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Autore: ___Page    17/12/2019    3 recensioni
"Fosse stato per lui, avrebbe pulito tutto, smontato l’albero e archiviato la questione addobbi per il resto della propria esistenza.
Fosse stato per lui.
Ma non era per lui. Era per lei.
Era tutto per lei."
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*Questa fanfiction partecipa alla Xmas Countdown Challenge 2019 organizzata dal forum FairyPiece – Fanfiction & Images*
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Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Koala, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno: 17 dicembre
Tema: Tradizioni
Prompt: La leggenda del vischio

Note: Achtung! Capitolo doppio! Dopo i fiocchi di neve *** continuare la lettura.


 

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Era nel bel mezzo del parco Sabaody e solo i rafteliani la conoscevano con il suo vero nome, piazza Gyoncorde. Un ampio spiazzo ciottolato, che si trasformava ogni anno dai primi di novembre in una distesa di ghiaccio artificiale, meta per gruppi di amici, aspiranti pattinatori e famiglie.
Famiglie di ogni genere e dimensione, da quella fin troppo perfetta e finta a quella chiassosa, passando per l’allargata, dalla madre con tre figli e nipoti a rimorchio a un padre con solo una bambina e un cane, che però per quella volta non era andato con loro.
«…se c’è del vischio, cominci a starnutire!»
«Quando incontri l’anima gemella cominci a starnutire?» chiese conferma Law, finendo di assicurare per bene i ganci dei pattini a noleggio.
«Sì, esatto» annuì solenne Laine, contenendo l’entusiasmo che realmente provava, come sempre quando erano in mezzo a molta gente e non nell’intimità della loro casa o, al massimo, della loro famiglia. «Perché diventi allergenico al vischio»
«Allergico» Law la corresse con una dolcezza che Laine sapeva riconoscere nella sua voce e che a lui tanto bastava che la riconoscesse lei.
«La leggenda lo dice» riaffermò convinta e Law si concesse un ghigno così disteso da sembrare quasi un sorriso. Laine era così felice di essere lì a pattinare che a Law non veniva neanche voglia di precisare che non era affatto una leggenda a dirlo ma Izou e che non bisognava sempre credere a tutto ciò che Izou diceva, non tanto per rovinare il racconto inventato quanto per paura di quello che sarebbe potuto succedere se Laine si fosse fidata di tutto quello che Izou diceva.
Ma l’idea di portarli a pattinare era stata di Izou, che avrebbe potuto anche tenerselo per sé e Kikunojo ma invece aveva gentilmente esteso l’invito a Laine e David, e Law si sentiva stranamente ben disposto nei suoi confronti. Entro i suoi trafalgariani limiti.
«E se sei già allergico al vischio?» non resistette alla tentazione di minare anche solo in parte il racconto di Izou, tutt’al più che si trattava di una domanda più che ragionevole.
«Sanguini dal naso» rispose prontamente Laine, troppo prontamente, e Law non avrebbe saputo esprimere a parole l’orgoglio provato quando, nel sollevare la testa verso di lei, sua figlia piegò le labbra in un ghigno e annunciò: «Gliel’ho chiesto»
Santo Roger, era così fiero di lei. Si sentiva scoppiare di orgoglio.
«Forza» la incitò mentre smetteva di controllare compulsivamente la chiusura dei pattini e la afferrava sott’ascella per rimetterla in piedi. Le prese la mano, lasciando che trovasse da sola l’equilibrio sulle lame prima di avviarsi verso la pista ghiacciata, dove gli altri erano già riuniti.
«Zio Pen!» abbandonò la corazza di calma Laine, nonostante fossero ancora in mezzo a una folla, ma il suo zio preferito meritava tutto l’entusiasmo del mondo, e che gli altri vedessero pure. «Guarda, ho i pattini!» si sbracciò verso il rosso, intento a parlare con Izou e che subito si illuminò come le luci che decoravano tutta la vegetazione attorno nel vedere la nipote, almeno quanto la nipote si era illuminata a vedere lui.
«Ehi principessa! Ma come siamo belle, una vera fata dei ghiacci» si accovacciò per abbracciarla e farsi dare un bacio. «Sarà meglio che Kikunojo e David ti tengano d’occhio» lanciò un’eloquente occhiata verso il fratello di otto anni di Izou che si mise subito sull’attenti. E a proposito, che fine aveva fatto David?
