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Autore: Mladen Milik    20/11/2019    1 recensioni
Byron ha due obiettivi nella vita: diventare un eroe professionista e creare un harem di donne meravigliose tutte a sua completa disposizione. Se non conosce quale dei due desideri sia quello più importante, è però consapevole che il suo futuro passa dall'esame di ammissione all'accademia per novelli eroi più prestigiosa d'Europa, la H.E.A. Byron sarà però accompagnato da una schiera bizzarra di aspiranti eroi, una nuova generazioni di stelle che diventeranno allo stesso tempo i suoi migliori amici e i suoi rivali. Un ragazzo rossiccio ossessionato dalla palla da basket, uno svizzero che si pompa divorando cioccolato e coltiva un orto concimandolo personalmente, un ragazzo il cui unico potere è quello di addormentarsi, una ragazza fatta di acciaio, un vero e proprio scimmione e un'autentica dea sono solo alcuni dei suoi energici e fuori di testa compagni di classe. Mentre infatti eroi professionisti dai poteri prodigiosi affrontano la minaccia di villain sempre più potenti e minacciosi, un'alba scarlatta di nuove matricole è pronta a sorgere attraverso la fatica e il sudore della fronte, accompagnati dal canto gridato al cielo "Plus Ultra!"
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: All Might, Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 3

 

 

Il freddo alle cinque del mattino era ben più fastidioso di quanto avesse previsto, il vento gli strideva nelle costole e le mani gli divennero presto viola di gelo, si rese conto che a queste temperature non fosse certo un valido guerriero, anzi, con questo freddo non avrebbe prodotto una goccia di sudore. Era appena sceso dalla metropolitana e con il fiato che si trasformava in piccoli cumuli bianchi di nebbia davanti al viso, iniziò a percorrere il marciapiede che affiancava la scuola, dopotutto il suo piano era una strategia infallibile, era chiaro che sarebbe stata sua. Leggere quel nome nella lista dei suoi compagni di classe era stato uno shock, ma ancora più dell’idea di poter finalmente iniziare la sua carriera da eroe, lo esaltò la possibilità di poter avere in classe una donna del calibro di Aphrodite. Poteva finalmente ambire da vicino alle carni di quella dea, quella meraviglia della natura, un vero e proprio paradigma della perfezione, non poteva in alcun modo fallire, la tensione era ben superiore a quella per l’esame di ammissione, il primo giorno di lezione sarebbe equivalso anche al primo incontro vero e proprio con Aphrodite. Inoltre non poteva permettere che gli altri ragazzi potessero sopraffarlo, non credeva fosse possibile che un altro uomo gli fosse superiore, ma la possibilità, anche se remota, di venire sconfitto era tangibile e la sua strategia aveva tenuto conto anche di questo. Si sarebbe diretto a scuola per primo, alle sei di mattina si sarebbe fatto trovare ai cancelli, ben due ore prima dell’inizio delle lezioni, in modo da poter osservare il circondario in segreto e poter essere il primo a rivolgerle la parola. Inoltre, indossava una maglia a maniche corte e dei pantaloncini da calcio, in modo che il freddo glaciale inibisse completamente la sua sensazione di calore, niente calore, niente sudore, aveva persino abbozzato un deodorante sotto le ascelle, si era giocato la sua arma segreta, non tutte erano degne del suo deodorante. Entrò nei cancelli della scuola e la visione che si trovò davanti fu sufficiente per lasciarlo confuso e inerme allo stesso tempo. Tutti i suoi nuovi compagni di classe, ragazzi che ancora non conosceva erano presenti, a quanto pareva tutti avevano avuto la sua stessa idea. Sembravano tutti in attesa del bus, chi con la schiena appoggiata al muro della scuola, chi seduto su una valigetta, chi intento a guardarsi intorno con aria da finto tonto, sembrava che allo stesso tempo non sapessero perché fossero tutti lì, quando invece lo sapevano benissimo ed erano ben consapevoli di essere tutti dei porci. Byron iniziò a dirigersi nervoso verso il gruppo e squadrò con occhio attento quelli che sarebbero diventati i suoi compagni di classe. Cedric non poteva certo mancare, era seduto sugli scalini dell’entrata, chiaramente ancora serrata, e si passava sotto le gambe l’inseparabile palla da basket, nonostante il freddo mattiniero indossava la stessa canottiera di basket del giorno dell’esame. Gli altri, invece, erano tutte facce nuove. Accanto a Cedric c’era un individuo bizzarro e dal fisico sproporzionato, la cosa che per prima accolse la sua attenzione era che fosse altissimo, un vero e proprio grattacielo, probabilmente superava i due metri, con braccia lunghe e sottili, un collo giurassico e delle gambe lunghe almeno quanto il suo mezzo busto. La cosa più curiosa era però che fosse estremamente sottile, sembrava un enorme foglio di carta ripiegato su sé stesso, lungo e affusolato, ma allo stesso tempo bidimensionale. Il ragazzo indossava una tuta grigia larga e una maglia banca che sembrava gli fosse stata prestata da un elefante da tanto fosse larga. Il terzo della schiera invece non era nemmeno presenta tra loro se non fisicamente, poteva benissimo essere morto, russava come una locomotiva ed era crollato dormiente a terra con la faccia nascosta nello zaino. Byron riuscì almeno a vedere che avesse i capelli lunghi e unti, erano così oliati che avrebbe potuto friggerci dentro delle patatine, il volto era invece smunto e definito, mentre il fisico slanciato era coperto da abiti nobili, sembravano tessuti pregiati e di estrema fattura, peccato che fossero immersi nel fango, perché il loro padrone aveva deciso di svaccarsi per terra. Accanto al cadavere di quel tipo, c’era invece un secondo cadavere ambulante e Byron non poté che riconoscerlo, era lui, la carcassa della metropolitana. Il giorno prima si era mostrato agitato e nervoso per l’esame imminente, con un aspetto fatiscente, condito da capelli in rivolta, occhiaie scure e dense e persino dei buchi squallidi nella maglietta, quel giorno, tuttavia, riuscì a mostrarsi in condizioni ancora più terribili. I capelli non erano più scomposti in una frangia sulla fronte, erano completamente rivolti verso l’alto, quasi elettrici e liberarono un campo da calcio sulla cima della sua testa, la sua fronte era talmente grande che una coppia ci avrebbe potuto pattinare sopra, Byron percepì di non riuscire a smettere di guardarla. Come da copione Maxwell, quello era il suo nome, stava esasperando un altro ragazzo, parlava talmente rapido che non era possibile seguirlo, era alienante, si chiese se fosse quella la sua unicità. “Per capire quali proprietà di un materiale possono essere migliorate è necessario dapprima comprendere la relazione che esiste tra struttura del materiale e caratteristiche chimico-fisiche dello stesso, inoltre bisogna sapere come si può controllarne la struttura tramite trattamenti chimici, termici, meccanici o altre operazioni.

