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Autore: _Agrifoglio_    04/12/2019    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’armadio nascosto
 
Oscar guardava incredula la parete del cabinet doré, opposta a quella vicino alla quale era collocata l’arpa, i cui pannelli bianchi erano stati aperti come le ante di una porta. Altri pannelli bianchi, del tutto identici ai primi, si intravedevano qualche passo più indietro e, in mezzo alle due file, vi era una piccola intercapedine ove erano stati costruiti degli scaffali.
Ecco perché avevo la sensazione che, da qualche mese a questa parte, la parete non fosse più nel punto dove è sempre stata…. L’hanno fatta avanzare di alcuni passi…. – pensava la donna – Non mi ero ingannata….
– Comandante, guardate, c’è una serratura! – osservò Girodel, nel frattempo giunto sul posto.
Oscar si accostò al punto indicatole dal Colonnello e constatò che, effettivamente, in uno dei pannelli centrali, c’era una piccola serratura, abilmente camuffata dai fregi dorati.
– Questa serratura è stata forzata – disse Oscar – Il Conte di Compiègne deve avere usato un grimaldello….
– Avrà agito da solo o insieme a dei complici? – domandò Girodel.
– Io ho visto soltanto lui – rispose il Capitano de Valmy.
– Dell’individuazione di eventuali complici ci occuperemo in seguito – intervenne Oscar – Adesso, ci interessa capire su cosa il Conte ha messo le mani, per prendere le opportune contromisure.
– Comandante – si inserì Girodel, consapevole di proporre una cosa indelicata e inopportuna, ma assolutamente necessaria – Forse, a questo punto, sarebbe il caso di parlare con franchezza alla Regina.
Oscar annuì pensierosa mentre, nella mente di lei, si rincorrevano decine di pensieri sconnessi, tutti incentrati su ipotetiche missive che la Regina avrebbe potuto ricevere dal Conte di Fersen o, Dio non volendo, dal Conte d’Artois o dal Duca di Lauzun.
A un certo punto, lo sguardo di lei cadde su un foglio di carta seminascosto in un angolo dell’intercapedine, dove era scivolato, finendo per esservi dimenticato. La donna si chinò di scatto per raccoglierlo e, presolo fra le mani, iniziò a leggerlo rapidamente, facendo scorrere gli occhi nervosi da una riga all’altra.
Fu una questione di pochi istanti e Oscar trasalì. Girodel, accorgendosi dello stato d’animo del suo Comandante, le si rivolse con tono interrogativo:
– Ebbene, Comandante? Chi è il mittente?
– Il Vescovo de Talleyrand…. In questa missiva, recante la data del 4 aprile 1794, Sua Eccellenza rivolge alla Regina una serie di raccomandazioni su alcune questioni politiche e su determinati comportamenti da tenere e le suggerisce una rosa di nomi di persone di cui fidarsi e un’altra di gente da evitare.
– La Regina intrattiene una corrispondenza con una persona che detesta e accetta, per giunta, consigli su argomenti delicati da quella stessa persona?! – esclamò Girodel con animo incredulo, perché ben conosceva l’intransigenza della Sovrana su certe questioni.
Oscar non rispose, ma rimase immobile a fissare quelle poche righe elegantemente vergate.
 
********
 
– Alain, non ti crucciare, non avevi scelta – disse André, tenendo una mano sulla spalla dell’amico che si era accasciato su una sedia.
Dopo che Oscar e le Guardie Reali erano corse nel cabinet doré e il Generale de Jarjayes aveva ordinato ad alcuni soldati di eseguire la perquisizione del cadavere, allontanandosi con loro, i due uomini erano rimasti soli nell’ufficio di Oscar.
– Cosa dirà mia madre? E’ molto affezionata alla sorella…. Guillaume era l’unico figlio di mia zia Mahaut Colbert…. – farfugliava l’uomo, quasi inebetito e senza apparentemente accorgersi della presenza e delle parole di André.
– Alain, non ti torturare…. Queste indagini, in genere, sono coperte dal segreto di Stato. Chiederò a Oscar di non fare inserire il tuo nome nei verbali. Nessuno saprà mai chi ha sparato a Hervé Hupp…. a tuo cugino Guillaume….
