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Autore: Cossiopea    29/11/2019    2 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Susan e Paul mi avevano rinchiusa in camera.

Se prima credevo di essere dentro una prigione, la situazione attuale era molto più simile ad una tetra cella di isolamento.

Le mie giornate erano passate chiuse in camera, ferma sul mio letto, a riflettere con la musica nelle orecchie, oppure a suonare il piano: qualcosa che riusciva sempre a scacciare ogni cosa; a eliminare il mondo e lasciarmi sola con le note.

Avevo gli orari per andare in bagno (tre volte al giorno, due durante la notte) e Susan mi portava i pasti, lasciandomeli davanti alla porta durante gli orari prestabiliti.

I contatti con esseri umani diminuirono sempre di più. Non che fino a quel momento avessi avuto qualche relazione con una quantità enorme di persone, ma mi resi conto che anche solo ascoltare il respiro dell'uomo e della donna che abitavano con me durante i pasti era un lontano conforto, la sicurezza di non essere del tutto sola malgrado la rabbia che provavo nei loro confronti.

Adesso però era tutto finito.

Ero sola. Sola con la mia ira, sola con il Demone che ogni giorno ringhiava dentro di me senza che potessi bloccarlo.

Mettevo la musica al massimo ma l'unico modo per scacciarlo del tutto rimaneva sempre e solo il pianoforte. Le mie dita che pattinavano sui tasti e il dolce suono che ne usciva rimaneva l'unica cura a me conoscente per scacciare la rabbia.

Fino a quel momento non avevo mai usato un computer se non per scaricare musica.

I Demoni non usavano la tecnologia, erano più per le armi medioevali, metodi rozzi, fatti per uccidere in modo cruento e sentire il caldo del sangue sulle dita... La tecnologia era roba da Spiriti, era questo che si diceva.

Ma il mio lato umano mi spinse ad aprire un link diverso da Spotify e fu lì, su ciò che i terrestri chiamano Internet, che iniziai a comprendere gli umani nelle varie forme che possono assumere. Tutti i loro tratti, le loro idee, cose che, noi Demoni, non immaginavamo neanche. Quelle piccole creaturine che per una vita avevo ritenuto idiote, delle futili rappresentazioni degli Spiriti in versione ridotta e stilizzata, si rivelarono una miniera di emozioni e colori; immagini e storie...

Ed è lì che mi resi conto, osservando la magnifica Notte Stellata di Van Gogh attraverso uno schermo, che sono i Demoni a essere stupidi.

 

Quella notte, mentre mi rigiravo nel letto nel tentativo di scacciare la rabbia e reprimere gli artigli, ferendomi involontariamente e macchiando le lenzuola di sangue, qualcuno bussò alla porta della mia camera.

Erano settimane che non succedeva, che nessuno, neanche Litho o semplicemente Cos, era venuto a trovarmi. Erano settimane che non parlavo con qualcuno che non fosse me stessa...

Mi voltai verso la porta e, con non poco dolore, mi intimai di ritrarre gli artigli, sentendomi d'un tratto debole, inerme, una bolla che sta per scoppiare sotto la furia di un Demone.

Calciai le coperte, felice che quella brusca novità mi desse una scusa per non soffrire dentro ad un bozzolo di coperte in cui mi sentivo soffocare.

Mi affiancai alla porta e la socchiusi lentamente, spiando appena chi ci fosse dietro alla soglia.

Non era Susan, né Paul, né Cos, come mi sarei aspettata.

Dei delicati occhi neri mi sorrisero e per un istante mi sentii mancare mentre le lacrime mi salivano agli occhi e le emozioni minacciavano di esplodere.

La mente si mescolò e per un attimo fui colta dall'incertezza, qualcosa di materiale, che prese il mondo per poi capovolgerlo intorno a me, lasciandomi la testa avvolta nel caos.

Credetti fosse un sogno.

-Zack...- sussurrai nel pianto mentre il ragazzo, esattamente come lo ricordavo, mi sorrideva con una gentilezza e una comprensione che invece non avrei mai attribuito al suo viso spavaldo.

-Io...- mormorai deglutendo, le parole che parevano bloccate in gola -Io...- ripetei, senza però aggiungere altro che un paio di mugugni sconnessi.

Lui si portò l'indice alle labbra e mi sorrise.

-Jill, adesso calmati e lasciami entrare. Ci sarà tempo per le domande- mi disse semplicemente allargando un po' il sorriso.

Non riuscii a fare altro che annuire come un'automa e farmi da parte, mentre il fantasma del mio passato, il viso che mi appariva in sogno insanguinato e putrefatto, varcava la soglia del mio rifugio vivo e sorridente come un qualsiasi essere umano nel fiore dell'età.

Mi lasciai ricadere sul letto mentre lui, senza dire niente, accese la lampada che avevo sulla scrivania.

Poi mi guardò.