Alla base della scienza dei materiali c'è l'empirismo e la sperimentazione come base per la scoperta di nuovi materiali. Da quest'ultimo punto di vista si può inserire la scienza dei materiali in quella classe di scienze sperimentali alla quale appartengono la fisica e la chimica. Alcune classi di materiali scoperte tramite l'ausilio della scienza dei materiali sono: i superfluidi, i semiconduttori, i superconduttori e alcune leghe refrattarie” disse lui senza quasi prendere il respiro e esprimendo relazioni scientifiche all’orecchio senza logica, sicuramente senza logica lo erano per quello che lo stava a sentire, forse per pietà o forse perché stralunato di suo. Byron si appuntò nel cervelletto di evitare Maxwell Roth la mattina. Quello che lo stava a sentire in silenzio assomigliava in tutto e per tutto un adulto fatto e finito, ma non un adulto appena maggiorenne, un vero e proprio uomo di mezza età, una cariatide ormai. Non era particolarmente alto, ma superava Maxwell, aveva uno sguardo freddo e penetrante, quasi inquisitorio, fissava quello che parlava di scienza dei materiali senza esprimere un’emozione, non si capiva se lo stesse prendendo in giro o se fosse davvero interessato. I capelli erano crespi e di media lunghezza, castani e rivolti all’indietro, mentre il resto del viso era coperto da una barba incolta e rampicante, che andava forse tagliata da diversi mesi. “Mamma mia! Pizza, mandolino! Mafia, vafanculo!” disse un ragazzo poco lontano con voce densa e divertita, cercando di imitare un italiano non solo nella voce, ma anche nei gesti. “Se, se, bravo. Faccia da culo. Italiano sta minchia, sì sì, che cazzo si ride? Stu trimone” replicò proprio il ragazzo a cui era rivolta la frase precedente, che sorrise teatralmente parlando in italiano. Un ragazzo dai capelli castani che gli coprivano la fronte in una frangia e con delle mani gigantesche stava parlando animatamente con un ragazzo basso e spesso di muscoli, con un bel paio di baffi a manubrio sotto il naso che gli coprivano parte della bocca. Il più basso dei due era italiano e l’altro lo stava infastidendo con parole in italiano pronunciate con forte accento inglese, l’altro invece si divertiva ad insultarlo nella sua lingua, tanto quello non avrebbe capito. Poco distante dai due un ragazzo lo fissava dritto negli occhi, Byron raccolse lo sguardo, ma quello non si mosse di un millimetro, continuava a fissarlo, anzi, ora che ci faceva caso stava fissando il vuoto. Aveva occhi truccati e un sorriso pieno, quasi stesse mangiando una caramella che gli si era attaccata al palato, i capelli era biondi come raggi di sole, stempiati ai lati, ma così pettinati da farlo sembrare una bomboniera con un ciuffo unto di gel che gli scendeva al centro della faccia. Era completamente solo, ma rideva lo stesso e non sembrava poter possedere segni di stanchezza, era un simbolo di bizzarria, indossava poi abiti che sembrarono valere più di lui, camicia lilla stirata e lustrata, papillon viola scuro, pantaloni così attillati da mostrare il pacco e mocassino azzurrino con tanto di caviglia scoperta, Byron non riusciva a capire se fosse un esibizionista, un invertito o entrambi. E per chiudere il cerchio ecco che non potevano mancare i due tossici della squadra. Sembravano entrambi appena uscita da un ghetto o da una settimana di esilio fumo, sigarette arrotolate in bocca, capelli lunghi e spettinati e entrambi dal colorito olivastro, inoltre indossavano giacconi con le tasche ampie, sembravano in tutto e per tutto due spacciatori. Il primo era mostruosamente spesso, un vero armadio anche se non eccessivamente alto, con codino arrogante sulla nuca e barba ispida a circondare il volto largo, il secondo invece sembrava una matrioska: stretto e secco sul busto, glutei e fianchi larghissimi sulle gambe, questo oltre a fumare teneva tra le mani una birra. “No fra, non ci stai dentro tu, fidati, fratmo, lascia stare, devi prendere coscienza di ciò che ci circonda, viviamo o no in una società borghese?” chiese il secondo con tono oppresso e occhi ballerini. “Ma che cazzo ne so? A me frega solo che abbassino i prezzi del tabacco” replicò l’altro confuso. Vederli in quel cenacolo, tutti posizionati contro la parete esterna della scuola gli diede l’idea che fossero tutti dei pazzi furiosi, lui compreso e nonostante fossero lì per rimorchiare la stessa tipa, un sorriso gli percorse il viso, si sarebbe divertito un mondo con questi delinquenti. Tuttavia si accorse subito che uno di loro mancava all’appello, Percy non era lì, ma non si aspettava altro da lui, delle ragazze non gli importava proprio nulla. Quando erano bambini nella loro classe c’era un certo Anwar, un bambino che aveva come quirk la capacità di produrre caffè orecchie stringendosi le tempie, che aveva affermato con clamore che Percy fosse omosessuale e per qualche tempo Byron ci aveva pure creduto, dopotutto lui e Cedric passavano tanto tempo assieme, ma col tempo aveva compreso che Percy fosse perfettamente etero, solo che aveva altre priorità o forse considerava le donne troppo stupide per lui. “Vedo che si è fatta la fila” disse quindi Byron avvicinandosi a Cedric. “Sono qui dalle quattro, che ne so di che abitudini ha quella riccastra, magari è una di quelle tradizionaliste che prima di venire a scuola viene a offrire qualche sacrificio all’ingresso, dopotutto la sua famiglia si vanta di avere origini greche, basti vedere quei nomi orribili” disse quindi Cedric, che infatti aveva occhiaia buia a circondargli le palpebre. “Vi capisco, chi più di me può riconoscere il valore di una donna superiore quando la trovo, io che mi sono passato mezzo impero britannico senza mia trovare la mia dolce metà, la parte perfetta della mela” “Perché sei un’idiota, ecco perché non trovi la tua dolce metà, E quella aveva i capelli troppo lunghi, quella troppo ricci, quella parlava strano, quell’altra era troppo manesca” “Dava dei pizzicotti che non ti immagini...” La loro conversazione venne interrotta dalla voce tonante e allo stesso tempo starnazzante. “Ma dio bono mi hai rotto!” esclamò con furia il ragazzo barbuto che stava parlando con Maxwell. “Sono le