Serie TV > Altro - Fiction italiane
Segui la storia  |       
Autore: Soul of Paper    17/11/2019    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nessun Alibi

 

Capitolo 2 - Udienza Preliminare

 

Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

 

“E dai, Valentina! Stiamo aspettando tutti te!”

 

“Un attimo, Bea!” esclamò Valentina, fissando con sguardo e sorriso ebeti il cellulare.

 

“L’attimo è passato cinque minuti fa! Ti vuoi staccare da quel telefono? Ho capito che ora sei fidanzata, ma mi sembri rincoglionita. E se mi fai perdere Mattia che gioca a beach volley non-”

 

“Arrivo, arrivo! Che palle!” sbuffò la figlia, buttando il cellulare nella sacca da spiaggia e raggiungendo Bea e il resto del gruppetto che stazionava a poca distanza dall’ombrellone.

 

“Ma hai sentito che linguaggio usano? E tu non dici niente?” la rimproverò sua suocera, prevedibile ed implacabile come il mal di testa dopo una sbronza. Dovette mordersi la lingua per non risponderle di dirlo a suo figlio, che stava disteso sul lettino proprio accanto al suo, immerso nell’ennesimo fumetto di Tex Willer, invece di rompere l’anima a lei.

 

“Bisogna sapersi scegliere le proprie battaglie, signora,” proclamò ironicamente invece, non riferendosi affatto solo alla figlia, mettendosi a sedere e cominciando a rovistare nella borsa per il necessario per farsi un bagno il più lontano possibile da tutto e tutti.

 

“E da quando è che sei così accomodante, eh?”

 

“Ma come? Non siete felice che ho deciso di seguire l’esempio vostro e di vostro figlio?” le domandò sarcastica e con un sorriso volutamente fintissimo - accomodante sì, ma a tutto c’era un limite - prima di afferrare il materassino e troncare ogni risposta sul nascere, allontanandosi rapidamente verso la battigia.

 

Si buttò in acqua incurante dello shock termico che, per un attimo, la colpì con una miriade di spilli, fece qualche bracciata e si distese sul materassino, chiedendosi, non per la prima volta negli ultimi giorni, se ci avrebbe potuto passare pure la notte in mare, senza rischiare l’ipotermia.

 

Metaponto e la casa dei suoi suoceri non le erano mai stati stretti come quest’anno.

 

Tra sua suocera che si ostinava a trattare Pietro come se fosse ancora malato, sottolineando quanto la sua cucina fosse leggera e genuina - non come le schifezze che gli preparava la nuora - mentre di fatto lo rimpinzava come un cinghiale. Tra Pietro che, come al solito, non prendeva una posizione nemmeno a pagarlo oro e avrebbe potuto guadagnarsi un posto di diritto nel girone degli ignavi, anzi diventarne proprio il nuovo portavoce, se un moderno Dante avesse deciso di farci un altro giretto.

 

Tu invece con Paolo e Francesca ci andresti proprio a nozze, no, Imma? - le ricordò la voce della sua coscienza che, chissà perché, stavolta prese in prestito il timbro di Diana.

 

E la sua coscienza la riportò all’ultimo ma niente affatto ultimo dei suoi problemi e dei suoi pensieri.

 

Calogiuri.

 

La verità era che se era così accomodante con Valentina, nonostante gli struggimenti di cuore la rendessero una vera piaga, era perché, in fondo in fondo, la capiva eccome, purtroppo.

 

Ma, se sua figlia Samuel se lo poteva sentire quando e come le pareva - pure troppo, visto che aveva il cellulare ormai termosaldato alla mano destra - lei invece doveva resistere a questo senso invadente di mancanza e nostalgia senza né una chiamata, né un messaggio.

 

Era una regola che aveva imposto lei stessa, quando si erano salutati prima della sua partenza, in una pausa pranzo allungata di una mezz’ora - poi recuperata ovviamente con gli interessi in serata, si intende - con una piccola deviazione per mangiarsi un panino in tranquillità in uno spiazzo deserto di una stradina a picco sul mare che non avrebbe saputo dire come Calogiuri avesse scovato, ma forse in fondo non lo voleva nemmeno sapere.

 

Tra un morso al panino, un bacio e un sorso d’acqua, gli aveva detto chiaramente che era meglio evitare qualsiasi messaggio non di lavoro - rimanevano negli archivi delle compagnie telefoniche per anni e anni, quelli sui social non ne parliamo - e pure le telefonate che, se ripetute in un periodo di vacanza, avrebbero potuto dare nell’occhio - e non solo ad eventuali agenti incaricati di intercettazioni ambientali, ma anche banalmente a Pietro, che scemo sicuramente non era.

 

Se qualcuno avesse scoperto di loro, non c’era in gioco solo il suo matrimonio, ma anche le carriere di entrambi. Calogiuri poteva perfino rischiare l’espulsione dall’arma, se avesse trovato a giudicarlo qualche superiore un po’ troppo tradizionalista e zelante.

 

Calogiuri era stato, come sempre, estremamente comprensivo, trafiggendola con uno dei suoi “va bene” che parevano contenere un mondo in tre sillabe.

 

Ora un po’ malediceva la sua prudenza che rasentava forse la paranoia, perché si ritrovava a pensarlo costantemente, a desiderare non solo il contatto fisico, ma anche semplicemente di sapere cosa stesse facendo, sentire la sua voce, di scherzare con lui, vederlo arrossire, sorriderle e guardarla come se fosse la madonna e non una over quarantenne che, quando faceva girare qualche testa, di solito era a causa dei look da tutti definiti come stravaganti, per non dire altro.

 

Non sapeva se quella che stava vivendo fosse una regressione adolescenziale, una crisi di mezza età. Perché il problema era che queste sensazioni strane che non la lasciavano in pace le erano proprio del tutto sconosciute, non avendole mai provate prima.

 

Con Pietro era stato tutto così semplice, nell’accezione migliore del termine. L’aveva cercata tramite uno degli annunci che metteva sulle bacheche dell’università, per guadagnare qualche soldo extra da chi aveva bisogno di ripetizioni. Dopo un po’ di lezioni lui, praticamente dal niente, le aveva chiesto di uscire, facendole prendere un colpo, perché ormai non ci sperava nemmeno più di poter piacere a qualcuno. Il giorno dopo la laurea avevano avuto il primo appuntamento, tempo qualche uscita e le aveva detto che l’amava, tempo qualche altra e avevano fatto l’amore per la prima volta - e lui era stato dolcissimo nel metterla a suo agio ed insegnarle tutto ciò che c’era da sapere. Poi, da brava secchiona quale era, si era fatta le sue ricerche ed un paio di cosette pure lei gliele aveva insegnate nel corso degli anni. Dopo un anno che si frequentavano le aveva chiesto di sposarla, per la disperazione di sua suocera. L’anno successivo erano diventati marito e moglie e da lì a pochi mesi era arrivata Valentina.