-Come stai, Jill?- mi domandò, dolcemente.

Altre lacrime mi colarono dagli occhi.

Annuii, accennando un sorriso tremolante.

-Io... bene- feci una pausa, riflettendo su quanto, in realtà, fosse falsa quella quell'affermazione -Più o meno bene...- aggiunsi poi, inumidendomi le labbra aride.

Il suo sguardo si fece malinconico.

-Già- fece -Strano come tutto questo mondo ti sia ritorto contro senza lasciarti riflettere nemmeno un istante- pausa -Il tuo passato è tornato prima che tu potessi rendertene conto, il tuo presente ti ha accoltellato alle spalle per mano di questi due umani che fingono di accudirti...

Mi sentivo svuotata. Lo ascoltavo ma al tempo stesso ero in un altro luogo, un universo parallelo.

Lui mi sorrise e continuò:

-E perdonami se vengo qui durante il tuo riposo, sotto questa forma- scosse la testa e sospirò -Non avevo il tempo di ingegnarmi e crearne una nuova: ho assunto quella che immaginavo fosse più cara per te, l'unica che mi avrebbe concesso di parlarti senza che tu nutrissi sospetti.

-Cosa...?- altre lacrime -Chi... chi sei tu?

Il suo sorriso si increspò.

-Sono qualcuno che tu detesti con ogni fibra del tuo essere, colui che Jillkas ha sempre combattuto con ogni arma possibile... e che ha dannato mentre veniva trasferita sulla Terra, nel ventre di una madre che aspettava una figlia...

Sospirò.

Io non riuscivo a parlare.

Nonostante non lo volessi, ricordavo il momento del mio esilio, le figure degli Spiriti intorno a me, la possente sagoma del Creatore e i suoi tre occhi che mi studiavano venati di una calma stonata con il dolore che provavo, mentre il mio essere sprofondava nel buio, fondendosi senza poter opporre resistenza a ciò che per millenni avevo tentato di scacciare: l'umanità, l'essere inerme sotto il peso della vita.

Nell'ultimo istante in cui ero ancora Jillkas avevo tentato di scacciare quel fato, conoscendo quanto, successivamente, sarei stata diversa, ma non potendo impedirlo.

Poi le emozioni mi avevano sommersa e una pace che non conoscevo aveva popolato il buio.

Ero umana.

Altre lacrime mi rigarono il volto. Tentavo di fermarle ma non ci riuscivo e il mio viso continuò a essere bagnato dal pianto; le guance scarlatte, gli occhi gonfi.

-Zechra...- sussurrai tra i singhiozzi, puntando un dito, ora artigliato, verso la figura che aveva assunto la forma dell'unica persona che mi aveva mai davvero voluto bene, la sola persona che, lo sapeva, non avrei mai potuto ferire -Tu!- urlai -Tu mi hai esiliata, mi hai lasciata in questa prigione di terra senza lasciarmi neanche un'occasione di scelta! Mi hai distrutta!

Lo Spirito si limitò a guardarmi, impassibile.

-Avevi superato il limite, Jill- mi disse -Avevi distrutto un pianeta intero senza un motivo, senza che gli abitanti potessero avere modo di difendersi dalla furia dei tuoi battaglioni. Ti rendi conto di quanto sia sbagliato quello che hai fatto?

Dentro la mia mente una battaglia infuriava.

Il Demone e l'umanità si scagliavano l'uno contro l'altro in bagliori infuocati mentre la mia identità mi sfuggiva via.

-Tu!- gridai ancora, alzandomi a stento in piedi e facendo un passo in avanti, sapendo però che mai sarei stata in grado di fare del male a mio fratello, il mio unico vero fratello...

-Jill, adesso calmati- Zechra alzò le mani e fece un passo indietro mentre la mia vista lampeggiava di rosso e fiumi di energia mista a furia si mischiavano ai sentimenti che quel dannato Spirito mi aveva fatto ingoiare.

I suoi occhi rimasero l'unica cosa reale, il resto era solo un incubo.

Mi accasciai a terra, continuando a piangere.

-Non so più chi sono- mormorai, disperata -Chi sono, Zechra?- domandai alzando gli occhi ardenti verso di lui -Hai distrutto la mia identità senza darmi un'altra ragione per vivere, impedendomi però di morire... Lasciandomi in un mondo che non conoscevo preda del mio passato e del mio presente... Hai lasciato che odiassi me stessa per quindici maledetti anni senza potermi ribellare a questo destino incerto- singhiozzai forte -Chi sono?

Lui mi fissò, imperturbabile come solo gli Spiriti possono essere.

-Io ti ho dato il modo di ricominciare, Jill- mi disse -Sapevo che rimanendo te stessa non saresti potuta cambiare, sapevo che l'unico modo per farti comprendere quanto stessi sbagliando era darti ciò che più detestavi, ciò che ti stavi ostinando a rinnegare.