sei del mattino, non ricordo nemmeno il mio nome, mi sono alzato alle quattro per venire qui e adesso mi sento uno spiegarmi perché se metto le mani in questo modo il flusso della corrente va in senso opposto? Ma buttati giù dalla collina!” il barbuto si voltò indispettito e venne accolto dall’italiano nella conversazione insieme a quello con le mani grandi come racchette da tennis. Maxwell si guardò intorno intristito, mise in bocca una gomma da masticare e si mise a cacciare pokemon sul telefono, forse la sua passione per l’ingegneria non faceva al caso degli altri, almeno fino a quando una voce soave non lo risvegliò dal tunnel. “Non ho potuto che cogliere la tua citazione, cosa dicevi della rotazione su asse del pestino nel Motore Wankel?” chiese l’italiano avvicinandosi a lui, gli occhi di Maxwell si accesero e videro per un attimo il Nirvana, aveva qualcuno con cui condividere la sua passione, la sua bibbia, il manuale della sua esistenza. “Dopotutto io sono un appassionato di meccanica e motorizzazione” “Godo, per me è come sentire un coro di angeli” replicò Maxwell estatico. Le loro conversazioni varie ed eventuali si spensero improvvisamente non appena sentirono il rumore della metropolitana arrivare alla fermata in lontananza, le ragazze stavano arrivando. Byron percepì l’odore irriconoscibile di mutandine pulite, il momento per cui si era allenato per tanto tempo era arrivato, “Ora tocca a me” sentiva il suo ego parlare nella sua testa, ma anche gli altri ragazzi sembravano attendere con ansia solo quel momento. Tutti si schierarono e si fissarono come soldati pronti ad andare in guerra, un po’ come commilitoni in spirito cameratesco, un po’ come rivali in amore. “Vi faccio vedere io lo stallone italiano” disse l’italico baffuto sorridendo malizioso. “Forse sarebbe meglio dire Pony italiano” disse invece l’uomo barbuto e peloso, alludendo al fatto che fosse basso. “Sempre di cavalli si tratta, a tua madre il pony non dava fastidio l’ultima volta” L’altro si mosse in avanti per rispondere all’attacco verbale con la forza, le sue vene si temprarono e andarono a stringere ripetutamente un collare che aveva legato al collo, le orecchie iniziarono a coprirsi di pelo, così come il resto della faccia, un ringhio cagnesco gli uscì dalla bocca mentre gli altri non potevano che osservare spaventati, ma anche curiosi. Anche la sua stazza stava lentamente mutando, la schiena iniziava ad inarcarsi, i muscoli a gonfiarsi e si faceva col passare dei secondi più alto. All’improvviso la sua attenzione però fu distolta dal ragazzo italiano che sospirò un sofferto: “Mamma mia!” Quello che era diventato un vero e proprio lupo mannaro osservò schiumante il cancello d’ingresso, lì una figura non meno definita stava placidamente urinando all’entrata, proprio contro la cassetta delle lettere e con la gambetta alzata proprio come un cane. “E’ divertente perché è come se stessi portando a spasso un cane” disse una ragazza dai capelli neri anche lei all’entrata “Almeno fino a quando non ti bagna le scarpe” All’entrata c’era un gruppo di tre ragazze che si stava portando sempre di più verso l’ingresso, quella più a destra aveva i capelli a fungo che le arrivavano appena oltre il mente, castani, con una fronte larga, larga almeno come le sue palle degli occhi, sembravano i fari di una macchina. Quella accanto a lei, invece, aveva lineamenti più spigolosi e allo stesso tempo più aggressivi, era magra anche se non particolarmente alta, gli occhi erano inclinati e sembravano socchiusi per la stanchezza, circondati da trucco nero, così come il resto del viso era pallido come latte. Ma era la terza che suscitava più attenzione, dopo aver concluso i suoi bisogni, si rimise composta e seguì le due ragazze che avevano appena oltrepassato il portone. Aveva capelli color tramonto lunghi e selvaggi, fisico scultoreo, non poteva che essere quella che tutti stavano fissando, cercando di dimenticare che l’avevano appena vista fare pipì. Byron però aveva occhi solo per la ragazza sulla destra, tra tutte le donne che potevano entrare nella sua classe era arrivata proprio lei, Annie Hagi, probabilmente la persona che aveva trattato più meschinamente nella sua vita. Annie non era male per carità, non era bella, la sua faccia gli ricordava una luna, non era particolarmente provocante, era un vero e proprio chiodo di imbarazzo, non era nemmeno esaltante nei discorsi, trovare una moneta da cinque penny per terra era per lei la massima fonte di entusiasmo, ripensandoci si chiese perché gli piacesse. Ma comunque fosse, aveva così paura della sua unicità che non era riuscito nemmeno a lasciarla dicendoglielo in faccia, aveva deciso semplicemente di sparire dalla faccia della terra, non si erano più rivisti e poteva essere benissimo morto. I ragazzi si sporsero per osservare il trio che avanzava, ma fu il mannaro, ancora trasformato che con un balzo piombò loro davanti, facendole sussultare di paura. La bestia le sovrastava. “Questo è il mio territorio” disse lui alla rossa con tono inquisitorio e aggressivo, la voce così rauca che sembrava raschiare la trachea. La ragazza gli diede un’occhiata di sfuggita, poi rivolse lo sguardo altrove e diede un forte sorso rumoroso dalla cannuccia del suo succo. “Mi stai ascoltando, donna-bestia?” “Grrrrrr” replicò lei sbuffando e il lupo si alterò visibilmente. “Allora si vede che dovrò tirarti via dal mio territorio a calci” “Grrrr” Il ragazzo ormai trasformato vibrò un colpo diretto proprio contro di lei, ma quello che colpì era qualcosa di ben diverso da lei. Ritrasse la mano dolorante e iniziò a ululare di dolore, tra i due si era frapposta Annie, ricoperta interamente da strato metallico, il ragazzo le aveva appena colpito la testa con un colpo violento, ma lei non aveva subito alcun danno, mentre l’altro si era quasi fratturato la mano. La pel di carota si aggrappò a Annie e le diede una schifosa leccata sul viso, lasciandole saliva nei capelli. “Che orrore! Ora i tuoi capelli potrebbero essere schedati come crimine di guerra” esclamò schifata e divertita la metallara dai capelli neri, mentre Annie si rammaricava per lo schifo. Subito il ragazzo