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Autore: IndianaJones25    27/11/2019    3 recensioni
Dopo quasi quarant’anni, Indiana Jones fa ritorno sulle alture interne del Perù per raggiungere ancora una volta il tempio dei Chachapoyan dove, in gioventù, tra mille difficoltà, rinvenne l’idolo d’oro della fertilità. Ma nel tempio era celato molto più di una piccola e semplice statua d’oro, qualcosa di davvero unico e prezioso: un sorprendente segreto, rimasto custodito in quel luogo per migliaia di anni, che l’anziano archeologo intende finalmente riportare alla luce.
In questa nuova occasione, però, ad accompagnarlo ci sarà sua figlia, perché solo unendo le forze i due Jones potranno svelare quell’antico mistero, che sembra provenire da una galassia lontana lontana...
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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5 - RICORDI PIRATA

          La conversazione tra padre e figlia si sarebbe certamente protratta ancora a lungo, andando a toccare chissà quali e quanti argomenti, se, ad un certo punto, il latrato di Chewbacca non li avesse raggiunti, distraendoli da ogni altro pensiero.
       «Warhh aarrhhh» disse il Wookiee, agitando le lunghe braccia nella loro direzione ed invitandoli ad avvicinarsi senza timore.
       Katy non ebbe alcun bisogno di aspettare che suo padre le traducesse quei ringhi di solito incomprensibili, perché il messaggio fu chiarissimo: tutto il contenuto della base sotterranea, ormai tornata ad essere niente altro che una cavità incastrata nel sottosuolo e fiocamente illuminata solo dalle luci accese a bordo della nave spaziale, era stato stivato sul Millennium Falcon e, adesso, erano finalmente pronti per partire.
       Mancavano solamente loro due, che non persero certo tempo ad alzarsi in piedi e a dirigersi insieme verso l’imponente - e un po’ scassata - astronave.
       Entrambi furono invasi da un’emozione senza pari, perché un’esperienza simile a quella che sarebbe capitata di lì a breve non l’avevano mai neppure sognata, ne erano certi. Era un po’ come poter dire di essere andati al cinema a vedere un film di fantascienza ed essere entrati nello schermo, tra gli alieni ed i dischi volanti. Un’idea da far aumentare notevolmente i battiti del cuore.
    E lo stesso discorso valeva tanto per Katy che, dopotutto, era alla sua prima uscita sul campo, quanto per Indy che, al contrario, poteva vantare un curriculum niente male, in fatto di vicende straordinarie; ma neppure un avventuriero scavezzacollo come lui avrebbe potuto raccontare di aver mai vissuto prima qualcosa di anche solo lontanamente simile a ciò che stava per accadere.
       «Ho il cuore a mille, Old J» confessò la ragazza, mentre l’astronave si faceva sempre più vicina.
       «Allora siamo in due» si aggiunse l’archeologo.
       A dire il vero, a quanto pareva, per Indiana Jones quella non era affatto una cosa nuova, dato che in un’altra vita salire e scendere dal Millennium Falcon per gettarsi tra le stelle era stata praticamente la quotidianità, per lui; ma, ormai, i ricordi di Han Solo erano tornati ad essere fievoli lampi incomprensibili e, ne era certo, molto presto di essi non sarebbe rimasto proprio più nulla, se non qualche rimembranza negli atteggiamenti e nella strafottenza che lo contraddistinguevano. E non avrebbe affatto saputo dire se fosse per la trepidazione della novità o per la commozione del ripetere un gesto antico e abituale che le membra gli tremavano tanto forte, al punto che dovette stringersi le mani per poterle in qualche maniera controllare.
       «Mi sembra di essere tornato bambino, quando con il mio cane Indiana andavo ad esplorare Princeton e, in ogni angolo, riuscivo a vedere qualcosa di straordinario» ammise, con tono cupo e basso, continuando a torcersi le dita delle mani quasi con nervosismo. «Era tutto straordinario e… e adesso è proprio come allora.»