Law non riuscì quasi a finire di produrre il pensiero che un tonfo metallico riecheggiò a pochi passi da loro, quando un bambino si schiantò contro il bordo di laminato della pista, ammaccandolo probabilmente dall’interno. Per un momento nessuno si mosse e fiatò, in attesa di veder spuntare due occhi blu sotto un ciuffo rosso fuoco dal bordo superiore mentre una mole imponente si avvicinava rapida da dietro.
«David, tutto bene?» frenò in mezzo al ghiaccio Killer, studiando il nipote che gli era stato affidato e da cui occhi sgranati trapelava un entusiasmo che lasciava spazio al dubbio che neanche si fosse accorto di essersi appena schiantato.
«Wow! Che figata! Kiku, Laine venite!» si aggrappò al bordo della pista saltellando a martello pneumatico, la mano dello zio Kira ben ancorata alla sua testa.
«Ha la stessa coordinazione di Kiddo-kun» scosse il capo Izou, gli occhi fissi su David, come anche gli altri due.
«Almeno David è solo un po’ iperattivo, Eustass-ya è proprio irrecuperabile»
«Speriamo che Harley abbia preso dalla mamma» intervenne anche Penguin.
«È lo stesso augurio che ci facciamo per quando tu avrai un figlio» lo omaggiò di un sorriso bastardo Killer. «Anzi, in realtà preghiamo proprio gli dei ogni giorno per questo»
«Ehi!»
«Papà andiamo?!» Laine si aggrappò alla mano di Law, troppo eccitata, ora, per riuscire a controllarsi e Law sapeva che avrebbe iniziato a schizzare da una parte all’altra appena messo piede sulla pista. D’altra parte Laine adorava il freddo, il ghiaccio, la neve e gli animali artici e Law non poteva che condividere, anche se solo mentalmente, l’entusiasmo di sua figlia. Non era come se non la capisse alla perfezione.
«Non allontanarti da Izou» si raccomandò all’ingresso del recinto di laminato, a cui tornò ad appoggiarsi di fianco a Pen, osservandola attento sfrecciare sul ghiaccio.  
«Lo sai che non scompare nel nulla anche se smetti di controllarla?»
«Mh?» Law si girò distrattamente verso Pen, la coda dell’occhio incollata alla piccola figura imbacuccata. «Ti ci metti anche tu ora?»
«Dico solo che puoi tirare un po’ il fiato, siamo qui tutti anche per lei» 
Law sollevò un sopracciglio. «Ne parli come se la cosa dovesse confortarmi» 
«Hai pensato alla mia proposta?» non si fece scoraggiare, Pen.
«Certo che sì, eri anche presente mentre ci pensavo. Ricordi? È stato quando me lo hai proposto» 
Pen si concesse un sospiro, nemmeno troppo trattenuto, staccando gli occhi dalla pista per girarsi completamente verso l’amico.
«Law, dovresti pensare un po’ anche a te stesso»
«Uscendo con la tua nuova collega?»
«Conoscere gente nuova fa parte del pensare a se stessi»
«Io conosco un sacco di gente Pen, mio malgrado, ed è già abbastanza impegnativo così, credimi» ironizzò quasi divertito, secondo i suoi trafalgariani standard, strappando un sorriso all’amico. 
«Ma se solo tu…»
«Dov’è Laine?» il tono di Law si fece improvvisamente serio e freddo, gelido, come l’aria che condensava il suo fiato in piccole nuvolette, come i suoi occhi che setacciavano la pista, preoccupati ma analitici e fermi.
Era troppo razionale per sbroccare prima del tempo, la pista era zeppa e Laine non raggiungeva il metro e dieci di altezza, ma per uno come Trafalgar Law, il controllato, sempre sul pezzo, calcolatore Trafalgar Law, averla anche solo persa di vista era già motivo di allarmismo e se qualcuno l’avesse toccata avrebbe segato la pista in due prima di permettere a chiunque di portargliela via.
Senza neanche pensare si lanciò dentro la recinzione in laminato, le suole che slittavano pericolosamente sul ghiaccio artificiale, ignorando i richiami di uno dei ragazzi a guardia che gli ricordava che non si poteva accedere senza pattini. Se era per quello, neanche si poteva parlare senza la lingua ma di tempo non ne aveva neppure per minacciare in quel momento.