 

Non c’era stato né tempo né modo per patemi e struggimenti: era stato tutto naturale, liscio come l’olio, quasi inevitabile. E, da quando si conoscevano, non si erano mai separati per più di qualche giorno, salvo il periodo in cui lei aveva dovuto trasferirsi a Messina dopo aver vinto il concorso da sostituto procuratore e si vedevano solo nei weekend.

 

Ma anche allora, sarà che era stata letteralmente sommersa di lavoro e dall’entusiasmo per quel ruolo tanto ambito, non ricordava di aver provato nulla del genere. Era felicissima di rivederlo ogni fine settimana, per carità, ma resisteva comunque senza troppi problemi anche senza di lui.

 

Mentre ora, dopo solo qualche giorno di ferie, questo qualcosa la rosicchiava da dentro come un tarlo e si ritrovò, per l’ennesima volta, a rivivere con la mente il suo saluto a Calogiuri, se così si poteva definire. Si erano baciati come se letteralmente non ci fosse un domani, come se dovessero farne scorta per i giorni in cui sarebbero stati separati. Almeno fino a quando aveva di nuovo dovuto ristabilire le distanze, onde evitare di rischiare di lasciare sull’auto di servizio prove ben più compromettenti di un paio di telefonate fuori orario.

 

Forse perché distratta da quei ricordi, ci mise un po’ a percepire un “amò!!” gridato al vento e a notare Pietro che si sbracciava sulla riva, brandendo il cellulare di lei.

 

“Che succede?!” gli domandò, raggiungendolo il più rapidamente possibile, il materassino sottobraccio e la pelle d’oca su tutto il corpo.

 

“Non lo so, ma continua a squillare da un bel po’. Credo sia dalla procura…”

 

Calogiuri! - fu il primo pensiero, avventandosi ad afferrare il telefono.

 

Vitali?!

 

Il cognome del procuratore capo sul display fu un’ulteriore secchiata d’acqua gelida ed ebbe la netta sensazione che, qualsiasi cosa lo avesse spinto a scomodarsi e scomodarla durante le ferie, non le sarebbe affatto piaciuta.

 

“Pronto!” pronunciò, preparandosi psicologicamente al peggio, per poi scoprire, a mano a mano che la voce di Vitali si spiegava concitatamente dall’altro capo del telefono, che al peggio davvero non c’è mai fine.

 

Le parole Romaniello, motivi di salute, udienza anticipata al 13 di agosto, la bombardarono, lasciandola stordita e furente.

 

“Ma il 13 di agosto è dopodomani!! Lei si rende conto di cosa significa?!” urlò nel telefono, incurante dei bagnanti e dell’udito del procuratore capo.

 

“Ma certo che me ne rendo conto, dottoressa! Certo che me ne rendo conto e, mi creda, comprendo la sua indignazione, ma le regole sono le regole e non ci posso fare niente. C’è una perizia medica che stabilisce che Romaniello necessiti di un intervento chirurgico da effettuarsi a settembre, seguito da una lunga convalescenza. In base a questi elementi, il GUP ha ritenuto opportuno anticipare l’udienza, onde evitare ulteriori rinvii.”

 

“Ma è chiaro che Romaniello e… il suo avvocato devono aver scoperto del ritrovamento di Vaccaro, dottore. E stanno cercando di segarci le gambe dandoci il minor tempo possibile per raccogliere prove in proposito prima di presentarci davanti al giudice.”

 

“Questo mi è ben chiaro, dottoressa, ma il GUP ha ritenuto lei sarebbe stata favorevole ad anticipare l’udienza, piuttosto che rinviarla, vista la sua reazione indignata al rinvio dell’anno scorso,” chiarì Vitali, con un tono che esplicitava, meglio di mille parole, cosa intendesse dirle davvero.

 

Che per il suo caratteraccio, per la sua impazienza, per la sua totale assenza di diplomazia, il GUP aveva deciso di darle una bella lezioncina, come amano fare gli uomini alle donne che osano rompere troppo le scatole e tentare di prendersi un po’ di potere. Rimetterle al loro posto. Quante volte se lo era sentito dire.

 

E ora aveva solo due giorni per raccogliere elementi sufficienti per far cambiare idea ad una persona che, evidentemente, non sarebbe stata esattamente ben disposta ad accogliere le sue tesi, se non fossero state a prova di bomba.

 

Non appena si congedò dal procuratore, le dita in automatico scorsero sul display la lista delle ultime chiamate fino a quella di Calogiuri. Stava per premere il pulsante di invio chiamata, quando, in un ennesimo esempio di telepatia, il cognome del maresciallo iniziò a lampeggiare sul display, segnalando una chiamata in arrivo.

 

“Calogiuri!”

 

“Dottoressa, scusate se vi disturbo…” esordì, in apparenza formalissimo, ma in quello che ormai era una specie di codice, che diceva più o meno non sto trasgredendo alle regole, ti chiamo per motivi di lavoro.

 

Le sembrò ironico che, dopo aver tanto desiderato di ascoltare la voce del maresciallo, si ritrovasse a doversi pentire amaramente di averlo anche solo pensato, viste le circostanze.

 

Come si suol dire… attenta a ciò che desideri, perché potrebbe avverarsi.

 

“Tranquillo, Calogiuri, so già tutto. Mi ha appena informata Vitali,” si limitò a chiarire, allontanandosi, quasi inconsciamente, qualche passo da Pietro che stava ad osservarla preoccupato sulla spiaggia.

 

“E mo che facciamo?” le domandò e riusciva a percepirne la preoccupazione anche attraverso il telefono, “volete che vi vengo a prendere?”

 

“No!” esclamò con fin troppa foga, pentendosene subito e chiarendo, con più calma, “no, Calogiuri, abbiamo troppo poco tempo e mi servi in procura. Vatti a ripescare tutti i tabulati telefonici e spulciateli un’altra volta, fai passare anche le date intorno al periodo della chiusura e della riapertura del cantiere in cui hanno ritrovato Vaccaro. Prenditi chiunque trovi in PG che non sta ancora in ferie, e lavorateci stasera, finché potete. Senti Taccardi e digli che entro sera devi avere ogni singolo elemento utile su quanto emerso dall’autopsia e dalla ricostruzione dei resti di Vaccaro. Ormai è tardi, quindi a questo punto arriverò col primo bus domattina, mi pare arrivi a Matera alle otto. Se puoi venire ti aspetto lì, se no ci vediamo in procura.”