lupo ritornò alla forma originaria e tornò sconsolato nel gruppo dei maschi, consapevole di essere stato umiliato da una ragazza, e tenendosi la mano dolorante. Tuttavia l’attenzione dalla scena bizzarra di prima venne distolta non appena si udì un forte rumore di trombe, tutti girarono le teste verso l’entrata per osservare una portantina lussureggiante con drappi in porpora e rifiniture in oro fare un entrata trionfale in portantina. Diverse vestali bendate sorreggevano la cabina, mentre un paggio continuava a suonare una romantica marcia alla tromba. Le serve adagiarono con delicatezza la portantina, c’era un silenzio quasi cerimoniale. “Siete al cospetto di un’autentica dea, avete la fortuna di poter essere considerata alla stregua di pari da una donna che dovrebbe abitare le stelle e non questa terra proletaria, pretendo che le venga posto il saluto e il rigore che merita” disse il paggio solenne e tutti ormai avevano capito di chi si trattava. Una vestale si adagiò sulle ginocchia e si mise quasi in preghiera con la schiena rivolta parallela al terreno e subito dopo una ragazza meravigliosa la calpestò in modo da scendere dalla portantina come stesse scendendo da una scalinata di gala. Capelli biondi e lussureggianti, viso plasmato dalla polvere di luna, vestito roseo e riccamente ornato di merli e pizzi, non c’erano dubbi, Aphrodite era finalmente arrivata, ma per lei non ci fu l’entrata trionfale che pensava. Senza che nessuno riuscì a percepirlo, con due balzi Byron si era portato davanti a lei e senza che Aphrodite se ne potesse accorgere le aveva raccolto la mano candida e l’aveva baciata. “Non sai quale sia l’onore di poter osservare una tale meraviglia della natura, mi prendo il compito di darti il benvenuto nella scuola” disse Byron accrescendo la voce per fare il maschio. Aphrodite mantenne un atteggiamento composto, ma in realtà i suoi pensieri stavano volando nelle più disparate direzioni. “Oh dio! Che gentiluomo, che prestanza, che voce, che ardimento! E dire che pensavo che avrei trovato solo ragazzini, ma lui, lui potrebbe essere forse l’uomo che attendevo, dopo una serie di scarti e uomini così squallidi da buttar via, sento che questa volta potrei farcela a trovarne uno accettabile” pensò lei con la testa che le andava a fuoco. Aphrodite alzò dunque il capo di Byron, che era teso in un inchino e la visione che si trovò davanti era quanto meno oscena, il ragazzo sbavava e la fissava in maniera così volgare da sentirsi violata anche solo da quegli occhi da squalo. “Avanti, non perdiamo tempo, trasformami in un semidio” disse lui e fece per saltarle addosso, ma non appena lo disse ecco che si sentì raggiungere da uno sputo in piena fronte. “Non mi hai lasciato altra scelta, volgarissimo individuo” disse lei con voce soave “Appena finirò di parlare tu diverrai il mio servo e non oserai poggiare un solo dito su di me” Non appena concluse le parole Byron si sentì circondare da un profumo di rose, i suoi occhi si rilassarono, così come i muscoli, davanti a sé c’era ora un prato di rose bianche e al centro del prato, lei, la sua dea, il suo unico vero amore, Aphrodite. Aphrodite osservò orgogliosa Byron diventare uno stoccafisso ingobbito che la fissava con occhi da dinosauro e pensò: “Questa volta era già idiota di suo, il mio potere non ha compromesso proprio nulla” “Byron Love!” urlò una voce femminile addolorata e sconvolta, ma Byron sembrò non sentirla. “Oh Byron, sei un porco, un porco maniaco, lo sapevo che non ero bella a sufficiente per te e adesso stai correndo dietro a quell’oca vestita in pizzo” disse Annie sull’orlo delle lacrime. “A chi avresti dato dell’oca, scusa?” chiese dunque Aphrodite, ma venne bloccata dall’afflato di Byron che vorace ora era aggrappato alla sua gambe mentre ansimava come un serpente. “Non ti ho detto di fare così! Lascia subito la mia gamba, lurido maiale. Perché tutti quelli su cui uso il mio potere diventano incontrollabili idioti!” esclamava Aphrodite disperata e ci vollero cinque buoni minuti per staccare Byron dalla presa e non appena si ritrovò libero, ma ancora completamente ipnotizzato dalla quirk di Aphrodite che in qualche modo l’aveva come addormentato in un mondo parallelo, un mondo però in cui c’era solo lei, unica, meravigliosa, divina, Aphrodite. Un tuono violento lo risvegliò e si ritrovò cosciente scaraventato contro il muro della scuola, aveva persino distrutto una porzione di muro, qualche metro davanti a lui, Annie aveva il pugno coperto di acciaio e schiumava rabbia, ora rossa come una ciliegia. Byron, ora cosciente, non capiva cosa fosse successo e cercò con gli occhi Aphrodite, ma la trovò accompagnata da una schiera di uomini e quello che la stava portando a braccetto, era proprio Cedric che si voltò verso di lui con un occhio sudicio e sporco, per segnalare il fatto che stesse vincendo. Le altre ragazze, Annie compresa, lo superarono senza degnarlo di uno sguardo. “Pensi che sia più carina di me? No dimmelo sul serio, è più carina di me? Io non la trovo così speciale, dai, ma ci sta facendo troppa concorrenza, la devo schiacciare e ridurre in poltiglia” disse la ragazza metallara fuori controllo. “Mel, ti senti bene?” chiese invece una ragazza bionda quasi bianca arrivata da poco. “Eccome, sono pronta ad usare i trucchetti più sporchi per vincere...Cioè volevo dire, ovvio che no, stavo solo scherzando” rispose l’altra dapprima ancora lugubre e inquietante e ora serena e imbarazzata. Byron si fissò sconsolato le punte dei piedi, almeno fino a quando la ragazza animale con cui aveva svolto la prova il giorno prima non si accovacciò accanto a lui, gattonando, e arrivandogli a due centimetri dal viso, era molto carina, sicuramente bellissima, ma lui conosceva bene il suo segreto, il fatto che sotto i vestiti ci fosse un vello da ovino impressionante. Si fissarono per qualche secondo, poi le emise un suono strano e gli rigurgitò addosso una palla di pelo grande come la sua testa, prima di entrare nella scuola correndo sulle quattro zampe. Byron fissò il cadavere che era uscito dallo stomaco della ragazza e concluse che fosse l’inizio perfetto per una giornata di merda.


