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Autore: Quebec    12/11/2019    0 recensioni
Netrom Morten, un Bretone Negromante, scopre il cadavere di una donna dissanguata vicino la città di Skingrad. Conoscendo personalmente il Conte Janus Hassildor, spera di trovare il colpevole, ma dietro quella sua curiosità si cela ben altro...
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nella camera da letto del Conte Vampiro, l'uomo in armatura Daedrica aspettava nella penombra da un ora, e non aveva intenzioni di muoversi.
La porta della stanza si aprì, e il Conte Hassildor andò a sedersi sul letto, lo sguardo perso sul pavimento. Non udì l'uomo in armatura Daedrica avvicinarsi alle spalle, finché non gli fu quasi addosso. Balzò dal letto, sguainando il pugnale d'ebano che aveva attaccato al fianco.
"Ho un messaggio dal Consiglio dei Maghi." Disse l'uomo in armatura Daedrica guardandolo dritto nei suoi occhi rosso sangue.
Il Conte Vampiro si accigliò, squadrandolo per un po'. "Tu sei..."
"...L'Eroe di Kvatch." Rispose lui con voce grave e cupa. "Un nome che disprezzo." Allungò una mano che conteneva un pergamena chiusa con la ceralacca rossa. 
Il Conte Hassildor mise nel fodero il pugnale. Conosceva l'uomo in armatura Daedrica. Aveva vissuto diversi episodi tragici con quest'uomo; uno di essi era la morte di Rona. E' stato grazie ad egli che il Conte Vampiro aveva posto fine alle sofferenza di Rona. L'uomo in armatura Daedrica aveva accettato l'incarico senza pensarci due volte e l'aveva completato con la stessa rapidità. Il Conte Hassildor gli era molto grato di ciò che aveva fatto, ma l'uomo era più freddo del Conte e non esternava mai un sorriso o un emozione, irritandosi persino se veniva adulato o ringraziato.
Il Conte prese la lettera, ruppe il sigillo e la lesse.
L'uomo in armatura Daedrica se ne stava in piedi fissando imperturbabile il viso del Conte.
"Ancora lui..." Disse il Conte Hassildor quando ebbe finito di leggere la lettera. "Pensavo fosse morto... Immagino tu sia stato già informato..."
"Il Patriarca è vivo" Lo interruppe l'uomo in armatura Daedrica. "Egli si trova qui, da qualche parte. Forse in una delle tante caverne della ragione di Skingrad. Il Consiglio dei Maghi mi ha incaricato di occuparmi di questo vampiro. Credono che stia complottando per rovesciarti e prendere il controllo della città. Inoltre, degli apprendisti in viaggio per la gilda dei Maghi di Skingrad sono spariti. Uno di loro, una donna, è stato ritrovato dissanguato lungo la strada d'oro. Sospettano che siano stati i vampiri capeggiati dal Patriarca. La lettera dice tutto, ma il Consiglio dei Maghi ha bisogno di altre informazioni. 'Informazioni che troverò da solo.'"
"Non c'è bisogno di specificarlo. So che sei un solitario." Il Conte Hassildor andò verso la credenza, pensando alla donna dissanguata che era stata trovata da Netrom Morten. L'uomo in armatura Daedrica si riferiva a ella. "Vuoi un po' di vino?"
"Non bevo."
Il Conte si versò da bere in una coppa d'argento. "Perché mi hai aspettavi qui? Potevi chiedere a Hal-Liurz di incontrarmi." Sapeva che alcune guardie avevano avvistato un uomo in armatura Daedrica, stando alle parole dell'Argoniana.
"Lascia le tue domande retoriche agli stupidi. Qual è la tua risposta al Consiglio dei Maghi?"
Il Conte Vampiro fece un sorso, oltre che un freddo sorriso smorto. "Io e il Consiglio abbiamo una lunga e duratura relazioni di affari o... di amicizia. Riferisci che parteciperò personalmente alle ricerche, e informerò il consiglio su ulteriori sviluppi." Poi si avvicinò con fare serio all'uomo con l'armatura Daedrica, guardandolo dritto negli occhi con fare torvo. "Il Patriarca è mio! Non ho bisogno di specificarti il motivo, poiché sai già come ha ridotto Rona."
Senza dargli nemmeno una risposta, l'uomo in armatura Daedrica svanì davanti ai suoi occhi. 
Il Conte fece un altro sorso. "Se la mia guardia cittadina avesse solo un goccia di dote di quell'uomo, il Patriarca sarebbe già morto da un pezzo." Borbottò fra sé, mentre gli tornarono in mente i ricordi della sua amata.


 
*****


"Dove sei andata?"
"Fatti miei."
Ramstan era in piedi a un palmo dalla faccia di Mariliel.
"Vuoi assistere ad elmi e bastoni?"
"Che pagliacciata."
Il Redguard tentò di baciarla, ma ella scostò la testa, tirandogli un forte schiaffo. Il Redguard sorrise.
"Sono qui solo per affari. Non farti venire strane idee." Gli disse.
"Certo." Ramstan le prese un mano, e Mariliel gli tirò un altro schiaffo che egli intercettò serrandogli il polso in un sorriso. Gli cinse l'altro polso, cercando di baciarla nuovamente. Ella gli tirò una testata sul naso. Udì lo scricchiolio dell'osso, vide il sangue riversarsi sul labbro del Reguard.
"Ti è andata bene." Disse Mariliel lasciando la tenda.