– Lo so io, André…. Lo so io…. – mormorò Alain, dando prova di essere ancora cosciente – Il rumore dello sparo e l’immagine di Guillaume che cade a terra senza vita mi perseguiteranno per sempre…. Ho ucciso mio cugino, André!!
André rimase a fissare l’amico con uno sguardo carico di pena, ben sapendo quanto la famiglia fosse importante per lui.
 
********
 
– La situazione è assai delicata, Madame Oscar. Delicata e, oserei aggiungere, drammatica.
Maria Antonietta fissava Oscar con occhi preoccupati e stanchi mentre l’amica rispondeva col suo sguardo carico di costernazione.
– Vi riferite alla lettera che Vi ha scritto Monsignor de Talleyrand Périgord, Maestà? – chiese Oscar, pur sapendo di rivolgerle una domanda retorica.
– A quella e a tante altre – rispose la Regina, guardando svogliatamente la limonata che giaceva intatta nel bicchiere di cristallo adagiato sul tavolino di noce.
– Ma non detestavate quell’uomo? – domandò Oscar, al culmine della perplessità.
– Diciamo che non lo stimo umanamente né come uomo di Chiesa, ma la politica è un’altra cosa. Talleyrand è sicuramente un abile politico e, in frangenti come questo, non posso certo andare troppo per il sottile….
– C’è qualcosa che non so, Maestà? – chiese Oscar con circospezione.
– C’è molto che Voi non sapete, Madame Oscar e mi scuso di essere stata così reticente con Voi che siete sempre stata un’ottima amica, ma le circostanze mi hanno imposto la massima cautela. Intrattenevo una corrispondenza segreta con Mirabeau da alcuni mesi prima che egli morisse e, poi, ho iniziato a scrivere a Talleyrand. Nell’autunno del 1792, il Vescovo de Talleyrand Périgord mi chiese un incontro privato, nel corso del quale, mi disse, con estrema franchezza, che, sebbene fosse stato inizialmente affascinato dalle nuove idee e avesse guardato con interesse agli eventi dell’estate del 1789, in un secondo momento, era rimasto molto deluso sia dalla tempra e dall’indole dei rivoluzionari sia dalla spregiudicatezza e dalla smisurata ambizione del Duca d’Orléans. Perplesso per alcune inquietanti esternazioni dei ribelli e per la totale assenza di una visione unitaria e concreta da parte loro e temendo possibili derive totalitarie e repressive, comprese che la soluzione migliore sarebbe stata appoggiare una monarchia affiancata da persone come Voi, Vostro marito, il Colonnello de Girodel e, naturalmente, come lui…. Per questo, mi offrì il suo aiuto, chiedendomi, però, la massima segretezza. Per dissimulare la nostra alleanza e dargli modo di conquistarsi la fiducia del Duca d’Orléans e di Robespierre, il Vescovo mi chiese di inscenare un alterco nella Sala del Trono e di mantenere i nostri rapporti pubblici su un piano di estrema freddezza.
Oscar ascoltava stupita il resoconto, domandandosi come avessero fatto quei movimenti a sfuggirle e su quanti tavoli giocasse Talleyrand.
– Maestà, mi state dicendo che l’armadio nascosto celava la Vostra corrispondenza segreta con Mirabeau, prima e con Talleyrand, poi?
– Non soltanto, Madame Oscar. Sono anche in contatto con altri personaggi di spicco e alcuni di questi mi riferiscono per lettera i loro tentativi di corrompere e di portare dalla mia parte certi deputati e attivisti giacobini. Siete stupita, vero? Lo sono anch’io. Fino a qualche anno fa, non avrei mai immaginato che sarebbe arrivato il momento in cui mi sarei occupata di queste cose.
– E l’armadio segreto? – balbettò Oscar che non credeva più alle sue orecchie.