E dire che lui i cuori li riportava a un ritmo regolare per lavoro ma il suo non sembrava tanto intenzionato a rallentare e gli sarebbe tanto piaciuto potersi raccontare che era lo sforzo di non perdere l’equilibrio e rovinare grugno al suolo ma allora non avrebbe dovuto provare quell’ondata di sollievo, una vera e propria scarica elettrica, nel riconoscere il cappellino con le orecchie a pochi metri. Smise di scivolare e pestò il ghiaccio con gli scarponcini per raggiungerla più in fretta, gli occhi fissi su di lei, mica le venisse in mente di sparire di nuovo a un battito di ciglia e non si chiese neppure perché fosse immobile, lei che non stava ferma neppure quando dormiva.
«Lain…»
«Ecco fatto, così non rischi più di perderla»
Law si fermò a un passo di distanza, spostando gli occhi su una figura accovacciata, di cui non vedeva granché, a parte il berretto rosso di lana e i guanti abbinati che lasciavano libere le punte delle dita, con cui stava assicurando meglio la sciarpa al collo di Laine.
«Sicura? Non vola più via?»    
«Garantito!» ricambiò il sorriso la sconosciuta, pizzicandole appena il naso. «Non sei qui da sola immagino»
«No, io…»
«Laine» si sbloccò finalmente Law, coprendo deciso l’ultimo passo, l’espressione severa. Non ci voleva una laurea per capire che la pulce non se n’era andata a spasso per divertimento ma se già Law non era bravo a gestire le emozioni, figuriamoci lo spavento che si era appena preso.
«DOC! La sciarpa, la sciarpa è volata via!» raccontò entusiasta dell’incredibile fenomeno.
«Ti avevo detto di non allontanarti da Izou» 
«Ma io…» sgranò gli occhi la bambina.
«Mi scusi»
Law alzò la testa di scatto e aprì la bocca per invitarla a non intromettersi ma così rimase per un attimo, giusto il tempo per rendersi conto che non riusciva a formulare la frase e richiudere le labbra.
Sorrideva.
Quella sconosciuta gli sorrideva e Law non era certo tipo da farsi abbindolare da un sorriso ma c’era qualcosa negli occhi blu di quella ragazza, di così sincero e di così gentile che Law era piuttosto certo che si sarebbe sentito uno stronzo a risponderle male. E la cosa sconvolgente era che Law era abituato e gli andava perfettamente a genio sentirsi uno stronzo, di solito.
«È stata colpa mia, l’ho fermata per ridarle la sciarpa» pattinò più vicina e un vago sentore di menta gli pizzicò le narici, liberando i suoi polmoni dall’ultima oncia di apprensione che si era materializzata in tempo zero nel suo petto, con il peso di un macigno.
«Capisco» mormorò Law, posando la mano sul capo della pulce, visto e considerato che i suoi occhi non sembravano intenzionati a distogliersi da lei.
Dio, ma che gli prendeva?!
«Hai ringraziato la signorina?»
«Koala» annuì appena la ragazza, abbassando gli occhi guizzanti di vita e allegria sulla piccola. «Mi chiamo Koala, Kay per gli amici»
Laine si illuminò, scivolando appena verso di lei e Koala si piegò subito in avanti, appoggiandosi al bordo della pista, per lasciarsi dare un bacio sulla guancia.
«Grazie Kay»
«Vischio! Vischio, solo tre berry a rametto!»
«È stato un piacere piccola»
«Oh ma guarda queste due belle signorine che si baciano! Che ne dite di un rametto di vischio a soli tre berry?!» un tizio dal naso lunghissimo e una barba posticcia da Babbo Natale si accostò al bordo della pista, offrendo il suo cesto di vimini carico di rametti accuratamente legati tra loro. Li smosse appena per mostrare la merce e un lieve refolo di vento soffiò tra di loro, diretto verso Law.
«Ehi che ne dici? Ne prendiamo un rametto così poi hai la scusa per farti dare un bacio dal… uhm, dal papà?» indagò sottovoce Koala, strappando una risata a Laine e lanciando una fuggevole occhiata a Law, già pronto a protestare, lo sguardo ancora severo.
«Sì d…»  
«Etciù!»
«Salute!» esclamò Koala, mentre consegnava tre monete da un berry l’una al venditore di vischio e il rametto di vischio a Laine. «Serve un fazzoletto?»
«No gr…» provò a rispondere Law, prima di venire interrotto da un altro starnuto.
