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Autore: Journey    15/11/2019    1 recensioni
Che cosa succederebbe se Lucifer e Chloe si fossero incontrati quand'erano ragazzi per poi perdersi di vista e ritrovarsi solo da adulti? E che cosa succederebbe se nei loro giorni di gioventù avessero avuto una figlia che hanno rincontrato solo dopo diciotto anni? In questa FF un po' AU, un po' OCC, e sicuramente What If? i nostri protagonisti si troveranno a fare i conti con questa nuova nuova situazione.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10


Chloe ringraziò Lucifer per il passaggio e scese dall’auto, convinta che lì si sarebbe fermata anche la sua scorta. Ma non successe, ovviamente. Quando fu davanti alla porta sentì una presenza alle sue spalle e voltandosi lo vide dietro di lei. Scosse la testa e girò la chiave nella serratura. Tutto era incredibilmente silenzioso. Trixie era a scuola, ma Abigail avrebbe dovuto essere a casa. Probabilmente, si disse, era andata in centrale a cercarla. La detective guardò l’orologio, era quasi mezzogiorno.
“Abigail?” la chiamò.
Ma nulla si mosse. C’era un silenzio profondamente disturbante. Ormai Chloe non era più abituata a tutta quella calma. Si voltò verso Lucifer e notò che aveva uno sguardo preoccupato sul viso. Capì immediatamente dove la sua mente lo stava portando. Perciò prese il telefono, nel tentativo di tranquillizzarlo, e chiamò la loro figlia. Il rumore della suoneria della ragazza fece accigliare la detective che subito cercò di capire da dove provenisse. Veniva dal bagno. Bussò, ma non ricevette alcuna risposta. Che Abigail avesse dimenticato il cellulare prima di uscire? Provò ad aprire la porta e ci riuscì. Non era chiusa a chiave. Quello che vide la lasciò sconcertata, senza parole, terrorizzata, pietrificata.
Abigail giaceva su un fianco sul pavimento, pallida. Sembrava morta. I capelli scuri e la fronte grondante di sudore. Il braccio steso sotto la testa, l’altro accanto al viso. Le ginocchia piegate, quasi in posizione fetale. Lucifer spostò poco gentilmente la detective dall’uscio e si inoltrò nel bagno. Prese sua figlia tra le braccia e si voltò a guardare Chloe. Assieme al terrore, nei suoi occhi c’erano delle lacrime. Per la prima volta, il diavolo in persona, si lasciò andare ad un pianto disperato mentre stringeva tra le braccia Abigail. Quella figlia che non credeva di poter mai avere, quella figlia che non sapeva di volere e a cui si era inevitabilmente affezionato.
Un braccio piegato sul ventre, l’altro penzolante, le gambe e la testa sorrette dalle possenti braccia di Lucifer. Chloe si sentì mancare il respiro, la terra le era appena franata sotto i piedi. Si sentì morire. L’uomo la superò e adagiò la figlia sul divano. Si tolse la giacca e poggiò gentilmente sul corpo tremolante e freddo della ragazza.
“Sapevo che saresti arrivato” disse con voce flebile Abigail aprendo leggermente gli occhi.
“Sono qui, non ti lascio” la tranquillizzò Lucifer accarezzandole il viso e abbozzando un sorriso.
Lei chiuse di nuovo gli occhi. La detective la raggiunse immediatamente e le prese la mano. Se la portò sul viso e poi le lasciò un bacio sulla fronte. Le lacrime non ne volevano sapere di fermarsi. Continuavano a scendere prepotenti lungo le sue guance non permettendole di mettere a fuoco la figura di sua figlia. L’aveva già persa una volta, non aveva intenzione di perderla ancora. Prese il telefono e chiamò il 911 in cerca di aiuto.
“Va tutto bene tesoro, la mamma è qui” continuava a ripetere, come se non fosse più capace di dire altro. Era sotto shock.
Lucifer nel frattempo si era allontanato per chiudere aiuto. Con le mani giunte chiamò Amenadiel, sperando che potesse rallentare il tempo e permettergli di portare Abbi in ospedale. L’angelo non tardò ad arrivare e quando lo vide rimase senza parole. Aveva fatto a botte con qualcuno e sicuramente non si trattava di un mortale perché nessun umano avrebbe potuto ferirlo in quel modo.