 

“Non avete nemmeno bisogno di chiederlo dottoressa. A domani, allora.”

 

Mille cose le passarono per la testa da un “mi sei mancato” ad un “è bello sentirti, nonostante tutto” ma si limitò a rispondere con un altrettanto neutro “a domani”.

 

“Devi tornare a Matera?” la voce di Pietro la raggiunse non appena ebbe terminato la chiamata, e si voltò a incrociare i suoi occhi che esprimevano tanto disappunto quanta preoccupazione.

 

“Mi hanno anticipato l’udienza Romaniello a dopodomani. Domattina presto devo partire, starò via un paio di giorni e poi torno.”

 

“Oh, ma che peccato! Speriamo almeno che tu ci possa raggiungere per Ferragosto, se no mi toccherà cucinare tutto da sola,” commentò sua suocera che aveva evidentemente origliato tutta la conversazione.

 

“State tranquilla, per Ferragosto sarò di ritorno e vi preparerò tutti i piatti che vostro marito gradisce tanto,” ribatté con un tono altrettanto sarcastico, prima di gettarsi addosso l’asciugamano, preparandosi a rientrare a casa.

 

*********************************************************************************************************

 

“Sei sicura che non vuoi che ti accompagni con la macchina?”

 

“No!” si ritrovò di nuovo ad esclamare prima di riuscire a trattenersi - doveva imparare a modulare il tono di voce, doveva assolutamente imparare a modulare il tono di voce.

 

“No, Pietro, goditi la vacanza con Valentina, è inutile che rientriamo in due,” corresse il tiro, mentre continuava a preparare il borsone con lo stretto necessario per il viaggio, tanto la maggior parte dei vestiti stava nel suo armadio a Matera.

 

“Ma Valentina è grande e può stare qui con mia madre. So quanto è importante questo processo per te, Imma, so da quanto ci lavori e quanto ci tieni. Mi spiace lasciarti sola,” proclamò, mettendole le mani sulle spalle, con un tono ed uno sguardo che le fecero venire gli occhi lucidi e la fecero sentire tremendamente in colpa.

 

Perché lei sola non lo sarebbe stata in ogni caso. E perché, nonostante tutto il senso di colpa, la sola idea di Pietro a Matera invece di calmarla le provocava ancora più ansia. Ansia che, nei prossimi due giorni, non si poteva proprio permettere.

 

“Pietro, dovrò lavorare tutto il tempo. Domani finirò sicuramente tardissimo, visto che ho un solo giorno a disposizione per trovare la quadratura del cerchio. E quando tornerò a casa sarà solo per dormire quelle poche ore. Stai tranquillo, va bene? Tornerò prima che tu ti accorga che me ne sono andata.”

 

“Questo è impossibile: me ne accorgo sempre quando ti allontani, Imma, anche se per poco,” le sussurrò, guardandola negli occhi e Imma si chiese, il groppo in gola e le lacrime che non riusciva più a trattenere, se ci fosse un avvertimento ben preciso in quelle parole.

 

Ma l’abbraccio di Pietro soffocò sul nascere ogni domanda o protesta e ci si lasciò sprofondare, accantonando per un attimo i sensi di colpa e le paranoie, per i quali ci sarebbe stato ancora tanto, tantissimo tempo.

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottoressa!”

 

“Calogiuri!” gli sorrise, saltando giù dall’ultimo gradino del bus e reprimendo l’istinto di abbracciarlo: Matera pur essendo una città è piccola, la gente si conosce e mormora, eccome se mormora.

 

Il maresciallo ricambiò il sorriso e Imma si chiese se fosse ammattita del tutto, perché lo trovava, se possibile, ancora più bello.

 

“Lasciate che vi aiuti con il borsone,” si offrì, premuroso come sempre, caricando tutto sull’auto di servizio, aprendole la portiera ed avviando la macchina con la solita impeccabile efficienza.

 

Stettero in silenzio per un attimo ma, al primo semaforo, Calogiuri si voltò e le chiese semplicemente, dritto negli occhi, “come stai?”

 

“Hai una domanda di riserva, Calogiuri?” sospirò con un sorriso affettuoso, facendolo sorridere a sua volta, per poi aggiungere, toccandogli leggermente l’avambraccio, “senti, ora non è importante come sto io. L’importante è che domani Romaniello non la faccia di nuovo franca, quindi dimmi tutto quello che hai scoperto finora e che cosa ti manca da verificare, così organizziamo il lavoro di oggi.”

 

“Agli ordini, dottoressa,” le rispose con un altro sorriso ed uno sguardo di intesa, appoggiando lievemente una mano su quella di lei, prima di rimetterla sul volante ed iniziare a fare rapporto.

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottoressa, ascoltatemi. Per me rimaniamo qui fino a quando lo volete voi, ma non penso che troveremo ancora qualcosa. Perlomeno  non stasera.”

 

La voce stanca di Calogiuri la ridestò dalle carte in cui era immersa letteralmente fino ai capelli e incrociò due occhi arrossati, lucidi e gonfi.

 

Guardò l’orologio e si accorse con sorpresa che erano quasi le ventitrè.

 

“Forse hai ragione, Calogiuri, ma io sento che ci manca qualcosa, lo sento. Se Romaniello ha anticipato l’udienza è perché c’è qualcosa che lo inchioda che avremmo potuto scoprire col ritrovamento di Vaccaro ma che, secondo me, non abbiamo ancora individuato.”

 

“Può essere, ma è da stamattina che rivoltiamo queste carte come calzini. Se qualcosa d’altro di utile ci fosse stato qui dentro, quasi sicuramente l’avremmo già trovato. Se proseguiamo rischiate solo di arrivare esausta all’udienza di domani.”

 

Con un sospiro si massaggiò le tempie e dovette ammettere che Calogiuri aveva ragione. Quello che stava facendo era l’equivalente di passare la notte in bianco prima di un esame a ripassare: una cosa che non aveva mai portato a niente di buono.

 

“Va bene, va bene, hai vinto,” concesse, alzandosi a fatica dalla sedia, i muscoli intorpiditi e le giunture che scricchiolavano dopo tante ore ferma, “mi riporteresti a casa?”

 

“E che vi lascio in mezzo alla strada a quest’ora?” ironizzò lui con un sorriso.

 

“Fai meno lo spiritoso, Calogiuri,” gli intimò, non riuscendo però a trattenersi dal sorridergli di rimando, “e comunque, perché mi dai del voi?”

 

“Perché siamo in procura,” rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

 

“Sì, noi e il fantasma della procura di Matera che sicuramente ci può ascoltare.”