Laine lo fissò con tanto d’occhi, poi guardò il rametto che teneva in mano, poi di nuovo suo padre e gli occhi le si fecero grandi come due fondi di bottiglia, portò una manina alla bocca, l’espressione meravigliata ed estatica, le guance arrossate.
Law ebbe giusto il tempo di accigliarsi e poi ricordare, di realizzare cos’era appena successo nella testa di sua figlia, prima che la persona meno adatta a piombare lì in quel momento, piombasse lì in quel momento.
«Ehi tutto a posto? Successo qualcosa?»
«Izou, Izou! Papà è diventato allergenico al vischio!» agitò il rametto nell’aria la pulce. «Ha conosciuto Kay ed è diventato allergenico al vischio!»
Gli occhi vitrei fissi su sua figlia e un moto di… qualcosa in corpo, Law non aveva bisogno di guardarlo. Sapeva che Izou stava sorridendo mefistofelico, per il semplice gusto di ciò che stava per fare.
«Oh ma non mi dire» incrociò le braccia il ragazzo, spostando lo sguardo da Laine a Law e per finire alla piccola ragazza che sostava lì accanto a loro. «Immagino che tu sia Kay»
«Sssì, in effetti, ma che…»
«Laine, vuoi raccontare a Kay la leggenda del vischio?»
«Oh sì! È una storia bellissima e…»
«Noi purtroppo dobbiamo andare» intervenne Law, caricandosi Laine su una spalla a sacco di patate.
«Cosa?! No! DOC mettimi giù!»
«Grazie ancora per l’aiuto, Koala»
«Papà!»
«Non farti ingannare, lui non ringrazia mai nessuno, quindi, in realtà, ti sta dicendo che è stato un piacere conoscerti» cantilenò Izou a una basita Koala, ignorando i grugniti di Law rivolti a lui. «Per lui e per il suo sottomarino allungabile, probabilmente»
Non fosse stato così impegnato ad allontanarsi il più in fretta possibile, Law gli avrebbe tirato volentieri la lama di un pattino.
Un piacere conoscerla un paio di balle. Era proprio quello che gli serviva, che andassero a raccontare a una perfetta sconosciuta che secondo loro si era preso un colpo di fulmine per lei.
Quando? Quando e come aveva potuto pensare che andare alla pista con Izou fosse una buona idea?




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Giorno: 17 dicembre
Tema: Tradizioni
Prompt:
Cenone di Natale ----> Prompt riadattato


 
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Era al 10 di via dei Rivoluzionari e per Law era una seconda casa. Sapeva dove trovare le stoviglie in cucina, il guardaroba all’ingresso, gli asciugamani in bagno e persino le luci di Natale nel garage.
Certo era merito della sua incredibile capacità mnemonica ma dipendeva anche innegabilmente dal fatto di aver frequentato quella casa sin dall’infanzia. Lui e Sabo erano cresciuti insieme, amici prima che cugini, e la porta degli zii era sempre stata aperta per lui e per Lamy, per amor di precisione proprio spalancata fin quasi a scardinarla da Rufy a ogni sua visita. Ragion per cui, Law non avrebbe mai potuto declinare l’invito annuale della zia alla cena di Natale, che si teneva sempre l’ultimo sabato di novembre o il primo di dicembre. Solo un anno l’aveva persa perché di turno e aveva dovuto ammettere, solo con se stesso, solo internamente, che quel Natale gli era mancato qualcosa.
Non che Law desse molta importanza al Natale. Anzi a lui del Natale importava poco o niente ma la sua famiglia era altra faccenda soprattutto da quando, quattro anni prima, il suo concetto di “famiglia” aveva subito un brusco cambiamento.
Certo reputava quello della zia di estendere l’invito indiscriminatamente a qualunque amico di figli e nipoti un po’ un brutto vizio, ma almeno Laine poteva divertirsi con David e Kiku e tutti gli zii ed era per lui un raro momento di totale relax.
­«Anche tu?»
«Anche io cosa?» domandò Sabo, appoggiato con il gomito alla mensola del caminetto, da cui pendevano calze a motivi jaquard e dove le foto di famiglia erano state decorate con mollette a forma di renne, folletti e pupazzi di neve.
