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Autore: Stellato    15/12/2019    14 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Anobium Punctatum



Abbiamo sbagliato tutto.
Quanto siamo stati capaci di ferirci negli ultimi anni, Sabine.
Ho sempre riconosciuto che abbiamo reso complicato ciò che per molte coppie era naturale e che non abbiamo seguito un percorso regolare, ma credevo che da qualche parte ci saremmo incontrati a metà strada. Come ci è già accaduto, mi aspettavo che una nuova stagione fosse possibile.
Eppure, anche i gatti arrivano alla loro nona vita.
Devo essere stato pazzo o cieco a non cogliere appieno la sofferenza di cui parlate nella vostra ultima lettera. La mia stessa inconsapevolezza mi ha annichilito e solo ora, dopo tanto tormento e l’insistenza non vostra, bensì di mia madre che mi tiene aggiornato sul vostro conto e sulle dicerie di corte che si stanno accumulando e che vi vedono come l’amante di di Oscar François de Jarjayes, riesco a scrivervi.
Ma Sabine, riguardo questo… so di non dover dare retta alle sciocchezze di Versailles, ma c’entra forse ciò che vi dissi a suo tempo sul colonnello delle guardie reali? È un vostro modo contorto per vendicarvi delle mie parole o è una coincidenza che la persona coinvolta sia proprio lei?
Vorrei trovare le forze per rispondere punto per punto al dolore con cui mi investite, ma non riesco.
Per anni non ho fatto che ripetere quanto nella lontananza il mio pensiero si riordini e che la mia preferenza vada allo stendere le mie riflessioni per iscritto quando discutiamo, ma eccomi arreso a contraddirmi, stavolta il bianco di questo foglio rispecchia quello della mia mente esausta.
Dobbiamo vederci, Sabine. Credo che la mia penna si rifiuti di scrivere perché è necessario ch’io vi dica di persona ciò che immagino sia giusto fare a questo punto.
Sarò a Parigi al più tardi il mese venturo, quando questa missiva vi raggiungerà spero di essere già in viaggio.

R.

 

***


“Vi prego, spostate quella boccetta… è un odore che ferisce il naso…” disse debolmente Sabine con gli occhi ancora chiusi.
“Come vi sentite?” chiese André allontanando immediatamente i sali d’ammonio.
“Mi sentirò meglio quando mi libererò di questo vestito, immagino.” Risistemò la scollatura che stringeva sul petto abbondante. “Non fate quella faccia André, tra voi ed Oscar alle volte mi sembra di aver a che fare con delle educande.” Si mise a sedere sul letto su cui era stata adagiata. Era imbarazzante aver perso i sensi, così come era imbarazzante sentirsi così vulnerabile alle emozioni, sconvolta solo perché nella lettera…
“La lettera!?” ricordò all’improvviso.
Oscar le porse il foglio ripiegato e la busta da lei stracciata in malo modo nella fretta. Sabine si concesse un’altra occhiata rapida poi la richiuse sofferente.
“L’avete letta?” chiese titubante.
L’altra sembrò sorpresa della domanda, fece cenno di no con la testa. No, naturalmente: un essere umano più rispettoso di Oscar doveva ancora nascere.
“Io vi devo delle spiegazioni, ma prima vorrei proprio allentare questo corsetto. Oscar, non è che potreste aiutarmi a slacciarlo un po’?”
“Non ho la minima idea di come si faccia, Sabine.”
“Nelle storie che giravano eravate molto più in gamba.” commentò lei ironica, strappando una risata ad André.
“Sono contenta di veder riaffiorare il vostro spirito. Vi chiamo qualcuno per aiutarvi con gli indumenti, dovreste riposare. Parleremo in seguito, adesso non…”
“No. Vi prego Oscar, non andate via, attendete un momento che io mi cambi, farò portare qualcosa da mangiare qui, ma… non lasciatemi sola.”


 
***


Quando rientrarono nella stanza non vi erano che poche candele accese, i riquadri delle finestre ritagliati dalla luce smunta della luna sembravano una superficie lontana, il cielo d’acqua di un mondo subacqueo.
Sabine indossava un’ampia vestaglia fiorita; non più strizzata nel corsetto sedeva al tavolino dell’anticamera come una bambola di pezza, morbida e arresa. Aveva avanti a sé quattro plichi di lettere di varia misura legati ognuno da un nastro di colore diverso: i quattro anni di corrispondenza del marito.
Delle domestiche portarono cibo e vino, ma nessuno di loro pensò a mangiare. Attesero.