Mentre Mariliel camminava irritata tra sguardi eccitati dei banditi, intravide Brangor in un recinto assieme ad altri uomini. Era in piedi con addosso indumenti laceri e sporchi di fango, le mani legate, la fronte appoggiata sullo steccato appuntito sorvegliato a vista da due uomini. Mariliel gli si avvicinò, mentre una guardia dal ventre prominente le sbarrò la strada. "Dove credi di andare?"
"Togliti di mezzo o ti taglio le palle!" Mariliel serrò gli occhi.
La guardia rise: "Perché non pulisci la mia ascia?"
Mariliel gli diede una ginocchiata sui genitali, e quando l'uomo si piegò per il dolore, gli sferrò un altra ginocchiata in faccia. La guardia cadde all'indietro con le mani sui genitali doloranti e il sangue che usciva dal labbro spaccato. Tutti i banditi si voltarono verso di loro e andarono ad assistere, formando quasi un cerchio.
Brangor vide tutto. "Mariliel..."
La seconda guardia, un uomo dai capelli bianchi stempiati, un viso solcato da mille rughe e palpebre calanti si affaticò a sbarrare la strada alla donna. Ci mise un eternità a percorrere goffamente undici piedi. Aveva un viso talmente anziano che forse doveva avere come minimo 200 anni. Quando fu vicino alla donna, gli puntò tremante una piccola e leggera lancia dalla punta bruciacchiata. Le mani gli tremavano per lo sforzo, non tanto per la paura, ma per il peso dell'asta. Quell'anziano aveva coraggio da vendere, e Mariliel lo capì all'istante, ma gli faceva anche tanta pena. Gli ricordava suo padre, Fredor.
"Non metterti in mezzo." Disse Mariliel. "Voglio solo parlare con quest'uomo." Fece cenno con la testa a Brangor.
L'anziana guardia lo guardò, sforzandosi di mettere a fuoco il viso di Brangor. Poi con la lancia tremante come una foglia smossa dal vento le disse con voce tremula e secca. "Nessuno può parlare con i prigionieri. Ordini di Ramstan." 
Mariliel sbuffò, roteando gli occhi in aria. "Vuoi davvero..."
"Lasciala fare, Hurm." Disse Ramstan facendosi largo tra i suoi uomini. 
L'anziana guardia chinò leggermente la testa, abbassando la lancia.
Mariliel sentiva addosso tutti gli occhi dei banditi. "Che cazzo avete da guardare?" Urlò.
"Tornate alle vostre faccende!" Tuonò Ramstan puntando torvo diverse facce.
Tutti si dileguarono, borbottando tra loro.
La guardia dal ventre prominente si alzò lentamente da terra, la faccia del tutto avvolta dal sangue.
"Vai a darti una pulita." Disse Ramstan. "Ti sei fatto battere da una donna."
"Quella non è una donna..." Grugnì la guardia dal ventre prominente, strascicando i piedi lontani da loro.
Ramstan rise. Poi si voltò verso Hurm. "Quanto a te, vecchio mio. Hai più palle di tutti loro messi insieme."
L'anziana guardia chinò la testa per ringraziarlo con un vago sorriso compiaciuto tra le labbra.
"Allora, mia dolce Mariliel." Disse Ramstan guardando negli occhi i prigionieri in segno di sfida, mentre i suoi gli diventarono rossi per la gelosia. "Con chi vuoi parlare?"


 
*****


Adrienne Berene si svegliò nel suo caldo letto dalle lenzuola di velluto. Un fascio di luce filtrava attraverso la finestra, illuminando la polvere che vorticava in aria. Si alzò frastornata dal letto e sbadigliò diverse volte, fissando il vuoto davanti a sé. Poi andò ad aprire la finestra. Una fallata di vento gelido le travolse il viso e i capelli, che volarono per un attimo in aria prima di ricadere sulle sue spalle esili. Sporadiche nuvolette sparse all'orizzonte, puntellavano il cielo sopra la cinta muraria della città. Poi guardando per un istante l'altezza del sole, che era quasi allo zenit, si rese conto di aver dormito troppo.
La sua borsa dei vestiti giaceva sul pavimento ai piedi del tavolino. Si vestì, si spruzzò dell'abbondante profumo sul abito di velluto blu e prese la borsa. Poi lasciò la stanza, chiudendola a chiave. Nel corridoio si guardò intorno e scese le scale. I maghi e gli apprendisti la salutarono, ma ella parve con la testa da tutt'altra parte. Il Cocchiere l'aspettava seduto su un muretto, fuori dalla Gilda dei Maghi. La notte precedente, aveva lasciato la carrozza e i due cavalli alla stalla di Skingrad. Adrienne gli aveva detto chiaramente che l'indomani dovevano andare in un luogo dove la carrozza sarebbe risultata troppo vistosa.
Adrienne raggiunse il cocchiere, gettandogli ai piedi la borsa di vestiti. "Prendila tu." Si guardò nervosa intorno. "Ti sei fatto seguire?"
"Non che io sappia, signora." Il cocchiere fece spallucce.
Adrienne si accigliò. "Se qualcuno ci vede lì, saremmo in grossi guai. Non possiamo rischiare. Fai un altro giro. Io ti aspetto qui."
"Non direte sul serio, signora." 
"Fallo!"
Il Cocchiere fece per posare la borsa a terra, quando Adrienne gli disse di muoversi. L'uomo andò via con la borsa, mentre di tanto in tanto si guardava indietro verso di lei. 
Dopo qualche tempo, ricomparve dall'altra parte della strada. Adrienne lo guardò arrivare, mentre cercava di capire se ci fosse qualcuno che alle sue calcagna. Ma non vide nessuno.
"Sono seguito, mia signora?" Disse il cocchiere gettando un occhiata veloce alle sue spalle.
"Non girarti. Non dare nell'occhio. Comportati normalmente."
Il cocchiere annuì.
"Andiamo." Disse Adrienne. 

