Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: greenroom    04/12/2019    0 recensioni
Per diminuire il numero dei cittadini e quindi la domanda di cibo, il Distretto di Yalkell decide di prendere bambini e bambine dei villaggi e affidarli al Corpo di Ricerca.
Tra i nuovi arrivati, stanchi e bagnati, dopo giorni di viaggio nel fango e nella nebbia, tra pianti e sussurri spaventati, c'è anche una strega.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando vide che i passi che sentiva provenire dal corridoio erano quelli di Ebba Black, Adelaide strinse il pupo contro il suo petto, schermandogli il volto con la mano. 

La strega era apparsa nella camera del neonato bussando piano e, riconoscendola, Adelaide aveva reagito proteggendo Niclas dai suoi occhi - era risaputo che le iridi fossero la porta da cui fluiva il male. Sapeva che erano delle voci di paese, che quella maledetta fosse una strega, ma non si poteva mai essere troppo cauti. E doveva considerare che le aveva rubato il posto di Direttrice, proprio solo come una strega avrebbe potuto fare: ammaliando il gendarme in carico e guadagnando il controllo della Scuola. Adelaide si domandava quali piani celasse dentro quella testa dai capelli rossi - il colore del degenero, del sangue versato.

“Gentilmente, sai dirmi dov’è Carla?”

Adelaide posò il bimbo nella culla e lo fissò dormire pacifico, piccolo e inerme. Strinse le dita attorno al legno della culla.

Come avevano potuto?

Come avevano potuto gettare i bambini tra le grinfie di quella maledetta?

“Carla è in magazzino. Sta organizzando la colazione di domani,” rispose seccamente.

“Ah, perfetto. Grazie mille.”

Che sorriso falso. Era con quello che illudeva gli uomini, con quella bocca lussuriosa che soddisfava i suoi capricci. 

“Vi ho lasciato le disposizioni del Comandante Smith in Aula Magna, insieme alle regole di condotta e cose varie,” stava dicendo la degenerata, “E c’è un foglio per scrivere tutte le necessità di cui avete bisogno così posso aiutarvi al meglio. Una di voi nutrici sa scrivere?”

Adelaide annuì. “Carla.”

“Bene, allora questa sera potete organizzarvi e domani passo a prendere i documenti. Vado al magazzino, posso portarti qualcosa? Panni puliti, cera per candele…?” 

Adelaide fece di no con la testa.  

“Come preferisci, allora buon proseguimento,” la donna uscì silenziosamente com’era entrata, come un felino a caccia, e Adelaide si accorse di avere il respiro corto. 

Si sentiva persa: voleva servire il suo Re, aiutare i bambini a maturare, contribuire alla costruzione dell’Esercito. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi spaventata in quelle stesse mura che chiamava “la loro nuova casa”. 

Doveva proteggere i bambini da Ebba Black.

Doveva fare qualcosa, qualunque cosa.

 

*

 

Ebba finì con lo stivale in una buca, per giunta bagnata, per la quinta volta prima di cacciare un ringhio gutturale in frustrazione. La strada sterrata che conduceva al magazzino era piena di curve e buche, motivo per cui i carri non passavano e i rifornimenti per la scuola, soprattutto per la parte del dormitorio dei bambini fino ai sei anni, dovevano essere portati a mano dal personale quando erano necessari. 

Nel cortile c’era da lottare con i rovi ed ora era costretta a saltellare in un pessimo gioco campana tra le buche per procurare delle coperte più calde ai pupi: nel dormitorio, palesemente strutturato come una camerata militare, si rischiava di perdere le dita dei piedi nel sonno per il freddo. Il fatto che tutti si fossero svegliati vivi dopo la prima notte in quelle stanze vuote e fredde era un miracolo.

Ma non era quello a darle fastidio. Non era l’idea di trascorrere le nottate a congelare, non erano i materiali scolastici che scarseggiavano tanto che i bambini avevano dovuto disegnare sui sassi, e non era nemmeno la situazione igienica, che prevedeva un bagno per tutti i diciotto ragazzini senza distinzione di sesso e un bagno per le tre maestre con una doccia già rotta - e ancora non aveva parlato con le nutrici, che avrebbero avuto tutta la loro serie di problemi da mettere sul piatto. No, non era quello.

Erano quei soldati. Quegli stro-

“Cerchi qualcosa?”

Ebba si arrestò davanti al magazzino, dove un paio di operai stavano scaricando un carro. Il cavallo trainante battè gli zoccoli anteriori a terra, nervoso forse tanto quanto lei.

“Non c’è molto per riscaldarsi,” le rispose uno dei due quando chiese delle coperte. Le indicò un carro all’esterno ancora carico di merci, “Prova su quel carretto, è di settimana scorsa, quando faceva più freddo. Oppure prendi della legna, no? Non potete fare un fuoco?”

“È vietato accendere il camino di notte,” disse lei, “Ordini del Comandante.”

L’uomo scrollò le spalle. “Ha senso. Con tutti quei bambini è meglio non correre troppi rischi.”

“Già, è meglio farli gelare come ghiaccioli.”