       Anche Katy, dal canto suo, si sentì scuotere tutta man mano che i loro passi li portavano verso Chewbacca e la nave spaziale, sempre più vicini e imponenti; dire di avere il cuore a mille le sembrava quasi un eufemismo: se lo sentiva battere impazzito in gola, semmai, e non si sarebbe affatto stupita di vederselo schizzare fuori dal petto.
    Del resto, quel suo stato d’animo era decisamente comprensibile.
       Lei, che fino ad un mese prima era stata niente altro che una brillante studentessa che soffriva per il conflitto continuo con le proprie compagne di scuola - e che, ancora, non era riuscita a superare quello adolescenziale con il proprio corpo, come dimostrò il pollice che si portò alle labbra per cominciare un’altra volta a mangiucchiarsi l’unghia - ora stava per vivere qualcosa che le avrebbe cambiato l’esistenza fin nel più profondo del suo animo, aprendole una percezione maggiore sull’intero universo.
    Sembrava che, tutto ciò che aveva vissuto fino a quel giorno, fosse ormai lontanissimo: la scuola, i litigi con Elaine, il conforto che le dava Lorene… ecco, forse solo Lorene avrebbe continuato ad occupare per sempre un posto importante nel suo cuore, qualsiasi cosa fosse successa, ovunque fosse andata.
    Ma era proprio come se ci fossero due Katy: quella del passato, sempre pronta ad alzare le mani per far valere i propri diritti e che, dopo, trovava consolazione nel dolce abbraccio della sua più cara amica, quella stessa amica che, baciandola, l’aveva gettata in una confusione da cui non era ancora riuscita ad emergere; e quella del presente, che si stava rendendo davvero conto di quanto il mondo, e l’universo con esso, fosse più grande di lei, pieno di misteri ancora tutti da scoprire. E, allora, chissà come sarebbe stata la Katy del futuro?
       «Ma, secondo te, stiamo sognando?» domandò a suo padre, quasi incredula. «O è tutto vero?»
       «Tu che ne dici?» chiese invece lui, cercando di restare impassibile ma non riuscendo a trattenere un sorrisetto.
       «Be’, io…» Per una volta, anche una chiacchierona come lei doveva ammettete di essere rimasta senza parole.
       Era giunta lì in Perù sicura che, grazie a suo padre, avrebbe vissuto una grande ed indimenticabile avventura, ma doveva ammettere che, questa, batteva proprio tutte le fantasie che aveva costruito a riguardo. Passare da una scoperta archeologica a vivere in prima persona quella che sarebbe potuta sembrare la scena tratta da un film di fantascienza non poteva certo essere considerata la stessa cosa, e la fece impressionare a tal punto che, senza volerlo, si morse così forte il dito che ancora teneva in bocca da farselo sanguinare.
       Senza badarci, succhiò adagio la ferita e se la tamponò contro la camicetta, mentre seguiva a piccoli passi Old J che, adesso, si dirigeva come ipnotizzato verso la rampa d’accesso del Millennium Falcon, ai cui piedi lo attendeva il Wookiee. C-3PO ed R2-D2 erano già saliti a bordo, in attesa del decollo.
       «Raahhh» commentò Chewie, adagio.
       Indy non rispose, sollevando con ammirazione lo sguardo verso l’ingresso della nave spaziale. Lo stomaco sembrò fargli una capriola nel ventre mentre si fermava, incapace di continuare. In qualche modo, era come se stesse tornando a casa, una casa da cui era mancato per anni… anzi, per interi millenni. Cos’avrebbe trovato, dentro? Tutto sarebbe rimasto come lui l’aveva lasciato o non avrebbe riconosciuto più nulla?
       Un tocco delicato sulla mano lo fece voltare. Katy era dietro di lui e lo guardava con un sorriso incoraggiante, quasi che si fossero invertiti i loro ruoli: adesso, era lui il bambino da spingere verso qualcosa di nuovo e lei la mamma pronta a stargli vicino per rassicurarlo.