“È finita. Manca solo l’ufficialità.”
disse infine Sabine.

Ma loro sapevano troppo poco per poter commentare o consolare la baronessa. O per credere che quella fosse una verità assoluta.
“Vi va di parlarne, Sabine?” invitò cauta Oscar, dopo aver pescato un assenso nello sguardo comprensivo di André.

È paradossale come alcune persone riescano a fare a meno di aprirsi su ciò che le tormenta proprio con chi è loro più vicino. Ne fanno un’arte. Riescono a vivere in uno stato di felice dimenticanza, a straniarsi dai propri pensieri latenti. La baronessa era un ottimo esempio di questo comportamento, divenne chiaro ad entrambi quando videro la donna ilare che conoscevano sciogliersi nel pianto, perdere quell’atteggiamento controllato e beffardo che aveva conservato fino a quel momento per parlare di suo marito. Cedeva.

Era così sciocco piangere adesso, pensava Sabine, in nome di cosa? Dopotutto restava davvero poco di quei quattro anni.
Rari momenti di pace, delle notti di passione.
Qualche risata complice, il suo buon odore aspro sulla pelle.
I complimenti ai piatti preparati da lei, le dediche sui libri che non avrebbe mai letto per cui lei lo prendeva in giro e di cui alle volte provava a capire qualcosa, quando non c’era.
La sua memoria sembrava appigliarsi alle banalità come un naufrago allo scoglio.
Senza pensare al trucco che ancora portava o al rumore dei suoi singhiozzi, pianse fino a che le si spezzò il respiro, fino a sentire male al petto.
Per quanto Oscar ammirasse il proprietario della biblioteca che da settimane spulciava (ed essendo testi di entomologia, va specificato che il gioco di parole non era voluto), vedere Sabine in quello stato la caricò di una rabbia inattesa, e avvertì un’irrazionale voglia di sfidare a duello il barone latitante.
“Non ha accennato ad un suo rientro?” Provò André, che forse sentiva lo stesso.
La donna si asciugò le lacrime in un gesto deciso e annuì. Riprese fiato, provò a fare ordine.
E iniziò a raccontare in modo più o meno cronologico della loro storia, dipanando quella matassa anche a se stessa. Senza che gli altri due la interrompessero andò avanti per un tempo indefinito nella narrazione della lunga sequela di incomprensioni, litigi e separazioni che avevano caratterizzato quella unione, del modo in cui l’aveva snobbata e che poi, alla nascita di un sentimento diverso, aveva pensato disperatamente di voler salvare, senza però riuscire a cambiare atteggiamento o a mettere da parte il proprio orgoglio per provarci davvero.
Ma non disse proprio così nel resoconto. Le colpe vennero distribuite in modo iniquo, e il quadro generale da lei descritto la vedeva come vittima di un marito assente, ma è il vantaggio di chi suona la campana.

“…E dalla lettera in cui parlavo di divorzio ancora non avevo avuto sue notizie. Fino a stasera.”
“Lo amate ancora?”
“André, ti sembra il caso?”
“Ma stiamo parlando proprio di questo, Oscar!”
Naturalmente aveva ragione, ma continuava a sembrarle tutto troppo diretto per quello che era il suo approccio titubante all’argomento. L’amore di cui tutti si riempivano la bocca cos’era per lei? Un’idealizzazione vaga, un sentimento privo di contorni che non fossero quelli delle pagine dei romanzi scelti da André. Era da quelle letture che l’altro ricavava la sicurezza che a lei mancava anche solo per pronunciarne il vocabolario di tenerezze?
“No” disse Sabine tra i singhiozzi, per poi rettificare più flebile: “Non lo so…”
Si soffiò il naso e sembrò andar meglio, come se l’ammissione l’avesse aiutata. “Se non volessi lasciarlo? Se non volessi permettergli di lasciarmi? …Come posso fare a rimediare, anche se ho rovinato tutto e per lui è finita?”
Gli altri due tornarono a guardarsi, interpellati a riguardo pur essendo probabilmente i ventenni con meno esperienza in tutta la Francia.
“Esattamente cosa vi ha scritto per farvi pensare che non ci sia più speranza?” provò André.
La baronessa parve interdetta. Soppesò con gli occhi il foglio spiegazzato avanti a sé.
“Vorrei mostrarvela, ma prima devo confessarvi una cosa… ascoltatemi fino alla fine però e… vi prego in anticipo di perdonarmi”
Non ci fu il tempo di rassicurarla che continuò: “Oscar, io avevo più di un motivo per provare ad avvicinarvi. La mia insistenza non è stata casuale.”

