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Autore: Cossiopea    20/11/2019    2 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte ebbi altri incubi.

Il mio passato, il sangue, la guerra, la morte...

Ogni cosa mi opprimeva la mente senza accennare a lasciarmi in pace, il Demone urlava, strillava in una lingua che conoscevo ma al tempo stesso mi era estranea.

Per quanto mi impegnassi non riuscivo a scacciarlo, non riuscivo a dimenticarlo. I tentativi fatti si ritorcevano contro di me, assalendomi con una scarica di dolore che mi costringeva a mordermi la lingua per non urlare.

La mattina il mio corpo era scosso da brividi di rabbia e rancore.

Mi ero addormentata con la schiena contro la porta, al buio, con la tempesta che bussava alla finestra e con voce tenebrosa mi ordinava di farla entrare.

Avevo guardato la camera distrutta con gli occhi che lampeggiavano di collera e quindi ero rimasta lì, immobile, a fissare il disastro che io avevo causato senza sapere come risolvere... senza sapere che fare.

Non ero scesa a mangiare e, dopo quasi un'ora di staticità, mi ero messa a ripulire la stanza. Le visioni della guerra che premevano sui confini della mia coscienza.

Per prima cosa avevo aperto un cassetto della scrivania graffiato da artigli d'ebano e avevo preso con delicatezza l'Mp3 e le cuffie per poi posizionarmele sulle orecchie e far partire la musica.

Le note avevano allontanato il Demone per poi inondarmi la mente di piacere.

Avevo incollato le pagine dei libri con lo scotch meglio che potevo per poi rimettere in piedi la libreria e posizionarci dentro i volumi stropicciati.

Avevo pulito il pavimento dai frammenti di vetro e dai cocci del lampadario e cambiato le lenzuola del letto.

La scrivania e l'armadio erano ancora tristemente segnate dalle mie unghie, ma al momento non potevo fare niente se non tenerli così come erano, graffiati dalla furia del Demone...

Quel giorno uscii da camera mia solo una volta, per andare in bagno e, quindi, bere dell'acqua di cui il mio corpo umano necessitava ardentemente.

Stetti attenta a non incrociare Susan e Paul. Non li volevo vedere.

Sapevo che nel caso i miei occhi si fossero posati su quei traditori non avrei resistito e li avrei uccisi, mostrandomi per quello che ero... E per quanto li odiassi non desideravo far loro del male.

I nutrienti tipici del cibo mi mancavano, ma resistetti alla tentazione di scendere in cucina per saziare il mio appetito, sopportando i morsi della fame che mi avevano indebolita.

Passai il resto della giornata immersa nella mia musica.

Sdraiata sul letto con il volume che mi frantumava i timpani, ma non mi importava. Avrei preferito diventare sorda piuttosto che sopportare il dolore inflittomi dal Demone, assaporare nuovamente quelle scariche di potere che mi percorrevano il corpo, corrompendo il mio essere con la loro energia... Non avrei ceduto nuovamente al male...

Susan non venne a bussare alla mia porta. La tempesta era passata e nemmeno il ramo artigliato spingeva più per entrare. Ero sola.

 

Non uscii dalla mia camera il giorno successivo, né il seguente e quello dopo ancora.

La mia salute diminuiva, le forze mi abbandonavano sempre di più per assenza di cibo, visto che nemmeno di notte, quando mi azzardavo ad inoltrarmi nei corridoi deserti della casa per andare in bagno, non osavo mettere piede in cucina.

Il Demone urlava sempre di più e nemmeno la musica, a volte, riusciva a cacciarlo via.

Gli incubi peggiorarono e io non avevo l'energia per scacciarli.

Mi limitavo a stare sul mio letto, immobile, le cuffie premute sulle orecchie e il respiro che si faceva sempre più debole, quasi volesse spegnersi del tutto.

I giorni passavano ma non li contavo più. Il tempo, fuori dalla finestra, divenne sempre più nuvoloso e nero, come la mia mente infestata dagli incubi.

Lasciavo che i miei occhi si tingessero di rosso quando ne avevano voglia, lasciai che le zanne crescessero e si arrotondassero a loro piacimento e ignoravo il dolore che queste e gli artigli mi infliggevano mentre uscivano allo scoperto.

Non riuscivo più a combattere il Demone e la schiena prudeva sempre più frequentemente... Il mio essere umana scivolava sempre di più verso il sangue che il mio passato desiderava, annegandomi nel suo desiderio di vendetta, lasciandomi inerme.

Poi, irrimediabilmente, il giorno arrivò.

 

Un vento freddo si abbatteva contro la finestra, ma con la musica che mi percuoteva il corpo non potevo sentirlo, non volevo sentirlo.

La stanza era immobile come me, una landa grigia e senza segnali che portassero a pensare che di lì fosse passata la vita.

Il mio respiro era lento, regolare; chiunque fosse entrato avrebbe certamente pensato che stessi dormendo.

Eppure i miei occhi erano aperti e rossi come il più puro dei sangui, due soli ardenti che osservavano il soffitto senza neanche essere interrotti dallo sbattere ritmico delle palpebre.

Ero un cadavere vivente, un essere non del tutto umano che lentamente si arrende alla morte, la quale lentamente avanzava.