       Insieme, tenendosi per mano, risalirono piano, quasi con solennità, la rampa metallica, che risuonò sotto i loro piedi, provocando un’eco che rimbombò per tutta la volta della caverna ormai spoglia ed immersa nell’oscurità che, dopo la loro partenza, vi avrebbe regnato incontrastata per sempre, insieme al silenzio più assoluto. Quando anche Chewbacca entrò nella nave, il rumore dei suoi passi pesanti si fece udire ancora più forte.
       Seppure quella fosse la prima volta in cui saliva a bordo del Millennium Falcon, perlomeno in questa vita, Indiana Jones sapeva esattamente dove dirigersi. Con calma e lentezza, volgendo lo sguardo in ogni direzione, quasi cercasse di riappropriarsi metro dopo metro di ogni singolo dettaglio, guidò la figlia lungo i corridoi ricurvi della nave, ridestando dentro di sé ricordi antichissimi.
    All’interno faceva molto freddo, una cosa del tutto comprensibile, dato che la nave era ferma in quell’umida e gelida grotta da chissà quanto tempo, forse da secoli, se non addirittura da millenni interi; eppure, padre e figlia non badarono minimamente al clima, venendo immediatamente rapiti dalla contemplazione di tutte le meraviglie che li circondavano da ogni parte.
       Tra pannelli di controllo, porte automatiche, lucette di tutti i colori, tubi di vario tipo e dimensioni, vani nascosti di cui conosceva alla perfezione l’ubicazione e scalette che scendevano verso il basso o salivano verso l’alto, ad Indy parve di rivivere momenti lontanissimi ma mai veramente dimenticati, come ricordi soltanto assopiti ma sempre pronti a rispondere all’appello: il contrabbando della migliore spezia della Galassia, le fughe precipitose dai caccia stellari dell’Impero, le lotte per la Ribellione… e, poi, i bonari punzecchiamenti con Lando… la complicità inossidabile con Chewie… le schermaglie amorose e colme di passione con Leia…
       Erano tutti nomi e reminescenze che appartenevano a quell’Han Solo che lui non aveva mai conosciuto e che, però, viveva ancora dentro di lui, parte della sua stessa anima, in maniera inscindibile dalla sua volontà. Ricordi che si risvegliavano per una luce inaspettata, prima di tornare ad addormentarsi nuovamente, in attesa di essere richiamati ancora una volta in superficie.
       «Questo posto è fantastico» mormorò Katy, incantata, facendo scorrere lo sguardo in ogni punto che le fosse possibile raggiungere. «Ma è tutto vero?» domandò di nuovo, incapace di trattenersi. «O è solo un sogno?»
       Per la seconda volta, Indy non seppe esattamente che cosa dire.
       Lui, che aveva sempre un’irriverente battuta pronta, lui che fin troppo spesso si lanciava in lunghissimi e soporiferi monologhi dimenticando di non essere seduto alla cattedra della sua aula universitaria, lui che aveva sempre a portata di mano una spiegazione logica per tutto, adesso non sapeva che cosa dire, mentre procedeva adagio nelle viscere di quella nave spaziale, stringendo nella sua grossa e callosa mano quella piccola e sudata della figlia.
       Abbassò gli occhi su di lei ed incontrò il suo sguardo luminoso.
       «Tu che ne dici?» si limitò a chiederle, esattamente come aveva fatto pochi minuti prima. «Rispondimi, dai. Almeno, provaci…»
       Questa volta, Katy non sembrò più avere alcun tipo di dubbio.
       «Io… io penso che sia tutto reale» esclamò, vivacemente, allungando una mano per toccare una leva accanto ad un monitor su cui lampeggiavano delle scritte in una lingua sconosciuta, che aveva attratto la sua attenzione.
       «Rahhh!» si agitò subito Chewie, per fermarla.