– Inizialmente, conservavo tutto nel mio scrittoio, ma, poi, non reputandolo più un luogo sicuro, mi rivolsi ad alcuni artigiani con i quali il defunto Re, di tanto in tanto, lavorava. Mi consigliarono la soluzione dei doppi pannelli, si misero al lavoro e fecero tutto in una notte. Volete sapere una cosa?
– Cosa, Maestà?
– Non avete idea di quanto pagherei per vedere la faccia del Duca d’Orléans. Credeva di procurarsi le prove di una mia presunta infedeltà e, invece, si è trovato fra le mani tutto questo intrigo.
– Cosa ne sarà del Conte di Compiègne, Maestà?
– Ne ho ordinato l’arresto e la detenzione alla Bastiglia, ma, al momento, è irreperibile.
– La moglie, di sicuro, non intercederà per lui. E la Contessa Madre?
– Contro di lei, attualmente, non esistono prove, ma l’ho fatta mettere sotto stretta sorveglianza.
– Ho paura che la situazione precipiti, Maestà. Robespierre e i giacobini riponevano molta fiducia in Mirabeau e in Talleyrand. 
– Nutro anch’io gli stessi timori, Madame Oscar. Per questo, ho disposto il pattugliamento dei quartieri parigini dove sono concentrati i giacobini e ho consigliato al Vescovo de Talleyrand di riparare in Inghilterra finché le acque non si saranno calmate.
Le due donne si guardarono preoccupate nella speranza di farsi reciprocamente coraggio.
 
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Robespierre sedeva davanti alla sua scrivania, fissando il foglio che era appoggiato sul tavolo. Si stringeva la fronte fra le mani, ma sia queste sia il volto tremavano a causa di un accesso nervoso.
Si domandava che cosa avesse potuto indurre il Vescovo de Talleyrand a incoraggiarlo ad abbracciare e a propagandare il culto dell’Essere Supremo. Di sicuro, un odio aspro e inveterato contro di lui…. Eppure quell’uomo sembrava sinceramente attratto dalle nuove idee…. Mentre lo blandiva e lo convinceva, invece, intrallazzava con l’austriaca e chi sa quante altre persone erano state parte di quel complotto contro di lui…. Si domandava fino a che punto potesse arrivare la doppiezza umana e sempre più si convinceva che la società, per sua natura corrotta, andasse annientata e riedificata dalle fondamenta. Tutti, proprio tutti, lo avevano tradito, a cominciare dal Conte di Lille, totalmente succube della moglie. Il Duca d’Orléans, poi, non vedeva oltre la propria ambizione mentre Saint Just scalpitava, in attesa di fargli le scarpe e quella folle di Théroigne de Méricourt gli dava manforte.
Tutto ciò, però, adesso, era nulla….
Robespierre fissava il foglio steso davanti a lui che sembrava scrutarlo, a sua volta, con occhi severi e implacabili. Era finito nel bersaglio della Santa Inquisizione e il Tribunale Ecclesiastico di Parigi lo aveva convocato per il 2 agosto 1794, al fine di rendere conto sul culto dell’Essere Supremo. Aveva professato la sua fede incoraggiato da una personalità di spicco come quella di Talleyrand, nell’assoluta convinzione che la società sarebbe stata rifondata. Mai gli aveva attraversato la mente l’idea che le cose non sarebbero cambiate. Sapeva benissimo che il medioevo era ormai lontano e che quei pretacci non avrebbero potuto arderlo sul rogo o rinchiuderlo a marcire a vita in una cella buia e acquitrinosa, ma sapeva altrettanto bene, per esperienza diretta, acquisita sin dai tempi dei suoi studi al collegio di Arras, che il prete è, per sua natura, infido e vendicativo e che l’Inquisizione avrebbe potuto creargli moltissimi problemi.
In preda a questi fantasmi, in un picco dei suoi accessi nervosi, iniziò a tremare convulsamente e, infine, svenne.