“Che diavolo ti è successo alla faccia?”
“Non è per questo che sei qui. Abigail sta male. Questa è colpa sua! È Uriel, Amenadiel! Devi aiutarmi, lo so che non ci credi ma questa ragazza è davvero mia figlia”
“Lo so, Luci. So che è tua figlia. Ho parlato con Uriel”
“Gli hai parlato?”
“Sì e doveva essere tornato a casa, ma a quanto pare è diventato più sfrontato. Vorrà dire che dovrò passare alle maniere forti”
“Amenadiel in questo momento non mi interessa! Abigail sta male e tu devi aiutarla. Devi portarla in ospedale, ho paura che quando arriverà l’ambulanza sarà troppo tardi. E io non voglio perderla, non posso perderla”
“È così grave? Voglio vederla”
Lucifer portò suo fratello davanti a sua figlia. Chloe era inginocchiata davanti a lei e continuava ad accarezzarla dolcemente mentre piangeva e le diceva che sarebbe andato tutto bene.
“Amenadiel” disse lei tirando su col naso e asciugandosi le lacrime inutilmente.
“Ciao Chloe, sono qui per aiutare Abigail. La porto in ospedale” disse avvicinandosi a lei e porgendole la mano perché si alzasse e si allontanasse dalla ragazza.
“Ho chiamato l’ambulanza” continuò la detective.
“Amenadiel è più veloce” si intromise Lucifer.
“Sei stata molto brava, Chloe. Adesso lascia che l’aiuti io” continuò l’angelo.
“Va bene” disse Chloe e si allontanò da sua figlia.
“Sbrigati, fratello”
“Conta su di me” rispose l’altro sparendo nel corridoio.
Lucifer e Chloe rimasero da soli. Lui istintivamente l’abbracciò mentre lei ancora singhiozzava. La tenne stretta a sé per qualche istante. Dopodiché l’allontanò con gentilezza.
“Dobbiamo andare da lei” le disse.
La detective era confusa, completamente disorientata. Stava succedendo di nuovo? L’avrebbe persa ancora? Non poteva succedere. L’aveva appena ritrovata. Non le aveva ancora dimostrato quanto l’amasse. Aveva bisogno di più tempo con lei.
Arrivarono in ospedale e si affrettarono a raggiungere Amenadiel. C’era una cosa che Lucifer invidiava terribilmente a suo fratello ed era la calma, la freddezza e la compostezza che riusciva a mantenere in qualunque situazione. Non si trattava di menefreghismo o altro, no tutto il contrario, sembrava sempre che Amenadiel sapesse esattamente cosa stesse facendo e questo tranquillizzava chiunque avesse intorno.
“Dov’è?” domandò Chloe reggendosi a Lucifer incapace di restare in piedi da sola.
“È con i medici, presto sapremo qualcosa. È in buone mani” rispose l’angelo.
Poi guardò suo fratello e Lucifer capì che aveva bisogno di parlarli in privato. Il diavolo fece accomodare la donna nella sala d’attesa e, rimanendo sempre nella stanza, si appartò in un angolo con Amenadiel.
“Devi dirmi chi ti ha fatto questo” disse l’angelo indicando il volto del fratello.
“Non è importante, adesso!”
“Sì che lo è Luci. Stiamo dando per scontato che sia Uriel la causa di quanto stia succedendo ad Abigail, ma potrebbe non essere così. Dobbiamo seguire tutte le piste per capire cosa le sia successo e tu, tu devi dirmi chi ti ha ridotto così”
“Sì, ok. È stato lui. Volevo che andasse via, ma non ne voleva sapere e diceva che il tempo a mia disposizione stesse finendo. Non ci ho visto più e ce le siamo date di santa ragione. Lui aveva un coltello, l’ha portato con sé dalla Città d’Argento, non ne avevo mai visto uno così. Sembrava l’arma più inutile del mondo e credevo che non mi avrebbe fatto nulla, perché sembrava un’arma terrestre, ma non lo era. Mi ha ferito la spalla. Sta guarendo, ma può essere pericolosa, fratello”
“Stupido! Quell’angelo è così stupido che mi fa innervosire. Sembra proprio che debba tornare a fargli visita.”
“Voglio venire con te”
“No, Lucifer. Tu resta qui e stai accanto a Chloe e a vostra figlia. Me ne occupo io” detto questo Amenadiel gli diede una pacca d’incoraggiamento sulla spalla e prese il volo.
 