       «Quello è per aprire i portelli delle stive e liberare il carico in caso d’emergenza» spiegò Indy, con un ghigno. «È meglio non toccarlo o bisognerà ricominciare da capo a riportare tutto a bordo. Che cosa mi dicevi?»
    «Dicevo che è tutto reale» riprese Katy, allontanando la mano dalla cloche per poi poggiare le dita sul freddo metallo che rivestiva le pareti. Aveva il fiato corto: e chi non lo avrebbe avuto, in una situazione come quella? «I sogni non sono mai così reali, giusto? E non si condividono, questo è certo.»
       Suo padre annuì, fermandosi davanti ad una cabina la cui porta sembrava non essere stata toccata da lungo tempo. La sua espressione si fece all’improvviso più seria, quasi triste, mentre alle loro spalle, udirono Chewie emettere un lieve sospiro colmo di malinconica rassegnazione.
       «Qui dormiv…» Jones, la voce bassa e rauca, si corresse in tempo prima di dire “dormivo io”. «Qui dormiva Han Solo. Questa era la cabina personale del capitano del Millennium Falcon, tanto tempo fa.»
       Quell’affermazione così sicura non sfuggì a Katy.
       «Come puoi esserne così certo?» gli domandò in tono aspro, come se fosse seccata per qualcosa. «Non ci sono targhette o segni distintivi! E non venirmi a raccontare che è per via delle tue capacità di archeologo, come quando hai trovato in un lampo il passaggio per scendere nel tempio! Questa volta non attacca, Old J!»
       Il vecchio fece un leggero sorriso, sfiorando delicatamente la porta idraulica della cabina.
       «No, certo che no. È una cosa che so e basta…»
       Entrambi si voltarono all’indietro, per chiedere una conferma - od una smentita - all’unico che avrebbe potuto darla. Ed il Wookiee, intuendo il motivo dei loro sguardi interrogativi, annuì piano, prima di aggiungere: «Graahh… fffuuu… wuu.»
       «Be’, amico mio, lasciare un posto a fare la polvere per così tanto tempo non è un bene» replicò Indy, parlando con una delicatezza che non gli era affatto consona. «Bisogna riuscire a superare tutto e ad andare avanti, lo sai bene.»
       Detto questo, allungò la mano libera - con l’altra, continuava a stringere quella piccola e delicata della figlia - per premere il pulsante che apriva la porta della cabina. Con un cigolio sinistro, l’uscio automatico si spostò di lato, facendo giungere alle loro narici un odore di muffa e di stantio.
       «Che cos’ha detto?» domandò Katy, incuriosita.
       «Mi ha spiegato che, dopo la morte di Han Solo, la sua sposa fu l’ultima ad entrare qui dentro, qualche tempo più tardi. Dopo che lei ne fu uscita ed ebbe richiuso la porta, lui non se la sentì più di riaprirla. In pratica, da quel giorno, nessuno ha mai più messo piede qui dentro.»
       «E non pensi che dovremmo rispettare anche noi quella decisione, Old J?»
       Indy sospirò profondamente, gettando un’occhiata oltre la soglia avvolto dall’oscurità.
       Da archeologo quale era, non si era mai fatto alcun tipo di scrupolo nel violare antiche tombe che, in teoria, avrebbero dovuto custodire in pace i loro occupanti per tutta l’eternità. Ben più di una volta, inoltre, si era visto svanire sotto gli occhi i miseri resti di uomini e donne che credevano di poter riposare per sempre senza più essere disturbati da nessuno, nelle loro dimore di eternità.
       Questa volta, tuttavia, a spingerlo non era per nulla la sua curiosità accademica, bensì il desiderio di entrare in quella stanza che, tanto tempo addietro, aveva chiamato sua. Non seppe come spiegare questa stranissima sensazione alla figlia, perché Han Solo continuava a riemergere, dentro di lui, e vedeva come proprie e conosciute cose che, invece, gli erano del tutto estranee e non gli appartenevano.
