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Autore: Fabio Brusa    13/11/2019    1 recensioni
"Fenrir Greyback è un mostro. Un assassino. Un selvaggio licantropo. Approcciare con cautela."
Quello che il mondo vede è solo il prodotto di ciò che mi è stato fatto.
La paura li ha portati a ritenerci delle bestie, dei pericolosi predatori da abbattere. E la vergogna per non averci aiutati li spinge a tentare di cancellare la mia stessa esistenza.
Forse finirò ad Azkaban. Più probabilmente, qualcuno riuscirà a uccidermi, prima o poi.
Non mi importa.
Non mi importa, fintanto che sopravvivrà la verità su come tutto è iniziato e sulla nostra gente.
Sui crimini del Ministero e sull'omertà di uomini come Albus Silente.
Su come il piccolo H. sia morto e, dalle sue ceneri, sia venuto al mondo Fenrir Greyback.
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GREYBACK segue la storia del famoso mago-licantropo. Attraverso vari stili narrativi, dai ricordi di bambino ad articoli di giornale, dagli avvenimenti post ritorno di Voldemort a memorie del mannaro a Hogwarts, in 50 capitoli le vicende dietro il mistero verranno finalmente portate alla luce.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Più contesti
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23/50

Volare nel cielo come un uccello, con il vento sulla faccia e quella sensazione di fragile e assoluta libertà era il sogno di molti. Di certo, non il mio.
Al Campo di Allenamento ero l'unico a sentirsi ancora spaventato. Avevo deciso di continuare con la classe di volo del Professor Hector Baston nonostante non fosse obbligatorio. La speranza di far parte di qualcosa, però, era allettante e Baston insisteva perché migliorassi nelle doti acrobatiche.

- Sono convintissimo - mi disse il professore - che saresti un eccellente Battitore, se solo imparassi a volare come Merlino comanda. -

Diggory aveva mollato, convinto ci fossero metodi meno rischiosi per mettersi in mostra. In compenso, Tattercow continuava: ogni occasione era buona per allenarsi e dar lustro alla Casa. Sarebbe entrato nella squadra di Quidditch, senza ombra di dubbio. Cercatore, probabilmente. Era agile, veloce e preciso. Non esattamente quello che si poteva dire di Alastor Moody.

Prese le scope ed effettuata l'ordinaria manutenzione, il Professor Baston ci fece alzare in volo. Moody sembrava odiarlo, per qualche motivo. Rimaneva con le braccia tese per tenersi saldamente aggrappato, con un'espressione di rabbia e disgusto malcelata sul viso. Perché insistesse con una materia non più obbligatoria e per la quale era così poco portato, era un mistero. Forse, era solo testardaggine e incapacità di arrendersi.

Era una mattina come un'altra, ad Hogwarts. La nebbia si levava dal terreno umido, spargendosi in ogni dove, troppo rada per inghiottire veramente il castello o per impedire la lezione.

- Per oggi possiamo concludere - disse soddisfatto Baston dopo averci fatto avvitare una manciata di volte su noi stessi. - Prendete confidenza con le vostre scope. Se intendete superare l'anno, non sarà sufficiente spostarsi da un punto all'altro. Non siamo più ai rudimenti. Forza, a coppie. Fate un bel giro fuori dalle mura, costeggiate il bosco, e alla rimessa per le barche tornate indietro. Siate un po' competitivi: non si vince niente se non una rimpolpata all'orgoglio, ma tanto basta. Urquart, Tattercow: cominciate voi. -

Prima le stelle, capaci di mettere in piedi una vera e propria gara di velocità. Poi i mediocri che, salvo qualche spallata al compagno o alle mura di pietra, tornarono alla posizione di partenza tutti interi. Alla fine, erano rimasti solo i più incerti. Chi possedeva un vero talento per il volo aveva già riposto le scope, quando io e Moody ci alzammo sopra il Campo di Allenamento.