Avevo la gola arida e dal mio stomaco di levavano cupi richiami che non venivano ascoltati. Il Demone gioiva di quel dolore, anche se in silenzio, senza farsi notare.

Quando qualcuno bussò alla porta nemmeno me ne accorsi. Lo fece il Demone, ma lui rimase fermo ugualmente, non volendo interrompere la disperazione in cui ero immersa e che lui amava.

-Jill?

La voce di Susan mi giunse remota, oltre l'orizzonte della mia memoria e del mio essere.

Nonostante fosse solo un flebile sussurro attutito dalla porta che ci separava, io la sentii ugualmente e avvertii il Demone imprecare quando con fatica mi misi a sedere e i miei occhi si spensero in una scintilla rassegnata.

Il mio sguardo doveva essere quello di un morto.

Un pallido spettro che si rifiuta di vivere, un essere umano senza ragione che ha rinunciato alla fatica di mangiare e di preoccuparsi del proprio futuro.

Con una smorfia di dolore abbassai il volume dell'Mp3 e il Demone minacciò di prendere il sopravvento.

Lasciai delle deboli note sullo sfondo della mia vita mentre, con una voce carica di tristezza che non riuscii a riconoscere come mia rispondevo alla porta:

-Avanti.

Non avevo le forze per alzarmi, sebbene l'idea che Susan entrasse nella mia camera, che varcasse la soglia del mio piccolo regno, del mio angolo di mondo, mi disgustava e mi riempiva di ribrezzo.

La maniglia si abbassò lentamente e l'occhio scuro della donna sbirciò dentro.

Mi fissò per un istante con sguardo perso, come se non mi riconoscesse; poi spalancò ulteriormente la porta e sentii una freccia nell'animo quando il suo piede ricoperto da una ciabatta celeste si posò oltre il limitare della mia stanza.

La donna arricciò il naso mentre io la fissavo, immobile.

-Jill, qui dentro c'è odore di muffa- affermò scuotendo il capo -Come fai a vivere così?

Non risposi e mi morsi un labbro, trattenendo le zanne a fatica.

Non osai ammettere nemmeno a me stessa che, in realtà, quel tiepido profumo di putrefazione mi piaceva.

La donna mi guardò e il suo sguardo si velò di compassione.

-Jill, quant'è che non mangi?- mi domandò con un sorriso triste.

-Non lo so- risposi, senza emozione -Non lo voglio sapere.

Susan sospirò.

-Sai almeno che giorno è oggi?- chiese poi.

-No- dissi -Non lo voglio sapere. Ora vattene.

La donna non si mosse e continuò a sfidare il mio sguardo spiritato.

-Invece ti dovrebbe interessare, ragazza- mi fece, accigliandosi -Oggi per te inizia la scuola.

La notizia mi turbò, ma non lo diedi a vedere: ero troppo stanca anche solo per eseguire un'espressione sgomenta.

-No- ribattei -Non ci vado. Vattene.

Susan mi rivolse un'occhiataccia.

-Adesso tu scendi, mangi, ti fai una doccia e poi tuo padre ti accompagnerà a scuola- disse, autoritaria -Non sei tu che decidi in questa casa.

-Paul non è mio padre- feci, battendo per la prima volta le palpebre da quando era entrata -Io non ho bisogno di mangiare, non andrò a scuola.

La donna si infiammò.

A grandi passi raggiunse il letto e mi guardò negli occhi, ad una vicinanza che non avevamo da tempo immemore.

-È il prezzo da pagare per aver ucciso Zack- mi minacciò con un tono gelido.

Un brivido mi attraversò la schiena.

Zack...

-Mio fratello non ha niente a che fare con la scuola- dissi -Adesso esci immediatamente da questa stanza e lasciami in pace.

-No, Jill- mi afferrò le cuffie e me le strappò dalla testa con violenza.

Urlai, senza trattenermi, ma le energie mi mancavano e invano tentai di tendere le mani scheletriche verso Susan e riavere la mia musica.

La donna mi guardò, seria, impassibile davanti alla mia debolezza.

-Se le rivuoi scendi in cucina- detto questo, con le mie cuffie ed Mp3 ancora strette in pugno si avviò verso la porta e se la chiuse alle spalle, lasciandomi sola con una mano tesa verso il nulla.

Il Demone strillava, si dimenava nella mia mente, ma io non potevo resistergli, non potevo combattere me stessa come avevo sempre fatto...

Caddi dal letto e mi ritrovai a terra in ginocchio, il respiro affannoso e gli occhi lucidi di lacrime rabbiose.

Le dita fremevano nello sforzo di reprimere gli artigli, i denti grattavano l'uno contro l'altro come in un combattimento furioso in corso nella mia bocca.

Fu in quel momento, quando una lacrima bollente mi cadde sulla mano e la schiena iniziò a prudere con fervore, che mi resi conto di dover obbedire a quella donna.

Che mi resi conto con amarezza di dover andare a scuola...

Strinsi gli occhi, nel tentativo di impedire al pensiero successivo di uscire allo scoperto nella mia mente, ma il Demone in me era troppo forte.

Dovevo andare a scuola... e uccidere.

   
 
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