Proseguirono per la strada, costeggiata da botteghe e case in pietra dai tetti spioventi. La gente affollava la via, ma la maggior parte di essi era diretta al mercato. Adrienne proseguì tesa come un arco, lanciando sguardi indagatori a tutti quelli che incontrava. Il cocchiere le era accanto con la faccia sorridente e per nulla preoccupato. Svoltarono a destra, e proseguirono giù per il distretto popolare; un tempo un quartiere benestante, ma che dopo la piccola rivolta era diventato il ritrovo di criminali e prostitute. La gente iniziò ad essere meno numerosa, mentre la strada di ciottoli lasciò spazio al fango amalgamato con feci umane e di ratto. Le case in legno erano decadenti e alcuni di esse erano state divorate dalle fiamme. Lungo gli stretti vicoli, vi erano prostitute che scopavano criminali, criminali che picchiavano prostitute e prostitute che rapinavano criminali, ma di guardie cittadine nessuna traccia. I bambini sguazzavano nel fango, luridi e puzzolenti, strillavano e correvano per la strada imbrattando muri e persone. Adrienne non aveva mai visto questo distretto ridotto come il porto della città Imperiale, anzi, era pure peggio. Un miriade di odori insopportabili che Adrienne non seppe riconoscere impregnavano l'aria. I nuovi residenti vi erano abituati, ma non Adrienne che si tappò il naso con una mano. Continuando lungo il tragitto, le scarpe rifinite in oro si erano lordate di terra e merda, così come la base della lunga gonna. Cercava di percorrere il terreno più asciutto, per poi scoprire che non serviva a niente. Il Cocchiere non aveva di questi problemi, anche perché l'uomo un tempo viveva in un posto come questo, ma in altra città. Adrienne l'aveva scelto solo perché era parente di qualche mago o apprendista di cui ora non ricordava sia il nome che la faccia.
L'abito di velluto blu di Adrienne aveva fin da subito rapito gli sguardi delle donne dai facili costumi e degli uomini impregnati di alcool e piscio. Alcuni di loro barbottavano, sogghignavano o le lanciavano sguardi arrapati. Adrienne cercò di non guardarli, mantenendo lo sguardo davanti a sé. Alcune donne iniziarono a strillarle contro degli insulti, dicendole di sparire se non voleva finire faccia in giù nel fango. Adrienne non ci fece caso, e continuò per la via. 
Poi un possente Nord con metà volto bruciato le sbarrò la strada. "Dove vai tutta sola, bella signora?" Sorrise con i denti marci e spaccati.
Il cocchiere si fece avanti, ma prima che potesse dire una parola il possente Nord gli staccò un pugno in faccia. Quello cadde a terra privo di senso.
Adrienne rabbrividì, guardandosi attorno. L'alito acre del possente Nord le arrivò dritto in faccia. 
"Quanto vuoi per una bella scopata?" Disse il Nord, palpandogli il sedere. Poi con l'altra mano le cinse il fondo schiena, stringendola forte a sé.
Adrienne si sentì stretta in una morsa da cui non poteva fuggire. Il possente Nord aveva una presa vigorosa, ed ella sentì il suo pene ingrossarsi all'altezza dal suo ventre. Poi gli toccò il seno, lo circondò con la sue grassocce dita callose. Adrienne era come paralizzata dalla paura. Non riusciva a muovere un muscolo. Sentiva solo l'alito acre del Nord riempirle i polmoni, e un insolito formicolio lungo tutto il corpo. Poi senza rendersene conto, l'uomo cadde a terra col viso annerito, la pelle bruciata da cui si levava un flebile fumo. La gente si accalcò a vedere. Piccoli scosse elettriche percorrevano la mano tremante di Adrienne. Una donna le puntò contro il dito, le diede della Megera e fuggi via. Tutti gli altri scapparono terrorizzati. Nell'aria l'odore di pelle bruciata scacciò gli altri odori. Il possente Nord era morto con gli spalancati e la bocca aperta da cui fuoriusciva del fumo. Poi Adrienne si guardò le dita e capì. 


 
*****


Qualcuno bussò alla porta della camera da letto del Conte Hassildor. Senza nemmeno aspettare una risposta, la porta si aprì. Sulla soglia comparve una guardia cittadina. Cercò con lo sguardo il Conte nella stanza illuminata debolmente da alcune candeliere, ma non lo trovò. Poi il Conte Vampiro uscì dalla penombra come un antico fantasma. 
"Conte." Sbiancò la guardia cittadina, chinando il capo. "Servin Ondus ha trovato qualcosa. Richiede la vostra presenza."
"Cosa ha trovato?" Con calma, il Conte Hassildor si avvicinò al soldato con le mani intrecciate dietro la schiena.
"Una botola nel giardino abbandonato, Conte."
"Fai strada."

Lungo il corridoio che portava fuori al giardino abbandonato, incontrarono un altra guardia cittadina che fermò il Conte.
"Conte, ho buone notizie." Esordì la guardia cittadina.
"So già della botola." Rispose il Conte.
La guardia cittadina non capì. "Netrom Morten si è svegliato."
"Siete..." Si stupì il Conte Hassildor. "...Siete sicuro?"
"Sì, Conte. Seguitemi."
L'altra guardia cittadina cercò di dire qualcosa al Conte, ma egli rispose per primo. "Riferite a Servin Ondus di bloccare il passaggio se qualcuno o qualcosa dovesse uscire da la. Lo incontrerò appena possibile."
La guardia cittadina annuì e andò via.

Tempo dopo, assieme alla guardia cittadina, raggiunse il capezzale di Netrom Morten. Vide Erina con gli occhi arrossati e in lacrime dalla felicità, china su Netrom Morten dalla faccia molto pallida, quasi come il Conte Vampiro. Il Conte Hassildor si avvicino al Bretone, mentre Erina si rimise seduta sulla sedia con le mani tremanti dalla contentezza. 
Netrom Morten guardò il volto freddo e apatico del Conte, ma nessuno dei due parlò. Erina li fissò confusa, ma non aggiunse nulla. Gli sguardi erano pesanti, silenti e quasi glaciali, ma parlavano una lingua sconosciuta alla donna.
Poi il Conte Hassildor prese la parola. "Vecchio mio. Sono felice che tu ti sia ripreso."
"Dov'è il mio bastone paralizzante?"
"Al sicuro."
"Dove?"
"Devi riposare." Disse Erina, asciugandogli la fronte sudata con una pezza.
"Mi riposerò da morto." Fece per alzarsi, ma rovinò di schiena sul letto.
"Ascolta il consiglio di Erina." Disse il Conte. "Recupera le forze."
"Ho abbastanza forze in corpo." Grugnì il Bretone.
"Sei testardo!" Aggiunse Erina, fulminandolo con lo sguardo. "Stai a letto Devi riposare"
Netrom Morten corrugò la fronte rugosa. 
"Riposa, vecchio mio." Disse il Conte Vampiro. "Appena ti riprenderai, parleremo."
"Perché non ora?"
"Una faccenda che richiede la mia presenza."
Erina si voltò di scatto verso il Conte. "Forse avrà dissanguato qualcuno..." Pensò intimorita.
"Quale faccenda?" Chiese Netrom Morten. "L'ombra che mi ha assalito?"
Il Conte Vampiro si accigliò, ma decise di non prolungare il discorso. "Di cosa parla?" Pensò.
"Parleremo a tempo debito." Rispose il Conte. "Ora se vogliate scusarmi." E lasciò la cameretta, prima che i due potessero dire qualcosa.