Invece di rispondere alla sua espressione furiosa, l’uomo scoppiò a ridere mentre saliva sul cavallo per tornare al suo villaggio.

“E che importa?” disse trottando via, “Quei bambini devono farsi la pelle!”

Ebba chiuse gli occhi, strinse forte le palpebre fino a farsi venire una fitta acuta alle tempie. Rilasciò quando si sentì più o meno sicura che non avrebbe urlato.

Attraversò l’aiuola e ispezionò il carretto, mentre il vento si alzava e piegava gli alberi del bosco lì accanto. Il sole calava in fretta, tingendo di arancio il mondo. Lei pensò che il Corpo di Ricerca doveva essersi sistemato in una conca del terreno, perchè da lì poteva vedere la linea di case e alberi all’orizzonte, ma non le mura. Le venne un tuffo al cuore.

Le onnipresenti mura, ora scomparse.

“Ebba Black?”

“Merda!”

Ebba era saltata per aria. Da dietro il carro, probabilmente provenendo dal bosco, era apparso un soldato in divisa, armato e… quello era un sorriso?

“Eren?”

“Ti ho spaventato?”

“Sì, no…” inspirò profondamente, “Stavo pensando ad altro. Posso aiutarti?”

Lui si avvicinò, torreggiandola. Era molto più alto di lei e aveva chiaramente qualcosa da dire. Qualcosa di difficile, da come si torturava le mani.

“Mi chiedevo…” si interruppe, ridendo di se stesso, “è stupido, ma mi chiedevo perché… prima di vedere il Comandante… perchè hai detto quelle cose…”

Ebba emise un piccolo “oh” con le labbra, ripensando al loro incontro. 

Accidenti

Poteva accadere, come capitava al villaggio, che tornassero da lei, che avessero bisogno di vederla ancora. Eren non era diverso dal gendarme che l’aveva nominata Direttrice, o dalla mamma che aveva venduto il suo bambino all’Esercito: avevano tutti lo stesso opprimente peso sulle spalle e, che lo sapessero o meno, erano tutti alla ricerca di un sollievo. Ed Ebba non riusciva ad ignorare la loro sofferenza. Diventava una strega per loro.

Ma tornavano anche per mandarla al diavolo, per insultarla, perchè chi era lei per esprimere opinioni sulla loro vita? 

“Perdonami se mi sono intromessa,” gli disse, “Non ci conosciamo e io sono saltata alla conclusione che avessi bisogno di un conforto. Non avrei dovuto.”

Non voleva che la aggredisse, di sicuro poteva farlo e passarla liscia. Si mise dietro il carro e fece finta di guardare all’interno. In realtà con la coda dell’occhio lo controllava: Eren sembrava nervoso, nonstante il sorriso debole sulle labbra.

“Sì, mi hai colto di sorpresa,” Eren fissava l’orizzonte dove calava il sole. Le ombre degli alberi si allungavano sempre di più. 

“Ti prego di perdonarmi.”

“Non devi scusarti, hai ragione a pensare che sono un debole.”

Si girò a guardarla, dritto come uno stoccafisso, le mani strette a pugno accanto alle lame affilate.

“Non lo penso affatto…” 

“Perchè mi hai consolato, allora? Stavo piangendo… piangevo come un bambino!”

Ebba fece un passo indietro. Il piede le finì in una buca e si bagnò tutto. 

“Mer… ascolta, Eren, non arrabbiarti, non avrei dovuto…”

“Come hai fatto? Come hai fatto a sapere cosa dire? Ti chiamano Strega, è per questo?”

“Sì, ma non sono una strega, ok? Non faccio magie, non-”

La interruppe, avvicinandosi velocemente, prendendole il braccio con forza. “Fallo ancora,” le ordinò, “Quello che hai fatto oggi, fallo ancora.”

I suoi occhi azzurri sembravano in fiamme. 

 

Secondo il dire comune, le streghe sono donne ritenute pericolose, complici di stranezze varie. Si distinguono per l’assenza di famiglia, soprattutto di un uomo, non vivono come gli altri e stanno ai margini della società; non hanno un lavoro. Accolgono pazienti e li soggiogano con il potere della mente, perchè in possesso di un forte intuito. Si pensa siano soprattutto le guaritrici, alle quali la gente più debole si rivolge in maggior modo, a praticare la stregoneria: compiono fatture, preparano incantesimi e conquistano un potere emotivo su chi si affida a loro. 

 

“Fallo ancora.”

Al villaggio, Ebba viveva nella casa di suo nonno. Era una cascina sulla collina e c’erano tre stanze, una per il bagno, una per la cucina e il salotto, e una per la camera da letto. Era in quella che faceva sedere quelli che chiedevano la sua compagnia, non perchè dovessero fare chissà cosa, ma perchè da lì si vedeva il tramonto. Dalla finestra sembrava che il cielo entrasse nella stanza, che colmasse il vuoto del cuore. Quando il sole tramontava era sempre una sorpresa: i colori del cielo potevano cambiare ogni giorno, farsi rossi o a sfumature viola, arancio e rosa, e la brillantezza dolce del sole che scendeva dietro le mura scaldava l’anima. Se si credeva a certe cose, ovviamente. Non tutti guardavano alla natura come ad un conforto, Ebba invece si sedeva alla finestra con il suo ospite e aspettava. Aspettava di essere inondata di calore.