 

“È che almeno non perdo l’abitudine quando si parla di lavoro. Non vorrei rischiare di confondermi al momento sbagliato.”

 

Imma dovette, per l’ennesima volta in quella giornata, trattenere l’impulso di abbracciarlo. Non sapeva cosa avesse fatto per meritarsi qualcuno come Calogiuri ma, in una vita precedente, doveva essere stata evidentemente una persona molto più buona, conciliante e a modo di quanto fosse ora.

 

Non che non avrebbe potuto abbracciarlo, ma ogni contatto fisico con lui era molto pericoloso e non erano questi né il momento né il luogo adatti. Il tempo stringeva e non poteva permettersi distrazioni di alcun tipo.

 

In perfetto silenzio si avviarono all’auto e, con il sincronismo che li aveva sempre contraddistinti, entrarono nell’abitacolo e si avviarono verso casa di lei.

 

Si sentiva in una specie di mezzo dormiveglia, cullata dal motore e, prima che se ne rendesse conto, Calogiuri arrestò l’auto di fronte all’ingresso del suo condominio.

 

Aprirono, di nuovo all’unisono, le porte per scendere, quando Calogiuri, di scatto, le bloccò il braccio e le intimò di rimanere sulla vettura e di chiudersi dentro, l’altra mano che scendeva fino alla fondina dove teneva la pistola di servizio.

 

Senza capirci più niente, Imma lo vide scendere e perlustrare la zona di fronte all’auto e l’ingresso dell’appartamento per minuti che le sembrarono eterni, per poi tornare alla vettura.

 

“Ma che succede?!” gli chiese preoccupata e lui, cautamente, le aprì la portiera e le fece segno di scendere, tenendola però bloccata tra il suo corpo e il lato del passeggero della macchina.

 

Imma guardò per terra e capì.

 

Scritte, scritte color rosso sangue che le davano della troia, della zoccola e le auguravano la morte ed altre cose irripetibili.

 

“Non è la prima volta che succede, Calogiuri, tranquillo,” lo rassicurò, cercando di superarlo, ma lui non ne voleva sapere di spostarsi.

 

“C’è anche un… qualcosa vicino alla porta di casa, un animale morto in un sacchetto. Non ho controllato bene, ma presumo sia un gatto.” 

 

“Va bene, questa invece è… una novità ma sono le solite intimidazioni. Non ti preoccupare, non è niente.”

 

“Non è vero che non è niente. Domani c’è l’udienza più importante che ci sia stata qui a Matera almeno da dieci anni a questa parte e succede questo. Non è una cosa da prendere sottogamba, dottoressa. Per favore, risalite in auto, non posso lasciarvi qui da sola, non è prudente.”

 

“Non essere assurdo, Calogiuri, ti ho detto che non c’è niente da preoccuparsi e-”

 

“Ne vogliamo discutere qui in mezzo alla piazza o risalite in macchina che ne parliamo con più calma?” la interruppe, secco e deciso, fulminandola con lo sguardo.

 

Ci fosse stato chiunque altro al posto di Calogiuri, lo avrebbe spintonato, minacciato di fargli rapporto e mandato a quel paese, e lei ora starebbe già in casa a pensare a qualche altra forma creativa di punizione per l’insolenza e per averle fatto perdere tempo.

 

Ma Imma Calogiuri lo conosceva fin troppo bene e sapeva benissimo che, sì, sarà stato pure timido, dolce, gentile ed accomodante, ma quelle poche volte nelle quali si impuntava su una cosa era un mulo, quasi peggio di lei. E non era il caso di fare piazzate di fronte a casa, soprattutto non con lui.

 

“Io ci risalgo pure in macchina. Ma se ti azzardi anche solo ad avviare il motore vai a fare compagnia al gatto di fronte alla porta di casa. Intesi?”

 

Calogiuri si limitò ad annuire e sospirare, spostandosi finalmente da di fronte a lei e tornando al posto di guida.

 

Imma attese giusto il tempo che le porte fossero sigillate prima di scoppiare.

 

“Ma sei impazzito?!” gridò, non potendosi trattenere dall’alzare la voce, “ti pare il caso di reagire così per una stronzata sim-”

 

“Non è una stronzata!” urlò lui di rimando, aggiungendo all’occhiata furente ed indignata di lei, “non mi sembra che siamo più in servizio, giusto?”

 

“No, non siamo in servizio, quindi se vuoi svegliare tutti i vicini, prego, continua pure ad alzare la voce finché ti pare.”

 

“Perché invece se i vicini li svegli tu per prima urlando, allora va tutto bene?” le domandò, con tono più basso e calmo, sebbene ancora concitato.

 

E Imma in cuor suo dovette ammettere che non aveva del tutto torto. Odiava quando succedeva.

 

“Senti, Calogiuri, sono stanca e voglio solo andare a dormire. Ti ho già detto che non c’è niente da preoccuparsi e-”

 

“Ma no, certo! Che c’è da preoccuparsi? In fondo l’ultima volta per evitare il processo a Romaniello hanno solo incendiato un deposito di prove con un sistema di allarme e sicurezza, in teoria, quasi impenetrabile. Proprio assurdo preoccuparsi di lasciarti qui da sola a fare compagnia al gatto!” proclamò, sarcastico, sforzandosi evidentemente per non alzare di nuovo i toni.

 

Se qualcun altro si fosse permesso di parlarle così, non sarebbe vissuto per raccontarlo, altro che il gatto. Ma la sincera preoccupazione che gli lesse negli occhi, al di là delle parole taglienti, la calmò improvvisamente.

 

“Ascoltami, lo capisco quello che vuoi dire, va bene? Ma è la prima regola del mestiere: quando si fanno le minacce è perché non si è ancora pronti a passare all’azione. Quando si vuole passare ai fatti, la cosa succede rapidamente, senza proclami, quando uno meno se lo aspetta.”

 

“E tu vuoi davvero mettere a rischio la tua incolumità e un caso su cui stai lavorando da un anno per fare affidamento sulle regole del mestiere? Quelli non aspettano altro, lo vuoi capire?”

 

“E tu lo vuoi capire che se cedo alle intimidazioni è come se avessero già vinto?” sbottò, esasperata, maledicendo la voce che le si spezzava a tradimento.

 

“Ma non ti sto dicendo che devi prenderti una scorta e vivere nel terrore. Sto solo dicendo che per questa notte, visto che domani c’è un’udienza decisiva, è meglio che non resti qui da sola.”