Una volta arrivato al giardino abbandonato, vide otto guardie cittadine vicino a Servin Ondus. Il sole era allo zenit, ed era una giornata abbastanza gelida. Nell'aria vi era odore di foglie secche, di autunno. Quando li raggiunse, Servin Ondus gli indicò la botola.
"L'avete aperta?" Gli chiese il Conte
"No, Conte. Aspettavo voi."
"Apritela." Ordinò.
Le guardie cittadine sguainarono le spade d'acciaio, i loro occhi fissi sulla botola. Uno di loro l'aprì lentamente, con cautela, mentre il Conte Hassildor rimase impassibile, freddo e gelido come gli inverni impervi di Skyrim.


 
*****


Quando Fredor si svegliò, sentì qualcosa di umido e ruvido leccargli la faccia. Mosse la mano per far finire quella cosa, ma appena ci riuscì, vide un grosso lupo marrone mettersi seduto sulle gambe posteriori. Impaurito, Fredor si pulì via la saliva del lupo. "Perché non mi ha divorato, dico..." Pensò. Poi qualcuno rispose alle sue domande.
"Huck, vieni qui." Disse una voce pesante alle spalle dell'anziano. 
Fredor si voltò, incrociando il suo sguardo. Era un Imperiale dai corti capelli castani e un barba rasata, un occhio bianco e il viso sporco di terra. Indossava una pelliccia d'orso sotto indumenti laceri di lana, un paio di sandali ai piedi e una corta spada appesa al fianco destro. L'uomo aveva un aspetto poco raccomandabile.
"Cosa hai trovato, Huck?" L'uomo realizzò in quel momento che quello ai suoi piedi non era una carcassa umana, ma un vecchio che respirava a fatica.
"Meriliel..." Disse Fredor, cercando di alzarsi su un ginocchio.
"Chi?" Rispose l'Imperiale mettendo una mano sull'elsa della spada.
"Merliel, dico... Mi figlia, dico... Brema, dico... Mia moglie Brema, dico..."
L'uomo si accigliò confuso, non capendo a chi si riferiva. "Quella zappa è tua?" La indicò con un dito.
Fredor si girò verso l'oggetto, l'osservò, poi si voltò verso l'uomo. "E' la mia spada., dico..."
L'Imperiale scoppiò in una grassa risata, mentre il suo lupo inclinò leggermente la testa non capendo perché il suo padrone ridesse.
"Mariliel, lei, dico..."
"Tu sei suonato, vecchio." 
"Io non so suonare, dico..."
L'imperiale rise nuovamente e si piegò per la risata fino a quasi strozzarsi con gli occhi che lacrimavano. "Tu, vecchio..." Mosse un dito su e giù. "...Devo ammettere che sai fare le battute... Dai alzati. Vieni con me." Era da un sacco di tempo che l'Imperiale non rideva tanto, e quel vecchio gli faceva pena.
Appena Fredor fece per alzarsi, il lupo gli abbaiò contro.
"Stai buono, Huck." L'Imperiale gli accarezzò sotto il muso. Poi vedendo che Fredor faticava ad alzarsi, lo aiutò alzandolo da sotto le braccia.
Fredor si pulì la crosta secca di terra dagli abiti. 
"Sei un contadino?" Chiese l'Imperiale.
"Sono un grande guerriero, dico..."
L'Imperiale smorzò una risata. "Va bene, ora niente battute. Rispondi alla mia domanda."
"Ho risposto, dico..."
"Quindi sei veramente suonato?" Lo canzonò l'Imperiale pensando che stesse scherzando.
"Non so suonare, dico..."
L'Imperiale capì in quell'istante che Fredor non scherzava. Tutto quello che aveva detto non erano battute.
"Sei da solo?"
"Non so perché sono qui, dico..."
"Va bene. Seguimi."
Prima di seguirlo, Fredor si piegò per prendere la zappa.

S'incamminarono nel bosco, mentre Huck andava avanti in perlustrazione. "Non allontanarti troppo, Huck!" Urlò l'Imperiale, ma ormai il lupo era sparito tra gli alberi. Proseguirono in silenzio, allietati dal canto dei fringuelli ed evitando le pozze d'acqua creatasi dall'abbondante pioggia del giorno precedente. Ma Fredor, ci cadeva spesso dentro, sia con il piede che quasi con tutto corpo. E toccava sempre all'Imperiale alzarlo sù. Fu in una di quelle volte che capì che la pelle di Fredor scottava parecchio. Gli toccò la fronte, ed anche lì era caldo.
"Perché mi tocchi? Dico..."
"Hai la febbre." Rispose l'Imperiale.
"Io sono sano, dico..."
"Certo." L'Imperiale scosse la testa.
Tempo dopo, raggiunsero una piccola capanna in legno coperta parzialmente da grosse e nodose querce, oltre che da cespugli. La capanna era quasi invisibile da fuori o da un occhio non attento, e tutt'attorno il terreno era cosparso di foglie secche, rami e tronchi cavi. Il muschio prolificava sulle pareti del capanno, mentre le piccole finestre erano simili a merlature. La volta di due querce che incrociavano i loro rami come fossero impegnati in una lotta eterna ricopriva il tetto.
Il lupo corse silente alle loro spalle, e Fredor sussultò quando se lo vide sbucare accanto.
"Vieni qua, Huck." L'Imperiale aprì la robusta porta della capanna, e il lupo scodinzolò dentro.