Lucifer tornò da Chloe che continuava a fissare un punto indefinito della sala d’attesa. Si sedette accanto a lei e, senza mai staccare lo sguardo da quel punto indefinito, la donna appoggiò la testa sulla sua spalla. Gli circondò la vita con il braccio. Lui fece lo stesso con le sue spalle e la tirò un po’ più vicina a sé. La guardò senza dire nulla. In fondo non c’era nulla che potesse dirle. Il silenzio gli sembrava l’idea migliore. Nel frattempo, continuava a tormentarsi e a torturarsi con i ricordi creati con quella ragazzina che, in pochissimo tempo, era diventata il centro dei suoi pensieri e la sua preoccupazione più grande.
 
“Abigail, c’è una cosa di cui vorrei parlarti”, affermò Lucifer imbarazzato “A dire il vero vorrei chiederti qualcosa”
La ragazza lo guardò incuriosita.
“Certo, Lucifer, chiedi pure”, gli sorrise lei.
“Vedi, ehm, può sembrarti stupido. Però, volevo chiederti questa cosa. Insomma, ci tengo a chiedertela. Anche se è una stupida usanza. Ma qui significa qualcosa e io”, cominciò a dire sempre più nervoso.
Lei gli si avvicinò e gli prese le mani, lo guardò e quando lui incontrò i suoi occhi, immediatamente si tranquillizzò. Si sedettero sul divano.
“Che stai cercando di chiedermi, Lucifer?”, domandò lei.
“Voi umani avete questa usanza del cognome sulla terra. Da secoli serve ad indentificare la provenienza di una persona, l’appartenenza – più appropriatamente – ad una famiglia. E sì, è una cosa un po’ obsoleta e può sembrare stupido, ma ci terrei che tu prendessi il mio. Insomma, se vuoi, se potrebbe farti piacere in qualche modo. So che a me ne farebbe”
Abigail gli sorrise dolcemente e annuì.
“Abigail Morningstar suona proprio bene” disse lei.
I suoi occhi erano lucidi e il sorriso che gli rivolse era il più bello che Lucifer avesse mai visto. Gli si avvicinò e lo abbracciò. Lui non era ancora abituato a quel tipo di dimostrazioni d’affetto, ma dovette ammettere che non gli dispiaceva per niente. Anzi, cominciava a sentirsi finalmente parte di qualcosa, importante per qualcuno, finalmente sentiva che la sua esistenza avesse acquisito un senso.
 
E si sentì tremendamente in colpa. Abigail era in quell’ospedale per colpa sua. Aveva sfidato Uriel e quel maledetto aveva messo in moto una macchina letale e impossibile da fermare. Nessuno, a parte lui, poteva giocare con gli eventi. Se avesse deciso che Abbi sarebbe dovuta morire, lei sarebbe morta.
Nel frattempo, Chloe guardava il muro giallino pallido che aveva di fronte. Continuava a rivedere nella sua mente la stessa scena. Sua figlia sul pavimento del bagno, il suo volto così pallido, la sua fronte bagnata. L’espressione sofferente. Le labbra violacee. Poi, improvvisamente, si ritrovò a pensare a lei prima di quel momento, a quegli istanti di quotidianità che spesso passavano inosservati, ma a cui era profondamente legata.
 