 

“Ti dico che basterebbe avere un minimo di strategia di squadra per far diventare l’intera casa automobilistica, praticamente imbattibile” disse il ragazzo altissimo, levissimo e secchissimo guardando dalla cima della sua montagna il ragazzo italiano bassissimo. “Ma cosa dici, ma cosa dici, amico mio? Ti chiami Lincoln, giusto? Lincoln, ma pensi veramente che degli italiani, che pensano solo al cibo e alla figa, riuscirebbero a tirare insieme una strategia meccanica migliore di una scuderia tedesca come la Mercedes, la Ferrari in Formula 1 è finita” replicò il ragazzo italiano sconsolato. “Trent, ma questo non è uno spirito patriottico degno di un italiano e poi abbiamo i due piloti migliori del circuito, Leclerc è semplicemente un mostro” “Leclerc ha ancora i denti da latte e poi il migliori pilota in circolazione è un altro e sarà quello che farà vincere alla Ferrari il campionato, superando persino le strategie vincenti della Mercedes” “Eh chi sarebbe Verstappen?” L’italiano fece no con il dito, poi si indico il volto con gli indici e proclamò: “Io sono il miglior pilota del mondo, qualsiasi mezzo di trasporto nelle mie mani diventa un razzo a propulsione” “Scusa puoi mettere il braccio in questo modo?” chiese quindi Lincoln dicendogli di piegarlo come stesse imitando una gallina; Trent eseguì. “Ma va a cagare!” concluse Lincoln direndo di gusto. In classe tutti i nuovi compagni cercavano di fare nuove conoscenze, ora che l’atmosfera era meno tesa e più informale, dopotutto a breve sarebbe iniziata la loro prima lezione e avrebbero conosciuto il loro insegnante responsabile. In ultima fila Percy osservava sereno i suoi compagni, completamente disinteressato alla fase di conoscenza preliminare, dopotutto non amava il rumore, né l’affollamento e quella gente stava facendo conoscenza nel modo più incivile possibile, sembravano dei barbari. Osservò una ragazza leccarsi letteralmente la coscia seduta sul banco, un’altra parlava con voce talmente alta e con tono talmente fastidioso da mettergli in moto il desiderio di sopprimerla, un’altra ancora invece era l’esatto opposto e parlava lentissima con una ragazza completamente ricoperta di colore nero che si spiegava come facesse a starla sentire, pronunciava tre parole al secondo. I maschi però erano ben peggiori, non facevano altro che parlare di quanto fossero belle le ragazze, erano noiosi, grezzi e probabilmente stupidi, si sentiva leggermente superiore a tutto quello e addentò un pezzo di cioccolato. La questione però che più lo lasciava confuso e concentrato era che nella sua stessa classe avrebbe rivisto due persone un tempo molto importanti per lui, ma che adesso gli sembravano come due sconosciuti. Il giorno precedente Cedric lo aveva sfidato apertamente per vendetta, aveva scagliato contro di lui la sua potenza di fuoco e lui, pur di non rispondere alla provocazione, si era lasciato colpire di fatto lasciandosi infliggere danni pesanti, in quel momento avrebbe voluto affrontare Cedric, ma allo stesso tempo non riusciva a capire che cosa fosse giusto fare e aveva finito per non fare niente. Anche allora aveva deciso di non fare nulla e se ne era semplicemente andato, ma ancora era convinto di avere ragione, era Cedric che non riusciva a comprendere che era stato tutto un incidente, ma l’idea di affrontarlo ancora in classe lo metteva in estrema preoccupazione. Rimase nei suoi pensieri per qualche minuti addentando cioccolato, almeno fino a quando non si sentì osservato da vicino e non vide un ragazzo che fissava a due dita di distanza il suo profilo. “Entrare in una nuova classe dopo tanto tempo, mi rende umido” disse un ragazzo con tono vaporoso e candido, aveva un ciuffo biondo gellato che gli copriva parte del viso, un sorriso così strano a sembrare finto sul viso e occhi azzurri che sembravano squadrare ogni singola porzione del viso. Percy non rispose, ma faticò lo stesso a non fissarlo, voleva ignorarlo, ma questo genere di persona sembrava voler proprio essere ignorata. “Sto per dire qualcosa di scioccante, quindi preparati” disse ancora lui e Percy alzò il sopracciglio confuso, erano nell’angolo della classe e nessuno li stava osservando, si accorse ora che quel ragazzo effeminato era seduto con la pancia sul banco. “La tua mascella è veramente lineare, au revoir” concluse lui e Percy rimase colpito e confuso, subito dopo quel ragazzo se ne era andato e lui si trovò a guardarsi intorno come se fosse appena rientrato da un mondo parallelo, chi era quello? Che cosa voleva da lui? Ci stava provando o cosa? “Questo posto è libero?”chiese una ragazza e Percy vide una fanciulla graziosa e dai capelli biondi e lisci, sorridergli con le mani dietro la schiena, indossava una camicia bianca dentro a dei jeans blu. “Beh, sì, lo era, credo” rispose Percy, ancora sconvolto dall’incontro precedente, non sapeva se il biondo avesse reclamato per lui il posto, ci si fosse seduto sopra per sport o altro. “Puoi stare tranquillo, Momo è seduto in prima fila davanti alla cattedra, è così simpatico, io lo trovo divertente” replicò lei e si sedette, poggiando con cura le sue cose sul banco, Percy la trovò gentile e carina, forse questa era normale. “Comunque io mi chiamo Lolly, Lolly Mitchell” si presentò lei e Percy rispose a sua volta. “Oh, ma quindi tu sei il number 1, avrai un sacco di pressioni dopo la performance di ieri” “In realtà no, è un risultato come un altro, era solo un esame” “Ma sentilo, è pure modesto, sono curiosa di scoprire la tua unicità, io ero persino sorpresa di essere passata” disse dunque lei. Percy si trovò imbarazzato, dopotutto le conversazioni con gli sconosciuti non erano il suo forte, sopratutto con le ragazze, l’unica cosa sensata che era giusta far in quella situazione era solo una. Percy la osservò profondo e virile, lei spalancò gli occhi confusa e lui le porse il cioccolato. “Ti prego di accettare questo cioccolato, Lolly” disse lui e lei sorrise prendendo il quadratino fondente. Percy trovò vigore in questo atto per lui di ribellione ed era pronto a prendere in mano la conversazione, fino a quando Lolly non rivelò la sua vera natura. “Dove ho messo la mia agenda?” esclamò lei guardandosi intorno, non trovando il notes da nessuna parta, il tono iniziò a crescere “Dove cazzo è quella stronza di agenda?” Alcuni occhi curiosi si voltarono sentendola parlare in modo così sboccato. “Dio di quel p*rco! Chi cazzo mi ha inculato l’agenda? Ma bastardo il nome di quel legno che me l’ha...” iniziò esclamare a gran voce lei, condendo il discorso con bestemmie, parolacce e pulendosi persino il naso con la mano, i suoi occhi erano persino diventati bianchi, le ragazze che avevano il posto davanti a loro si voltarono sorprese, erano la ragazza lenta per vocazione, Agatha e Ebony, la ragazza modellata nel marmo nero. Percy la osservò imbalsamato, era graziosa, piccola, sembrava gentile, sembrava persino intelligente, ma si era rivelata un demonio, un essere così sboccato e volgare non poteva abitare un involucro come quello. “Ah ops, scusate. L’avevo appoggiata qui sul banco, che stupida!” disse lei con voce ora graziosa e indifferente, sembrava aver dimenticato cosa avesse fatto. “E’ per giunta idiota!” pensò Percy sconsolato. “Forte. Ho imparato una parolaccia nuova” commentò Ebony fredda e distaccata. Byron intanto stava discutendo con Balboa, un tizio così sporco da rivaleggiare l’odore del suo sudore, di quanto fosse ingiusto che il capitale finanziario internazionale fosse raccolto in un fondo in grado solo di servire gli interessi degli Stati Uniti, a discapito dei paesi poveri e del proletariato unito, quando gli passò davanti, silenziosa e con