 
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Ai primi di giugno del 1794, l’anziano Monsignor Agénor, Marchese d’Amiens dalla morte in duello del nipote, era spirato e il titolo si era trasmesso, per concessione reale, a Héracle Domitien de Compiègne, unico figlio della Contessa Geneviève. Si era, subito, scatenata una “guerra di successione”, nel senso che sia la Contessa Madre di Compiègne sia la Marchesa d’Amiens, rispettivamente suocera e madre di Geneviève ed entrambe nonne del bambino, avevano rivendicato la reggenza del feudo. Le due donne erano state, quindi, convocate a comparire davanti alla Regina.
Maria Antonietta sospirò, guardando le due nobildonne schierate davanti a lei. Una era apparentemente melliflua, ma di fatto arrogante e aggressiva mentre l’altra era arcigna e nervosa. Nessuna delle due incontrava il favore della Sovrana e questioni più importanti incombevano, dato che la notizia dell’armadio nascosto si era sparsa per tutta Parigi, facendo riemergere gli estremismi rivoluzionari. Occorreva, quindi, sbrigarsi a prendere una decisione e congedare quelle due seccatrici.
Cinque anni trascorsi a capo del Consiglio di Reggenza e la consuetudine, ormai quotidiana, coi politici avevano aguzzato l’ingegno di Maria Antonietta, rendendole molto più semplice inquadrare le persone e individuare rapidamente il nocciolo delle questioni e, con esso, una soluzione.
Dietro la poltrona della Regina, in piedi davanti a una parete, stava di guardia Oscar, immobile e altera come di consueto. Fra gli astanti, c’erano André, il Generale de Jarjayes e la moglie, i coniugi de Girodel e molti altri dignitari.
– Abbiamo udito le Vostre argomentazioni, Signore e Vi invitiamo, pertanto, a farne un breve riassunto – ingiunse Maria Antonietta con voce autorevole – Parlate per prima Voi, Contessa di Compiègne.
– Ritengo, Maestà, di avere diritto ad assumere la reggenza del Marchesato d’Amiens quale genitrice del padre del giovane Marchese che, al momento, è fuori città. A differenza della Marchesa d’Amiens che vive a Lille, io conosco bene il caro piccino, gli sono affezionata sin dalla nascita e ne desidero con tutto il cuore il benessere. Sono, poi, seppure di pochissimo, più anziana della Marchesa d’Amiens che, oltretutto, ha passato l’intera vita in provincia e, più di lei, ho esperienza del mondo.
– Abbiamo ascoltato le Vostre ragioni, Contessa. Parlate ora Voi, Marchesa d’Amiens.
– L’unica a potere assumere la reggenza del Marchesato d’Amiens sono io, Maestà, per il semplice motivo che è una vita che me ne occupo. Da oltre trentacinque anni e, cioè, dal giorno del mio matrimonio, sono io a governare il feudo. Mio marito era molto più anziano di me, stanco e inadatto al comando. Quando mi sono sposata, il patrimonio familiare era carico di debiti, ma io l’ho risanato con una gestione oculata e, adesso, è oltremodo cospicuo. Ho continuato a governare il feudo anche sotto il Marchesato di mio figlio, troppo giovane e di mio cognato che, da anziano uomo di Chiesa, non era portato per le cose del mondo. Con me, il feudo è in buone mani. A ciò si aggiunga che la Contessa e mio genero hanno sempre avuto un comportamento abominevole con mia figlia e sono del tutto disinteressati al bambino, se non come fonte di ricchezza. La Contessa sperpererebbe il patrimonio di mio nipote così come ha fatto con la sua dote e come farebbe con quella di mia figlia, se non ci fossi io a vigilare. Utilizzerebbe quelle fortune per i suoi capricci e per finanziare la latitanza del figlio, attualmente “fuori città”.
La Marchesa sottolineò le ultime due parole con un tono di voce secco e ironico mentre la Contessa la guardava con odio mal dissimulato.
– Bene, Signore, Vi abbiamo udite entrambe. Al termine di questo dibattimento, la nostra decisione è la seguente: il feudo di Amiens, fino alla maggiore età del Marchese Héracle Domitien, sarà retto dalla Marchesa Théodora Gertrude d’Amiens, come è sempre stato da trentacinque anni a questa parte.