«Beh…» Law distolse lo sguardo grigio e analitico dai vari Torao, Rufio e Eustachio in miniatura, riportandoli sul cugino. «Anche Pen ha una nuova collega, ma spero tu non me ne stia parlando con il suo stesso intento»
«Oh cugino» sorrise Sabo con faccia da schiaffi. «È grandiosa, non potrei mai cercare di accoppiarla con te» scosse appena il capo, lasciando ondeggiare le ciocche bionde e per quanto sinceramente non interessato a nessuna relazione amorosa, Law non poté non provare un moto di lieve fastidio a quelle parole, che graffiavano nonostante tutto il suo orgoglio maschile.
Sollevò un sopracciglio, perfettamente consapevole di come e dove colpire e senza il minimo scrupolo nel farlo. «Ishley lo sa, che è così grandiosa?»
Il sorriso si congelò sul volto di Sabo che, occhi vitrei, si voltò lentamente a fronteggiarlo. «Che stai insinuando? Lo sai che io ho occhi solo per Ish»
«Oh sì, io lo so» ghignò bastardo Law, appoggiandosi a sua volta alla mensola del caminetto. «E so anche che la tua collega è grandiosa, l’hai elogiata anche con lei per caso?»
Law contò mentalmente fino a tre e poi si spalmò di più contro il camino mentre Sabo lo superava senza un’altra parola, lanciandosi alla ricerca di Ishley con l’intento di fare cosa non era chiaro. Dichiararsi, magari, sarebbe anche stata ora dopo quattro mesi a struggersi. E dire che in tutte le altre cose della vita era così sicuro di sé.  
«Sabo, tesoro» lo richiamò proprio in quel momento la zia Betty, uscendo dalla cucina attraverso l’arco ricoperto da una ghirlanda traboccante di decorazioni, a ritmo della musica natalizia che si diffondeva al giusto volume, tra le accoglienti mura e gli ospiti riuniti in gruppetti qua e là.
«Mamma, scusa ora non p…»
«Deve essere arrivata la tua amica» lo interruppe lei, con quel tono che non dava spazio a repliche e Sabo si voltò quasi spaesato verso la porta di casa, manco fossero le fauci di un mostro pronto a divorarlo anziché, appunto, la porta di casa.
Con un sospiro appena accennato, Law si staccò dal caminetto e fece un cenno a Sabo di andare, che ci pensava lui ad accogliere l’ospite, avviandosi poi con passo flemmatico e Bepo alle calcagna in tempo zero. Cosa gli toccava fare per quell’imbecille. Pure gli onori di casa e l’educato con una sconosciuta.
Lanciò un’occhiata di ammonimento a Bepo, che facesse il bravo e non saltasse addosso, prima di afferrare la maniglia e aprire, ritrovandosi il campo visivo invaso da tanto rosso e frizzante menta nell’aria.
Un cappellino di lana, dall’aria singolarmente famigliare, seguito da un paio di occhi blu e un sorriso, che lo lasciarono per un attimo interdetto. Law non era tipo da confondere sogno con realtà, era troppo razionale per non sapere quando stava sognando e quando era sveglio ma per un attimo si chiese se non fosse tutto prodotto dell’attività onirica del suo cervello. Perché sul serio, per la legge dei grandi numeri, come poteva la sconosciuta della pista di pattinaggio essere proprio lì, alla porta della casa dei suoi zii?
«Ciao»
Law sbatté le palpebre un paio di volte, risvegliato non tanto dal saluto quanto dal tono con cui gli era stato porto, un soffio quasi incredulo e piacevolmente sorpreso.
«Ciao» riuscì a ribattere solo dopo che Bepo gli ebbe dato una testata al polpaccio.
«Che sorpresa» continuò a sorridere imperterrita Koala e Law fece finta di non ricordarsi perfettamente il suo nome.
«Sei la nuova collega di Sabo?»
«Beccata» inclinò appena il capo di lato. «E tu sei…?»
«Law» allungò il braccio e un istante dopo sgranò impercettibilmente gli occhi di fronte alla propria mano tesa perché, onestamente, non sapeva cosa stesse facendo, come non lo sapeva Bepo che si sdraiò coprendosi il muso con una zampa.
«Piacere di conoscerti Law» Koala ricambiò così prontamente il gesto da non dargli neanche il tempo di provare imbarazzo. «Ufficialmente per lo meno. Io sono Koala»
«Sì, mi ricordo» annuì Law, tornato alla modalità analitica e impassibile.