"Siediti." Disse l'Imperiale a Fredor.
Il vecchio si sedette su un rustico sgabello in legno a ridosso di un piccolo tavolino rotondo. La stanza era arredata in modo scarno. Vi erano molte casse di varie dimensioni, scaffali vuoti o pieni di bicchieri e piatti di legno, sacchi di farina e libri polverosi di cui la maggior parte divorate dalle tarme. Un lacero tappeto era posto ai piedi di un focolare. Su piattini di legno, tre candele di sego illuminavano debolmente la camera.
L'Impieriale ravvivò il fuoco, mentre il Huck si accucciò lì.
"Fa freddo qui, dico..." Fredor si mise le mani sotto le ascelle.
L'Imperiale non rispose. Poi le fiamme zampillarono da sotto i ceppi mezzi carbonizzati, allungandosi in lingue di fuoco.
"Ancora non mi hai detto il tuo nome?" L'Imperiale si alzò in piedi.
"Fredor, dico..."
"Il mio nome è Tulvus."
"Nome Imperiale, dico..."
"Già... Ti va della zuppa di pollo?"
Fredor si leccò le labbra. "Io ho sempre fame, dico..."


 
*****


Quando il Conte Hassildor scese giù nella botola, si accorse che l'angusto cunicolo era stato scavato a mano. Lungo le pareti rocciose, intervallate da arcate di legno marcio, l'oscurità inghiottiva i volti delle otto guardie cittadine alle spalle di Servin Ondus. Non vi era nessuna fonte di luce che illuminava la galleria, oltre i fasci di luce proveniente dalla botola aperta sopra alle loro teste.
Il Conte Hassildor fece segno di muoversi.
Una guardia cittadina accese una torcia e proseguì alla testa del gruppo, con una spada nell'altra mano. Proseguirono in fila, chinando il corpo a metà per non urtare o grattare la testa contra il soffitto. Nell'aria prese a levarsi un odore di carne putrefatta, mischiandosi con feci ratto, di pietra spaccata, di terra bagnata e muschio. Una accozzaglia di odori che andava e veniva. 
Sbucarono in un ampio corridoio roccioso. Alla loro sinistra s'intravedeva una piccola luce, mentre a destra il tetto era crollato. 
"Rientra nel cunicolo e allontanati un po', o vedranno la luce dalla torcia." Sussurrò Servin Ondus alla guardia cittadina che ubbidì subito dopo. Poi si girò verso il Conte, almeno dove l'aveva visto l'ultima volta prima che l'oscurità calasse sulle loro teste. "Conte. Cosa facciamo?"
"Non possiamo avvicinarci senza far rumore." Indicò le armatura d'acciaio delle guardie cittadine, ma poi si rese conto che gli uomini non potevano vedere nelle tenebre. "Le armature fanno rumore. Devo andarci da solo."
"E' troppo pericoloso, Conte. Non sappiamo chi abbia acceso quella luce." Servin Ondus girò la testa a sinistra e a destra, cercando di capire dove fosse il Conte.
"E' un bivacco. Non senti l'odore di carne e legno bruciato?"
Perplessi, tutte le guardie si guardarono intorno, cercando con gli occhi i compagni.
Servin Ondus rimase immobile. "Non... C'è un miscuglio di odori qua sotto."
"Aspettate qui." Il Conte sgattaiolò lontano dal gruppo ancora prima che Servin Ondus potesse replicare o accorgersi che era sparito.
Con passo felino, il Conte Hassildor raggiunse l'entrata che portava alla fonte di luce. Poi si voltò indietro. Le guardie cittadine erano nascosti nell'oscurità, anche se egli poteva vederli al buio. Notò che gli uomini lo stavo cercando con lo sguardo, e fu allora che bisbigliò delle parole e si rese invisibile. Non poteva usare quella magia davanti ai soldati. Nessuno doveva sapere delle sue arti magiche. 
Quando entrò dentro la piccola sala rocciosa, vide due Goblin seduti sui talloni e ricurvi sul focolare. Divoravano della carne ridotta a carbone dandogli le spalle. Due asce dalle lame arrugginite erano ai loro piedi, mentre poco distante, il cadavere dell'Orco giaceva con gli arti inferiori squarciati o fatti a pezzi. Dell'Imperiale non vi era nessuna traccia. L'aria era pregna di un forte odore di legno bruciato. Il Conte li sorpassò alle spalle, infilandosi in una altro stretto cunicolo. Procedette carponi per quattordici piedi, finché sbucò in un altra camera. 
Alla base delle pareti, piccoli fuochi ardevano sui resti di alcune casse distrutte, illuminando quella che doveva essere una specie di magazzino. Il Conte si mise dietro una colonna rocciosa, guardandosi intorno. Non vi erano Goblin, ma solo spade, asce e mazze arrugginite sparpagliate ovunque. Degli scudi dal legno marcio erano accatastati in un angolo. Il Conte Vampiro vide il cadavere dell'Imperiale senza gambe e braccia vicino a una grossa pietra. Poi un verdognolo Goblin ingobbito entrò con passo goffo e incerto. Impugnava un piccolo coltello dalla lama seghettata. Si chinò a ridosso dell'Imperiale e gli mozzò la testa. Infine, tra le dita lunghe e ossuta, se lo portò via.
Il Conte Vampiro seguì a distanza il Goblin che s'inoltrò in un altro corridoio angusto e umido con qualche fungo lungo le mura. Tutto era immerso nell'oscurità. Il Goblin ingobbito procedeva sicuro nella sua andatura ondeggiante. Poco dopo, il Conte sbucò in un sala più ampia, illuminata da fuochi che ardevano su pezzi in legno. Delle candeliere erano posti agli angoli, ma non erano accese. Un altare rettangolare in pietra bianca si ergeva al centro della sala, con il muschio che cresceva nelle sue fenditure. Sopra di esso, diverse ampolle di varie tonalità. Vi erano scaffali di legno, casse, barili e sacchi di farina sparsi un po' ovunque. Vari ingredienti di piante erano poste su un tavolo. Dietro l'altare, un incantatore arcano con sopra un teschio di Troll e della farina di ossa.
Il Goblin posò la testa sull'altare e si diresse in altro cunicolo a destra, divorato nell'oscurità. Il Conte Vampiro attese. Sperava di vedere qualcuno arrivare da la; uno sciamano Goblin, un Negromante, qualcuno che desse delle risposte. Ma non arrivò nessuno. "Può essere che questo laboratorio appartenesse a quel falso guaritore della Gilda dei Maghi?" Pensò. Poi udì qualcosa. Urla lontane si schiantavano come echi sulle fredde pareti rocciose. Aggrottò la fronte, ascoltò e capì. "I Goblin hanno scoperto la guardia cittadina." Pensò.