“Fallo ancora.”

“Mi fai male.”

Eren le lasciò il braccio e deglutì. “Scusami. Non so cosa mi prende.”

“Sei confuso, tutto qui.”

Dietro a lui, Ebba vide il sole scomparire. Il cielo diventò blu scuro, intenso e vibrante.

Eren annuì. “Confuso, sì. Sì, dev’essere così. Ci sono troppe cose che non capisco, che non riesco a controllare.”

“Cosa ti preoccupa? Puoi dirmelo?”

“No, Smith mi ucciderebbe. Speravo tu potessi indovinare, come hai fatto oggi. Ma non sei quello che credevo, sei una ragazza normale.”

“Sì, spesso tiro a indovinare.”

Eren rise piano. “Una strega che non sa fare magie.”

“Mi hanno chiamata in modi peggiori,” Ebba sorrise, “Scommetto che Smith e quell’altro Capitano non stiano parlando bene di me dopo il modo in cui mi sono comportata.”

“Levi? Non preoccuparti, non parla bene di nessuno.”

“Oh, ma io non sono preoccupata.”

Eren si aprì in un sorriso che arrivò fino ad illuminargli gli occhi ed Ebba dovette guardare altrove, verso gli alberi, il cielo, qualsiasi cosa che non fosse il volto davanti a lei. 

Merda

“Sei coraggiosa.”

Sono un’idiota.

“Non tutti hanno le palle per rispondere a Levi, nemmeno io ci riesco a volte… dopotutto ha quasi sempre ragione, purtroppo. Tra poche settimane ci sarà una spedizione fuori dalle mura molto importante e ci sta torchiando di brutto, ma che alternative ci sono? Senza il giusto allenamento rischiamo il peggio. Raggiungere dei buoni risultati qui significa avere l’opportunità di combattere fuori, con i giganti, dove raggiungere dei risultati è quasi impossibile. Dobbiamo fare il nostro meglio qui dentro. Devo fare il mio meglio, devo raggiungere dei risultati, devo… devo smettere di dirti i piani del Comandante, ecco cosa devo fare.”  

Sorrise ma c’era un’ombra cupa sul suo viso. Il peso che portava sulle spalle si stava mostrando ed Ebba gli prese una mano nelle sue, strappandolo dal vortice negativo in cui rischiava di cadere. 

“Vieni con me.”

Lo condusse al confine con il bosco, su una piccola altura coperta d’erba. 

“Da qui si vede bene il tramonto. Ormai è tardi, ma domani ci possiamo vedere qui a guardare l’orizzonte. Non devi dirmi nulla, stiamo qui a fissare il cielo. Il tramonto è la cura migliore. Parola di strega.”

Mentre parlava Ebba sentiva la mano di Eren che stringeva la sua, intrecciando le dita. Sentiva il suo corpo avvicinarsi, l’altra mano che cercava il suo viso. Azzardò di spostare lo sguardo dal cielo ai suoi occhi e - merda.

Eren la baciò con la mano sulla sua nuca e lei dovette alzarsi sulle punte dei piedi per rispondere con la stessa forza, lo stesso bisogno. La bocca di Eren le infuse un calore simile a quello del tramonto arancio e viola. Chiudendo gli occhi si abbandonò a lui. 

 

*

 

La cena era orrenda, come al solito, l’aria fredda entrava dalle porte e finestre, come al solito, e Sasha era pronta a rubargli il pane dal piatto, come al solito. 

“Quello lo mangi?”

“Mh.”

“Sì o no?”

Jean le tirò il pane addosso, “Contenta?”

Connie lo guardò male. “Oh! Che ti prende?”

“Mh.”

“È uno di quei giorni,” disse Sasha masticando felicemente, “Risponde solo a grugniti.”

Connie rise. “Beh, meglio che sentirti dire stronzate!”

Jean fissava rabbiosamente il lumino del tavolo. La candela si stava consumando velocemente, proiettando poca luce, e la cera gocciolava sul legno che avrebbero dovuto pulire loro il giorno dopo. Si sentiva come quella piccola fiaccola. Infuocato e inadeguato

Dov’era Mikasa? Non si era presentata a cena. Era con Eren? Nemmeno lui era presente. Cosa stavano facendo? Lo stava probabilmente coccolando, come al solito

Se si permetteva di immaginarli insieme, Jean impazziva. La mente andava direttamente in un posto oscuro, dove lei e quel cretino si… si… 

No, non poteva pensarlo, non poteva sentirsi sempre più inadeguato, piccolo, in procinto di spegnersi. Buffo, si sentiva sempre più lontano da Mikasa, incapace di dirle la verità, eppure bruciava per lei ogni giorno di più.

Infuocato e inadeguato

Si alzò e marciò verso i dormitori, perso in quella dolce follia. Doveva trovarla.




Note: grazie mille per la lettura (e perdonate l'attesa pls)!

   
 
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