Un guizzo balenò nello sguardo della ragazza, che incrociò le braccia sotto al seno. «Tu, comunque, posso affermare con sicurezza che non sei un collega di Sabo»
Law si appellò a tutto il proprio autocontrollo per non accigliarsi. Il fatto era che Koala sembrava davvero felice di vederlo, contenta di essere lì a parlare con lui, anche se fuori al freddo, e per quanto non fosse la prima donna né sarebbe stata l’ultima a mostrare apprezzamento in sua presenza, alla pista avevano interagito quasi niente e dubitava Koala fosse andata a pattinare per rimorchiare. Quindi sì, insomma, era un po’ difficile capire perché mai la ragazza si comportasse come se lui le piacesse davvero.
«Sono suo cugino»
«Ah» Koala socchiuse appena gli occhi. «Allora credo proprio mi abbia parlato di te»
Law sollevò un sopracciglio, non gli era chiaro se volesse essere una provocazione ma era certo che con Sabo bisognava sempre prendere ciò che diceva con le pinze, una precisazione che stava per fare a scanso di equivoci, quando Bepo abbaiò impaziente ai piedi del padrone, guaendo subito dopo una scusa del tutto non necessaria, dato che il samoiedo aveva centrato il punto.
Koala cominciava a tremare e Law si diede mentalmente del deficiente. Non che lei avesse smesso di sorridere.
«Prego, accomodati» si scostò di lato, osservandola scivolare a un centimetro da lui e non fece in tempo a richiudere la porta che la voce più bella e dolce che avesse mai sentito risuonò entusiasta.
«Kay?!»
«Piccola, ciao!» le andò incontro Koala, senza neanche togliersi il cappotto mentre Law scambiava un’occhiata con Bepo e annuiva. Potevano fidarsi e comunque erano in territorio amico, erano avvantaggiati.
Il cuore stranamente leggero, Law si richiuse l’uscio alle spalle senza accompagnarlo e il lieve tonfo fece tremare il vischio appeso sopra la porta, liberando l’odore nell’aria.
«Etciù»
«Salute!» Koala non esitò, in un dejà-vu di due giorni prima alla pista, che sarebbe stato perfetto se avesse fatto in tempo ad aggiungere:
«Serve un fazzoletto, DOC?»
Ma non era stata lei ad aggiungerlo, chiaramente non poteva essere stata lei, per quanto socievole non erano abbastanza in confidenza perché lei lo chiamasse DOC, che non stava affatto per dottore ma per “disturbo ossessivo compulsivo”, un soprannome coniato con cura per lui proprio da chi lo aveva appena utilizzato, appoggiandosi a peso morto sulla sua spalla, dopo avergli immancabilmente palpato una chiappa.
Law le lanciò un’occhiata assassina in tralice mentre Koala sorrideva alla nuova arrivata, cercando di incastrarla nel quadro con discrezione, così da non fare gaffe, soprattutto perché Laine non sembrava dell’idea di mollare la sua gamba e, se quella era la compagna di Law, la situazione si faceva sempre più fuori luogo ogni secondo che passava.
Ricordava distintamente di aver sentito Laine chiamarlo proprio con quello stesso soprannome e la donna lo guardava con uno sguardo famelico, affamato, quasi fosse stato una fetta di pizza.
«Bonney, puoi evitare?»
«Perché? Mica è tesoro nazionale» Bonney si appoggiò con il mento al braccio abbandonato sulla sua spalla. «Un uccellino mi ha raccontato una leggenda adorabile»
«La leggenda del vischio?» domandò Laine, che intanto si era lanciata su Bepo e stava facendo treccine con il pelo del suo collo.
«Proprio quella, scricciolo» annuì Bonney per poi alzare lo sguardo su Koala, senza cambiare di una virgola la propria espressione. «Non mi presenti la tua amica, Law?»
Law trattenne un grugnito e si fece un appunto mentale di portare Izou, Pen e Killer alla morte più lenta e dolorosa che gli riuscisse immaginare e poco importava se uno di loro era il padrino e tutore legale di Laine. Avrebbe trovato a chi affidarla in alternativa.
«Bonney, lei è Koala. Koala, lei è Bonney ed è…»
«Single. Casomai la cosa possa interessarti»
Un guizzo tornò ad attraversare gli occhi di Koala che, sinceramente, non aveva motivo di provare tutta quella speranza e quel sollievo eppure non riuscì proprio a impedirselo, mentre lanciava una fugace occhiata a Law e poi tornava su Bonney per rispondere: «Trovo sia un’informazione interessante per quanto io non sia interessata», facendo inarcare entrambe le sopracciglia a Bonney.