 
*****


"Allora... Brangor. E' così che ti chiami, giusto?"
"Sì." Rispose il Nord con i polsi rossastri e doloranti per via della corda ben stretta.
Mariliel si alzò dalla sedia, gettando una rapida occhiata a Brangor. Poi guardò Ramstan. "Perché sei ancora qui? Ti ho detto di andartene."
"Io resto qui." Rispose Ramstan. "Non ti lascio da solo con... con... con questo qui." Indicò Brangor con fare disgustato.
"Di cosa hai paura?"
"Di nulla."
"Allora vattene!"
Ramstan scosse la testa e si sedette. Vi era un gran vociferare fuori dalla tenda. Gli sfidanti erano impazienti di potersi sfidare a elmi e bastoni per i prigionieri rivendicati, ma Ramstan aveva detto loro di aspettare.
"Tu sei geloso." Disse Mariliel.
"Io? Di quel... pezzo di fango?"
Irritato, Brangor corrugò la fronte, ma sapeva di non poter far nulla, quindi rimase calmo. "Fottuto bastardo!" Pensò.
"Allora perché non mi lasci da sola con lui?"
"E' pericoloso." Ramstan si mise comodo sulla sedia, allargando le gambe.
"Dici sul serio? Non vedi che è legato come un ceppo? Cosa credi possa fare in quelle condizioni?"
Ramstan sbuffò. "Non me ne vado. Se vuoi parlargli, fai pure. Fai finta che non ci sia."
Marliel serrò le mani a pugno, prese per un braccio Brangor e cercò di spingerlo fuori dalla tenda.
"Ehi!" Ramstan balzò in piedi, bloccando l'uscita con il corpo. "Voi non andate da nessuna parte."
"Quindi sono anche io una tua prigioniera?"
"Non ho detto questo."
"Allora fatti da parte!"
Ramstan deviò lo sguardo della donna. "Va bene, lo ammetto. Sono geloso. Contenta?"
Brangor guardava entrambi con aria confusa. "Sono il terzo incomodo in una storia d'amore travagliata? O Divini, perché siete così crudeli con me?" Pensò.
"Tu vuoi controllarmi." Disse Mariliel. "Ed io non sono tua! Quindi lasciami andare."
Ramstan, gli occhi rossi dalla rabbia, digrignò i denti e si spostò di lato, facendo uscire i due.

Tutti gli uomini, che si erano radunati a ridosso della tenda, si ammutolirono quando videro Mariliel tenere per un braccio Brangor. La donna se lo portò in una piccola tenda, sotto gli occhi eccitati e confusi dei banditi.
Tempo dopo, Ramstan fece il suo ingresso con petto gonfio e sguardo torvo, le mani sui fianchi. Voleva dare l'impressione di essere un uomo forte, indistruttibile, ma dentro il suo cuore covava un odio indefinibile per quel Nord, anche se non sapeva perché. Tutti gli uomini lo guardarono in silenzio. "Che la sfida abbia inizio!" Tuonò.
Tutti i banditi urlarono a squarciagola, bestemmiando e saltando per la gioia.

I banditi formarono un cerchio, mentre Ramstan prese posto sul suo scranno in legno di quercia. La vena sulla sua tempia pulsava per il nervoso. Lanciò un occhiata alla tenda in cui Mariliel e Brangor erano entrati. Poi mise un gomito sul bracciolo del scranno, portandosi la mano sul mento. Due Nord, si posizionarono nel mezzo. Avevano in testa un elmo con celata mezzo arrugginito con in mano un robusto bastone.
"Quest'oggi," Esordi un uomo anziano dalla lunga barba bianca, il viso solcato da ragnatele di rughe e fronte sporgente, forse anche troppo. "due fratelli si contendono un prigioniero." Puntò il dito tremulo e raggrinzito verso un uomo alto, spalle larghe e braccia poderose. Indossava una tunica lordo di fango. Vederlo in ginocchio sembrava al quanto strano, poiché poteva benissimo sopraffare almeno metà dei banditi con la propria forza. Ma quelli avevano le armi, e lui no. "Le regole sono queste..."
"Sappiamo già le regole, vecchio scemo!" Urlò un uomo cercando l'approvazione della folla. Tutti loro approvarono in coro tramite bestemmie e insulti.
L'anziano lo ignorò, e proseguì "Niente colpi sul corpo, niente atterramenti, niente prese, niente calci nelle palle. Potete colpire solo l'elmo del vostro avversario finché egli cadrà tramortito a terra. Chi si fa prendere la mano dopo che l'avversario sarà privo di sensi, verrà espulso!" Sottolineò l'ultimo frase gridando più che poté, ma il frastuono delle voci dei banditi  che gli dicevano di andarsi a farsi fottere da gruppo di Minotauri avevano inghiottito ogni sua frase. L'anziano arbitro si voltò verso Ramstan. "Ora aspettiamo il consenso del nostro amato capo, Ramstan, per aprire le danze."
Tutti si ammutolirono di colpo, guardando il loro capo.
Il Redguard annuì, alzando una mano come per scacciare una mosca, mentre con l'altra strinse il bracciolo dello scranno per la rabbia. La folla esplose in visibilio. Poi gettò un altro occhiata alla tenda, riuscendo a stento a mantenere i nervi. 
I due fratelli batterono i bastoni sui propri elmi per dar inizio al combattimento.