       Sentendo di dover compiere quel primo passo da solo, si liberò con gentilezza dalla presa di Katy e varcò l’ingresso della cabina in cui Han Solo aveva dormito e, soprattutto, amato un considerevole numero di donne provenienti dai più lontani pianeti. Con qualche sfarfallio per non essere più stata utilizzata per tanto tempo, una luce automatica si accese al suo passaggio, illuminando la piccola e quasi disadorna stanza.
       Una sedia di metallo, proprio come il tavolino su cui erano appoggiati una sorta di computer - non avrebbe altrimenti saputo come definire quell’aggeggio piatto con uno schermo nero che, Indy lo sapeva benissimo, aveva raccolto le memorie del capitano - una medaglia dorata ed altri piccoli oggetti che non riuscì a riconoscere, un armadio a muro pieno di vecchi abiti ammuffiti, una brandina su cui erano ripiegati una camicia bianca ed un gilet nero ed una seconda porta che conduceva al piccolo bagno personale - poco più grande di un semplice vano doccia - era tutto ciò che costituiva l’arredamento della cabina.
       Eppure, la vista di quei poveri oggetti risvegliò qualcosa di ancora più intenso dentro l’archeologo, dandogli l’impressione di aver ricevuto un fortissimo colpo al cuore. Per un momento, sentendosi avvolgere da un’ondata di panico, ebbe il timore di essere in preda ad un infarto, perché il respiro nel petto gli si fece affannoso ed un dolore improvviso lo costrinse ad annaspare e ad afferrarsi allo stipite della porta per evitare di crollare al suolo.
       Poi, però, tutto si calmò e, all’improvviso, non fu più se stesso, non fu più il vecchio brontolone, rugoso e pieno di acciacchi con il cappello in testa che ancora cercava di prendersi gioco della vita lanciandosi in imprese al limite del possibile, bensì un uomo alto ed atletico, sui trentacinque anni, di bell’aspetto e dal fascino indiscutibile, un uomo che non aveva mai ricevuto ordini da nessuno e che sapeva sempre il fatto suo.
       Quasi incredulo, si riscoprì ad essere una canaglia galattica che niente e nessuno avrebbe mai saputo controllare; niente e nessuno, all’infuori di quella donna straordinaria che rispondeva al nome di Leia Organa.
       «Mi fai impazzire, principessa» mormorò con dolcezza, rivolto alla giovane donna profondamente addormentata nel suo letto, con una mano sotto il cuscino.
       Finì di abbottonarsi la camicia e lanciò un ultimo e lungo sguardo lascivo a quel suo corpo di velluto, celato appena dalla stoffa del lenzuolo, da cui si era appena distaccato con fatica e che avrebbe tanto desiderato stringere a sé per tutta la notte. Purtroppo, non ce n’era il tempo, faccende più incombenti lo chiamavano urgentemente in plancia; però, finché avesse potuto permetterlo, avrebbe lasciato che almeno Leia si riposasse. Dopo tutto quello che lei aveva fatto e passato per lui, nei giorni precedenti, la principessa aveva decisamente diritto a qualche ora di sonno.
       Dentro di sé, tuttavia, coltivava una speranza sempre più profonda, anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di ammetterla ad alta voce: che la guerra finisse al più presto e che loro due potessero godersi insieme tutto il tempo che desideravano, in pace, senza più neppure una preoccupazione per la testa, magari riuscendo persino a diventare una famiglia. Scuotendo il capo con un grugnito, cacciò via quei pensieri, rimandandoli a quando fosse stato il momento più adatto, sempre ammesso che un momento del genere potesse mai arrivare. Con quel dannato Impero che non voleva arrendersi ed era più che intenzionato a distruggerli tutti, fino all’ultimo, non era affatto sicuro che quell’interminabile guerra civile potesse concludersi favorevolmente, almeno per loro. Però, Leia era decisa ad andare fino in fondo, a combattere fino all’ultimo respiro, e lui non l’avrebbe abbandonata. Sarebbe rimasto con lei fino alla fine, ad ogni costo, andasse come andasse.