il chiaro intento di non farsi vedere da nessuno, una ragazza dai capelli grigio-bianchi, vestita interamente da suora. “Ehi, tu sei la novizia sexy che ho visto alla stazione! Cioè...volevo dire. Tu sei la la dolce pulzella in cui mi sono imbattuto in stazione, mai stato più felice che una persona cadesse su di me” disse Byron fissandola vorace. La ragazzina minuta lo fissò sconvolta, si chiuse il libro al petto e accelerò il passo verso il banco più vicino. “Aspetta, dai, volevo solo parlare” la rincorse lui, ma lei iniziò a correre per tutta la classe rossa come un pomodoro, mentre Byron cercava in tutti i modi di starle, decise quindi di utilizzare il suo sudore, ma calcolò male l’intervento, lo scatto fulmineo sfiorò appena i capelli della suorina e investì in pieno Ebony che era seduta sul banco. I due si ritrovarono uno sopra l’altra, in una posizione particolarmente oscena. “Clarence, sei qui per salvarmi?” esclamò lei intontita e sognante, nella sua mente vedeva il professore di cui era innamorata sollevarla dalla sabbia in una zona tropicale prima di spremerla come un budino e...ma quando aprì gli occhi c’era solo un ragazzo dagli occhi grandi e dai capelli castani ribelli che la fissava inebetito. “Tu non sei una suora” “Ci mancherebbe anche quella...E tu non sei uno stallone nero” “Perché dovrei essere uno stallone nero?” “Perché dovrei essere una suora?” I due si misero a ridere e si presentarono, Byron percepì il tutto come abbastanza naturale, questa aveva un carattere piuttosto normale e socievole, ma non appena provò a fare conversazione sentì una forte tirata su con il naso e voltandosi vide Annie, che aveva preso posto proprio nel banco adiacente a quello di Ebony. “Sei un porco, non mi hai nemmeno degnato di una parola e io che credevo di poter ricucire il nostro rapporto putrefatto, putrefatto proprio come te” disse Annie malinconica. “Ehi, sei tu che mi hai colpito con il tuo pugno d’acciaio in testa, non credevo che ti andasse di parlare!” replicò Byron e Ebony roteò le sue pupille verdi, che al contrasto con la sua pelle risuonavano come stelle nell’oblio. “Tu hai sbavato su quella Aphrodite sapendo benissimo che era in quel cortile da più tempo di lei, mi ero anche messa il profumo che ti piaceva tanto...” “Aroma di ciliegio in fiore?” “Proprio quello! Ma tu continui a mettere alla prova il mio amore...” sospirò lei e aprì immediatamente gli occhi rendendosi conto di aver detto una parola pericolosa. Annie si sotterrò nel suo rossore e Byron si ritrovò sgomento, Annie gli aveva appena detto che lo amava, così, dal nulla, senza alcuna ragione logica e non sapeva proprio come reagire, tuttavia la situazione fu salvata da una voce che non si era ancora sentita. “Potete fare un po’ di silenzio” disse una voce stanca e vissuta, non aveva bisogno di alzare il tono per farsi ascoltare, sembrava la voce di un cantore, un Bob Dylan adolescenziale. Tutti si ammutolirono e fermarono il loro vociare, Cedric smise di fare lo stoccafisso con Aphrodite che sentiva che questa fosse la volta buona, quel ragazzo con la fascia in testa non era certo elegante, ma sembrava un vero uomo, come ne desiderava da tempo. Con un urlo scimmiesco un ragazzo spesso come una montagna abbatté il braccio del ragazzo lupo che l’aveva sfidato a braccio di ferro, ascoltando anche lui quella voce così matura che aveva svegliato la loro attenzione. Mel che discuteva ora animatamente di trucchi e stile metal con Maxwell che faceva finta di starla a sentire per poter replicare con la composizione chimica del mascara, si voltò per sentire cosa avesse da dire quel profeta. Byron e Annie alzarono lo sguardo fissando l’orizzonte e persino Percy, che si stava grattando il sedere con una matita trovata per terra, osservò con il suo solito sorriso sornione e atarassico cosa avesse da dire quello che fino ad allora aveva solo russato. Aveva capelli lunghi e unti che gli arrivavano fin sotto le ascelle, lisci come spaghetti, neri come le piume di un corvo, il volto era smunto e pallido, non sembrava molto nutrito, occhi circondati da occhiaia e dalla bocca fumo che si perdeva fuori dalla finestra, mentre nella mano reggeva un sigaro. Anche i suoi abiti erano scuri, con una giacca nera curata e stivali neri che gli arrivavano fino a metà polpaccio, seduto sul tavolo fumava, solitario, freddo, superiore, un poeta maledetto in cerca di ispirazione, il suo sguardo perso e intenso sembrava fissare all’interno dell’animo umano, andare oltre il velo di ignoranza per raggiungere il noumeno. “Sapete dove si trova il bagno?” chiese lui con un tono di voce romantico e sofferto, ogni sillaba trasudava nichilismo poetico, quello era senza dubbio un misterioso profeta del teatro della voce. “Che maestà artistica” sospirò Trent, l’italiano osservandolo. “E’ il classico incontro che sogno di fare in una stazione” esclamò invece Lolly estasiata. “Uuuuuun veeeeeeeeerooooooo prooooooofeeeeeetaaaaaaa deeeeellaaaaaaa diiiiiiiicooooooootoooooooomiiiiiiiaaaaaaa deeeellaaaaa moooodeeeerniiiiità” aggiunse infinita Agatha. “Penso che potrei ascoltarlo per giorni” si erse Percy con la sua voce fuori dal coro. Byron prese il coraggio per avvicinarsi all’uomo, che come un avvoltoio appollaiato sui doccioni di una gotica cattedrale sembrava scrutare i loro cuori affranti dalla mortalità della loro esistenza. Byron gli toccò la spalla e tutti sospirarono colpiti. “Superbe!” si alzò Momo con tono femminile vedendo la scena. “Se me lo permetti, ti accompagno, maestro” disse Byron e si percepì la tensione alchemica del momento. Il ragazzo non rispose, spense il sigaro fuori dalla finestra, la richiuse con lentezza e fatica e si alzò dal banco, indicando, chiudendo le palpebre per qualche secondo, che accettava la richiesta di Byron. Logan si sentiva svenire, non riusciva a smettere di dormire, a chi cazzo era venuta l’idea di far iniziare la scuola alle otto del mattino, era già bello per lui stare sveglio e non riusciva quasi a muoversi, né a tenere gli occhi aperti, sentiva che tutti lo stavano osservando perché fosse orribile e impresentabile, stanco e sciatto. Quello che i ragazzi osservavano con sorpresa e ammirazione perché credevano fosse un misterioso cantore notturno, aveva quell’aspetto e quell’aura solo perché ad ogni parola o gesto rischiava di addormentarsi. Byron accompagnò quello che era ormai diventato uno scrutatore dell’anima al bagno, tra i due ci fu un intenso colloquio ottico, in cui Logan si addormentò circa tre volte, mentre Byron lo percepiva come una tecnica dialettica per sindacare la caducità della vita e la ineluttabilità della dea morte. Poi l’unto entrò nel bagno e subito Byron percepì un forte rumore, seguito da un intenso russare. Colpito dallo stimolo di un incontro così intenso, Byron fece per aprire la porta del secondo cesso, ma quando la aprì si trovò davanti la suorina, intenta a pulire la sua cosina dopo aver usufruito dei servizi igienici. Ci fu un silenzio mitologico e rupestre. Poi la poverina iniziò giustamente ad urlare. “Oh mio signore Gesù benedetto! La mia purezza violata dall’immagine del diavolo. Questo serpente tentatore continua a sfidare la mia casta virtù cattolica, non posso che prostrarmi in preghiera e pentirmi difronte a Dio perché lascio che questo demone dello stige cerchi di allontanare la mia via dalla luce dell’altissimo!” esclamò lei tutta d’un fiato e subito dopo le sue mani si incendiarono e scaraventò Byron lontano dai bagni con una fiammata, facendolo atterrare affumicato nel corridoio. Già tre donne su tre avevano usato la loro unicità contro di lui quel giorno, non sapeva se esserne rattristato o inorgoglito.