La sorpresa passò rapida sul volto dell’altra, un’espressione da animale ferito.
Fu un istante, ma non sfuggì a nessuno.



Su trampoli di fiducia precari, Sabine iniziò a spiegarsi: “È passato almeno un anno da quando è accaduto… Non ricordate probabilmente, ma avete conosciuto Raymond il giorno in cui avete scortato il suo benamato von Linné all’Accademia delle Scienze, durante la sua visita in Francia…”
“Avevo sospettato potesse essere presente in quell’occasione, ma non mi sembrava di averne fatto la conoscenza.” rimuginò tra sé e sé Oscar, turbata.
“Lui è un po’ così - alzò le spalle in fare rassegnato la baronessa - ha questo potere di non farsi notare, immagino che per un osservatore abbia i suoi vantaggi. Però lui ha notato voi.” Non c’era traccia di amarezza nella constatazione, ma si concesse un attimo di pausa più lungo prima di continuare.
“Io mi trovavo a Grasse, in uno dei tanti momenti di tensione del nostro rapporto. In tutte le lettere che vedete raccolte qui, il barone non mi ha mai parlato neppure una volta di qualcuno, mai, per quanto assurdo possa sembrare. Sa dilungarsi in descrizioni di tutto rispetto sui luoghi e sui suoi studi ma sembra certosino nell’escludere ogni allusione ad altri esseri umani di qualsiasi genere, e mi ero ormai abituata all’idea; lui vive in un mondo tutto suo. Quando ecco che arriva questa lunga lettera sul comandante donna delle guardie reali…”
Estrasse con facilità la lettera in questione da uno dei mazzetti avanti a sé e iniziò a leggerne un passaggio ad alta voce.



“All’inizio credevo di aver avuto una svista; non essendo avvezzo ai costumi di Versailles - il cui scintillio può dar le vertigini - credevo di essermi sbagliato. Ma più tardi notai di nuovo l’aspetto singolare del capitano delle guardie reali che guidava la nostra scorta. Voi forse ne siete già a conoscenza, in questi anni avete avuto modo di frequentare più spesso la corte…
Una donna, Sabine! Ma non dovete immaginare una caricatura di soldato, costei non è affatto una civetta in divisa per una stravaganza della regina, come alcuni dei presenti malignavano; tutt’altro! Mi perdonerete se mi dilungo sulla descrizione di un’altra donna, ma ammetterete che è un caso più unico che raro e questa creatura dalle fattezze angeliche ha destato il mio interesse e successivamente, quando ho avuto modo di parlarle, la mia ammirazione.
Che mente lucida e affilata! È un’abile conversatrice: colta, ma non saccente. Portata per la logica e per il ragionamento strutturato, nulla di quello che vi aspettereste di sentire da una…”



“Sabine, vi prego, qual è il punto?” Chiese tesa l’altra, interrompendola. La lettura aveva messo tutti in imbarazzo. “Questo come si collega al vostro cercare di entrare in contatto con me? Cosa volevate?”
“Non è così semplice, Oscar!” scattò nervosa la donna.
La fiducia è un cristallo fragile, e come il cristallo ha bisogno di trasparenza. Lo sguardo duro di Oscar faceva male; il sospetto e l’improvvisa distanza creatasi erano l’ennesimo colpo del giorno, ma Sabine mise da parte la frustrazione: doveva riuscire a spiegarsi a tutti i costi, fermare le lacrime che tornavano a girarle negli occhi.