«Sagace. E ovviamente etero» sbuffò. «Tutta tua, chirurgo»
«Ma voi non…» non riuscì più a trattenersi Koala, indicandoli discreta con l’indice, giustamente perplessa dalla mano di Bonney che non si era ancora scollata dalla chiappa di Law.
«Che?!» si stranì Bonney, dopo un momento di condivisa interdizione con il suo collega dal bisturi facile. «Oh dio no» mormorò attraverso un sorriso congelato. «Mi ammazzerei»
«Bonney»
«No, Polvere di Stelle, io e lui non stiamo insieme. A dirla tutta né io né lui stiamo con nessuno, io perché sono sfigata e lui perché non abbiamo ancora trovato una santa che se lo prenda» annuì solenne provocando un risolino che Laine cercò di soffocare contro il pelo candido.
«Anche zia Ikka lo dice sempre!» esclamò poi, senza lasciar andare Bepo che si stava godendo le coccole a occhi socchiusi e lingua penzoloni.
«Ma davvero scricciolo? Perché non mi ci accompagni, da zia Ikka, che non l’ho ancora salutata?»
«Certo!» si rimise in piedi Laine, pronta a fare gli onori di casa. «Bepo andiamo?» sgambettò via, lasciando così il genitore completamente solo con il proprio ben celato imbarazzo, Koala e le canzoni di Natale di zia Betty a fare da sottofondo.    
Law non era tipo da restare senza parole. A volte non parlava deliberatamente, quasi sempre era laconico e conciso, ma restare senza parole, quello non gli capitava mai.
D’altro canto, per tutto c’era una prima volta, anche se non era quella perché poteva benissimo offrirsi di appenderle il cappotto e così facendo la questione sarebbe stata chiusa e la sua faccia salva.
«Dunque, Koala, se vuoi dar…»
«È davvero una bambina eccezionale» lo interruppe però Koala, senza realizzare che lo aveva interrotto. «È come se emanasse luce, solo a stare con lei ti senti più vivo»
E la prima volta arrivò così, senza preavviso, prendendolo tra capo e collo, perché una perfetta sconosciuta che aveva visto sua figlia per tredici minuti totali, aveva appena descritto alla perfezione e con disarmante semplicità quello che lui sentiva per Laine, che mai era riuscito ad esprimere o anche solo definire, neppure con se stesso. E lo condivideva. E lui sapeva che Laine era eccezionale ma che lo vedesse anche il resto del mondo, gli riempiva il cuore.
«Credo che anche lei stia volentieri con te» sentenziò e non era neanche una risposta. Era una constatazione e neanche sapeva perché l’avesse fatta ad alta voce. Ma Law conosceva Laine come nessun’altro e stava solo affermando ciò che vedeva, non c’erano significati nascosti o secondi fini.
«Se ti serve una baby-sitter ogni tanto, tienimi in considerazione» ribatté Koala, senza neanche mezza esitazione. «O anche se ci sei tu, insomma io sono libera e disponibile»
Il sopracciglio di Law si alzò con lentezza esasperante a quelle ultime parole, che arrivarono al cervello della loro proprietaria a scoppio leggermente ritardato ma ci arrivarono tuttavia, e Koala sgranò gli occhi mentre le guance le si coloravano progressivamente di un rosso sempre più intenso.
Oh… Santo… Roger… Che aveva detto?!
«Ah io… i-io credo che sia il caso che vada a posare il, il… ecco» indicò un lembo della mantellina grigia di panno.
«Cappotto»
«Il cappotto! Esatto! Sì! E poi devo salutare Sabo e… e… insomma io vado. Grazie ancora per l’accoglienza e tutto… il resto» si dileguò con un ultimo sorriso, il volto in fiamme e gli occhi fissi di fronte a sé.
Il che era un vero peccato.
Se si fosse voltata giusto un altro istante sarebbe bastato. Bastato per vederlo ghignare, con più soddisfazione di quanto a Law sarebbe piaciuto ammettere, e per vedere il suo naso arricciarsi. E se si fosse trattenuta ancora un momento sarebbe bastato per sentire il suo sonoro starnuto, quando un lieve refolo di vento, infiltratosi da chissà che spiffero, agitò il vischio sopra la porta.
  
  
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