- Spingimi - gracchiò lui, senza distogliere l'attenzione dalla propria traballante monta - e giuro che ti soffoco nel sonno. -

- Se tolgo una mano dal manico inizio a volare in stile sasso - gli risposi. - Tranquillo. -

Sono sicuro di non averlo fatto ridere, neanche un po'. A quel punto si librò in aria e superò le mura di cinta senza nemmeno aspettarmi.

- Forza, forza V.! Veloce o te lo perdi nella nebbia! - Il Professor Baston mi guardò con l'ampia mezzaluna di denti brillanti. Nulla lasciava ad intendere che il suo entusiasmo fosse falso, ma dentro di sé non nutriva alcuna speranza nel mio miglioramento. Ma questo riuscii a capirlo solo un anno più tardi.

Inseguii Moody come meglio potevo. Era una gara fra lumache ubriache. Il tempo di scorgere le cime degli alberi ed eccolo lì: leggiadro come se il manico della scopa lo tenesse ficcato su per il culo. Ronzava sopra le cime degli alberi, scomparendo e riapparendo tipo fantasma. Al posto del panorama sulla scogliera si stagliava un quadro bianco, puntellato di foglie, aghi e corridoi che scendevano fino ai prati.

Alastor stava seguendo un percorso fuori tracciato. Impegnato com'era a cercare di mantenere un'aria vagamente dignitosa, non doveva essersene accorto.

Senti avvicinarsi un battito d'ali frenetico. Più che avvicinarsi, lo percepii zigzagare, troppo veloce e troppo convulso per appartenere a qualsiasi uccello che conoscessi. Pensai a una libellula e mi chiesi dove dovesse essere il suo stagno. O come mai fosse tanto in alto. Ormai avevo imparato a conoscere i dintorni del castello e se qualcosa, là fuori, non era al proprio posto, mi si drizzavano i peli nelle orecchie.

Sì, li avevo. E anche un accenno di barba lanuginosa, unico tra i ragazzi del secondo anno... e anche del terzo.

Un nuovo rumore improvviso, come una vigorosa protesta, e mi accorsi di aver completamente perso di vista Alastor. Lo chiamai, temendo di dover proseguire da solo per riportarmi sul percorso corretto. Sarei arrivato primo, forse, ma Baston avrebbe trattato il mio compagno come un vero inetto, se fossimo dovuti andare a cercarlo. Lui non lo sopportava, anzi: ne era terrorizzato. Era così spaventato dall'idea di poter fallire che non avrebbe lasciato le lezioni di volo nemmeno di fronte a un'umiliazione. Sarebbe risalito in sella e avrebbe provato, provato ancora fino a riuscire nell'intento. Le sentiva dentro, certe cose, e si lasciava avvelenare. Non volevo abbandonare l'unico Tassorosso che evitava di farmi sentire l'ultimo della cucciolata.

Un tonfo e il frusciare delle foglie sotto di me mi fecero trasalire. A quel punto ero davvero allarmato: se fosse caduto? Con tutta quella nebbia non ero riuscito a scorgerlo. E nemmeno trovarlo sorvolando il bosco era una possibilità. Così, invece che proseguire verso il tragitto prestabilito, scelsi di atterrare, perdere la sfida e assicurarmi che il manico della scopa di Alastor non avesse lasciato il cupo pertugio nel quale normalmente stava infilato.

Respirando a fondo nel sottobosco ammantato dalla bruma, mi sentii vigile, libero e perfettamente a mio agio. Ero tornato a casa, in qualche modo: nei prati isolati a giocare con il mio cane, Ursula, e a domandare ai bruchi quali fossero i loro piani una volta ottenute le ali. La Foresta Proibita, diceva Hagrid, era un po' diversa dai boschi che crescevano ancora felici e selvatici, ma non mi sarei dovuto preoccupare: mi trovavo da tutt'altra parte. Si vedeva poco e le cime degli alberi svanivano salendo, eppure dovevo essere poco distante dalla rimessa per le barche. Forse l'avrei potuta scorgere fra gli alti fusti, con un meteo meno avverso. Per cui lasciai le paure e seguii il naso: se Alastor era caduto, non poteva essere molto lontano.