“Anobium Punctatum.” disse, come fosse una formula magica.
“…Che cosa?”
“Un tarlo. Mio marito li chiama così.”
“In che senso un tarlo, Sabine?” chiese Oscar con gli occhi chiusi, tornando ad un tono più morbido.
“Di quelli che scavano nelle persone invece che nel legno: un pensiero fisso. Non pago della lettera a voi dedicata, al mio rientro Raymond continuò a riferirsi a voi come esempio lusinghiero per il genere femminile. Certo, le sue considerazioni erano tuttalpiù pedagogiche, ad esempio “Bisognerebbe cominciare ad educare diversamente le ragazze, conceder loro prospettive diverse del matrimonio” cose così, ma nella nostra situazione bastò per farmi precipitare in un’insicurezza che non avevo mai avuto. Forse volevo solo capire cosa trovava in voi che non vedeva in me.
Forse volevo diventare l’oggetto assoluto di quella ammirazione, che con me ha sempre centellinato.
Mi ero sempre accontentata del poco affetto che ci concedevamo a vicenda, ma quando quel poco è stato messo in discussione dalla presenza di un ideale… Sapete, ad osservarlo adesso, il nostro matrimonio mi sembra meno di ciò che avete voi e André…” Incrociò lo sguardo di quest’ultimo che non sembrava averla presa bene e la fissava spaventato come non mai. Oscar invece non batteva ciglio. Ascoltava fissandola con un distacco a cui Sabine non era più abituata.
Continuò: “Non so dirvi con chiarezza cosa mi abbia spinta a cercare la vostra amicizia con tanta insistenza; quando mio marito è partito per la Svezia ho capito che stavolta era diverso; mi è sembrato di avvertire l’inizio della fine… magari a quel punto vi ho cercata per capire in cosa dovessi migliorare? O volevo vantarmi con lui di essere nelle vostre grazie? …Non lo so più, ma vi giuro che le mie intenzioni non erano certo malevole!”
Intravide un barlume di comprensione e ne seguì la luce.
“Ho iniziato ad informarmi su di voi, allora. E lì mi sono incuriosita.” Un sorriso pacato le sfiorò le labbra, al ricordo. “Eravate tutto ciò che diceva mio marito e molto altro, ma io ho visto soprattutto una persona un po’ troppo sola, isolata dagli stessi ideali elevati che suscita. A quel punto volevo davvero conoscervi meglio, è diventata una fissa in un momento in cui nelle mie giornate non c’era altro che un senso ingombrante di mancanza. E adesso che posso dire di esservi amica il mio unico rimpianto è di non aver fatto in modo che accadesse prima, Oscar.”
L’altra la osservava con le braccia incrociate, dall’altro lato del tavolino. “Perché non me ne avete parlato subito?” chiese, e la voce che era sempre così decisa parve piegarsi al peso di una sofferenza interiore.
“Perché siamo complicate Oscar. Avevo paura di perdere la vostra fiducia, come adesso.”
Le sfuggì una lacrima dalla maglia delle ciglia. Non la fermò.
Oscar sciolse il nodo delle sue braccia e si sporse sul tavolino, allungò una mano a cercare quella di Sabine che stringeva convulsamente la lettera responsabile - in un certo senso - del loro trovarsi lì.
“Non avete perso la mia fiducia, Sabine.” Disse tenendole la mano paffuta nella sua sottile e callosa. “Vi prego, non piangete per questo; solo proviamo a non creare simili incomprensioni tra noi. Non sentite mai di dovermi nascondere qualcosa perché temete la mia reazione… non sono un’esperta, ma sono sicura che la sincerità sia l’ingrediente principale di qualsiasi amicizia, o le premesse sono infondate.”
L’altra annuiva, sollevata.
“Perdonatemi se non sono stata capace di aiutarvi e se anzi non ho fatto che crearvi altri problemi…” continuò Oscar. “E grazie di essere mia amica. Sono molto felice di avervi nella mia vita… forse è il momento giusto per ribadirlo.”
Sabine tirò su con naso. Sorrisero tutti al rumoraccio e André le andò incontro con il suo fazzoletto e un’occhiata di difficile lettura. Un misto tra un rimprovero e il divertimento, forse. Aggiunse: “Se permettete, baronessa... siete molto più capace di quanto crediate con le parole. Non è da tutti sapersi spiegare con tanta onestà.”
“A quanto pare sotto pressione mi esprimo meglio…” rispose. “Non avete idea della tensione a sentirsi esaminati da Oscar, quasi compiango i suoi soldati!”