 

“E dove dovrei andare secondo te, eh? A quest’ora dubito di trovare un alloggio, in piena estate poi. E tornare a Metaponto è impensabile, oltre che imprudente per la mia famiglia se ci fosse un pericolo come dici, cosa che non credo.”

 

“Potresti venire a casa mia. Facciamo un giro largo con la macchina prima di arrivarci. L’ho appena presa in affitto, nessuno sa ancora dove si trovi se non il proprietario e chi mi ha consegnato i mobili e, a meno che non ci stiano osservando ora, dubito in ogni caso potrebbero mai pensare che tu ti trovi lì...”

 

“A casa tua?” questa volta fu lei a non riuscire a trattenere il sarcasmo, “Calogiuri, ma ti sembra il momento di-”

 

“Io dormirei sul divano, ovviamente. Non sono un quindicenne con gli ormoni impazziti, anche se a volte mi tratti come se lo fossi! E so benissimo che stanotte devi riposare e che ora ci sono cose più urgenti di cui preoccuparsi che di… dei nostri fatti personali.”

 

Imma provò ad aprire la bocca per protestare nuovamente, ma lui la precedette, “mi offrirei pure di stare qui a sorvegliare la situazione stanotte, ma non credo sia il caso che qualcuno mi veda entrare a casa tua o rimanere appostato qui davanti.”

 

“Per carità, ci manca solo quello!” concordò Imma: se c’era una promessa che si era fatta e che intendeva mantenere, nonostante tutto, era quella di non far mai varcare a Calogiuri la porta della casa che divideva con Pietro. Sapeva che da un lato era assurdo farsi uno scrupolo del genere e non altri, nemmeno Calogiuri fosse stato un vampiro, ma si sarebbe sentita come se stesse violando qualcosa di intoccabile, come se stesse infliggendo a Pietro l’umiliazione e il tradimento definitivi. A parte le possibili prove compromettenti che avrebbe potuto lasciare in giro.

 

“Senti, se non ti fidi di me e di rimanere a casa mia, allora ti posso portare in caserma. Di sicuro hanno stanze libere, la mia ad esempio, per non parlare di quelle di chi è fuori in vacanza. Almeno lì saresti al sicuro,” propose di nuovo, più conciliante, ma con un qualcosa nello sguardo e nel tono di voce che le fece male al cuore. Una specie di rassegnazione mista a delusione.

 

“Per favore, non ricominciamo con questa storia della fiducia, Calogiuri. Ti ho già detto che mi fido di te,” lo rassicurò, toccandogli l’avambraccio, ed era vero. Era di se stessa che non si fidava affatto, ma non erano questi il momento e il luogo per ammetterlo, “se non mi fidassi di te al cento per cento, non avrei mai… non avrei mai permesso che succedesse quello che è successo tra noi.”

 

“Ma e allora qual è il problema?” le sussurrò, stringendole la mano con una disperazione che si rifletté nello sguardo e nel tono di voce, “lo vuoi capire che se ti lascio qui e ti succede qualcosa stanotte non me lo perdonerò mai? Mai.”

 

Sentì gli occhi pizzicarle come se ci avessero spremuto dentro un limone, mentre il silenzio calò pesante come una coltre, carico di non detti. L’ipotesi della morte non era mai così remota per chi faceva il loro mestiere, specialmente quello di Calogiuri. Ci si conviveva, ci si faceva il callo, la si esorcizzava in ogni modo, ma era un qualcosa da mettere in conto sempre. Esprimere apertamente di averne paura era però quasi un tabù, ma Calogiuri, quando si trattava di rompere i tabù, era sempre stato fin troppo coraggioso.

 

“D’accordo,” si sentì pronunciare, senza quasi rendersene conto, “va bene, andiamo. Ma solo perché non ti voglio fare passare una notte insonne, che domani mi servi in forze.”

 

Era una bugia e lo sapevano benissimo entrambi: l’indomani il massimo che Calogiuri avrebbe dovuto fare era accompagnarla in tribunale e presenziare in aula. Ma lui sembrò troppo sollevato per obiettare alcunché, non che l’avrebbe fatto nemmeno in condizioni normali. La conosceva troppo bene per non sapere quando era il caso di restare zitto.

 

“Allora dove ti porto? Vuoi andare in caserma?” le domandò, avviando il motore, guardando dritto davanti a sé.

 

“Come no! Tra poco è mezzanotte, Calogiuri, ci manca solo che ci presentiamo in caserma a quest’ora da soli. Vorrei dormire stanotte e non passarla ad evitare una serie di interrogatori,” ribatté con un sospiro, “dai, portami a casa… a casa tua, prima che cambi idea.”

 

Lui si limitò a deglutire e dedicarle un sorriso stanco ma sollevato, prima di mettersi silenziosamente alla guida.

 

*********************************************************************************************************

 

“Scusami per il disordine e gli scatoloni, ma devo ancora sistemare un po’ di cose e non pensavo che…”

 

“Tranquillo, Calogiuri, il disordine è proprio l’ultimo dei miei pensieri,” lo rassicurò, varcando con una certa trepidazione la soglia dell’appartamento e sentendosi, stavolta, lei nel ruolo del vampiro, anzi, della Succuba. Che di succube non avevano proprio niente, anzi, ma avevano l’aspetto di donne e tanto bastava ad appioppare loro un nome del genere.

 

Era mezzanotte passata. Calogiuri, come promesso, aveva fatto un lungo giro dell’oca nel tentativo di seminare chiunque avesse remotamente potuto seguirli e poi aveva ispezionato le scale per assicurarsi che non ci fossero vicini curiosi ancora in giro, prima di farla salire. In effetti era stato talmente accurato che Imma dubitava seriamente sarebbe stata in grado di ritrovare l’appartamento da sola.

 

“E comunque per essere un uomo sotto i trent’anni sei fin troppo ordinato, Calogiuri,” non poté fare a meno di commentare, guardandosi intorno. Sì, c’era ancora qualche scatolone qua e là, ma il resto era tutto pulito in maniera impeccabile.

 

L’appartamento, un bilocale, era arredato con mobili poco costosi, ma scelti con gusto. La stanza che faceva da salone e da cucina aveva un’aria moderna, semplice, a tratti spartana, ma molto luminosa. Ci si sentì inspiegabilmente ed istintivamente a suo agio, nonostante tutto.

 

“Che c’è?” le domandò Calogiuri, probabilmente avendo notato il suo sguardo curioso, con l’aria di chi si sente sotto esame.

 

“Niente, pensavo che ti si addice,” commentò semplicemente con un sorriso.