– Maestà, perdonate – intervenne, appena un istante dopo che Maria Antonietta ebbe finito di parlare, la Contessa Madre di Compiègne, facendosi paonazza – Soltanto io ho diritto ad assumere la reggenza del Marchesato d’Amiens. Nelle mie vene scorre sangue più nobile di quello della Marchesa Théodora Gertrude…. Io…. Io sono una de Girodel!
– Siamo perfettamente a conoscenza dei Vostri natali, Contessa, ma la decisione è stata presa e Voi non potete che ottemperarvi da suddita devota e….
– Io sono la madre del padre e ho la precedenza! – ringhiò la Contessa, interrompendo la Regina, nello stupore generale.
– Tutto ciò è inaudito! – tuonò il Generale de Jarjayes mentre il Colonnello de Girodel conteneva a stento il senso di vergogna per il comportamento della zia.
– Non Vi è consentito interromperci, Contessa! – replicò Maria Antonietta con voce contrariata, ma contenuta e carica di autorità – Reputiamo la Marchesa d’Amiens più adatta ad assumere quest’ufficio e, quanto a Vostro figlio, conosciamo tutti il motivo per cui è attualmente “fuori città”. Su di lui, pende un ordine di cattura e di internamento alla Bastiglia per alto tradimento e il Vostro stesso comportamento si è contraddistinto per opacità in più di una circostanza. Vi ordiniamo di allontanarVi dalla nostra presenza e di fare ritorno alla Vostra casa altrimenti potremmo prendere in considerazione la possibilità di mutare il Vostro domicilio.
La Contessa di Compiègne, che si era subito morsa le labbra per quell’intemperanza di cui stava, adesso, pagando le conseguenze, capì che la battaglia era persa e decise di ritirarsi prima di perdere anche la guerra. Mentre stava per allontanarsi, incrociò lo sguardo di Oscar e, subito dopo, quello di André e la mente di lei fu fulminata da un sospetto. Era stato quell’intrigante del Conte di Lille a perorare la causa della Marchesa! Dopo tutto, la conosceva bene, dato che provenivano entrambi dalla stessa città! Era stato lui a convincere la moglie e, poi, la Regina, così come era stato lui a fare arrivare a Parigi la Marchesa, in prossimità del parto della nuora! Quei due l’avrebbero pagata cara!
 
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All’inizio di luglio del 1794, Robespierre sedeva su una sedia del suo appartamento parigino, coi muscoli irrigiditi dalla rabbia e gli occhi glaciali, traboccanti di durezza e di rancore.
Le paranoie, le manie di persecuzione e il senso di accerchiamento dell’uomo crescevano di giorno in giorno e, con essi, l’isolamento nel quale si era autoimprigionato. Martellante era il pensiero dell’ordine di comparizione davanti alla Santa Inquisizione e delle possibili conseguenze. Avrebbe potuto perdere la carica di Ministro, la reputazione e anche la libertà. Era stato, spesso, attraversato dall’idea di riparare in Inghilterra, ma non voleva farlo. Non voleva rinunciare alla carica di Ministro e al potere che aveva ottenuto. Non voleva fuggire come un vile criminale. Egli era l’incorruttibile, l’immagine stessa della probità. Un’immagine che la persona che stava per raggiungerlo aveva seriamente offuscato.
A un tratto, sentì bussare timidamente alla porta d’ingresso.
– Avanti, la porta è aperta – disse l’uomo d’Arras, con voce priva di ogni sentimento.
– Mi avete mandata a chiamare, Maximilien e io sono venuta. Cosa desiderate, fratello mio?
Fisico minuto, magra come un chiodo, pallida e sofferente, Henriette Eulalie Françoise de Robespierre dimostrava molto meno dei suoi trentadue anni. La donna si accostò a una sedia posta accanto a quella del fratello, ma la voce sferzante e secca di lui la fulminò.
– Non vi ho detto di sedervi, Mademoiselle.
– Ma…. perché? E perché tutte queste formalità?
– Sarò breve e verrò subito al punto. Nostro fratello Augustin mi ha informato del vostro stato.
– A quale stato vi riferite?