-Ma perché dovevo cambiare?!- strillai -Perché non uccidermi? Perché non chiedere al Creatore di mettere fine alla mia esistenza in questo universo? Perché lasciarmi così?

Sospirò.

-Se ti può consolare non sarebbe dovuta andare così- disse mentre io continuavo a piangere -Avresti avuto una vita normale, qui sulla Terra. Non potevo cancellare il Demone che è in te ma potevo farti comprendere e fondere il tuo male con qualcosa più simile alla vita...- fece una pausa -Ciò che non avevo compreso è che gli ideali di Jillkas sono troppo potenti per una semplice umana e non ho fatto altro che farti soffrire, per troppo tempo... Mi dispiace, Jill.

-Non c'è modo che io possa perdonarti- mormorai -Ho passato troppo tempo a odiarti, a combatterti, per anche solo prendere in considerazione l'idea di indulgerti... e questa- feci una smorfia -Questa è la punizione più terribile che tu potessi escogitare. Mi congratulo, Zechra: sei riuscito a mettere in ginocchio la tua più temuta nemica.

Lui fece un sorriso amaro al notare come, in effetti, io fossi accasciata a neanche un metro dai suoi piedi.

-Non volevo questo- disse poi, abbassando lo sguardo.

I miei occhi di sangue schizzarono su di lui.

-E che cosa volevi?- sibilai, distrutta -Che cosa desideravi se non sconfiggere il Demone che più hai odiato durante tutta la tua vita in questo universo? Cosa desideravi se non sentire dalla sua bocca recitare le parole “Hai vinto” dopo millenni di lotte continue?- fremetti -Hai avuto quello che desideravi e anche di più, ma non vuoi, non puoi, ammettere che sia così; perché sei un lurido Spirito, Zechra, e io, nonostante tutto, non smetterò di odiarti.

-No- strinse i pugni e nuovamente mi guardò. Ancora una volta sentii qualcosa spezzarsi dentro di me ritrovandomi a guardare gli occhi di Zack -Io non volevo sconfiggerti, Jill, al contrario di quanto hai sempre creduto: io desideravo che tu ed io fossimo alleati, che, un giorno, tu saresti passata dalla parte giusta.

Proruppe una risata amara dalla mia bocca.

-Pensi ancora che la tua parte sia quella giusta e quella dei Demoni la sbagliata? Credi ancora, nonostante tutto, che la linea che separa il bene e il male sia definita?- feci una smorfia -Non è così ora e mai lo è stato, Zechra: ci hanno sempre rifilato la storiella che i Demoni combattono per il male e gli Spiriti sono il bene, ma è solo una bugia- con non poco sforzo abbassai lo sguardo dagli occhi di Zack -Fino al mio esilio mi era chiaro da che parte stare, sapevo che finché avrei avuto vita avrei portato l'universo sotto la strada giusta: sotto la mia guida, sotto il comando dei Demoni, lasciando così una pace che mai era stata...- scossi la testa e risi tra me -Ma ora, con questa umanità che tu mi hai rifilato, so che tutto ciò che il Creatore voleva era la guerra. Guerra tra due schieramenti che, in un modo o nell'altro, dovevano essere sempre in equilibrio, sempre con lo stesso numero di forze in modo da garantire a lui il divertimento maggiore...- feci una pausa -Siete solo pedine tra le sue mani. Credete di essere tanto immortali ma Astar sarà sempre il padrone dell'universo, il suo trono perennemente occupato.

Per un attimo ci fu silenzio.

-Stai delirando, Jill- disse poi Zechra, dopo qualche istante.

-Lo so.

Sospirò.

-Mi dispiace davvero.

Chiusi gli occhi e li strinsi.

-Lo so.

-Cosa vuoi fare adesso?

Alzai le palpebre e lo studiai. L'aspetto di Zack mi fece rabbrividire ancora una volta.

Abbassai lo sguardo.

-In che senso?

-Non posso farti tornare quella di prima, ma posso chiedere ad Astar di... ucciderti.

Feci una risatina nervosa.

-È molto dolce da parte tua.

-Devi solo scegliere, Jill- mi disse poi, dopo un sospiro -So che Cosmath ti da fastidio, so che sta tentando di liberarti ma...

-Non sa che non sarei mai del tutto uguale, sì... e nemmeno voglio esserlo- aggiunsi io, terminando la sua frase. Sospirai -Desidero solo... la pace.

-Io posso dartela.

Lo guardai.

-Posso pensarci?

Lui annuì, serio.

-Sai come trovarmi- disse facendo qualche passo indietro e afferrando la maniglia della porta. La aprì.

-Ah, Zechra?- tesi una mano verso di lui, ormai gli artigli si erano ritratti insieme a tutto il resto.

Lui mi guardò.

Io sorrisi.

-Grazie.

   
 
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