       Raccolti gli stivali che, nella concitazione amorosa di prima, erano finiti uno sotto la sedia e l’altro avvolto nella giacca grigia con ricamati i gradi militari che aveva praticamente strappato di dosso alla giovane, sussurrò un: «Sogni d’oro» ed uscì in fretta dalla cabina, chiudendosi la porta alle spalle.
       Si chinò per infilare rapidamente le scarpe, quindi si raddrizzò e partì di corsa verso la cabina di pilotaggio, da dove provenivano i latrati sempre più forti e nervosi di Chewie.
       «Arrivo, arrivo!» sbraitò, gettandosi a sedere al suo posto. «Allora, com’è la situazione?»
       «Graahhh… wuowuowuo!» ruggì in tutta risposta il suo copilota, colpendo con forti manate i braccioli della sua poltrona.
       «Ehi, non ti scaldare!» brontolò Han, mantenendo il suo solito tono sfacciatamente calmo, prendendo i comandi e controllando un paio di monitor. «Ce ne siamo lasciati indietro di ben peggiori, no?»
       Da dietro l’ampio seggiolone del Wookiee, C-3PO - che, come al solito, era stato quasi invisibile agli occhi del contrabbandiere - disse, con la sua monotona vocetta: «Chiedo scusa, signore, ma se posso dare la mia opinione, le probabilità di sfuggire indenni all’intera flotta imperiale sono di una a settecentotre…»
       «Chiudi il becco, professore!» urlò Han, senza guardarlo. «Se avessimo voluto la tua opinione l’avremmo chiesta!»
       «Ma, signore…»
       Han lo ignorò completamente, continuando imperterrito a digitare dei rapidi comandi sul computer di bordo.
       «Stai pronto, Chewie, sto facendo i calcoli per il salto a velocità luce!»
       «Raahhh» rispose il Wookiee, in tono affermativo, allungando una zampa pelosa sulla leva del comando.
       «Signore, se mi permette di dire…»
       «Non permetto!» gridò il comandante, puntando un dito ammonitore contro il droide dorato, prima di ritornare con solerzia ad occuparsi dei suoi calcoli un po’ troppo approssimativi. «Okay, Chewie, ora!»
       Senza farsi pregare, desiderando di essere già il più possibile lontano da lì, il Wookiee abbassò la leva dell’iperspazio.
       Il giorno prima, erano sfuggiti quasi per miracolo ad alcuni sicari inviati contro di loro da uno degli Hutt di Tatooine, intenzionato a vendicare la morte del suo parente Jabba, ucciso quando, meno di una settimana prima, Luke, Chewie, Leia e Lando avevano salvato Han, intrappolato nel carbonio; nello scontro, la nave aveva subito qualche danno, ma ne erano praticamente usciti illesi, solo per trovarsi, però, con adesso l’intera flotta imperiale schierata di fronte. Se avessero voluto avere qualche possibilità di giungere vivi su Sullust, dove si radunavano le forze ribelli in attesa di sferrare l’attacco alla seconda Morte Nera, nei pressi della luna boscosa di Endor, avrebbero dovuto togliersi dalla testa di compiere qualsiasi atto di eroismo e darsi il più presto possibile alla fuga. Il che, era esattamente quello che avevano intenzione di fare.
       Il Millennium Falcon, sollecitato a balzare nell’iperspazio, beccheggiò e tremò, emettendo sbuffi e suoni veramente lamentevoli. Oltre a quello, tuttavia, non accadde assolutamente nulla, mentre i primi colpi di avvertimento sparati dai caccia nemici cominciavano ad esplodere tutto attorno a loro.
       Interdetto, Han digitò un altro comando rapido e ripeté: «Dai, ora!»