– Alla vostra gravidanza illegittima – rispose lui, con volto teso, occhi duri e voce sprezzante.
– Ma non c’è alcuna gravidanza! Io…. Io ho sempre avuto uno stile di vita semplice e innocente…. Ho sempre conformato la mia esistenza alla modestia che si addice a una donna nubile!
– Che cosa state blaterando?! La vostra condizione irregolare è più che evidente! – la sferzò lui, posando, contemporaneamente, lo sguardo sul ventre rigonfio della sorella che, in un corpo così magro, appariva ancora più prominente.
– Fratello mio, Maximilien, Vi sbagliate! Io non sono gravida! Io non ho mai rinnegato i miei principi!
– Bugiarda, meretrice, sciagurata! Io mi sono prodigato a innalzare il nome dei de Robespierre mentre voi lo avete infangato, coperto di disonore e di vergogna, comportandovi come una di quelle donne nobili libertine e amorali! – tuonò l’Avvocato di Arras, con il volto deformato da decine di tic e la voce che, a causa del nervosismo, risultava spesso spezzata. Era lui, adesso, l’inquisitore.
– Io vi allontano dalla mia famiglia e vi caccio di casa – proseguì, spietato, l’incorruttibile – Vi proibisco categoricamente di rivolgervi a mio fratello Augustin, a mia sorella Charlotte e a chiunque fra i miei parenti e conoscenti! Da sola vi siete disonorata e da sola provvederete a voi stessa!
– Ma io…. Sono innocente…. Vi prego…. Vi supplico….
– Fuori di qui! Che siate maledetta!
La sfortunata donna fuggì via in lacrime dalla casa del fratello.
Anche dopo che la poveretta se ne fu andata, Robespierre rimase seduto sulla sedia con il volto teso e le dita conficcate nei braccioli. Aveva passato un’intera esistenza a dimenticare e a fare dimenticare la condotta irresponsabile del padre. I genitori si erano sposati quando la madre era al quinto mese di gravidanza e tutta Arras aveva chiacchierato. I pettegolezzi si erano susseguiti, voce aveva rincorso voce e la madre era stata additata come donna leggera e imprudente. Subito dopo la morte di parto della madre, avvenuta quando lui aveva appena sei anni, il padre, anziché rimboccarsi le maniche, se ne era andato via, sparpagliando gli orfani fra i vari parenti che avevano, ben presto, delegato la cura a conventi e collegi. Sentendosi abbandonato e tradito in un’età in cui si è troppo piccoli per decidere della propria vita, ma già abbastanza grandi per capire e provare vergogna, Robespierre si era irrigidito e indurito. Privato dell’affetto materno e della guida paterna, non gli erano rimasti che l’intelletto e la ragione e ad essi soltanto si era tenacemente aggrappato. Dovendo farsi forza da solo, aveva deciso di farlo nel modo a lui più congeniale e, cioè, studiando e conformando la sua vita a un codice etico rigidissimo, quasi giansenista, che lo legittimasse agli occhi del mondo e anche ai propri, mostrando a tutti che era diverso da quella canaglia del padre. Ci era riuscito bene, ma ecco che, adesso, la sorella aveva fatto crollare quell’apparato perfetto, facendo riemergere il peccato originale della famiglia de Robespierre.
 
********
 
Oscar e André sedevano vicini su una panchina di marmo collocata nei giardini di Palazzo Jarjayes e guardavano Honoré e Antigone che giocavano a inseguire e a farsi inseguire da Storm e Velvet – i due beagles che André aveva portato in Francia dall’Inghilterra – e dalla nidiata dei loro figli, nipoti e pronipoti. Con loro, c’era Bernadette, la figlioletta di Rosalie. I tre bambini correvano e scherzavano felici, sotto gli occhi vigili della donna.
Erano le sei di mattina, l’aria frizzante era pregna delle grida dei piccoli e dell’abbaiare dei cani e Oscar e André si godevano quello scorcio di serenità familiare prima di recarsi alla reggia e di fare ritorno ai gravi problemi quotidiani.