 

Quando il Professor Clarence entrò in aula subito tutti si misero composti, scegliendo i loro posti preferiti. Davanti alla cattedra si posizionarono Momo Drina e Bernadette Maritain, la suorina con i poteri del fuoco, mentre ai loro lati c’erano le coppie formate da Maxwell Roth e Mel Horowitz e quella composta da Aphrodite e Cedric. Dietro di loro Byron sedeva con Roberlandy, il ragazzo gorilla, al centro Annie con Balboa, il lurido, mentre a sinistra della cattedra Ebony con Agatha. Agli ultimi posti c’erano Percy accoppiato con Lolly, Derriere, la ragazza animale, insieme a Richard Burke che continuava a fissare stupito l’anatomia della ragazza con tanto di stetoscopio e infine Lincoln vicino a Trent, due che non avevano fatto altro che parlare di automobili e infine Russel, l’uomo lupo con Timmy Logan che era stato trasportato in classe dormiente a forza. Tutti si alzarono in piedi all’ingresso del professore, tranne Derriere, Derriere stava masticando il bordo del banco. “Sedetevi pure, ragazzi sedetevi” disse lui era sempre vestito elegante con gli occhiali da sole, il cappello da pescatore e l’asciugamano azzurro sulle spalle. “Mi presento, io sono Clarence e sarò il vostro insegnante responsabile per i prossimi tre anni, potrei iniziare con un giro di nomi e di presentazioni, ma vi conosco già benissimo, so tutto di voi, e preferirei che siate voi a presentarvi in modo particolare. Prima che vi dica che cosa andremo a fare oggi, sarò io invece a presentarmi. Io sono Clarence, insegno qui da cinque anni, prima sono stato un eroe professionista e per chi si ricorda di me il mio nome da eroe era “Superalloy Darkishine”, l’eroe lucido, la mia pelle è sempre cosparsa di olio e sono dunque in grado di scivolare su qualsiasi superficie, allo stesso modo mi rende invulnerabile in quanto qualsiasi colpo avversario scivola a contatto con me. Vi ho detto la mia unicità perché è proprio così che vorrò testarvi oggi, intendo fare un piccolo test atletico per vedere i vostri poteri all’opera nelle diverse situazioni, perciò...” Il suo discorso però venne interrotto da un ragazzo che si era catapultato in aula furioso e con il fiatone. “Mi scusi, signor Clarence! Io dovrei essere qui, in questa aula, al posto di quella stronza con i capelli neri! Mi chiamo Bismarck e ho ottenuto io il punteggio di 110 punti alla prova di ammissione per la HEA. Quella ragazza si è attribuita il mio risultato!” “Ehi! Come ti permetti? Io ho vinto, sono la vincitrice della prova, ho fatto io quel risultato, ho vinto io, ho vinto io e non vedo perché uno sconosciuto mi debba accusare di barare, quando mai barassi, io non baro mai nei giochi” mentì lei che era consapevole di aver compiuto un atto estremo per superare quella prova come si ricordava bene l’identità del ragazzo, quel morso all’infuori era irriconoscibile. “Laida bastarda! Tu lo sai benissimo! Hai scambiato le spille con il punteggio a fine gara, questa è una truffa in piena regola!” replicò Bismarck infuriato. “Aggredita così...mi danno della truffatrice, io che mi sono impegnata così tanto per entrare qui” piagnucolò teatralmente Mel facendo scendere lacrime finte che rigarono le guance di grigio con il suo trucco nero, per poi tornare subito in sé dopo questa messa in sciena “Ma aspetta! Perché infatti ho vinto io e non c’è niente per cui piangere, sono imbattibile, torna alla tua scuola nazionale inglese da quattro soldi” Bismarck provò a replicare, ma intervenne Clarence che lo fermò con la mano. “Ragazzo credi che non abbiamo gli strumenti per verificare che qualcuno avesse barato? Tutti voi eravate ben sorvegliati dal nostro infinito staff burocratico e posso ben dirti di aver esaminato io stesso il comportamento dei miei 20 studenti. Mel non ha barato in alcun modo ha semplicemente usato la sua unicità e dopo aver esaminato l’accaduto abbiamo deciso in consiglio d’istituto di accettarla in quanto ha sfruttato in piena regola il suo potere, singorina Horowitz se vuole spiegare a questo ragazzo come ha vinto gliene sarei grato” Mel si alzò, ben felice di essere al centro dell’attenzione. “Io possiedo un set di trucchi completo, la mia unicità consiste nel fatto che se io riuscissi a sfiorare anche solo un piccolo spicchio di pelle con uno di questi trucchi, che sia ombretto, rossetto o mascara, io sarò in grado di assumere la forma di quella persona, in tutto e per tutto, mi è bastato assumere la tua forma e concludere la prova con una misera kill in più della tua per arrivare al punteggio di 111, uno in più di te, dopotutto sono riuscita a replicare anche il sensore sulla tua maglietta, rilassati, ragazzo, hai perso e io ho vinto, quanto mi piacciono i giochi” spiegò lei estatica e anche un po’ spaventosa. “Da adesso ci penso io a risolvere questa cosa, vi prego di aspettarmi nella sezione sportiva per il test” disse quindi Clarence e il gruppo, guidato da una Mel vincente si diresse alla zona indicata. Quando arrivò il professore disse loro che avrebbe voluto vedere all’opera i loro quirk nelle diverse discipline sportive, i ragazzi erano tutti curiosi di poter finalmente vedere le abilità degli avversari. Byron si dimostrò impareggiabile nella corsa, una volta indossato il maglione, anche se non al massimo della forma, riuscì a concludere la prova dei cento metri in 2.13 secondi, ma Percy non era molto lontano, nonostante non avesse assunto un valore completo di cioccolato riuscì a concludere in 3.54 secondi la prova, due tempi che lasciarono il resto degli studenti scioccati. Dopotutto Percy era tra i primi in quasi tutte le prove, ogni volta che si apprestava a eseguire un gesto atletico, la sua muscolatura si gonfiava e diventava un vero e proprio Achille Pelide, in quel momento il suo corpo iniziava a smaltire gli zuccheri del cioccolato velocemente dando a Percy un energia tale da fargli compiere un esercizio del salto in alto di 43 metri. Ma mentre loro osservavano il fisico scultoreo di Percy, Byron faceva un salto di 81 metri nella prova del salto in lungo. Gli altri avevano unicità meno improntate sulla velocità. Cedric palleggiò con il peso da dodici chili come fosse una palla da basket per diversi minuti prima del suo lancio, quando poi si trovò a scagliare fece un lancio di 623.98 metri, il record del giorno in quella disciplina. Annie Hagi aveva la capacità di trasformare il suo corpo interamente