Dopo aver letto l’ultima lettera del barone però l’atmosfera tornò a scaldarsi.
“Qui non c’è nulla di così drastico, Sabine. Prendetevi il tempo che vi occorre per riflettere su cosa dirgli al suo ritorno, parlategli.”
“Vi dico che lo conosco abbastanza da capire che questa lettera è diversa. Sta tornando per chiedere la separazione, fidatevi.”
“Ma anche se fosse così, non sarebbe il caso di mantenere la calma e cominciare a fare chiarezza nei vostri desideri? Se non volete questo divorzio dovreste dirglielo.”
“Non ce la faccio… non sono più calma da troppo tempo, a riguardo…” ricominciò a singhiozzare lei, ma con rabbia. “Una parte di me pensa sia giusto, che finalmente ci caveremo questo dente malato che continua a far male. Non siamo stati capaci… non ci vogliamo abbastanza…” diceva convulsa tra le lacrime.
E i due spettatori dopotutto non la pensavano diversamente: quella coppia era davvero assortita in modo bizzarro, difficile credere che improvvisamente avrebbero trovato la quadra per funzionare insieme.
Eppure, rifletteva Oscar osservando ciò che era nato tra lei e Sabine, si può andare d’accordo anche essendo assai diversi: basta volerlo.
Era una verità banale che sentiva di aver riscoperto. Ma Sabine voleva davvero tornare col marito o stava piangendo per scrivere la parola fine? Si sarebbe svegliata a cuor leggero il mattino seguente? Non la conosceva abbastanza per capire cosa dirle per mitigare quella sofferenza all’apparenza straziante.

“Voglio andare via.” disse all’improvviso la baronessa scostando i boccoli ormai disfatti, il viso stravolto mostrava gli occhi arrossati che brillavano nel chiaroscuro della stanza in un luccichio stanco e folle.
“Adesso sarebbe davvero poco saggio. Aspettate che vostro marito rientri, dovete parlargli…” si permise André.
“Non capite: io non posso, non ce la faccio. Non posso incontrarlo qui a Parigi in questo palazzo che è suo… io voglio andare via, voglio tornare a casa. Se vorrà cercarmi sarà lui a farlo, io non lo aspetterò. Farò le valigie stanotte stessa.”
“Sabine, no. Dovete affrontarlo!” insisté Oscar, convinta almeno di questo.
“E chi dice che sia la cosa migliore? Per chi? Se io preferisco tornarmene a Grasse dai miei a questo punto, chi può biasimarmi?”
“Ma potrebbe interpretarlo come un nuovo gesto di stizza…” osservò André.
“Lo è.”
“Andiamo, Sabine…”
“Questa mi sembra un’ottima idea. Andiamo, Oscar. Venite con me!”
“Non intendevo in quel senso, lo sapete.”
“E io invece vi vorrei tanto al mio fianco in questo momento; nulla mi farebbe sentire meglio che tornare a Grasse con voi. Anche solo per qualche giorno, ve ne prego!”
“Vi ho già spiegato che non posso, e vi assicuro che mi spiace, ma…”
“Ma, ma, ma… sono solo scuse, volere è potere!”
“Sono un colonnello delle guardie reali. Ho delle responsabilità.”
Sabine si alzò stizzita e percorse la stanza nervosa, lasciando svolazzare la vestaglia fiorita.
Tornò al tavolino dagli altri due indicando Oscar. “Ecco, questa è un’altra caratteristica che certamente piace a Raymond: siete la creatura più prevedibile che esista! Il vostro comportamento è così ripetitivo e preciso che vi si potrebbe schedare nei suoi studi!”
“Mi state paragonando a un insetto?” chiese stupita l’altra.
“A una specie ottusa di insetto che fa sempre la stessa cosa, sì!”
Oscar raccolse la critica e la mise da parte per pensarci poi. Non riuscì a fare a meno di sorridere a veder Sabine così sfatta prendersela per un motivo così sciocco. Aveva quasi due anni più di lei, era di fatto una donna sposata, ma spesso assumeva atteggiamenti così infantili…
“Io credo sia arrivato il momento di riposare per tutti noi, possiamo discuterne domani sera, con la mente fresca. Non potete prendere una decisione così importante dopo una giornata come quella di oggi, suvvia.”
“Non cambierò idea. Non cambierà nulla domani come non è cambiato nulla negli ultimi anni.” ribadì a un volume poco notturno la baronessa.
Oscar e André si alzarono all’unisono; la luce e la sua ombra.
“Buonanotte, Sabine.”