Il Duca d’Orléans, al quale il Conte di Compiègne aveva consegnato il carteggio rinvenuto nell’armadio nascosto, non aveva tardato a rendere nota urbi et orbi la corrispondenza della Regina. Ciò aveva nuovamente scatenato l’irruenza rivoluzionaria dei giacobini che, per tutti quegli anni, era rimasta dormiente, come la forza distruttrice di un vulcano sonnacchioso, ma non spento. Mentre Robespierre era perso dietro alle sue vicissitudini personali e familiari, Saint Just e Théroigne de Méricourt avevano arringato le folle e Danton, Demoulins, Hulin e Hébert non erano stati da meno. Il risultato era stato che alcune bande di facinorosi avevano ripreso ad assaltare le carrozze, a saccheggiare i palazzi nobiliari e a profanare le chiese. Alcuni busti di Mirabeau erano stati divelti e distrutti, i ritratti sfregiati e la tomba violata.
Mentre stavano seduti fianco a fianco, videro Sir Percy Blakeney che incedeva verso di loro con passo agile ed elegante.
– Qual buon vento, Sir Percy?! – esclamò Oscar – Non mi aspettavo di vederVi qui!
– Se non sono gradito, me ne vado via subito! – scherzò il nobile inglese.
– Neanche per sogno! – rispose Oscar mentre André annuiva con gli occhi sorridenti – Questa è casa Vostra! Cosa Vi ha spinto ad attraversare la Manica?
– Vengo per conto del Vescovo de Talleyrand che si è rifugiato nella corte inglese e che ha delle informazioni da trasmettere alla Regina. Il Principe di Galles mi ha incaricato di fare da messaggero.
– Bene! – si inserì André – Vi accompagneremo alla reggia, visto che stiamo per andarci anche noi. – Come stanno i Conti di Canterbury? – domandò Oscar – Il figlio, ormai, ha raggiunto l’anno!
– Stanno benissimo e anche il loro primogenito gode di ottima salute.
– Il loro primogenito?! – chiese, stupito, André.
– Sì – rispose Sir Percy – La Contessa Victoire Aurélie è di nuovo in attesa e spera che, questa volta, sia una femmina!
Mentre era in atto questo allegro scambio di battute, i tre furono raggiunti dal Capitano de Valmy che, trafelato e rosso in volto, disse:
– Generale è giunta, mezz’ora fa, notizia che, nella notte, una folla armata e violenta ha fatto irruzione nel Théâtre de la Porte Saint-Martin e ha preso in ostaggio i presenti! Attori e popolani sono stati subito rilasciati mentre i nobili e i ricchi borghesi sono ancora prigionieri e Saint Just e Théroigne de Méricourt minacciano di torturarli e ucciderli!







L’armadio nascosto è realmente esistito anche se in circostanze parzialmente diverse da quelle narrate in questo capitolo. Si trattava di un armadio di ferro che Luigi XVI fece costruire nel Palazzo delle Tuileries, incassandolo e camuffandolo nella parete di un corridoio che collegava la stanza del Re a quella del Delfino. Mal gliene incolse, perché, alla fine del diciottesimo secolo, non era più in uso la pratica, tipica di alcuni popoli dell’antichità, di uccidere architetti e operai dopo la realizzazione di un’opera di una certa importanza e, dopo la fuga di Varennnes, il fabbro che aveva realizzato l’armadio, probabilmente per scansare eventuali noie, ne denunciò la presenza. L’armadio fu aperto e, all’interno, fu rinvenuta una grande quantità di documenti e di missive che testimoniavano l’intensa attività controrivoluzionaria del Re e la fitta rete che si era creato con vari politici fra cui figuravano Mirabeau e Talleyrand. La scoperta costò un processo e la testa a Luigi XVI, la damnatio memoriae con acclusa profanazione della tomba a Mirabeau e l’espatrio forzato a Talleyrand.
Robespierre ebbe davvero una sorella chiamata Henriette Eulalie Françoise che morì a diciotto anni, nel 1780 e che non fu coinvolta negli eventi di fantasia narrati in questa storia.
Come sempre, grazie a chi ha letto questo capitolo.
   
 
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