronunciata questa frase, Carlisle si stupì di quello che aveva appena fatto. Di aver dato voce, davanti a suo figlio, ad una verità che aveva sempre cercato di celare. Jasper non disse nulla e nascose un sorriso soddisfatto, continuando a tener stretta la mano del padre. Finalmente anche l’ultimo muro che Carlisle aveva alzato come scudo contro il dolore era caduto.


- Eccomi di nuovo qui, sono viva. Ho cercato di farmi perdonare l'immenso ritardo con un capitolo più lungo del solito. Spero apprezziate! Grazie a tutti quelli che continuano, come me, a non abbandonare questa storia! <3 
  
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