“Mamma posso dormire con te stanotte?” domandò Trixie salendo sul suo letto.
“E va bene Trix, ma solo per stanotte” rispose lei sorridendo alla bambina e facendole il solletico.
“Ti voglio bene, mamma” le disse.
“Anche io, scimmietta” poi guardò oltre la porta “Scimmietta, dov’è Abbi?”
“È in bagno, si sta preparando per andare a letto” rispose la bambina.
“Abbi!!!” urlò Chloe dalla sua stanza “Abbi, fa’ presto, vieni subito qui. È urgente!” continuò lei.
La ragazza arrivò in un baleno. Tra le mani reggeva ancora l’asciugamano con cui si stava asciugando il viso.
“Che è successo?” chiese spaventata.
“Abbi, dormi con noi stanotte?” domandò la donna sorridendole.
“Mi hai fatto spaventare!” rispose la ragazza “No, davvero, preferisco dormire nel mio letto, non penso dormiremmo bene tutte e tre lì sopra” disse.
“Dai, Abbi, vieni! Il letto di mamma è grandissimo” protestò Trixie.
“Non lo so, Trix. Sono un po’ troppo grande per dormire con la mamma” cominciò a dire lei.
“Abigail!” esclamò teatralmente Chloe facendo la voce da anziana “Accontenta la tua vecchia madre, rimani con noi stanotte oppure... le spezzerai il cuore” disse stringendosi il petto e facendo finta di morire.
Trixie scoppiò a ridere e lo stesso fece Abigail.
“E va bene, ok. Dormirò con voi stanotte”
Improvvisamente Chloe riaprì gli occhi e la guardò.
“Vieni, che aspetti?” disse aprendo le braccia.
Trixie appoggiò immediatamente la testa su uno e Abigail le raggiunse facendo lo stesso con l’altro. La detective le abbracciò strette entrambe.
“Ah, si! Ora sì che mi sento bene” rispose dando un bacio sulla fronte prima a una e poi all’altra.
 
“Siete i parenti di Abigail Morningstar?” domandò un medico riportando entrambi alla realtà.
Immediatamente si alzarono e si avvicinarono a lui.
“Sì, siamo noi, siamo i suoi genitori” disse Chloe.
“Signori Morningstar vostra figlia ha la febbre incredibilmente alta, è quella che noi chiamiamo febbre emorragica. La febbre emorragica virale fa parte di un gruppo di malattie di origine virale a carattere sistemico, caratterizzate da esordio improvviso, acuto e spesso accompagnate da manifestazioni emorragiche” disse l’uomo.
“Che significa, mi scusi?” domandò la detective.
“Si tratta di malattie altamente contagiose e la prognosi è variabile, dalla forma più lieve, quella autolimitante, a quella letale”
“Non capisco cosa sta dicendo. Parli in modo chiaro, le sembro forse un medico?” domandò Chloe nervosa.
“Stiamo ancora cercando di identificare di che gruppo sia, ma vostra figlia sembra avere una malattia infettiva che potrebbe essere mortale. Per capire meglio a quale gruppo appartenga e dunque di che tipo sia, ho bisogno di sapere se negli ultimi due o tre mesi sia stata in Africa, Asia o Sud-America o se è stata in contatto con qualcuno che c’è stato di recente”
“Mi sta dicendo che Abigail potrebbe morire?” domandò ancora incredula Chloe.
“Signora Morningstar, sono profondamente dispiaciuto, ma se non ci fornisce le informazioni richieste, non posso darle una risposta certa”
“No, non è stata in nessuno dei paesi da lei citati. Non ha mai lasciato gli Stati Uniti da che è nata. Nessuno a noi o a lei vicino è stato lì. Voi dovete aiutarla” continuò disperata lei.
Lucifer se ne stava lì, ascoltava quella conversazione senza riuscire a proferire parola. Sentiva di essere come in una bolla, circondato da quei rumori che si facevano sempre più forti e confusi, senza riuscire a comprendere niente. Sapeva solo che qualunque cosa avesse sua figlia, fosse potenzialmente letale. Doveva essere per forza opera di Uriel. Riusciva solo a pensare a tutti i modi in cui avrebbe potuto ucciderlo per quanto avesse fatto a sua figlia. Sentiva la rabbia crescergli dentro. E prima che potesse accorgersene, sferrò un pugno contro il muro della sala d’attesa, lasciando un buco profondo al suo interno. Chloe si girò immediatamente e lo guardò spaventata. Gli occhi di Lucifer erano pieni di lacrime. Il medico spaventato, gli prese la mano e notò che era ricoperta di sangue. Continuavano a parlargli, ma lui non riusciva ad ascoltarli. Voleva solo far soffrire suo fratello, esattamente come stava facendo soffrire lui.
 