 

“Grazie,” ricambiò il sorriso, passandosi una mano tra i capelli, in segno di imbarazzo, per poi distogliere lo sguardo, dirigersi verso una delle due porte ed aprirla, poggiando a terra il borsone che aveva scaricato dal bagagliaio, “questa è la stanza da letto e quello è il bagno. Se vuoi iniziare a… prepararti io nel frattempo cambio le lenzuola.”

 

“Ma figurati! Non ce n’è mica bisogno, per una notte,” lo bloccò, indicando poi verso il salotto, “e comunque ci dormo io sul divano. Io ci sto comodamente, tu non credo proprio.”

 

“Non dirlo nemmeno per scherzo! Stavolta sei tu che non mi devi fare arrabbiare,” le intimò con un sorriso, ritorcendole contro la frase che usava più spesso con lui quando non voleva sentire discussioni, “domani sei tu che non puoi permetterti di essere stanca, non io, e in ogni caso sul divano non ti ci farei mai dormire.”

 

Per l’ennesima volta quella sera, le toccò constatare come, sempre più spesso, i ruoli tra loro sembravano ribaltarsi, sebbene sul lavoro lui si fosse, almeno finora, dimostrato sempre estremamente rispettoso del fatto di essere un suo sottoposto. Per carità, visto il rapporto che si era instaurato tra loro, avrebbe dovuto essere pure prevedibile ed auspicabile, per quanto pericoloso, che fuori servizio i loro equilibri si ribilanciassero un po’. Ma Imma non poteva fare a meno di stupirsi ogni volta al pensiero della metamorfosi che aveva subito in questi ultimi mesi il timido ragazzo di Grottaminarda che, quando si erano conosciuti, nemmeno riusciva a sostenere il suo sguardo e tra un po' le chiedeva il permesso pure per respirare in sua presenza.

 

Ora invece era forse l’unico in grado di tenerle testa. Certo, perché lei glielo permetteva, invece di mandarlo a quel paese per direttissima come avrebbe fatto con chiunque altro. Glielo permetteva per via dell’ascendente che lui aveva, volente o nolente, su di lei. Ma non era solo questo. Calogiuri, di fatto, era l’unico che aveva il coraggio di farlo, senza temerne le conseguenze. 

 

Dalle cose piccole ed insignificanti, come in questo caso, a quelle più serie ed importanti. Era l’unico che aveva il coraggio di dirle sinceramente quando pensava che lei stesse esagerando o sbagliando, anche quando non gli conveniva affatto. Era qualcosa a cui non era per niente abituata, né sul lavoro né, le toccava ammetterlo, nel privato. Pietro ci provava ogni tanto, per carità, ma per sua natura evitava i conflitti il più possibile, salvo in casi estremi. E, sebbene detestasse dover ammettere di aver torto e detestasse ancora di più che qualcuno glielo facesse notare, allo stesso tempo c’era qualcosa di estremamente confortante e rassicurante in tutto questo. La faceva sentire meno sola e soprattutto la sgravava da una parte di quel peso di responsabilità che sentiva portarsi sempre sulle spalle. Quello di dover sempre e comunque fare tutto giusto al primo colpo.

 

Ma non lo avrebbe mai ammesso, ovviamente, nemmeno sotto tortura.

 

Persa nei suoi pensieri, si avvide appena in tempo di Calogiuri che estraeva delle lenzuola pulite dall’armadio.

 

“E dai, Calogiuri, ti ho già detto che non c’è bisogno,” lo bloccò, sedendosi sul letto come a comprovare il punto, “va bene che stasera hai deciso di fare il bastian contrario, ma almeno una cosa puoi concedermela?”

 

Per tutta risposta lui sorrise e ripose il tutto nell’armadio. Poi si avvicinò e si chinò verso di lei ed Imma sentì il cuore a mille fin su nella gola. Tanto da non ricordarsi più perché non sarebbe stata una buona idea baciarlo e chiedersi perché fosse stata così scema da non averlo ancora fatto quel giorno.

 

Socchiuse gli occhi e tese il viso, ma non sentì nulla. Li riaprì e vide che Calogiuri si era semplicemente sporto per prendere il cuscino.

 

“Buonanotte, cerca di riposare,” le raccomandò con un sussurro, prima di chinarsi nuovamente e darle sì un bacio, ma sulla fronte.

 

Per tutta risposta, gli prese il viso, prima che potesse rialzarsi, e gli piantò un bacio sulle labbra, staccandosi appena in tempo prima che la famosa fiammella, mai sopita, riprendesse troppo ossigeno.

 

“Buonanotte, cerca di riposare pure tu,” lo congedò, con un sorriso soddisfatto - sempre se ci riesci, mo.

 

Lo osservò scuotere il capo, l’aspetto un po’ imbambolato, afferrare un paio di indumenti dall’armadio e richiudersi la porta dietro le spalle.

 

Era bello sapere di riuscire ancora ad avere l’ultima parola.

 

Si preparò rapidamente per la notte e si infilò sotto le lenzuola, che avevano ancora il profumo di Calogiuri. Non avrebbe saputo dire se fosse per quello o per la stanchezza, ma precipitò rapidamente in un sonno profondo e senza sogni.

 

*********************************************************************************************************

 

Si ridestò di scatto, con un sobbalzo, la sensazione di aver dormito troppo, il terrore di essere in ritardo per l’udienza.

 

Cercò freneticamente il cellulare e l’orario che vi lesse la tranquillizzò da un lato e la gettò in un altro tipo di sconforto dall’altra.

 

Erano le quattro del mattino, aveva dormito poco più di tre ore, giusto il tempo minimo indispensabile, ma ora il suo cervello si era riattivato e le ricordava ossessivamente che c’era l’udienza e che non aveva elementi sufficienti in mano. Il sonno si era del tutto volatilizzato.

 

Dopo aver passato una decina di minuti buoni cercando di riaddormentarsi, presa dalla frustrazione si alzò e, con cautela, aprì la porta della stanza e si avviò verso la cucina, intenzionata a bere un sorso d’acqua. Le ci sarebbe voluta una camomilla, ma era impossibile anche solo pensare di prepararla senza svegliare Calogiuri, che riposava sul divano.

 

Gli passò vicino evitando di proposito di guardarlo, perché sapeva benissimo che sarebbe stato troppo pericoloso farlo e non era questo il momento di farsi venire certi pensieri.


Fece giusto in tempo ad aprire il frigorifero, quando sentì una voce assonnata chiederle, “dottoressa, tutto bene? Non riuscite a dormire?”, facendola sobbalzare.

 

Poco dopo si accese pure la luce, accecandola momentaneamente.

 

“Brillante deduzione, Calogiuri,” lo prese in giro, annotandosi mentalmente il fatto che, nel suo subconscio, Calogiuri evidentemente le desse ancora del voi. In fondo allora non tutto era ancora cambiato.