       Pur senza troppa convinzione, Chewbacca abbassò nuovamente la leva ma, anche questa volta, non accadde assolutamente nulla, perlomeno finché tutte le luci a bordo si spensero ed un allarme assordante cominciò a risuonare.
       «Ghghghgrrr!» sbraitò Chewie, portandosi le mani alla testa con aria afflitta e agitandosi tutto.
       «Ho un gran brutto presentimento…» sbottò Han, dando un pugno nervoso alla plancia di comando e prendendo i comandi manuali per potersi almeno lanciare in qualche manovra elusiva con cui sottrarsi al fuoco nemico.
       «Mi perdoni, signore, ma come cercavo di dirle prima, i colpi che abbiamo subito ieri hanno danneggiato l’iperguida e…»
       «Siamo nei guai!» grugnì Solo, senza più neppure ricordare quante volte avesse ripetuto quella frase in vita sua. In quell’esatto momento, un’esplosione scosse per intero la nave, facendola sbandare.
       «Chewie, massima potenza al deflettore posteriore ed arma i cannoni ventrali!» ordinò Han, saltando via dal suo posto. Spinse di lato il povero C-3PO - che, con un «Oh, povero me!» si ribaltò addosso al Wookiee, che a sua volta se ne sbarazzò con una manata - e corse a perdifiato verso la propria cabina, facendovi irruzione come una furia scatenata.
       Trovò Leia seduta sul letto, ancora intorpidita dal sonno e stordita dal fragore delle esplosioni, mentre si guardava attorno alla ricerca dei suoi abiti. Nuda e con i lunghi capelli sciolti che le ricadevano sul seno era una visione veramente meravigliosa ed Han sarebbe rimasto volentieri per ore ed ore a contemplarla con la mascella che precipitava sempre più verso il pavimento, ma un nuovo colpo di laser lo riscosse, riportandolo alla realtà.
       «Mi dispiace turbare il vostro sonno, ma abbiamo dei problemini, vostra grazia!» la informò, recuperando lui stesso la sua giacca ed i suoi pantaloni e lanciandoglieli perché lei potesse indossarli in fretta.
       Nonostante la situazione tragica, Leia non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito.
       «Quando mai non ce ne sono, a bordo di questa vecchia ferraglia?» mormorò, scuotendo piano la testa e fingendosi rassegnata, mentre lo guardava con i suoi grandi occhi castani.
       «Ehi!» sbottò Han, cercando di apparire offeso. «Questa nave mi ha…»
       «Sì, sì!» tagliò corto la principessa, finendo di abbottonarsi la giacca e chinandosi per allacciarsi le scarpe. «Allora, che cosa c’è che non va, questa volta?»
       Il volto del contrabbandiere si rabbuiò un poco. «Gli imperiali ci sono addosso e l’iperguida…»
       Leia alzò gli occhi al cielo. «Tanto per cambiare!»
       «Se solo il ragazzino fosse qui!» si lamentò Solo, riferendosi a Luke. «Lui, come al solito, combinerebbe solo guai e non ci servirebbe quasi a nulla, ma il suo droide riparatutto ci farebbe parecchio comodo, in un momento come questo!»
       Insieme, sorreggendosi a vicenda quando qualche nuova esplosione faceva sbandare il Falcon, raggiunsero di corsa il vano dei motori. Senza troppe cerimonie, Solo scansò di lato C-3PO, che nel frattempo si era diretto a sua volta in quella direzione, e si buttò a capofitto tra cavi e ingranaggi, cercando di capire quale fosse il problema. Mantenendosi aggrappato alla scaletta di servizio, non ci mise molto a scoprire che, i colpi subiti il giorno prima, avevano finito con l’allentare uno dei tubi di alimentazione che, ora, fumava pericolosamente e perdeva liquido.
       «Passami il nastro adesivo, Leia!» gridò, riaffiorando con il busto ad altezza del pavimento e indicando la cassetta degli attrezzi.