Infatti, non lo era.

Ma non era solo.

Acquattato nella verzura, vidi tra i rami una vecchia coperta di stracci. Pallida come un cadavere, impugnava un paio di logore cesoie con le quali tagliava, colpo dopo colpo, gli increspati capelli di un ragazzino fluttuante.

- Moody! - Mi tappai la bocca di riflesso, infuriato per essere stato tanto stupido da lasciarmi sfuggire un fiato. Ero vicino, troppo vicino perché la Megera mi ignorasse.

Si voltò, tenendo ben serrata una mano sul braccio di Alastor. Lui fluttuava a poco più di un metro d'altezza. Cercava di divincolarsi, senza riuscire a emettere un suono mentre l'orrenda vecchia ne disponeva per i propri oscuri intenti. La scopa era a terra, spezzatasi all'impatto. Quando la Megera mi guardò, negli occhi si agitavano torbidi e divertiti pensieri.

- Tu! - Puntò il dito rachitico verso di me. Rise, senza denti, con la pelle rinsecchita che le tirava il volto scavato. - Non è ancora il momento! -

Non avevo idea di cosa mi trovassi di fronte o cosa stesse facendo al mio compagno. L'istinto prevalse: estrassi la bacchetta e la puntai contro la mostruosa creatura. Le intimai di lasciare immediatamente Alastor, se teneva alla vita. Per quanto potessi apparire selvaggio, ero solo un ragazzino troppo ignorante per essere spaventato. E questo lei lo vide benissimo.

La Megera alzò un dito, mollando la presa. Fu come un incantesimo, senza parole e senza bacchetta, un ordine a cui solo le bestie potevano rispondere. Il ronzio, quello che avevo udito in volo, tornò su ali d'insetto.

Uno sciame di minuscole creature blu zaffiro si radunò di fronte a me. Le ali, attaccate attorno alla testa, ruotavano a una velocità folle e, senza indugio, mi caricarono.

Li avrei scacciati a manate, se non li avessi riconosciuti. I lunghi pungiglioni mi passarono sopra la testa, mentre mi buttavo a terra. "Billywig!" pensai. "Se mi pungono, mi ritrovo a fluttuare come Alastor". Mai visto né sentito, ora come allora, di qualcuno che avesse addestrato i Billywig. Con una puntura sarei rimasto sospeso a mezz'aria in balia della Megera. Con troppe, avrei rischiato di non poter mai più rimettere piede al suolo.

La flotta di insetti schizzava a destra e a sinistra, allungando le appendici nel tentativo di sedarmi. Mi rotolai fra il fogliame e mi gettai fra gli arbusti, ormai con un unico pensiero: sfuggire a quei cosi. Se mi avessero consegnato nelle mani della Megera, potevo solo immaginare il destino orribile che mi sarebbe toccato.

Di sicuro uno studente più accorto di me sarebbe stato svelto abbastanza da reagire alla minaccia e correre in aiuto dell'amico in difficoltà. Io impiegai più tempo, con ogni fibra muscolare che urlava di fuggire, per ricordare una lezione da poco appresa della professoressa Black.

Immobilus! - Lanciai l'incanto due, tre volte, fino a quando il tremendo ronzio non si spense. I Billywig erano bloccati. Che ironia vederli sospesi fra gli arbusti, come se si fossero punti da soli! In ogni caso, non avevo tempo per pensare. Sperai solo di aver fatto bene e non ritrovarmi poi, all'improvviso, avvolto dallo sciame.

Mi voltai verso la Megera, pronto a sfoderare ciò che Magnus mi aveva insegnato. Stavo imparando a difendermi non solo con la forza bruta, ma anche con la magia e pregustavo già la soddisfazione di schiantare per davvero qualcuno. Così come lui era stato capace di difendermi, ora sarei stato io a difendere uno dei miei compagni.

Quella creatura, però, in un battito di ciglia, era già sparita nel fitto della foresta e della nebbia.

   
 
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