 

“Non è che avresti della camomi-” gli chiese, girando il capo verso di lui e bloccandosi completamente una volta che vide com’era vestito. O meglio, come non era vestito.

 

Dalla vita in su tutto bene, una t-shirt come gliene aveva viste indossare un’infinità. Ma sotto aveva solo i boxer.

 

Calogiuri seguì lo sguardo di lei ed arrossì visibilmente.

 

“Mi vado a cambiare e torno,” propose, e fece per voltarsi, ma in quel momento Imma chiuse la porta del frigorifero e lui si bloccò bruscamente, diventando ancora più paonazzo, “certo che magari pure tu…”

 

Imma si guardò e realizzò per la prima volta che le sue camicie da notte estive in generale, e questa leopardata in particolare, tra scollatura e la gonna inguinale non è che fossero esattamente coprenti. Ma non pensava certo di dormire a casa di Calogiuri quando aveva fatto la valigia.

 

Per un secondo pensò di andare ad infilarsi i vestiti, poi però qualcosa le scattò dentro, facendole improvvisamente sembrare assurdo e paradossale tutto quell’imbarazzo. Dopo tutto quello che era successo tra loro, oltretutto.

 

“Senti, come hai detto tu stesso non abbiamo quindici anni, no, Calogiuri? Io poi… figurati! Siamo in estate e fa caldo. Non serve che ti rivesti. Mi dici solo se hai una camomilla, che almeno poi ti lascio dormire?”

 

“E secondo te io mo riesco a tornare a dormire?” le domandò a sua volta, avvicinandosi e superandola per raggiungere un’anta da cui estrasse la confezione di camomilla, “e non per... i quindici anni… ma perché vorrei capire come mai sei già sveglia a quest’ora.”

 

“Non mi sembra una cosa così difficile da capire, Calogiuri,” ribattè, osservandolo mentre prendeva un pentolino e metteva l’acqua a bollire.

 

“No, ma vorrei che mi spiegassi esattamente perché sei in ansia. È per le minacce?"

 

Imma non potè trattenere una risata sarcastica. La verità era che la lista di cose che le mettevano ansia in quel momento era talmente lunga che avrebbe potuto andare avanti fino a Ferragosto ad elencarle.

 

Ma incrociò gli occhi di Calogiuri, che la guardava serissimo, con l’aria di chi non si sarebbe arreso, e decise di esprimere almeno quello che poteva esprimere, anche perchè si sentiva sul punto di scoppiare.

 

“No, le minacce da qui mi entrano e da qui mi escono, Calogiuri. È che... temo di fare l'ennesimo buco nell'acqua. Di vedere per l’ennesima volta un bastardo assassino e criminale della peggior specie farla franca solo perché c’ha i soldi e un fratello giudice e le mani in pasta in mezza regione. O perché ho avuto la bella idea di inimicarmi il giudice l'anno scorso, tanto per non farmi mancare niente.”

 

“Ma perché devi già pensare che andrà male? Abbiamo una marea di prove contro Romaniello e gli altri!” esclamò, mentre metteva i filtri nelle tazze e ci versava sopra l’acqua bollente.

 

“Tutte indiziarie, Calogiuri. Tutte indiziarie, non dimenticarlo!”

 

“Ma abbiamo il corpo di Vaccaro e-”

 

“Corpo sul quale però non è stato rilevato niente di utile. Se non il fatto che, qualsiasi sia stata la causa di morte, i pezzi mancanti e presumibilmente sciolti con l’acido l’hanno fatta sparire insieme a loro e la gru ha fatto il resto. L’unico particolare strano emerso dall’intera autopsia è quella discolorazione circolare all’interno dello stomaco. Strana quanto inutile. Nulla che possa ricollegarlo in alcun modo a Romaniello o ai suoi assassini.”

 

“Forse no, ma già il fatto che sia stato ucciso e non sia fuggito perché colpevole dell’omicidio di Aida, come ha sempre sostenuto Latronico, gioca a nostro vantaggio. Per non parlare del fatto che sia sparito proprio mentre si stava indagando su Romaniello e-”

 

“E il DNA non è più utilizzabile ed era l’unica prova certa che collegava Romaniello ad Aida.”

 

“Ma Vaccaro è collegato ad Aida, perché abbiamo trovato i resti sulla sua barca,” ribatté lui, prendendo le tazze e avviandosi verso il divano, poggiandole sul tavolino. Scostò rapidamente cuscino e lenzuolo per fare spazio e le fece cenno di sedersi accanto a lui, “e Vaccaro è collegato ora con certezza alla cupola di Romaniello, Bruno e Scaglione. Abbiamo pure le telefonate fatte da Romaniello a Bruno e Scaglione sia ad agosto scorso, poco prima dell’arresto, sia quando c’è stato il blocco e poi la riapertura del cantiere.”

 

“Telefonate fatte da un numero intestato ad un prestanome, Calogiuri,” gli ricordò con un sospiro, lasciandosi quasi cadere sul divano, “telefono che noi ipotizziamo essere in uso a Romaniello in quanto individuato durante l’ultima perquisizione a casa sua, ma lui sostiene essere utilizzato invece da una delle sue persone di servizio.”

 

“Ma dalle celle agganciate possiamo dimostrare che il cellulare era in possesso di Romaniello e non del domestico. Certo, ci vorrebbe un po’ di lavoro extra per avere un maggior numero di riscontri, ma abbiamo già un paio di casi nei quali il telefono si trovava dove si trovava anche Romaniello, in occasione di eventi pubblici.”

 

“Bene, ma l’esistenza delle telefonate non ne dimostra il contenuto e le tempistiche potrebbero anche essere una fortuita coincidenza nel corso di un continuativo rapporto d’affari.”

 

“Le coincidenze non esistono e sei stata tu ad insegnarmelo,” le ricordò con un sorriso lievemente esasperato.

 

“Sì, ma ora io non sono io, Calogiuri, sono-”

 

“L’avvocato del diavolo, lo so. E ti riesce pure molto bene, ma ora non sarebbe meglio cercare di riposare, invece che continuare a fare le pulci a tutto quello che abbiamo scoperto?” le chiese con un tono quasi implorante, prendendo una delle tazze e porgendogliela.

 

Ma quelle tre parole “avvocato del diavolo” la bloccarono completamente, portandole alla mente il Diavolo, il suo ex presunto padre, Cenzino Latronico. Il padre dell’avvocato con cui si sarebbe dovuta scontrare l’indomani.

 

“Che c’è?” la voce e lo sguardo preoccupati di Calogiuri la riscossero da quei pensieri.