 
***


“Io posso anche aver dimenticato di aver conosciuto il barone de Plantier, ma mi sembra davvero strano che tu non ricordassi l’incontro. Tu hai una memoria infallibile per certe cose.” disse Oscar prima di entrare a casa, dopo la cavalcata notturna.
Dovevano essere almeno le due del mattino, non avevano molto sonno avanti a loro.
Colto alla sprovvista, simulò una calma che non aveva. “Sarà che quel giorno all’Accademia delle Scienze hai conversato un po’ con tutti, devo aver fatto confusione con i nomi.”
“Buffo, io ricordo solo di aver parlato con il conte di Fersen.” rifletté Oscar senza avere la minima idea dell’effetto delle sue parole.
“Già, c’era anche lui…”
“Sì. È stato un traduttore fondamentale in quell'occasione… Fu una bella giornata, mi domando come mai non mi venga in mente altro.”
Dopo più di un anno che non avevano sue notizie, André sperava che quel capitolo non si sarebbe più riaperto. Aveva volutamente evitato di riprendere l’episodio in questione per evitare di stuzzicare un simile ricordo in Oscar.
La conoscenza di Fersen andava avanti già da diversi mesi, all’epoca, ma prima di quel giorno lui e Oscar non avevano mai avuto modo di trascorrere tanto tempo insieme. Per lui era stata una vera tortura notare in lei tutti i piccoli segni di interesse di cui non la credeva capace: uno spettacolo irresistibile e devastante allo stesso tempo.
Oscar affascinata. Luminosa come non mai. Più incline al sorriso.
Quanto ne aveva sofferto.
Quando circa un mese dopo il conte era tornato in Svezia, André aveva tirato un vero sospiro di sollievo. Sentirlo nominare di nuovo, il saperlo intatto nella mente di Oscar a differenza dal resto della giornata con alcuni dei più brillanti studiosi da tutto il continente, risvegliò in lui il tarlo della gelosia.
Poteva capire la baronessa: non avrebbe augurato quel tormento a nessuno.
“Non abbiamo neppure mangiato; che ne diresti di uno spuntino? Posso prepararti qualcosa senza far troppo rumore.” cambiò discorso lui.
Lei annuì distratta. Non sembrava più stanca, ma rapita da altri pensieri.
In cucina trovarono vari avanzi della cena e non fu necessario mettere alla prova le neonate arti culinarie di André. Si sedettero al tavolo, fianco a fianco, a mangiare assieme dal tegame appena scaldato, senza dir nulla.
“Secondo te sono prevedibile?” ruppe il silenzio Oscar, nascosta da una cortina di capelli biondi che impediva ad André di scutarne il volto.
“Stai pensando a quello che ti ha detto Sabine?”
“Non capita tutti i giorni di essere paragonati a un insetto.” considerò lei.
“Non ti ha paragonata a un insetto, ha solo rimarcato il fatto che sei una persona estremamente disciplinata e come tale…”
“Prevedibile.”
“…”
“Quindi lo pensi anche tu?”
Sostenere il suo sguardo poteva essere difficile, alle volte. Gli sembrava di sentirne il richiamo, il desiderio di stringerla tra le braccia si tramutava in urgenza.
Si girò ad osservarla meglio, la panca su cui erano seduti protestò con un lungo crepitìo dolente. Lei aspettava la risposta un po’ corrucciata, forse seccata dal fatto che ci mettesse tanto.
Lo distrasse un microscopico residuo di cibo rimasto a marcarle il punto tra la piega decisa della bocca e la guancia, come il neo tirabaci di una dama frettolosa, e prima di rendersene conto stava passando il pollice sull’angolo delle sue labbra in una morbida traiettoria fino al mento, mentre lei rimaneva immobile al suo tocco, paralizzata dal contatto inatteso.
Scostò la mano spaventato. L’ho fatto davvero? Si chiese mentre già sentiva la mancanza di quella pelle sotto le dita.
Cosa gli stava succedendo? Dove era finito il suo autocontrollo?
“Avevi un po’ …un pezzetto di qualcosa qui” spiegò col cuore in subbuglio e mimando il gesto.
Lei ripassò il punto con delicatezza per assicurarsi di essere a posto.
“Adesso?”
“Non c’è più nulla, tranquilla.” ribadì lui con un’occhiata sfuggente.
“Non mi hai risposto.” insisté Oscar.
“Scusa, cosa mi avevi chiesto?”
“Ti ho chiesto se mi trovi prevedibile, André.” ripeté paziente.
Lui si concesse ancora un momento di riflessione prima di ribattere.

