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Autore: _aivy_demi_    21/11/2019    38 recensioni
Una ragazza sbadata, disordinata e senza alcun pelo sulla lingua.
Un ragazzo famoso, allontanatosi dalla propria città in cerca di qualcosa.
Si incontrano, si detestano fin da subito.
Una simpatica commedia romantica het piena di malintesi, incontri fortuiti (e non), umorismo e una punta di ironia che non guasta mai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13 - Opposites attract? Or who looks alike?



Aya l’aveva già chiamata al cellulare almeno tre volte: strano, non era da Raon dimenticare completamente di vivere nell’epoca digitale. Scrisse un paio di parole inviandogliele rapidamente per poi tornare al tomo voluminoso che la stava aspettando in biblioteca. Studiare era diventato ostico in facoltà, quindi s’era accordata con l’amica per poter procedere con la preparazione dei futuri esami incontrandosi di fronte al palazzo storico in centro città, per poi passare i pomeriggi a prendere appunti, annotare, studiare ed imprecare fino a sera.
Primo appuntamento ufficiale di studio andato in fumo. Scoraggiata riprese il volume tra le mani, saggiandone la consistenza ed il peso considerevole, e gelide le parole del professore del corso continuavano a ripetersi nella sua mente, con il tono di una condanna: “ogni singola immagine. Dovrete essere in grado di riconoscere, datare e collocare ogni singola immagine di quelle presenti, altrimenti non passerete l’esame.”
Trecentoventiquattro manufatti di vario genere appartenenti alla civiltà greca e romana.
Trecentoventiquattro.
Rabbrividì alla sola idea di dover memorizzare ogni figura, nome, anno. Impossibile.
Si stiracchiò sfiancata alla sola idea di ciò che avrebbe dovuto fare nei prossimi giorni, stampandosi sul volto la copertina del quaderno di appunti attirando l’attenzione del ragazzo che le sedeva accanto. Silenzioso, contrariato, le sopracciglia contratte: la fulminò con lo sguardo prima di immergersi nuovamente nel proprio lavoro. Lo fissò per un attimo constatando quanto le ricordasse Raon, forse per i tratti tipici orientali, forse per l’immenso odio che era stato capace di dimostrare in un solo battito di palpebre. Cercò di scusarsi con un rapido gesto della mano, ricevendo di rimando una sorta di sbuffo indefinito. Sì, una versione di sesso maschile dell’amica, non avrebbe mai trovato paragone più azzeccato di quello. Un leggero senso di vergogna – leggero – l’avvolse facendola arrossire e portandola a spostarsi nuovamente, approfittando di leggere un paio di notifiche apparse sullo schermo dello smartphone. Si stupì nel constatare l’identità del mittente.
Josh.
L’aveva contattata chiedendole semplicemente di uscire. Un paio di emoji dallo sguardo accattivante, un testo semplice, diretto, efficace. Represse un sorriso che tentava di strapparle le labbra ai lati e si fiondò a recuperare il materiale, dimenticandosi di mantenere il dovuto silenzio. Uno nuovo mugugno attirò la sua attenzione, il suo vicino mostrò disappunto scuotendo il capo; Aya non ci fece poi tanto caso, semplicemente mimò un ennesimo “scusa” con le labbra per poi andarsene. Non aveva fatto tutta quella confusione, perché ricevere un trattamento simile? Varcò la soglia dell’edificio cancellando dalla mente immediatamente la figura di quello studente spocchioso che non tollerava neppure il battito d’ali di una mosca, e registrò un messaggio vocale da spedire a Josh. Tanto, che altro avrebbe potuto fare? Raon sicuramente non l’avrebbe raggiunta ormai, tanto valeva prendersi una pausa approfittando di una buona compagnia.