 

“Niente, niente. E comunque pure tu come magistrato non sei poi così male, Calogiuri,” ammise con un sorriso, afferrando la tazza e deviando il discorso, mentre una parte di sé continuava a maledire e benedire al tempo stesso Calogiuri per non aver voluto continuare a studiare. Se l’avesse fatto probabilmente non si sarebbero mai conosciuti, ma a volte le sembrava sprecato pure come maresciallo, sebbene di strada ne dovesse fare ancora tanta.

 

“In ogni caso,” riprese, approfittando del momentaneo silenzio imbarazzato di lui, “la verità è che, te lo ripeto, non abbiamo una prova schiacciante che sia una. E domani, anzi, oggi rischiamo di andare al massacro.”

 

“Ma abbiamo le foto che dimostrano il rapporto tra gli elementi della cupola e il loro coinvolgimento nello scarico di rifiuti tossici. Abbiamo il cadavere di Vaccaro ed una sfilza di elementi gravi, precisi, circostanziati e concordanti e-”

 

“E il manuale è una cosa, Calogiuri, la realtà pratica è un’altra,” sbottò, anche se ammetterlo ad alta voce faceva male perfino a lei, “una prova schiacciante l’avevamo e non è servita a convincere il giudice a procedere per direttissima, figuriamoci se lo farà mo con prove indiziarie. E col rito ordinario, più i suoi fantomatici problemi di salute, Romaniello se ne starà bello bello ai domiciliari a farsi i comodi suoi e avrà tutto il tempo di riorganizzarsi per sfuggirci definitivamente. La verità è che avremmo dovuto avere il tempo di scavare più a fondo, Calogiuri, ma ci è stato tolto da sotto il naso e ormai è troppo tardi.”

 

“Non è troppo tardi! E se Romaniello e soci non ti temessero e non temessero quello che hai già in mano, non avrebbero fatto tutto quello che hanno fatto. Dall’incendio alle minacce al-”

 

“Al trasferimento…” le uscì in un sussurro, mentre rifletteva tra sé e sé.

 

“Quale trasferimento?”

 

Il tono di Calogiuri la riportò alla realtà e il panico che gli lesse negli occhi le provocò, per l’ennesima volta, quel maledetto dolore al petto e quel pizzicore tremendo agli occhi.

 

“Romaniello ha cercato di convincere Vitali a trasferirmi a Rovereto. Ma Vitali si è rifiutato,” chiarì, toccandogli lievemente una mano, “tranquillo, Calogiuri. Ti toccherà sopportarmi ancora per un po’.”

 

Si sorrisero e rimasero in silenzio a sorseggiare la camomilla.

 

“Va un po’ meglio?” le chiese infine Calogiuri, una volta che lei ebbe poggiato la tazza.

 

“Insomma…” sospirò, stropicciandosi gli occhi come se potesse scacciare i pensieri che la tormentavano.

 

“Me lo vuoi dire per una volta a che pensi davvero? Che ti succede?” le chiese, prendendole delicatamente la mano e scostandogliela dagli occhi, “hai fatto di tutto per arrivare fino a qui, per costruire questo caso, per poter andare fino in fondo. E ora invece-” 

 

“E ora invece mi chiedo se non ho sbagliato tutto, Calogiuri. Se non sono stata troppo frettolosa nello scoprire le carte, se non ho fatto il passo più lungo della gamba,” sbottò, per poi fare un respiro profondo e far uscire finalmente ciò che non avrebbe mai voluto ammettere, nemmeno a se stessa, "vuoi la verità, Calogiuri? La verità è che a volte mi sembra di essermi infilata in una cosa troppo grande per me, superiore alle mie capacità, e da cui ne uscirò con le ossa rotte, si spera non letteralmente."

 

"Ascoltami... lo so che sono solo un maresciallo e non ho nemmeno molta esperienza ma… ma io penso che è normale sentirsi così. Che questa è veramente una cosa troppo grande da affrontare da soli. Ma non sei da sola: lo so che hai la parte del lavoro più difficile e delicata, che ce la metti tu la faccia, ma hai un'intera squadra di persone pronte a lottare insieme a te, non dimenticartelo," proclamò deciso, stringendole più forte la mano, "e, per il resto, sei proprio l'ultima persona che dovrebbe mai dubitare delle sue capacità. Ma, in ogni caso, quando ho iniziato a fare questo mestiere e temevo di non farcela, qualcuno mi ha detto che non vince chi è più abile, ma vince chi sa lottare più a lungo senza stancarsi e senza arrendersi mai. Non mi vorrai mica dire che aveva torto? Perché lo so che odia avere torto."

 

Imma sentì il cuore scoppiare nel petto, le lacrime che le rigavano il viso, mentre non riuscì a trattenere una risata, né l'impulso di abbracciarselo più forte che poteva.

 

"Grazie… grazie..." gli sussurrò, mentre si sentiva stringere con una forza ed una dolcezza che non facevano che aumentare la commozione, per poi aggiungere, ironicamente, "e comunque, con quel taccuino ti stai facendo una memoria fin troppo buona, Calogiuri. Cos’è, da ora in poi ogni cosa che dirò potrà essere usata contro di me?"

 

"E va beh… mi dovrò pure difendere in qualche modo, avendo a che fare tutti i giorni con un casellario giudiziario vivente."

 

Per tutta risposta gli colpì leggermente il petto e poi ci si lasciò sprofondare, chiudendo gli occhi e godendosi quel calore, quel contatto che, non avrebbe saputo spiegare come, ma faceva affievolire ad una ad una tutte le ansie, tutte le preoccupazioni. Fino a non sentire più niente, se non un inspiegabile senso di pace.




 

Nota dell’autrice: Vi voglio ringraziare innanzitutto per tutto il supporto che ho ricevuto dopo la pubblicazione di questa storia: grazie mille davvero, mi date una grande motivazione a proseguire a scrivere, cercando di fare sempre meglio.

 

Ringrazio inoltre chi ha dedicato il suo tempo a leggere questo secondo capitolo, sperando che vi abbia intrattenuto e non abbia deluso le attese. Come sempre, ogni commento, positivo o negativo, mi è utilissimo per capire cosa posso migliorare e come tarare meglio le cose per i prossimi.

 

Vi dico già che il successivo arriverà esattamente tra una settimana, domenica per essere precisi. Mi scuso per l’attesa settimanale, ma col mio lavoro è l’unico modo per garantire una pubblicazione regolare e non rischiare di lasciar poi passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro.

 

Grazie mille ancora!

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - Fiction italiane / Vai alla pagina dell'autore: Soul of Paper