 
*****


L'accozzaglia di urla della folla si udiva persino dentro la tenda dove Mariliel aveva portato Brangor. La donna sguainò uno stiletto dal fianco e tagliò le corde nodose ai polsi di Brangor che caddero a terra sollevando un poco di polvere. Poi rimettendo lo stiletto nella fodera, si sedette su uno sgabello vicino a un tavolino rotondo in legno. 
"I piedi?" Brangor indicò un nodo un po' largo che gli consentiva di camminare, ma non di correre.
"Siediti." Rispose Mariliel accavallando le gambe.
Quando Brangor si sedette, fuori dalla tenda ci fu uno esplosione di grida eccitate. Qualcuno aveva vinto la lotta.
"Come ci sei finito qui?" Chiese Mariliel. "Voglio dire..."
"L'hai visto l'Altmer?" La interruppe Brangor. "Quello riverso con la faccia nel fango?" Vedendo che Mariliel non rispondeva o non capiva, continuò. "Quello con la faccia tumefatta? Quel coglione..."
"Ho capito" Disse Mariliel quasi in un grido. "E' l'unico Altmer nella gabbia."
"Se avevi capito, perché..."
"Sono io a fare domande, non tu! Tu limitati a rispondere." Disse la donna con tono pacato.
Dopo qualche istante di silenzio, in cui Mariliel lo fissava dritto negli occhi mettendolo in soggezione e aspettandosi delle risposte, Brangor disse. "Posso bere?"
"Prima rispondi alle mia domanda."
"Quale domanda? Mi stavi guardando e basta."
"Ti ho detto come ci sei finito qui!" Mariliel serrò gli occhi irritata.
"Quel coglione di un Altmer pensava che fossi un bandito, che ero lì per spiarlo o stronzate simili. Il suo nome è Ermil Voltum. Dice di lavorare per qualcuno della Città Imperiale e..."
"Stai raggirando la mia domanda." Disse Mariliel. "Non te lo ripeterò più: come ci sei finito qui?"
Brangor fece per massaggiarsi un polso arrossato e scorticato, ma il lancinante dolore che provò lo costrinse a ritirare istintivamente la mano. Mariliel se ne accorse, ma fece finta di nulla.
"Per caso..." Disse il Nord, percependo la mano appena toccato pulsare dal dolore. "Ero diretto a Skingrad, ma... mi sono perso. Non sono di Cyrodiil. Conosco poco queste terre."
"Queste terra civilizzano pure un caprone Nord delle montagne, e tu sei la conferma."
Brangor s'irrito, ma Mariliel aveva ragione. "Da quando sono andato via dal Castello del Conte Hassildor il mio burbero e grezzo caratteraccio ha avuto una strana... metamorfosi. Ero meno impulsivo, bestemmiavo di meno ed ero sopratutto meno scontroso. Ma forse è stata tutta opera di quei tre uomini in nero che mi hanno quasi ucciso... E poi perché mi hanno lasciato in vita? Sapevano che non ero morto, e non mi sembrava gente che lascia in vita i feriti..." Pensò. Ma le rispose con una domanda: "Cosa ti fa pensare questo? Tu non mi conosci."
"Conosco quelli come te." Marliel accennò appena la tenda con la mano. "Le grida che senti, sono grida di uomini rozzi, brutali, arroganti, egoisti e senza onore e rispetto. Ma i più anziani tra loro cambiano con l'età, con l'esperienza, con i traumi. Il vecchio aguzzino di oggi, quello era uno di loro, uno come te. Ma il tempo, i traumi e l'esperienza l'hanno piegato, così come hanno piegato te."
"Io non mi faccio piegare da nessuno!" Brangor balzò dalla sedia.
"Siediti!" Urlò Mariliel mantenendo un espressione tranquilla.
Brangor si sedette.
"Se non ti fossi piegato, a quest'ora saresti cibo per lupi e cornacchie. E se non mi credi, soffermati sul vecchio aguzzino e capirai di cosa parlo."


 
*****


Rimasto immobile nella stessa posizione da un bel po', Ramstan si massaggiava il mento con fare nervoso. Erano al terzo ed ultimo combattimento. Un Bretone e un Imperiale che rivendicavano un altro prigioniero. La folla era in visibilio e incitava i due lottatori a colpirsi. Altri bestemmiavano senza alcun senso, altri ancora li insultavano. 
Il Bretone parò il colpo dell'Imperiale e contrattaccò con un fendente, ma l'altro deviò il colpo indietreggiando. L'Imperiale era più agile, mentre il Bretone era poco più lento. Quest'ultimo andò all'attacco sferrando vari fendenti alla cieca, ma senza mai colpire il suo avversario. L'imperiale gli ronzò intorno, insultandolo e prendendosi gioco di lui insieme alla folla. Il Bretone irato e quasi esausto, cercò di colpirlo con un roverso ridoppio ai piedi, ma cadde sulle ginocchia, dando per un attimo le spalle all'avversario. Quello però, non aveva intenzioni di colpirlo, anzi, voleva umiliarlo prima di vincere. L'imperiale alzò le mani in aria e danzò attorno al Bretone, mentre la folla rideva fino a contorcersi dalle risate. Quando l'avversario gli fu alle spalle, il Bretone si girò di scatto cercando di colpirlo con un roverso tondo al petto, ma colpì l'aria. L'Imperiale rise e si colpì leggermente l'elmo per deriderlo. Il Bretone accecato dalla rabbia, gli tirò il bastone con tutta la forza che aveva in corpo, centrandolo in piena celata. Stordito, l'Imperiale indietreggiò, cercando di mantenersi in equilibrio. Il bastone gli scivolò dalla mano, e prima che il Bretone potesse riprendere la sua mazza, l'Imperiale si schiantò a terra, di schiena, sollevando un nugolo di polvere. Il Bretone, ormai fuori controllo, si scagliò contro l'Imperiale e lo tartassò di colpi all'elmo, ormai ridotto a pezzi. La folla si precipitò a fermarlo, mentre Ramstan guardava la tenda, incurante del fatto che aveva appena perso un uomo.