«Raon, mi spieghi come fai a dormire così tanto? E poi dove sei stata ieri sera? Non ti ho sentita tornare.» Han tentava di attirare l’attenzione della sorellina sventolandole davanti agli occhi una mano come a richiamarla da un altro mondo a cui non apparteneva. La trovava strana, inquieta e silenziosa, un campanello d’allarme da non dover assolutamente trascurare: la solita vivace ragazza che non lo lasciava stare neppure nei momenti più delicati non lo degnava neppure di uno sguardo, di una minima attenzione.
Neppure il pranzo stava risvegliando il dovuto interesse, le papille gustative stavano ancora riposando evidentemente.
«Allora? Credi che non possa far parte della ristretta cerchia dei tuoi pensieri privati? Raon? Ohi?»
Nulla da fare, le occhiaie parlavano per lei.
«Tieni, almeno beviti un caffè.»
Caffè.
La parola aveva acceso un bagliore in quegli occhi spenti dalla troppa stanchezza e dall’irritazione irragionevole che non voleva andarsene; sollevò il volto come distolta da uno stato di ipnosi indotta, illuminandosi alla vista della tazzina fumante: una manna dal cielo, un dono di un’entità superiore che aveva le sembianze del fratello maggiore. Caffè.
Caffè.
Si alzò di scatto ustionandosi la lingua, senza neppure dire una parola, imprecando contro se stessa e il suo dare troppa attenzione ad Åsli tanto da non permetterle di dormire, e conseguentemente non sentire la sveglia. La connessione le riportò automaticamente una interazione precisa in testa: caffè, appuntamento con Aya, studio in biblioteca. Aveva completamente rimosso il programma del giorno, e senza neppure pensarci corse in direzione del centro cittadino, dimenticando di fatto il libro sulla scrivania e ricordando di recuperare solamente il cellulare; tentò di contattare l’amica con un rapido scambio di messaggio, ma non vennero neppure visualizzati. Solo dopo riprese la lettura delle conversazioni ricevute, e la notifica delle chiamate.
Che idiota.
Si sentiva un’imbecille sbadata e pasticciona, tanto fissata su un discorso affrontato la notte precedente da non riuscire a concentrarsi su altro. Correva nella speranza di non ricevere la solita strigliata da parte della compagna di corso che sicuramente la stava ancora aspettando. Correva col fiatone, tentando di inventarsi una scusa plausibile.
Sono stata sveglia tutta la notte a leggere le nuove scan.
No, plausibile ma non credibile fino a quel punto.
Sono stata sveglia a studiare fino all’alba.
Non ci credeva nemmeno lei.
Ho avuto l’indigestione.
Forse quella era la migliore, probabilmente la più verosimile.
In realtà sono stata con Åsli: era ubriaco, mi ha baciata, l’ho baciato, l’ho mandato a fare in culo, l’ho visto piangere. Ho capito che è un vigliacco, uno che cede facilmente e che difficilmente riesce ad essere equilibrato.
Bacio.
Si fermò sentendo il calore improvviso salirle alla testa, non certo per lo sforzo fisico.
Bacio.
Si riprese con un respiro profondo, ricominciando a correre per la stradina laterale che aveva inforcato quale scorciatoia. Il sapore di sigaretta e di alcool, non dei più buoni, anzi, però era stato il loro primo contatto tra labbra.
«E l’ultimo!» L’affermazione le uscì nel modo più naturale possibile, prendendo alla sprovvista una vecchietta a cui cadde dalla mano una borsa della spesa. Si chinò ad aiutarla scusandosi più e più volte, senza notare Aya e Josh che stavano passando a pochi metri da lei, ridendo come una coppia di vecchi amici. Si diede della stupida riprendendo il passo rapido giù per la lieve discesa e voltandosi di scatto andò inevitabilmente a scontrarsi con un passante, cadendo rovinosamente a terra. Imprecò ancor prima di aprire gli occhi.
«Ehi, tutto ok?»
La cadenza straniera leggermente marcata nella voce colse la sua curiosità, portandola ad aggrapparsi senza timore a quelle lunghe dita affusolate che s’erano sporte come appiglio, un aiuto.
Il suo stesso accento.
Erano anni che non sentiva una parlata simile, una tale sensazione di casa, di famiglia, di papà che ancora utilizzava qualche parola giusto per non dimenticare le proprie origini, le loro.
Spalancò le palpebre verso il malcapitato che l’aveva praticamente scaraventata a terra – no, non lei, non colpa sua che stava correndo come una forsennata senza neppure guardare davanti a sé – e due iridi scure e luminose la stavano scrutando preoccupate. Stava tentando di scusarsi in qualche modo al posto suo?
«Sicura di non esserti fatta male?»
Aveva battuto il fondoschiena sul duro porfido, certo che s’era fatta male, che domande. Aveva pure appoggiato male la caviglia e le stilettate di dolore le stavano dando una fastidiosa scossetta dai nervi del piede fino alla colonna vertebrale; non lo avrebbe ammesso comunque, non con uno sconosciuto. Si issò stringendo i denti non curandosi però di mascherare il disappunto scavato nelle sopracciglia aggrottate. Perse l’equilibrio colta da una seconda fitta acuta.
«Ehi!»
Temeva di cadere di nuovo Raon, quando si sentì sollevare con facilità da una stretta forte e sicura. Calda. Avvolgente.
«Così mi fai preoccupare, devo portarti in ospedale?»
Incontrò per sbaglio quegli occhi così simili ai suoi.
Tre secondi, quattro secondi.
Troppi, troppo contatto.







Nota dell’autrice (ahhhh, ma allora ti ricordi di avere una long da portare avanti!)
Buonaseeera, eccomi qui pronta e carica, piena di ispirazione e con tante cose da fare – e naturalmente poco tempo per portarle avanti. Ed ecco che è arrivato un nuovo personaggio, e la faccenda mi sa che comincia a farsi delicata qui.
Dai, quante possibilità ci sono che Raon si perda immensamente in Åsli chiudendosi automaticamente a riccio? Soprattutto dopo come l’ha trattata. È libera, impulsiva, emotiva. Uno sguardo un po’ troppo intenso mi sa.
Grazie a tutti voi, le vostre letture silenziose, i vostri commenti, le vostre interazioni nelle chat e sui blog mi aiutano a radunare le idee e andare avanti sempre con entusiasmo: siete il mio caffè bollente ragazzi!
Alla prossima,
-Stefy-

 
   
 
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