       «Hai davvero intenzione di aggiustare un affare che dovrebbe farci fare il salto a velocità luce con del nastro adesivo?!» sbottò lei, sperando di aver capito male.
       «Signore, le possibilità di tenuta del nastro adesivo, se sottoposte ad una tale sollecitazione, sono di una a sette milioni…!» cominciò a dire 3PO, prima che un’altra deflagrazione subita dalla nave lo mandasse a gambe all’aria.
       «Sarebbe una soluzione provvisoria…!» biascicò Han, reggendosi a stento ed allungandosi per afferrare la scatolina che, nel frattempo, la donna gli stava porgendo. «Tanto la nave reggerà!» Sollevò gli occhi alla struttura del Millennium Falcon. «Sentito, bellezza?» domandò, con voce bassa. «Reggerai…»
       Leia non ebbe l’ardire di replicare nulla, anche perché, in quel preciso momento, i caccia imperiali cominciarono ad aumentare il fuoco e ad aggiustare il tiro, bersagliandoli a mitraglia.
       Nell’oscurità sempre più fitta - dato che anche le poche luci d’emergenza ancora accese cominciavano ad affievolirsi - si udirono risuonare i latrati disperati di Chewie, che continuava a compiere piroette per provare a fuggire o almeno a sottrarsi ai colpi incrociati dei nemici, e i lamenti di C-3PO: «Oh, cielo, mi chiedo proprio che cos’abbia fatto di male nella vita per meritarmi questo! Siamo fatti per soffrire, noi…»
       Ignorando tutto e cercando di mantenersi calmo, Han srotolò un pezzo di nastro e cominciò ad avvolgerlo attorno al tubo che perdeva.
       «Old J…»
       Le sue dita, lavorando febbrilmente, riuscirono nuovamente ad isolare la perdita. Subito dopo, afferrò un fascio di cavi che parevano messi male e, senza pensare troppo a quello che stava facendo, avvolse pure quelli con il nastro, senza sapere bene nemmeno lui che cosa stesse combinando di preciso.
       Evidentemente, comunque, qualche risultato lo ottenne, dato che le luci d’emergenza si spensero e quelle normali tornarono ad accendersi, anche se l’allarme non accennò a smettere di risuonare cupamente per tutta la nave.
       «Accidenti, papà!»
       «Ci siamo!» urlò il contrabbandiere.
       «Se nei sei convinto tu…» gli rispose con ironia Leia, aggrappandosi ad un supporto per non venire gettata in terra dall’ennesimo colpo di laser.
       Un secondo allarme, ancora più malaugurante del primo, cominciò ad echeggiare per tutta l’astronave, rompendo i timpani a tutti gli occupanti: lo scudo deflettore, sottoposto a fin troppe sollecitazioni, stava cedendo e non sarebbe riuscito a resistere ad una nuova raffica.
       Han, per tutta risposta, mollò un pugno ad un pannello che appariva deformato, rimettendolo sommariamente a posto. Era un abile meccanico, d’accordo, ma in quel momento aveva davvero terminato le risorse.
       «Forza, bellezza!» si ritrovò a pregare mentalmente, mentre con la mano sfiorava la superficie della sua adorata nave, che non lo aveva mai tradito fino a quel giorno. «Fammi portare in salvo la principessa, facci scappare via da questo inferno! Non vedi com’è giovane e bella? Non si merita certo di saltare per aria qui dentro!»
       Come se avesse prestato fede alle sue preghiere, l’allarme dell’iperguida si spense e, in quel preciso momento, il Millennium Falcon compì il balzo nell’iperspazio, sottraendosi alla caccia della flotta imperiale e lasciando dietro di sé solamente una scia luminosa, che scomparve come se non fosse mai esistita sotto gli occhi degli inseguitori.
       «Old J, che accidenti ti prende?! Mi senti o no?!»
   
 
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