 
*****


"Scappate! Quella donna è un negromante!" Urlò una prostituta a tutti quelli che incontrava mentre fuggiva. La gente si affrettò dietro di lei, lanciando fugaci occhiate alle loro spalle. La strada di terra diventò ben presto fanghiglia sotto le moltitudini di piedi che correvano via da Adrienne. La maga rimase in piedi, fissando gli esili fumi che si levavano in aria dal corpo dell'uomo. In strada era sceso uno strano silenzio. Il cocchiere con la faccia frastornata, riprese i sensi proprio in quel momento. Si issò lentamente in piedi, guardandosi intorno. Poi quando incrociò la faccia bruciata del cadavere trasalì e vomitò dall'altra parte; pezzi di mela, carote e formaggio.
Quando Adrienne udì la bile di vomito schiantarsi a terra, ritornò in sé. Percepì l'ansia avvinghiargli il cuore, il panico impadronirsi delle gambe. Guardò il Nord morto, poi il Cocchiere piegato dai coniati di vomito, infine gettò occhiate in tutte le direzioni. Cercò di scacciare via l'ansia, afferrò per un braccio il Cocchiere e se lo trascinò dietro, mentre quello cercava di tapparsi la bocca. S'infilarono nella penombra di un vicolo cieco, e un impenetrabile odore di feci umani la costrinse a coprirsi il naso. 
"Mia signora..." Disse il Cocchiere con le guance gonfie come se dovesse vomitare da un momento all'altro. 
"Silenzio!" Rispose Adrienne, spiando dal vicolo sulla strada deserta.
"Mia signora, guarda." Il Cocchiere gli indicò una bambina pelle e ossa sporca di terra. Aveva lunghi capelli impigliati e appiccicosi, e se ne stava seduta tremante in un angolo con le braccia strette attorno alle ginocchia. Singhiozzava, e con un occhio marrone spiava da sotto un ciuffo di capelli neri. Era nuda e non doveva avere più di cinque anni.
Adrienne la guardò per un momento.
"Cosa facciamo?" Chiese il Cocchiere mentre il lezzo di feci gli arrivò naso e lo fece quasi vomitare. Sapeva che cosa orribile fosse la povertà. "Io stesso ho provato sulla mia pelle la fame, il dolore e l'essere lasciato a marcire nelle strade tra l'indifferenza della gente che mi camminava accanto. Ma i più crudeli erano quelli che mi picchiavano, mi tormentavano e mi torturavano per puro divertimento." Pensò guardando le sporche unghia rotte della bambina.
"Non è un nostro problema." Adrienne trascinò per un braccio il Cocchiere per andare via, poi si fermò assalita dai sensi di colpa. "Prendila. La porteremo al tempio."
Il Cocchiere si apprestò ad afferrarla, ma la bambina si arricciò al suolo sporcandosi ancora di più. L'uomo si voltò, guardando Adrienne.
"Prendila con la forza." Gli disse.
Dopo varie tentativi, il Cocchiere prese in braccio la bambina che non cercò nemmeno di dimenarsi, ma scoppiò a piangere. 
"Falla stare zitta!" Disse Adrienne mentre guardava circospetta i due lati dalla strada.
"...Non ti faremo del male..." Bisbigliò il Cocchiere alla bambina che continuò a piangere.
Poi udirono il frastuono di molte armature in lontananza. Adrienne e il Cocchiere si fermarono, non sapendo dove andare. Ma prima che Adrienne si rendesse conto di quello che stava per succedere, le guardie cittadine li accerchiarono con mazze e spade in pugno, mentre i curiosi sbucavano alle loro spalle come talpe.


 
*****


"Ho avuto così tanto paura di perderti..." Disse Erina incrociando le mani tra le ginocchia.
"Io..." Netrom Morten conosceva già la risposta alla domanda che voleva porle. "Ti ho fatto del male?"
Erina abbassò gli occhi per un istante. "...Non mi va di parlarne."
"Devo sapere, Erina."
"Ero solo spaventata."
"Dimmi la verità."
Erina guardò gli occhi bianchi di Netrom Morten. "Ho avuto solo molta paura."
Il Bretone le allungò una mano raggrinzita e ossuta, ed ella gliela strinse forte quasi a volerla spezzare. "Puoi dirmelo."
"Hai..." Erina ebbe un nodo in gola.
"Non avere paura."
"Hai cercato di uccidermi."
Netrom Morten chiuse gli occhi e sospirò.
Erina si chinò, e quando gli baciò la mano, quasi trasalì per la fredda pelle del Bretone.
Netrom Morten non capì. "Cosa significa?"
Erina arrossì. "Io ti..." D'un tratto entrò una servetta con due piatti fumanti di carne di cinghiale su un vassoio.
Netrom Morten levò rapidamente la mano da quelle di Erina, ed ella sentì una fitta al cuore "Che stupida che sono stata... Gli stavo per dire ti amo..." Pensò ricomponendosi sulla sedia, e fingendo che non gli importava. 
"Il Conte Hassildor mi ha ordinato di portarvi questa pietanza" Disse la servetta, posando i due piatti sul comodino. "Il cuoco del castello è a vostra disposizione." Fece un leggero inchino di commiato e andò via con il vassoio in grembo.
Netrom Morten cercò di mettersi a sedere sul letto, ma i dolori lungo la schiena lo immobilizzarono a metà strada.
"Lascia che ti aiuti." Disse Erina mettendogli le mani sotto le ascelle per tirarlo sù.
"Faccio da solo!" Tuonò il Bretone, scacciando le mani della donna.
Erina si voltò quasi con le lacrime agli occhi e fece per prendere il suo piatto. "Che stupida, che stupida, che stupida." Pensò.
"Aspetta." Netrom Morten la prese per un polso, mentre ella gettò un occhio dietro alle sue spalle. "Mi dispiace, Erina. Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto. Non meriti di essere tratta così. Tu..." 
Erina si girò, gli prese le mani raggrinzite e si chinò per guardarlo negli occhi con un sorriso. "Non devi scusarti di nulla." Una lacrima le solcò il viso, e il Bretone gliela cancellò con una carezza.
   
 
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