“Non è mica una cosa brutta, Oscar.”
“Quindi sì?”
“Ti sembra il caso di prendertela?”
“Non me la sto mica prendendo.” ed effettivamente suonava calma.
“Quando ti si fa quella piega tra le sopracciglia significa che qualcosa non ti va a genio.” rispose indicandola.
“E questa cosa sarebbe? Un’argomentazione sulla mia prevedibilità?” punzecchiò.
“È perché ti conosco bene e so interpretarti, Oscar.”
La sua voce suonò come una carezza. E fu quello l’effetto sulle pieghe del viso di lei, che si distese fin quasi a sorridere, per poi stropicciarsi in uno sbadiglio che accompagnò come un gatto, puntando le braccia al tavolo e stiracchiando i muscoli del collo.
“Devo assolutamente andare a dormire.” ne concluse. “Questa giornata è cominciata troppe ore fa, ed è stata davvero intensa.”
Usò la spalla di André per sollevarsi dalla panca e si avviò al corridoio. Le piacevano quei colloqui notturni; in tutte le varianti che avevano sperimentato crescendo le sembravano momenti di pace assoluta, un rifugio senza pareti a cui non avrebbe mai rinunciato.
“Tu non vai?” chiese ancora.
“Tra un momento.” Rispose lui fissando la brace nel camino.
Come un equilibrista, provava a ricordare ai piedi il loro posto, a tenersi saldo sul precipizio, ma la voglia di lasciarsi rapire dalla vertigine diventava sempre più forte.

 
***


Prevedibile.
Era vero, ma non ci aveva mai pensato.
La sua esistenza era di fatto scandita da precise routine e solidi principi che non lasciavano molto spazio all’elasticità e ai cambiamenti.
E non c’era nulla di male, aveva ragione André.
Una certa dose di inflessibilità era necessaria nella sua posizione, con la certezza di doversi impegnare il doppio per garantirsi il rispetto riservato al genere maschile non poteva certo permettersi errori o cedimenti. Essere inattaccabile, aveva puntato a quello.
Ma allora come mai continuava a rigirarsi nervosamente tra le lenzuola e a ripensarci?
Un uovo minuscolo le si schiuse nella mente con una domanda:
Poteva essere diversa, volendo?


***



“Come sarebbe a dire che è partita?”
“Ha lasciato una lettera per voi… ecco” disse la giovane cameriera visibilmente provata, come se non avesse dormito per preparare l’improvviso trasloco di una padrona che non spiccava per semplicità e probabilmente non viaggiava leggera.


Fuggo da queste mura diventate prigione, senza forze per essere ragionevole, senza il cuore di salutarvi, Oscar.
Non so scrivervi del mio stato d’animo, ma sono disperata. Voglio tornare in Provenza, non posso essere altrove in questo momento…
Mi piacerebbe credere che mi raggiungerete, preoccupata per me, ma se ho imparato a conoscere un po’ la mia amica così razionale so di non dovermi aspettar nulla; penserete che sia giusto che io sbollisca un po’ di questo turbamento con i miei genitori e attenderete di vedermi tornare a Parigi per confrontarmi con mio marito.
Non credo accadrà.
L’unico motivo per cui allontanarmi da questa città così ostile mi è sgradito è il dovermi separare da voi, Oscar. La vostra compagnia e quella di André sono state indispensabili, il pensiero di separarmene è un dolore lancinante, eppure vado via: credete che questa è la misura della mia sofferenza e non un segno di noncuranza.

Ci rivedremo e sorrideremo ancora, lo so.

Sabine











 
  
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