Nel frattempo, Amenadiel andò a casa di Uriel. Senza aspettare che questi gli aprisse la porta, la sfondò con un calcio e si addentrò nel corridoio.
“Uriel!” urlò.
Il fratello si manifestò immediatamente guardandolo confuso. Aveva il viso gonfio e ancora violaceo per via dell’incontro con Lucifer. Senza aspettare un istante, Amenadiel gli mollò un rovescio che lo fece capitolare dall’altra parte della stanza.
“Ti avevo ordinato di lasciare perdere questa storia di Lucifer e di tornartene a casa. Cosa ci fai ancora qui?” domandò.
“Fratello, lo so. Ma non posso lasciare che papà mi mandi all’inferno. Non posso tornare a casa”
“E hai deciso, quindi, di affrettare il tuo piano?” domandò furioso l’angelo preferito di dio, avvicinandosi a lui minacciosamente.
Quello, ancora per terra, strisciò come un verme fino al muro.
“Di che stai parlando, fratello, non capisco?” domandò.
“Non fare il finto tonto con me. Tu conosci gli eventi, tu sai tutto quello che accadrà. Tu giochi con gli umani. Non dirmi che Abigail non è opera tua”
“Abigail è colpa di Lucifer e dell’umana, di nessun altro!” si oppose lui.
Amenadiel lo prese dal collo e lo sollevò da terra, fermandolo contro il muro.
“Abigail sta morendo ed è solo colpa tua, nostro fratello non c’entra nulla”
“Sta morendo? Cosa?” chiese genuinamente sconcertato l’altro.
“Non fare finta di non saperlo! È colpa tua!”
“No, fratello, te lo giuro su nostro padre. Non c’entro nulla. Non so di cosa tu stia parlando”
“Abigail, nostra nipote è in ospedale. È in fin di vita, Uriel!” esclamò lui allontanando il fratello dal muro e sbattendocelo contro.
“Amenadiel non sono stato io” disse e poi divenne serio per un attimo. Il suo sguardo si fece sempre più spaventato. I suoi occhi erano spalancati. E Amenadiel poté giurare di non averlo mai visto in quelle condizioni.
“Che hai? Che succede?” domandò.
“È troppo tardi! È troppo tardi. Non doveva succedere. Non adesso!”
“Di che diavolo stai parlando! Uriel, che hai fatto?”
“Non capisci Amenadiel. Sta succedendo, dobbiamo portarla via di lì o ci sarà una strage di massa”
Amenadiel lo guardò confuso. Mollò la presa sul suo collo e quello cadde al suolo. Si alzò e si sistemò la veste.
“Ti spiegherò tutto una volta lì, dobbiamo andare in ospedale”
“Sei fuori di testa se pensi che ti lascerò andare lì”
“Vuoi salvare la ragazza, sì o no?”
“Certo che voglio salvarla, Uriel”
“Allora dobbiamo andare. Non c’è tempo da perdere”


Nel prossimo capitolo:
Amenadiel e Uriel entrarono nella camera d’ospedale di Abigail. Si credeva che fosse affetta da una patologia estremamente contagiosa, motivo per il quale, Lucifer e Chloe indossavano delle tute particolari. Era al reparto infettivo, ma i due angeli, consapevoli della loro immortalità e immunità, entrarono in quel luogo, sprovvisti di ogni accortezza. Chloe era accanto a sua figlia, le teneva la mano e con l’altra le accarezzava la testa. Il volto, seppur parzialmente nascosto dal casco che la proteggeva, era segnato e gonfio per le continue lacrime. Lucifer dava loro le spalle. Aveva una mano sul muro e con il viso chino, guardava per terra. Quando sentirono la porta chiudersi, entrambi si girarono speranzosi. Ma, non appena il diavolo vide suo fratello Uriel, scattò, in un impeto di rabbia, verso di lui. Lo afferrò dal collo e lo attaccò al muro.

   
 
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