in acciaio indistruttibile, questo le aumentava anche di un discreto livello la forza, fu tra i migliori nel sollevamento pesi, arrivando ad alzare 221 kg di bilanciere. In questa disciplina, oltre a Percy, brillarono anche coloro che della forza bestiale potevano scrivere un manuale. Davanti a tutti Roberlandy si trasformò in un gorilla di tre metri, i suoi vestiti si strapparono e divenne un vero e proprio scimmione che sollevò tre tonnellate come se non fosse nulla. Anche Derriere non si fece pregare, quando si preparò per sollevare il suo bilanciere, anche i suoi muscoli si dilatarono e si gonfiarono, il suo fisico divenne spesso e quasi mostruoso e intorno ai suoi occhi la pelle divenne di color livido. Con una sola mano sollevò due tonnellate senza nessuna fatica. Quando toccò il turno della prova sui 1000 metri tutti scattarono al via, Momo Drina e Timmy Logan, partirono lentissimi e subito vennero staccati da Aphrodite e Balboa, ben più atletici. Chi invece rimase fermo alla linea del traguardo fu Trent Marciano che estrasse un phon da una bisaccia. “E’ l’unica cosa elettrica che ho trovato di elettrica negli spogliatoi, ma adesso vi farò vedere io che unicità straordinaria possiedo” disse Trent agguerrito. Mise il phon in mezzo alle gambe con il becco rivolto all’indietro e la spina per la corrente nella mano destra, dopo qualche secondo di attesa il phon sembrò prendere vita, emesse una fiammata e scattò ad una velocità impressionante tagliando il traguardo in una trentina di secondi e lasciando gli avversari scioccati. “Questa è la mia tecnica segrete. Ultimate Rider!” esclamò lui e tutti lo circondarono per conoscere i dettagli del suo potere, in pratica era in grado di convertire qualsiasi oggetto dotato di circuiti in un veicolo di estrema potenza e velocità, almeno fino a non superare il carico di rottura, il phon infatti era esploso subito dopo bruciandogli il sedere. Tutti ebbero l’occasione di mostrare il loro potere, anche se molti non erano indicati per le discipline, tranne Momo Drina, lui non si aveva la minima idea di cosa fare, si limitava a fissare la gente con sorriso liquido, per poi dire frasi del tipo: “Fai in fretta che poi ci sono io” “Siete pronti a vedere un performer all’opera” Per poi fare inesorabilmente delle figure e dei risultati pessimi. Timmy Logan, che insistette per essere chiamato per cognome e non per nome, aveva la capacità di far addormentare gli altri con uno sbadiglio, sbadigliando in faccia ad Aphrodite l’aveva fatta appisolare per qualche ora nell’erba, salvo poi addormentarsi lui stesso per quasi quattro ore nella sabbionaia del salto in lungo. Balboa più era ubriaco più i suoi sensi diventavano sopraffini, un lancio sbilenco di Annie con il giavellotto, fu schivato da lui di spalle, senza nemmeno vedere da dove provenisse la lancia, solo perché aveva bevuto appena prima dalla sua fiaschetta segreta. Maxwell Roth che non sembrava in grado di far nulla se non decomporsi e passava le ore a lamentarsi per dolore generici, chiedendo di essere portato in ospedale perché si sentiva il braccio amputare, invece rivelò un potere sconvolgente. Emettendo un rutto di fuoco e dando le spalle alla pista del salto il lungo, con la fiammata e il il colpo d’aria del rutto riuscì a compiere un salto di 30 metri senza sforzo, e, come sottolineato da lui, senza l’utilizzo di bibite gassate. Bernadette passò tutto il giorno in preghiera a espiare i suoi peccati e così Lolly, la bionda, che oltre a essersi ustionata al sole, mostro il suo potere, i suoi capelli erano così biondi da essere un pannello solare che maggiore era la luce che li colpiva maggiore erano i raggi che lei era in grado di propagare come onda d’urto, con la possibilità anche di accecare. Per questo girava con un ombrellino di Hello Kitty, sporconando di tanto in tanto. Richard, invece, correva da una parte all’altra del campo millantando esperienza medica, in due ore diagnosticò a Annie di essere in cinta di quattro gemelli per un dolore addominale, disse a Cedric che il prurito al collo era un sintomo della peste e la ciliegina sulla torta fu quando disse a Bernadette che il fatto che avesse i capelli grigi non era una punizione del signore dio, ma una rivincita della natura sul fatto che fosse una bigotta cattolica, causando un suo pianto inconsolabile. Tuttavia mostrò estrema abilità nel suturare una sbucciatura solo imponendo le mani, salvo poi vomitare impressionato. Lincoln invece poteva allungare una parte del corpo alla volta a piacimento, si divertiva a rubare il cappello a Trent e a nasconderlo sulle fronde di un albero, salvo poi finire picchiato dall’italiano, era alto, ma era debolissimo. Ebony aveva il quirk di fondersi con qualsiasi oggetto nero e prenderne il controllo, di fatto non le serviva a molto in questo ambiente, ma non le importava, passò tutto il pomeriggio a fissare i muscoli di Clarence. Anche Mel confermo ai curiosi la sua unicità, truccando appena il viso di Annie, riuscì a ottenere le sue sembianze e perfino a sollevare il suo stesso peso, confermando che fosse in grado anche di replicare i quirk. Ma il momento più epico fu quando, dopo averci messo quattro ore a raggiungere il campo sportivo, quando gli altri erano già arrivati dalla mattina e dopo averci messo un’altra ora per raggiungere la postazione del lancio del giavellotto, ormai a fine giornata e mentre tutti si mostravano stanchi, Agatha, prese in mano la lancia e dopo un rumore esplosivo la scagliò a 4 km di distanza. “Avete visto tutti? Avete visto il mio quirk! Sono o non sono speciale?” disse poi lei voltandosi e parlando assolutamente normale, senza nessuna lentezza e con un cadenza regolare. Spiegò poi che più riusciva a muoversi sotto un particolare indice di velocità, più accumulava energia che era in grado di sprigionare grazie ai suoi guanti, fabbricati apposta per lei. Per tutta la giornata avevano testato le loro abilità, si erano conosciuti e avevano fatto amicizia, proprio come dei veri compagni, di classe, non era importante che in futuro sarebbero forse diventati eroi, l’importante era che insieme forse sarebbero diventati amici. Mentre iniziavano a congedarsi ecco che Cedric toccò la spalla di Percy. “Dobbiamo parlare” gli disse il rosso, prima di entrare per primo negli spogliatoi.

   
 
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